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Addio al premio Nobel Riccardo Giacconi

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Riccardo Giacconi (1931-2018). Fonte: Nobel Foundation archive.
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Riccardo Giacconi (1931-2018). Fonte: Nobel Foundation archive.

Nato a Genova il 6 ottobre 1931, Riccardo Giacconipremio Nobel per la Fisica nel 2002 per il suo lavoro pionieristico nel campo dell’astronomia a raggi X, è morto ieri, domenica 9 dicembre, all’età di 87 anni.

«Riccardo si era formato nella scuola di Beppo Occhialini, a Milano», ricorda il presidente dell’Inaf Nichi D’Amico, «una scuola alla quale un pezzo del nostro Inaf appartiene, e nella quale continua a riconoscersi. Ricordo che da studente universitario, a metà degli anni Settanta, ebbi il privilegio di seguire un corso tenuto da Bruno Rossi, già professore al Mit e fondatore negli Stati Uniti di American Science and Engineering, che aveva accolto già da alcuni anni il Giacconi giovane pioniere, entusiasta e determinato. Ricordo l’affetto e l’ammirazione con cui Bruno Rossi descriveva il personaggio, peraltro già famoso, che poi divenne il fondatore indiscusso dell’astronomia a raggi X. E quando ebbi il piacere e l’onore di conoscerlo personalmente, rimasi inevitabilmente affascinato dal suo carisma».

Nel 1956 Giacconi lasciò Milano per trasferirsi negli Stati Uniti, dove si occupò di strumentazione per l’astronomia X – dapprima, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, con rilevatori a bordo di razzi, e in seguito, all’inizio degli anni Settanta, con Uhuru, il primo satellite per l’astronomia X. La ricerca pionieristica di Giacconi proseguì nel 1978 con Heao-2 (Einstein Observatory), il primo telescopio spaziale con imager a raggi X, e in seguito con Chandra, lanciato nel 1999 e tuttora in funzione.

Giacconi ha dato un contributo fondamentale anche all’astronomia ottica e infrarossa. Nel 1981 divenne il primo direttore dello Space Telescope Science Institute, ponendo le basi per l’enorme successo dello Hubble Space Telescope. E dal 1993 al 1999 fu direttore generale dell’Eso, proprio negli anni in cui si costruiva il Very Large Telescope.

Guarda l’intervista video rilasciata nel 2009 da Riccardo Giacconi a MediaInaf Tv:

Trascrizione completa dell’intervista:

«Era il periodo di Kennedy, eravamo convinti che negli Stati Uniti potevamo fare qualunque cosa. Eravamo giovani, eravamo molto aggressivi… Io ero già il vecchio, all’età – cos’era – avevo 31 anni quando abbiamo fatto le prime scoperte. Ero il vecchio, gli altri erano tutti più giovani, per cui era un gruppo veramente giovane».

«Quando abbiamo incominciato, il primo è scoppiato. Il secondo è andato su ma non si è aperta la porta. Il terzo ha funzionato. E nello stesso tempo, quell’anno lì, abbiamo lanciato 19 razzi da Johnstone Island, nel Pacifico, 4 da Kyruna, in Svezia, 6 strumenti su satellite e poi un satellite completo. Voglio dire, il lavoro andava con una velocità che era essenzialmente limitata non dal denaro ma dalla nostra capacità di concepire e fare. E questo era bellissimo».

«Quello che volevano che io facessi era cominciare del lavoro in fisica spaziale, studiare le particelle elementari… E di vedere l’effetto delle bombe nucleare sull’atmosfera. E terza cosa è quella che ha suggerito Bruno: “Perché non pensi un po’ a studiare questa astronomia a raggi X?”. Quello è l’inizio. Ma poi quando abbiamo lanciato Uhuru venivano giù i dati tutti i giorni, era come… Prima di tutto c’è un rumore di fondo dappertutto, che viene da distanze cosmiche. Si vede il cielo tutto illuminato in X, con poche sorgenti qui e là. Ma quello che veramente è stato importante non è stato trovare una sorgente in raggi X: era che questa stella in raggi X – questa prima sorgente che abbiamo visto, Scorpius X-1 – la luminosità in raggi X era mille volte quella della luce visibile».

«Prima di tutto occorre dire che non ho preso tutto il premio [Nobel, ndr] intero, perché c’erano quelli che avevano trovato i neutrini, che erano anche dal punto di vista astrofisico importanti. Allora hanno diviso il premio a metà: metà per i raggi X e metà per i neutrini. Per cui ho ricevuto metà, e mandare i miei nipoti a Harvard – ne ho due – costa molto di più di così!»

«Che cosa vuol dire per me? Io ho avuto più opportunità che molta molta gente, per cui sento un certo dovere di parlare con voi, di dare lezioni, di cercare di comunicare, no? Devo dire che, però, è una sorgente di grande “disappointment”, nel senso che, dal punto di vista illuministico, l’imparare, la scienza, la ragione e così via… L’ideale era che trasformava l’umanità, no? Io non vedo nessun segno, anzi: è il fondamentalismo che sta crescendo, non la razionalità. E questo dappertutto».


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Che si parli di astronomia o di esplorazione spaziale, tutto alla fine ci porta alle nostre origini ma anche verso il nostro futuro. E gli articoli di questo numero ci raccontano proprio questo.  
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