Una porzione di spazio profondo è popolata da numerose galassie di forme diverse e colori che vanno dal blu al bianco fino all’arancione, insieme ad alcune stelle vicine. Sulla sinistra, un piccolo riquadro mostra un ingrandimento di una minuscola zona dell’immagine. Al centro di questo riquadro si vede un puntino rosso, evidenziato da linee e contrassegnato con la scritta “Redshift (z)=13”, che indica la sua straordinaria distanza dalla Terra. Si tratta della galassia JADES-GS-z13-1, una delle più lontane mai osservate. Due galassie molto più grandi, visibili nella stessa area, sono indicate con “z=0.63” e “z=0.70”, valori che corrispondono a distanze molto inferiori rispetto a GS-z13-1. Crediti: ESA/Webb, NASA, STScI, CSA, JADES Collaboration, Brant Robertson (University of California Santa Cruz), Ben Johnson (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics), Sandro Tacchella (University of Cambridge), Phill Cargile (CfA), Joris Witstok, Peter Jakobsen, Alyssa Pagan (STScI), Mahdi Zamani (ESA/Webb)

A 330 milioni di anni dal Big Bang, la galassia JADES-GS-z13-1 sorprende gli astronomi con un segnale luminoso impossibile da spiegare con le teorie attuali.

Un nuovo studio pubblicato su Nature ha svelato una scoperta che sta facendo discutere la comunità scientifica internazionale: il James Webb Space Telescope ha individuato un segnale luminoso proveniente da una galassia così remota e antica che, secondo le attuali teorie cosmologiche, non avrebbe dovuto essere visibile.

La protagonista di questa scoperta è JADES-GS-z13-1, una galassia osservata com’era appena 330 milioni di anni dopo il Big Bang, in un’epoca in cui l’universo era ancora avvolto da una densa nebbia di idrogeno neutro. Eppure, da questo remoto angolo dello spazio, gli strumenti di Webb hanno rilevato un’emissione sorprendentemente intensa di Lyman-α, una caratteristica luce prodotta dagli atomi di idrogeno. Un evento che, in teoria, non avrebbe dovuto essere possibile.

Subito dopo il Big Bang, l’universo era una sorta di nebbia densa composta da atomi di idrogeno neutro, opachi alla radiazione ultravioletta. Solo centinaia di milioni di anni dopo, con la nascita delle prime stelle e galassie, la luce ultravioletta iniziò a “ionizzare” questi atomi, rendendo lo spazio trasparente alla luce: fu la cosiddetta epoca della reionizzazione.

Tuttavia, JADES-GS-z13-1 appare molto prima che questo processo fosse completo. “È come se un faro potentissimo riuscisse a bucare una fitta nebbia molto prima del previsto”, spiega Kevin Hainline dell’Università dell’Arizona, membro del team.

Una luce che non doveva esserci

Una piccola area ingrandita dello spazio profondo. Sono visibili numerose galassie di forme diverse, la maggior parte molto piccole, ma due appaiono grandi e brillanti. Al centro dell’immagine, un minuscolo puntino rosso: è la galassia GS-z13-1, estremamente lontana. A sinistra dell’immagine si vedono due linee luminose, chiamate spike di diffrazione, artefatti visivi causati dalla presenza di una stella brillante poco fuori campo. Crediti:ESA/Webb, NASA, STScI, CSA, JADES Collaboration, Brant Robertson (University of California Santa Cruz), Ben Johnson (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics), Sandro Tacchella (University of Cambridge), Phill Cargile (CfA), Joris Witstok, Peter Jakobsen, Alyssa Pagan (STScI), Mahdi Zamani (ESA/Webb)

Il team, guidato da Joris Witstok (Università di Cambridge e Cosmic Dawn Center di Copenaghen), ha osservato la galassia con lo spettrografo NIRSpec di Webb, confermandone la distanza estrema con un redshift di 13.0. Ma il vero colpo di scena è arrivato con l’osservazione di quella inaspettata linea di emissione di Lyman-α, chiara e intensa.

Secondo i modelli attuali, quella luce non avrebbe dovuto attraversare la nebbia cosmica così presto nella storia dell’universo”, afferma Roberto Maiolino, co-autore dello studio e professore a Cambridge e University College London. “Eppure, è lì, ben visibile.

Come ha fatto questa luce a farsi strada tra il gas neutro che avvolgeva l’universo primordiale? Gli scienziati stanno considerando due possibili spiegazioni. La prima ipotesi è che la galassia sia circondata da una “bolla” di idrogeno ionizzato, prodotta da stelle di primissima generazione, estremamente massicce, calde e luminose — molto diverse da quelle che vediamo oggi.

La seconda possibilità è ancora più affascinante: un nucleo galattico attivo (AGN), alimentato da uno dei primi buchi neri supermassicci dell’universo, potrebbe aver generato l’energia necessaria a ionizzare l’ambiente circostante.

La scoperta è parte del JADES (JWST Advanced Deep Extragalactic Survey), uno dei programmi chiave del telescopio Webb, che si sta rivelando una macchina del tempo impareggiabile per esplorare l’universo primordiale. Grazie alla sua sensibilità all’infrarosso, Webb riesce a scrutare più lontano – e più indietro nel tempo – di qualsiasi altro strumento mai costruito.

Con Hubble sapevamo che avremmo potuto vedere galassie sempre più distanti”, ricorda Peter Jakobsen, già scienziato del progetto NIRSpec. “Ma ciò che Webb sta rivelando sulla natura delle prime stelle e buchi neri va ben oltre le aspettative.

Fonte: NASA/ESA/CSA