ABSTRACT

Il testo esplora il mondo affascinante dei vetri da impatto, formazioni naturali nate da collisioni meteoriche avvenute sulla Terra. Dal deserto arabo del Rub‘ al-Khali ai campi di tectiti sparsi nei cinque continenti, vengono analizzati crateri, materiali, morfologie e dinamiche fisiche di questi fenomeni. In particolare, si descrivono i vetri generati dall’impatto di Wabar, le diverse tipologie di tectiti (splash-form, alate, moldaviti, uruguaiti), fino allo straordinario vetro del deserto libico, forse prodotto da un’esplosione atmosferica. Lo studio dei vetri da impatto rivela non solo eventi geologici estremi, ma offre anche preziose informazioni sulla storia del nostro pianeta e sulle interazioni con corpi extraterrestri, con implicazioni archeologiche, geochimiche e planetologiche.

I vetri forgiati dal cielo

Il sud della penisola arabica è occupato da un grande deserto; il “Rub‘ al-Khali” (Il “Quarto Vuoto”). È una distesa di dune sterminata e inospitale, dove d’estate la temperatura può toccare i 60 C° e l’umidità arrivare al 2%. In questa torrida distesa sabbiosa, una sera, fra i 130 e i 400 anni fa un lampo accecante illuminò il paesaggio, mentre quattro scie attraversavano il cielo e grandi massi incandescenti si schiantavano al suolo, fondendo all’istante la sabbia e lanciando schizzi ovunque, trasformandosi in una schiuma vetrosa. Una nube a fungo, simile a quella di un’esplosione nucleare si alzò nel cielo, mentre il calore immenso fuse le rocce e goccioline di vetro caddero come pioggia anche a centinaia di metri di distanza dagli impatti.
Oggi in quel luogo, si trovano 3 crateri di 116, 64 e 11 metri, semisommersi dalle sabbie, testimoni di uno dei più recenti impatti meteorici avvenuti sul nostro pianeta. L’energia rilasciata dall’impatto è stimata in almeno 12 kiloton.
La particolarità dell’evento che ha generato i crateri di Wabar è di essere avvenuto su un terreno sabbioso e privo di rocce in grado di generare una massa di vetro fuso circa 10 volte superiore a quella del corpo impattante. Le masse silicee prodotte dagli impatti meteorici possono assumere diverse forme, a seconda delle temperature, delle pressioni e delle vicissitudini alle quali sono sottoposte; lanciate in aria e proiettate a grandi distanze, compresse nel terreno dall’onda d’urto, mescolate ad altri materiali o praticamente pure, in colori neri, bianchi verdi e giallastri.
Nel caso di Wabar, in prossimità dei crateri, si trovano impattiti di arenaria bianca, mescolata a clasti di vetro nero, mentre allontanandosi da questi, nella sabbia compaiono goccioline di lucido vetro nero, dalle forme più disparate, anche di pochi millimetri, chiamate dai popoli del deserto, “Lacrime di Fatima”.
I vetri da impatto non sono quindi materiale extra-terrestre (ne potrebbero però contenere una percentuale), ma impattiti create da un grande meteorite che ha colpito la Terra. La loro straordinaria varietà mette tutt’oggi a dura prova le teorie degli scienziati e testimonia la nostra limitata conoscenza degli effetti dell’urto di oggetti ad alta velocità sulla Terra, che per sua natura offre terreni molto diversificati, dagli aridi deserti alle umide paludi. A complicare il tutto l’atmosfera che può comportare la disgregazione del meteorite ed il trasferimento dell’energia attraverso un’onda d’urto veicolata dall’atmosfera stessa.

TECTITI (Indociniti) a goccia e a disco conservate presso l’Osservatorio Monte Baldo.

 

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L’articolo è pubblicato in COELUM 274 VERSIONE CARTACEA