Ci siamo sempre sbagliati sull’origine del colore di Marte? Una nuova ricerca ha sfruttato lo stato dell’arte delle conoscenze su Marte e i potenti strumenti con cui NASA e ESA studiano da decenni la sua superficie. Siamo così probabilmente venuti a capo del mistero che nei millenni ha indotto innumerevoli popoli ad associare il Pianeta Rosso al sangue, la guerra e la violenza. E tutto per colpa di banale…ruggine.
Primo autore dello studio, pubblicato oggi sulla rivista Nature Communications, è il ricercatore post-doc Adomas Valantinas che ha iniziato il suo lavoro all’Università di Berna concludendolo alla Brown University in Rhode Island.
Sino ad ora si riteneva che l’ossido di ferro, il composto abbondantissimo su Marte e che conferisce il caratteristico colore, si fosse generato in un’epoca posteriore a quella in cui il pianeta aveva ospitato acqua allo stato liquido, quindi in un ambiente cosiddetto iper-arido. Queste condizioni ambientali permettono la formazione di un particolare ossido chiamato ematite che si produce dall’interazione del ferro con l’ossigeno atmosferico. Le osservazioni spettrali da satellite e con gli strumenti ottici in dotazione ai rover fallivano nell’individuazione diretta di acqua nella firma chimica delle rocce, quindi la genesi secca nel periodo Amazzoniano (stimato da 3 miliardi di anni fa ai giorni nostri) era la conclusione più cauta a cui giungere sebbene la questione restasse aperta. La risposta porta infatti con sé implicazioni importanti relative alla possibile, antichissima, abitabilità di Marte.
Il recente studio ha fatto un passo avanti inedito riuscendo a ricreare sulla Terra un fedelissimo campione di suolo marziano. I ricercatori hanno replicato non solo la chimica ma persino la dimensione delle particelle. Questo dettaglio importante è stato reso possibile grazie all’uso di un sofisticato “macinino” che ha prodotto granelli di dimensioni inferiori al micron.
L’indicazione per tale dimensione è stata prodotta dal satellite ESA Trace Gas Orbiter, la cui particolare orbita consente l’osservazione delle regioni di Marte in svariate condizioni di illuminazione e da vari angoli. Questo ha permesso agli scienziati di stimare dimensione e composizione delle particelle, un passo fondamentale nel ricreare la regolite marziana.
Come dei cuochi che tirano a indovinare gli ingredienti di una ricetta, i ricercatori hanno fatto esperimenti con nove diversi tipi di ossidi di ferro in proporzioni variabili rispetto al basalto. Ogni tentativo di miscela tra roccia e ossidi è stato poi analizzato confrontando misurazioni in situ, orbitali e in laboratorio, queste ultime eseguite con strumenti che replicano fedelmente le capacità di misura su Marte. Il risultato è stato che una miscela superfine di basalto e ferridrite in rapporto 2:1 si sovrappone in modo praticamente perfetto agli spettri ottici che abbiamo rilevato negli anni. Gli apparati che hanno prodotto le misure di riferimento sono parecchi: IMP di Mars Pathfinder, PANCAM di Opportunity e MER di Curiosity relativamente alle analisi in superficie; OMEGA di Mars Express e CRISM di Mars Reconnaissance Orbiter per quanto riguarda le rilevazioni satellitari.
La ferridrite, il composto che ha fornito una perfetta aderenza alle curve spettrali, è un altro tipo di ossido di ferro che, a differenza dall’ematite, si forma in presenza di acqua allo stato liquido. La sua formazione è legata strettamente al passato in cui Marte abbondava di acqua, permettendo di datare molto presto nella sua storia la formazione di questo composto. Inoltre i ricercatori hanno dimostrato, tramite esperimenti di laboratorio e calcoli cinetici, che la struttura cristallina debole della ferridrite è sufficientemente solida da conservarsi stabile per miliardi di anni nelle attuali condizioni di deserto arido che Marte presenta. Le rocce ricche di ossidi si sarebbero prodotte in prossimità di mari e laghi, e successivamente rotte e polverizzate nell’arco di miliardi di anni. A questo punto i venti le avrebbero facilmente distribuite sull’intera superficie del pianeta, fatto confermato dalla sostanziale uniformità delle rilevazioni spettrali.
I geologi planetari aspettano con interesse i risultati delle prossime analisi sul suolo marziano, sia quelle che svolgerà Rosalind (il rover dell’ESA che potrebbe vedere il lancio nel 2028) che quelle sui campioni di Mars Sample Return. Perseverance ha già messo al sicuro un campione di regolite che tra qualche anno ci permetterà di svelare quanta ferridrite contiene e rispondere alle domande sulla storia dell’acqua, e forse della vita, su Marte.
Fonte: ESA