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Replica di A. Cappi a: In difesa delle cosmologie alternative

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Replica a: In difesa delle cosmologie alternative

di Alberto Cappi

Caro Sig. Bolognesi,

nei miei articoli ho cercato di presentare la questione dei redshift anomali in modo critico ma con rispetto verso le persone coinvolte nel dibattito. Constato con rammarico (ma non con sorpresa, avendo avuto occasione di leggere altri suoi interventi) che nella sua lettera mi attacca personalmente senza dare alcuna seria risposta alle obiezioni di fondo sulle tesi di Arp.

Il problema è che Arp si limita ad insistere sui casi di oggetti prospetticamente vicini ma con redshift diverso, senza apportare nuovi elementi che possano dimostrarne la reale prossimità spaziale; ciononostante Arp pretende che questi casi siano non solo la prova indiscutibile di una componente non cosmologica del redshift ma anche, con una ingiustificata generalizzazione, che provino la falsità dell’intera cosmologia moderna. Sulla base di questa convinzione a priori, Arp rifiuta le numerose prove indipendenti che confermano il legame fra redshift e distanza e che sono del tutto incompatibili con l’universo statico da lui propugnato. Di conseguenza l’inevitabile scetticismo della comunità scientifica è visto da Arp come una manifestazione di ottusità e di dogmatismo da parte dell'”Accademia”.

Non facendomi ovviamente alcuna illusione sulla possibilità di convincerla, le darò comunque soddisfazione rispondendo estesamente alle sue critiche, per rispetto verso i lettori di Coelum e per ristabilire la verità sui fatti da lei contestati, con l’impegno a non replicare più in futuro alle sue invettive.

> …se bastasse un bigino per archiviare in tre puntate (Coelum 171, 172, 173) una controversia che ha impegnato per tutta la vita astronomi del calibro di Eleanor Margaret Burbidge, Geoffrey Burbidge e Halton Arp, allora le sue osservazioni in Alta Provenza sarebbero sulla bocca di tutti.

1 Per un dettagliato esame critico dei lavori di Arp il lettore che legga il francese può consultare il sito astrosurf che riporta l’analisi dell’astrofisico David Latham.

2 Cappi A., Benoist C., da Costa L.N., Maurogordato S., 2003, Nature and Environment of Very Luminous Galaxies, Astronomy & Asttrophysics 408, 905.

Per fortuna i Burbidge così come Hoyle, al contrario di Arp, non hanno dedicato l’intera loro carriera astronomica a cercare redshift anomali: hanno invece realizzato lavori molto importanti alcuni dei quali hanno contribuito, al di là delle loro intenzioni, al successo della teoria del Big Bang. Arp, invece, dopo aver compilato il suo catalogo, si è fossilizzato sui casi anomali, radicalizzando la sua interpretazione e forzando i dati con una metodologia discutibile 1.

Trovo poi curioso come, di fronte a tanti elementi di discussione, lei dedichi una tale attenzione (si veda più avanti) al mio aneddoto sulle osservazioni in Alta Provenza, raccontato alla fine del mio primo articolo: si figuri che ho pubblicato quelle osservazioni di Arp 127 in appendice ad un mio lavoro scientifico che tratta di tutt’altro 2: infatti la misura di redshift simili in galassie interagenti è un fatto banale.

> Ma se “i lettori alle prime armi” a cui lei si rivolge desiderano farsi un’opinione meno angusta e più rispettabile delle interpretazioni cosmologiche alternative, possono andarsi a cercare nel web la “Open Letter to the Scientific Community” apparsa sul New Scientist del 22 aprile 2004 per trovarvi, con le motivazioni, anche un gran numero di nomi sorprendenti.

L’opinione da lei considerata “angusta” e poco “rispettabile”, contrapposta retoricamente a quella di “nomi sorprendenti”, è condivisa dalla quasi totalità della comunità scientifica esperta su questi argomenti. Per smentire l’isolamento di Arp lei cita l’Open Letter firmata da un eterogeneo gruppo di scienziati, ingegneri e cittadini. Si tratta in realtà di un manifesto che non sostiene le idee di Arp, ma è unicamente una critica alla teoria dominante del Big Bang: questo è l’unico elemento che accomuna i firmatari. Tra costoro si trovano anche alcuni astrofisici, la cui specializzazione non è però la cosmologia, tranne pochissime eccezioni: le più illustri sono quelle di Hermann Bondi e Thomas Gold, non a caso i padri insieme ad Hoyle della teoria dello stato stazionario, teoria nella quale, al contrario delle convinzioni di Arp, l’universo non è statico.

Quanto alle generiche critiche alla teoria del Big Bang espresse da quella lettera, a me paiono del tutto infondate, ma non voglio dilungarmi su questo punto. Chi vuole può leggere a questo proposito il commento del fisico teorico e cosmologo americano Sean Carroll nel suo blog.

> Se poi non temono lo choc culturale, possono leggere le ultime esternazioni di Margherita Hack (“Il perchè non lo so”, Sperling & Kupfer, 2013) in cui la nostra scienziata, dopo sessant’anni di articoli, libri e conferenze a sostegno del Big Bang, si consegna a un universo infinito nel tempo e nello spazio, “che sempre è esistito e sempre esisterà”.

Non è vero: qui lei travisa (al pari di qualche giornalista) quelle che lei definisce le “ultime esternazioni di Margherita Hack”. Margherita Hack non ha mai negato la validità del Big Bang e non si è convertita all’ultimo momento. Il lettore può verificare ciò che intendeva dire con “universo infinito nel tempo e nello spazio” guardando una sua recente intervista sul sito dell’Istituto Nazionale di Astrofisica dove risulta chiaro che per la Hack il Big Bang non è stato un evento unico e ciò che consideriamo l’universo non è rappresentativo della totalità. Su questo come ho scritto nel mio articolo, io stesso, come peraltro la maggior parte dei cosmologi, condivido la stessa opinione.

Ciò che comunque colpisce fin dall’inizio della sua lettera, sig. Bolognesi, è il ricorso al principio di autorità: lei antepone alle argomentazioni i nomi dei suoi novelli Galileo, mentre ignora la quasi totalità di coloro che sono di parere opposto tra i quali ci sono menti molto brillanti (come James Peebles, Martin Rees, Stephen Hawking, e via dicendo) e vari premi Nobel per scoperte legate alla teoria del Big Bang o alla relatività generale. Il fatto è che i nomi sono irrilevanti e non possono sostituire le argomentazioni scientifiche: è invece fondamentale l’esame obiettivo delle teorie, ciò che sono in grado di predire quantitativamente e quanto sono in accordo con gli esperimenti e le osservazioni.

> Lei non avrebbe mai dovuto trattare in modo così sommario e superficiale alcuni dei più noti (e non risolti) casi di redshift discorde.

Caro sig. Bolognesi, la prego di non venirmi a dire che cosa devo o non devo fare: nonostante lei mi accusi di pressapochismo e di superficialità, ritengo di aver trattato onestamente questi casi in limiti ragionevoli di spazio. Non potevo purtroppo addentrarmi in un discorso più tecnico e dettagliato, che mi avrebbe permesso fra l’altro di mettere molto meglio in evidenza l’insostenibilità delle tesi di Arp. Ritengo comunque che la mia trattazione sintetica, anche se non di suo gradimento, abbia dato al lettore gli elementi di base per farsi un’idea del dibattito.

> Quando, eludendo anche la sintassi, afferma che “il Quintetto di Stephan è un caso risolto e che non c’è in questo caso alcun redshift anomalo”, proprio i lettori alle prime armi meriterebbero di capire perchè è così facile spiegare discordanze di 1000 km/s (NGC 7318 A e B, NGC 7320 C) e così difficile accettarne dell’ordine di 5000 km/s (NGC 7320).

Lei ricorre ad una facile retorica prima per mettere in cattiva luce il suo interlocutore, in questo caso per un “che” di troppo dimenticato in una frase; poi parla di differenze di velocità senza associarle alle rispettive misure, rendendo dunque incomprensibile il ragionamento.

Nel mio articolo spiegavo al lettore di Coelum, magari alle prime armi, ma senz’altro intelligente, che se ho un gruppo con redshift pari a 6700 km/s, una galassia vista prospetticamente accanto ad esso e con un redshift di 5700 può ancora appartenere al gruppo, ma non una galassia con un redshift di 800 km/s (si troverebbe ad una distanza 8 volte inferiore e più vicino a noi che non alle altre galassie del Quintetto!). In più, come ho scritto nell’articolo, negli ammassi le differenze di velocità tipiche sono di 1000 km/s.

Avrei potuto aggiungere che l’errore di misura di queste velocità è attorno ai 100 km/s, ed avrei potuto discutere delle separazioni fisiche, delle velocità peculiari, della velocità massima che una galassia può avere per essere legata gravitazionalmente ad un gruppo, e via dicendo: poiché però non stavo scrivendo un trattato, ho selezionato ciò che potesse dare al lettore un’idea del problema senza essere sommerso e confuso da una marea di informazioni. I lettori di Coelum possono naturalmente sempre chiedermi dei chiarimenti, ai quali risponderò volentieri.

> …è scandaloso che non trovi nemmeno una menzione il quasar con z=2.11 scoperto in prossimità del nucleo di NGC 7319 (ApJ, 620, 2005), né il filamento luminoso in Ha con redshift equivalente a 6500 km/s che si staglia senza troncature sul disco di NGC 7320 (785 km/s).

3 Galianni P., et al. 2005, The Discovery of a High-Redshift X-Ray-Emitting QSO Very Close to the Nucleus of NGC 7319, 2005, the Astrophysical Journal 620, 88.

Dopo il pressapochismo e la superficialità, siamo ora allo scandalo. Le garantisco che le omissioni non sono state fatte per censura: è ben più grande il numero di articoli che non ho citato e le cui conclusioni confermano l’interpretazione standard. L’articolo3 sul quasar a z=2.11, cofirmato da due ricercatori italiani e dai Burbidge, è un altro caso di associazione prospettica fra quasar e galassia, in questo caso molto stretta. Gli autori forzano l’interpretazione ma non apportano elementi conclusivi: ad esempio, si osservano righe di assorbimento dovute alla galassia nello spettro del quasar, e non il contrario: dunque si può affermare che il quasar non sta davanti alla galassia (gli autori suggeriscono che si trovi nella galassia, ma ovviamente può essere molto più lontano, come vuole l’interpretazione standard).

E questa è una delle obiezioni che non ho menzionato nei miei articoli: esistono ormai numerose osservazioni e analisi di spettri di quasar nei quali si studiano le righe di assorbimento del gas di galassie poste lungo la linea di vista fra noi e il quasar: queste righe di assorbimento sono sempre spostate verso il blu rispetto alle righe del quasar, ovvero hanno un redshift più basso: e questa è una prova diretta che gas e galassie con redshift più basso sono anche più vicine, mentre i quasar sono molto più lontani.

4 Gutiérrez C.M., López-Corredoira M., Prada F., Eliche M.C., 2002, New Light and Shadows on Stephan’s Quintet, The Astrophysical Journal 579, 592.

Per quanto riguarda l’articolo di Gutierrez et al. 20024, la sua conclusione è la seguente:

Ciò è in accordo con lo scenario standard nel quale la prossimità apparente di NGC7320 al resto delle galassie del Quintetto è puramente un effetto di proiezione. Il solo punto non chiaro in questa interpretazione è un filamento Halpha che appare estendersi attraverso NGC7320 con una velocità di 6500 km/s invece degli 800 km/s attesi per questa galassia.

Converrà che si tratta di affermazioni non propriamente rivoluzionarie. Fra l’altro, visto che secondo Arp il redshift varia diminuendo col tempo, ci si dovrebbe aspettare una variazione progressiva del redshift lungo il filamento, mentre gli stessi Gutierrez et al. affermano di non osservare nulla del genere.

Già che ci siamo, nel mio articolo ho omesso un’ulteriore evidenza diretta della maggiore vicinanza a noi di NGC 7320 rispetto alle altre galassie del Quintetto di Stephan. In una bellissima immagine del telescopio spaziale, NGC 7320 è parzialmente “risolta” in stelle, mentre le altre galassie del Quintetto rimangono “nebulose”: il che conferma che NGC 7320 è molto più vicina delle altre galassie del Quintetto.

Il punto conclusivo è comunque che la distanza di NGC 7320, a V=800 km/s, è stata misurata indipendentemente dal suo redshift, e vale circa 15,7 ± 2 Mpc. Quella di NGC 7319, a V=6747 km/s, è di 77 ± 11 Mpc (i dati sono disponibili su ADS). NGC 7320 non fa dunque parte del Quintetto di Stephan ma è molto più vicina, e il discorso è chiuso. Mi rendo ben conto che Arp continua a tenerlo aperto sostenendo che le galassie sembrano essere lontane, ma non lo sono in realtà, e di questo discuto più avanti.

> […] mi limiterò a una foto che compare a pag.21 del numero 171 che merita assolutamente una precisazione. Vi sono mostrate con altri oggetti le due galassie NGC 191 e IC 1563 che sono note da molto tempo per avere all’incirca lo stesso redshift z=0.020.

Quanto lei afferma non è vero: le due galassie sono note avere lo stesso redshift solo da quando nel 2003 ho pubblicato la mia misura di IC 1563 (poco tempo dopo confermata da quella ottenuta nella Sloan Digital Sky Survey); il redshift di NGC 191 era già noto, ma l’ho rimisurato con migliore precisione. Prima di allora, a IC 1563 veniva attribuito un redshift molto più elevato di quello di NGC 191 (basta seguire la letteratura tramite ADS e NED), ma le due galassie apparivano in interazione. Quando, compilando un catalogo di galassie luminose, mi sono imbattuto in questo sistema, mi sono reso conto che si trattava di un caso anomalo, analogo a quelli evidenziati da Arp e, anziché ignorarlo come si sarebbe potuto aspettare da un astronomo che lei ritiene senz’altro “ortodosso” e difensore dell'”Accademia”, sono stato curioso di osservarlo.

> Se presumo che sia lei l’autore di questa didascalia, devo domandarle di che parla e a quale “letteratura” fa riferimento.

Capisco che vorrebbe farmi passare per millantatore, ma “se presume” che io sia l’autore della didascalia, ebbene si sbaglia. La didascalia non è opera mia ma della redazione, la quale, vedendo che si trattava di redshift discordanti e di un oggetto del catalogo di Arp, ha comprensibilmente ritenuto che fosse un sistema da lui classificato come anomalo: è mia naturalmente la responsabilità nel non aver verificato le didascalie in fase di bozze, e di ciò mi scuso. Il mio testo è comunque chiaro e privo di equivoci. Quanto al terzo oggetto, che non dubitavo lei avrebbe notato, è molto più debole delle altre due galassie, con una magnitudine di 18.26, e non ho potuto purtroppo osservarlo. Siccome le misure precedenti attribuivano il redshift di 13652 km/s a IC 1563 ma riportavano coordinate compatibili con il terzo oggetto, ho suggerito che ad esso fossero da attribuire i 13652 km/s. A questo proposito, nella versione iniziale del mio articolo su Coelum, riportavo quanto avevo scritto nel 2003: “anche questo può essere considerato un redshift potenzialmente discrepante: ma se l’interazione fra IC 1563 e NGC 0191 appariva evidente, questo terzo oggetto appare di fondo (potrebbe trattarsi di un membro alla periferia dell’ammasso Abell 85).”, frase che poi, insieme ad altre, è stata tagliata dalla redazione in fase di bozze per ragioni di spazio (e non per censura).

> […] il suo “prontuario” contro le interpretazioni alternative sta diventando sempre più contraddittorio!

Il suo repertorio di artifici retorici, con tanto di virgolette, punti esclamativi e sarcasmo, non può sostituire le argomentazioni scientifiche. Ovviamente quando si esaminano uno ad uno i casi di redshift anomalo sembra che siano sorprendenti e inspiegabili. Come ho già notato su Coelum, spiegato un caso se ne tira fuori un altro, e il lettore si chiede com’è possibile che siano tutte coincidenze. Ebbene, in questo modo ci si dimentica che nella maggior parte degli altri casi non c’è alcun redshift anomalo, e che ci deve essere una percentuale di oggetti visti vicini in proiezione ma a distanze diverse, proprio come capita quando si guardano gli alberi di una foresta. Andando a magnitudini sempre più deboli il numero di galassie per grado quadrato cresce enormemente, e così anche i casi di oggetti che appaiono vicini nel cielo ma si trovano a distanze molto diverse. L’unico modo per dirimere la questione sono le misure di distanza indipendenti dal redshift e le analisi statistiche su campioni ben definiti: quelle effettuate finora e citate nei miei articoli su Coelum mostrano che le distanze misurate sono compatibili col redshift e che il numero di redshift anomali osservati è compatibile con quello che ci si aspetta da proiezioni casuali.

> E quando fraseggia “che si limita a togliere qualsiasi significato alle argomentazioni di Arp cominciando col dire che la distanza cosmologica degli ammassi di Abell è del tutto corrispondente al redshift delle componenti” (Coelum 172 pag.23), o gli scostamenti che si riscontrano sono reali o lei parla a casaccio.

Non mi è chiaro a quali “scostamenti” fa qui riferimento. Se allude alle dispersioni di velocità delle galassie che si muovono negli ammassi, ne ho discusso su Coelum a proposito dell’ammasso della Vergine. Una conseguenza elementare delle leggi di Newton è che le galassie non possono starsene ferme nella buca di potenziale gravitazionale di un ammasso, e devono muoversi ad alta velocità (in condizioni di equilibrio, la dispersione delle velocità è proporzionale alla radice quadrata della massa). La componente radiale di questo moto delle galassie si combina con il redshift cosmologico “allungandone” la forma nello spazio dei redshift, con una deviazione tipica di 1000 km/s. Le masse degli ammassi dedotte dalla velocità delle galassie sono globalmente in accordo, entro gli errori di misura, con le osservazioni indipendenti nella banda X e con gli effetti osservati di lente gravitazionale.

Se invece parla di scostamenti nelle misure di distanza, anche queste sono in accordo entro gli errori di misura nella letteratura di cui sono a conoscenza.

Per quanto rigarda il modo nel quale lei si rivolge a me, le faccio notare, sig. Bolognesi, che nei miei articoli ho esposto pacatamente ragioni e argomentazioni serie a beneficio dei lettori di Coelum sulle quali lei può manifestare il suo dissenso, ma rispettando il suo interlocutore: in questo caso, in particolare, lei si sta rivolgendo ad una persona che ha quasi 25 anni di esperienza nello studio della distribuzione delle galassie e delle proprietà degli amassi di galassie, che ha osservato e analizzato dati ottenuti ai più grandi telescopi al mondo e che è autore e coautore di numerose pubblicazioni con referee sulle principali riviste internazionali.

Lei mi accusa pertanto di fraseggiare o parlare a casaccio su argomenti che conosco perfettamente. La invito piuttosto a verificare in modo più sereno e più approfondito la solidità delle sue affermazioni, non limitandosi possibilmente nelle sue letture ai libri e agli articoli di Arp e a qualche lettura divulgativa.

Ad esempio, lei ha recentemente pubblicato un intervento sul sito di Umberto Barocci, professore universitario in pensione che promuove teorie “eretiche”, annunciando la presenza di galassie con grandi blueshift (anche di decine di migliaia di chilometri al secondo) nel database della NASA, il che rivelerebbe l’erroneità della cosmologia standard (ma, a dire il vero, anche di quella di Arp). Se avesse discusso prima con qualche astronomo, avrebbe appreso che questi blueshift elevati sono banali errori di misura. Infatti nei grandi progetti come la Sloan Digital Sky Survey le misure di redshift sono ormai fatte da algoritmi automatici: su un milione di redshift misurati, se la percentuale di errore fosse di appena l’1%, ci si aspetterebbero ben 10000 misure sbagliate! I motivi sono molteplici: coordinate sbagliate, tracce di raggi cosmici, fondo cielo mal sottratto, errata identificazione delle righe spettrali. Conosco bene questo tipo di problemi avendo io stesso misurato migliaia di redshift, con e senza algoritmi automatici. Se non ci crede, le ricordo poi che questi sono dati pubblici, chiunque può verificarli: la invito pertanto a recuperare immagini e spettri dal sito della Sloan Digital Sky Survey (io l’ho fatto per alcuni casi) e ad analizzarli: ne potrà trarre le dovute conclusioni.

> E’ del tutto ovvio che il redshift degli ammassi equivale a una distanza solo se la loro distanza corrisponde ai redshift che si rilevano, ma perfino i più inflessibili paladini della legge di Hubble ammettono qui deviazioni dell’ordine di 30000 km/s!! La conclusione evidente è che sebbene gli ammassi con galassie meno luminose tendono ad avere redshift più alti, non c’è l’ombra di una relazione di proporzionalità redshift-magnitudine apparente che possa legittimare un rapporto lineare con la distanza stessa di quegli ammassi (“Seeing Red”, H. Arp, pag.198).

Lasciando perdere gli ignoti paladini cui fa riferimento, di nuovo non capisco a che cosa lei si riferisca: non ha comunque senso parlare di uno scostamento di 30.000 chilometri al secondo in assoluto. Generalmente gli errori di misura aumentano con la distanza: un errore di 30000 km/s sarebbe senz’altro catastrofico se riguardasse il vicino ammasso della Vergine, ma rappresenterebbe solo un errore del 10% se riferito ad un ammasso ad un redshift z=1. Ciò che conta è se la relazione redshift-distanza è in accordo con i dati tenendo conto dell’errore: e questo è il caso.

Lei stesso, seguendo Arp, deve ammettere che c’è una correlazione (non è una semplice “tendenza”, come lei afferma, ma una correlazione stretta e statisticamente significativa) fra redshift e magnitudine apparente di oggetti la cui luminosità intrinseca è uguale (sono le cosiddette candele-campione): l’unico modo, dunque, per salvare le tesi di Arp è quello di dissociarla dalla relazione redshift-distanza.

Vediamo allora a beneficio dei lettori come si passa dalla relazione redshift-magnitudine apparente alla relazione redshift-distanza, e subito dopo come la giustifica Arp.

Disponendo di un oggetto o di una classe di oggetti la cui luminosità intrinseca è nota (come le Cefeidi o le Supernovae Ia), osservandone la luminosità (magnitudine) apparente è possibile dedurne la distanza. L’esistenza di una relazione fra redshift e magnitudine apparente è dunque una predizione della cosmologia standard, predizione pienamente confermata come illustra la figura qui allegata, che si riferisce alle Supernovae Ia. Questa relazione devia dalla linearità a redshift elevati ed ha permesso di scoprire l’accelerazione dell’universo: i tre principali responsabili dei due progetti indipendenti che hanno portato a questa scoperta sono stati insigniti del Premio Nobel nel 2011.

Arp sostiene invece che la relazione redshift-magnitudine apparente non è dovuta alla relazione redshift-distanza, ma è una conseguenza del processo che genera l’anomalia nel redshift. Vale la pena leggere ciò che Arp stesso ha scritto a proposito del Quintetto di Stephan (p.100 del suo libro Quasars, Redshifts and Controversies):

Nel 1971, il direttore dell’Osservatorio di Padova, L. Rosino, scoprì una supernova in NGC 7319, che ha un redshift elevato. Le supernovae sono degli indicatori standard di distanza, in particolare per le grandi distanze, perché si ritiene che queste stelle in esplosione divengano luminose quanto l’intera galassia alla quale appartengono. Alla distanza di NGC 7331/7320, ci si dovrebbe aspettare che una supernova sia altrettanto brillante che la grande galassia Sb NGC 7331. È un punto importante a favore delle grandi distanze che ci separano dai membri che presentano più grandi redshift. Ma devo riconoscere che la prova contraria è più forte ancora, e devo concludere che le stelle siuate nei sistemi a redshift anomalo non divengono altrettanto luminose che le galassie a piccolo redshift intrinseco.

Arp dunque riconosce che galassie a redshift più elevato appaiono più deboli, dunque sembrano effettivamente più distanti, ma poiché i casi di redshift anomalo sono per Arp una prova indiscutibile che il redshift non indica la distanza, ritiene che si debba ricorrere ad un meccanismo sconosciuto che nel caso dei redshift anomali deve rendere le galassie meno brillanti, e tutte le loro stelle, Cefeidi, Supernovae Ia, meno luminose, esattamente come apparirebbero se fossero alla distanza data dal loro redshift. Di questa ipotesi davvero ad hoc l’astrofisico indiano Jayant Narlikar ha dato una versione teorica, partendo da un suo vecchio lavoro con Hoyle, nel quale si alteravano le equazioni della relatività generale per permettere la formazione di nuova materia, necessaria per la teoria dello stato stazionario.

5 Narlikar J.V., Arp H.C., 1993, Flat spacetime cosmology: a unified framework for extragalactic objects, the Astrophysical Journal 405, 51.

Rielaborando ulteriormente queste equazioni, e scegliendo opportunamente una loro soluzione, Narlikar ha ottenuto una relazione fra massa e tempo, m(t)=at2, che permette di riprodurre la correlazione fra redshift e magnitudine apparente osservata5.

Le equazioni nell’articolo di Narlikar-Arp non hanno giustificazioni teoriche o sperimentali, a parte il fatto di voler spiegare i redshift anomali (nessun fisico relativista ha seguito Narlikar su questa strada, nonostante lo studio di possibili cambiamenti o generalizzazioni della relatività sia un attivo campo di ricerca). Ma a parte questo, diverse predizioni del suo modello sono già state smentite: in effetti esso si presenta alle osservazioni come equivalente a quello di Einstein-de Sitter, non a quello con costante cosmologico come quello richiesto dalle osservazioni; il valore di H0 predetto da questa teoria, che dipende dall’età delle stelle più vecchie, è al massimo H0=51 km/s/Mpc, in contrasto con il valore di 70 km/s/Mpc ottenuto in particolare con le Cefeidi nell’ammasso della Vergine. Inoltre, anche se la teoria di Narlikar-Arp è costruita per risultare indistinguibile da quella standard rispetto ai test classici, non può rendere conto di tutti gli altri test, in primis delle proprietà  della radiazione cosmica di fondo.

Ad esempio, le distanze degli ammassi possono essere misurate in modo indipendente dal redshift attraverso il cosiddetto effetto Sunyaev-Zeldovich. Ed ecco che cosa afferma lo stesso Arp in un suo articolo:

Il calcolo delle distanze degli ammassi di galassie sfruttando la loro diffusione della radiazione cosmica di fondo combinata con la loro brillanza superficiale nella banda X sembra basarsi su principi fisici talmente consolidati che è difficile vedere come chiunque potrebbe accettare distanze molto più vicine quali quelle che sono sostenute in questo articolo.

In effetti, non posso che sottoscrivere quanto scrive qui onestamente Arp. Purtroppo, come tipicamente accade di fronte ad una qualsiasi delle numerose osservazioni in diretto conflitto con le sue tesi, Arp ne rifuta la validità, avendo la certezza che i redshift anomali non siano effetti di proiezione: in questo caso congettura che gli ammassi siano molto lontani dall’equilibrio, senza spiegarci perché le misure di distanza dovrebbero essere sbagliate in modo tale da coincidere con quelle dedotte attraverso il redshift degli ammassi e fornire parametri cosmologici in accordo con quelli derivati da altre osservazioni indipendenti.6

6 Bonamente, M. Et al., 2013, Measurement of the cosmological distance scale using X-ray and Sunyaev-Zel’dovich effect observations of galaxy clusters, IAU Symposium 289, pp.339-343

Ritengo d’altronde significativo che, in una review sulle cosmologie alternative7 del 2001, pubblicata sull’ Annual Review of Astronomy and Astrophysics della quale Geoffrey Burbidge era all’epoca editor, lo stesso Narlikar insieme ad un altro cosmologo indiano, T. Padbanamhan, non faccia menzione della teoria elaborata per Arp, mentre discute a lungo della Quasi-Steady State Cosmology elaborata con Fred Hoyle (per una critica della QSSC, come di altre cosmologie alternative, si vedano i commenti di Edward Wright).

7 Narlikar J.V., Padbanamhan T., 2001, Standard Cosmology and Alternatives: A Critical Appraisal, Annual Review of Astronomy and Astrophysics, 39, 211

A dire il vero, a me questa storia delle galassie che secondo Arp sembrano essere alla distanza corrispondente al loro redshift, ma non lo sarebbero in realtà, ricorda quella degli aristotelici i quali, di fronte alle imperfezioni della superficie lunare mostrate dal telescopio di Galileo, sostenevano che in realtà la luna fosse ricoperta da una sostanza liscia e trasparente: l’ipotesi fu avanzata inizialmente dall’astronomo gesuita Clavio, e poi sostenuta entusiasticamente dal letterato aristotelico Ludovico delle Colombe, autore di un discorso Contro il moto della Terra, e feroce oppositore non solo della fisica e della cosmologia galileiana, ma anche dell’idrostatica di Archimede.

> Lei può alterare solo con un falso la condivisione profonda che ha legato per tutta la vita Geoff, Margaret e lo stesso Fred Hoyle a “Chip” Arp, per il quale i quasar e le galassie non si trovano alla distanza dei loro spostamenti spettrali.

Infine, dopo la superficialità, le scandalose omissioni, il millantato credito, il fraseggiare e il non sapere ciò di cui parlo, arriva anche, perché no, l’accusa di falso.

Francamente non capisco proprio l’oggetto della sua polemica. La sua espressione non è chiara: se per “condivisione profonda” intende amicizia e solidarietà fra chi era critico nei confronti del Big Bang, è un fatto che non ho mai messo in dubbio nell’articolo (peraltro irrilevante dal punto di vista delle argomentazioni scientifiche). Ma se lei intende per condivisione profonda di Burbidge ed Hoyle l’adesione all’opinione di Arp che i quasar e le galassie non si trovino alla distanza dei loro spostamenti spettrali e che l’universo sia statico, si sbaglia. Basta leggere i loro articoli e anche quanto ha scritto lo stesso Arp nel suo libro Seeing Red.

Contrariamente ad Arp, Burbidge e Hoyle erano convinti che gli ammassi di galassie, e le galassie in generale, si trovino alla distanza corrispondente al redshift. Erano anche convinti che l’universo sia in espansione. Burbidge, come Arp, dubitava che il redshift di almeno una parte dei quasar fosse cosmologico. Hoyle, invece, era scettico sull’origine dell’universo a partire dal Big Bang. Burbidge ed Hoyle hanno assunto spesso posizioni critiche nei confronti delle opinioni maggioritarie, fungendo da pungolo nell’ambito di un sano dibattito scientifico. Qualche volta hanno avuto ragione, qualche volta torto (francamente, quando Hoyle sosteneva che l’influenza fosse portata dalle comete esagerava un po’: ma per i suoi lavori sulla produzione di elementi pesanti all’interno delle stelle avrebbe meritato il premio Nobel). Purtroppo Arp, ottimo astronomo osservativo, si è invece chiuso in un vicolo cieco da cui non è più uscito. Non ha saputo riconoscere in tempo la debolezza delle proprie argomentazioni, e il suo coinvolgimento emotivo è prevalso sulle considerazioni razionali.

> Nessuno di questi astronomi ha mai creduto al primo giorno della Creazione (Hoyle la chiamava “un’idea da preti”) e tantomeno che la radiazione di Penzias e Wilson rappresenti il residuo “fossile” di un’atavica esplosione che avrebbe originato dal nulla l’intero universo.

Vede, sig. Bolognesi, la scienza non è la teologia: non si discute attraverso le citazioni di grandi saggi o di testi considerati sacri, che sono fra l’altro un’arma a doppio taglio: le ricordo infatti che Hoyle ha anche affermato, nella stessa serie della BBC in cui ha coniato il termine di Big Bang, che considerva “noioso” un universo statico, e alla stessa epoca dedicava un intero capitolo all’universo in espansione nel suo libro Frontiers of Astronomy (a pag.309 afferma con sicurezza The Universe is expanding), mentre più di recente nel 2000 il titolo stesso del libro da lui scritto insieme a Burbidge e Narlikar era: A Different Approach to Cosmology: From a Static Universe Through the Big Bang Towards Reality, titolo che mostra come per i tre autori il Big Bang fosse quantomeno una tappa nel progresso dalla vecchia concezione di un universo statico a quella da loro propugnata della QSSC. Arp col suo universo statico è invece rimasto totalmente isolato, se si eccettua qualche ricercatore eccentrico come Tom von Flandern, il quale ha anche sostenuto che la roccia a forma di volto su Marte sia un’opera artificiale costruita 3,2 milioni di anni fa da una civiltà di extraterrestri arrivata sul pianeta rosso dopo l’esplosione del Pianeta V, esplosione che avrebbe dato origine alla fascia degli asteroidi.

Un altro discorso riguarda invece le origini del nostro universo. Lei insiste su una errata concezione del Big Bang che risale alle polemiche degli anni ’50 e ’60. Il Big Bang non è un’atavica esplosione, e la teoria del Big Bang non può dire nulla sui primi istanti dell’espansione. La radiazione fossile scoperta da Penzias e Wilson, come è stato confermato dagli studi successivi, ha invece tutte le caratteristiche predette dalla teoria del Big Bang. Che Hoyle si opponesse al Big Bang, era negli anni ’50 scientificamente sensato e legittimo. Più difficile in anni recenti, nei quali Hoyle ha dovuto ideare la variane già citata della teoria dello Stato Stazionario. E di nuovo, il fatto che il grande Fred Hoyle fosse contrario al Big Bang non è di per sé un’argomentazione scientificamente valida che si può opporre alle prove a sostegno della teoria, così come il fatto che il grande Aristotele ritenesse la Terra immobile al centro dell’universo non poteva essere un’argomentazione scientificamente valida contro le prove del moto terrestre.

Voglio però soffermarmi su un punto chiave che lei cita, la radiazione cosmica di fondo. Questa radiazione è stata oggetto di numerose osservazioni indipendenti, dalle quali si ricavano i valori dei parametri cosmologici, valori che sono in accordo con le misure indipendenti ottenute attraverso le supernovae, la distribuzione delle galassie, il lensing gravitazionale. È evidente che i risultati di WMAP e Planck confermano lo scenario standard. Su quali basi lei dunque respinge questa evidenza? Siccome dalla sua lettera non è chiaro, mi pare utile citare un brano di quanto lei ha scritto nel 2011, facendo parlare un presunto dottore in astrofisica:

Come faccio a spifferarti che le mappe di temperatura della radiazione fossile o che le “strutture primordiali” cartografate da WMAP non corrispondono a quelle prese con la nuova sonda Planck? Che è tragicamente ovvio che le dimensioni angolari dipendono dalle calibrazioni di scansione, che è dannatamente evidente che stiamo guardando componenti locali della Via Lattea, che non c’è nessun “fondo” a cui prendere la temperatura e che stiamo fuorviando i nostri contribuenti?

Che l’anonimo dottore in astrofisica sia una sua “invenzione letteraria” risulta chiaro dall’inconfondibile stile retorico e dal tenore delle sue affermazioni: non si capisce infatti come le dimensioni angolari possano dipendere “dalle calibrazioni di scansione”; inoltre non solo non è dannatamente evidente, ma è falso che stiamo confondendo il fondo con le componenti locali della Via Lattea, dato che è possibile, benché non semplice, separarle; infine, come si è visto recentemente, le mappe di temperatura di WMAP e Planck sono perfettamente compatibili. Ecco dunque che per salvare le tesi di Arp da risultati sperimentali che le confutano il suo “dottore in astrofisica” invoca esplicitamente un cover-up da parte degli scienziati che starebbero addirittura “fuorviando i contribuenti”: se non fosse un’accusa che nessuno può prendere sul serio, si tratterebbe di diffamazione nei confronti di centinaia di colleghi che per tanti anni hanno lavorato a questi progetti. D’altronde vi è chi sostiene che gli scienziati ingannino i cittadini sulle cause del cambiamento climatico o chi nega che l’uomo sia stato sulla Luna: siamo nel puro e semplice complottismo.

Lei ha peraltro manifestato entusiasmo per i risultati preliminari dell’esperimento OPERA che indicavano il superamento della velocità della luce da parte dei neutrini, risultati sui quali la comunità scientifica ha fin dall’inizio mantenuto un sano e prudente scetticismo: in effetti, gli stessi scienziati responsabili dell’esperimento hanno poi scoperto dov’era l’errore. Invece lei ne ha tratto ispirazione per irridere la relatività generale, ironizzando sulla “paccottiglia dei GPS relativistici” e sul “Padre dei buchi neri”. Prendo atto che, secondo lei, ai GPS non viene applicata alcuna correzione relativistica, il che implica che i fisici relativisti e gli ingegneri raccontano sciocchezze, e che la massa equivalente ad alcuni milioni di soli, ma totalmente invisibile, rivelata dai moti stellari al centro della nostra Galassia, non può essere un buco nero. Sarebbe però auspicabile che lei fornisse solide motivazioni a sostegno di queste sue categoriche affermazioni, motivazioni tanto più necessarie quanto la relatività generale è una delle teorie meglio verificate di tutta la fisica.

> Contrariamente a quanto lei lamenta a proposito delle tesi di Arp, è proprio la fisica dell’ ”inizio” che è completamente scollegata da ogni fisica. Se adesso questa radiazione non rappresentasse nemmeno ”l’inizio dell’universo nella sua totalità” (Coelum 173, pag.17), è la stessa cosmologia del XX secolo che cede di schianto.

Sono costrettto a ripetermi: conosciamo molto bene i processi fisici legati alle reazioni nucleari, sia da un punto di vista teorico che sperimentale, ed è grazie a queste conoscenze che nella teoria del Big Bang si possono predire con successo le abbondanze degli elementi leggeri prodotti da quelle reazioni in funzione della densità di protoni e neutroni. La radiazione cosmica di fondo è direttamente legata a quelle reazioni nucleari, e anche per essa abbiamo una descrizione scientifica basata sulla fisica nota (si veda ad esempio questa sintesi delle ragioni che hanno portato al successo della teoria del Big Bang. Per quella che lei chiama “fisica dell’inizio”, ovvero gli istanti iniziali nei quali è cominicata l’espansione, abbiamo per il momento soltanto delle estrapolazioni dalla fisica attuale, che però non fanno parte della teoria del Big Bang standard. Forse allude anche alla materia e all’energia oscura, ritenute erroneamente da molti degli elementi ad hoc della teoria standard. Un elemento ad hoc è qualcosa che si introduce per spiegare un fenomeno particolare, ma che non spiega null’altro. La materia oscura è invece stata rivelata dalle osservazioni prima di costituire un ingrediente fondamentale in cosmologia, mentre l’energia oscura corrisponde nel modello standard alla costante cosmologica, un parametro delle equazioni della relatività generale il cui valore è stato misurato tramite le osservazioni. La costante cosmologica non è dunque più ad hoc della costante di gravitazione universale G.

La sua frase conclusiva è ad effetto ma sbagliata. Per quanto ho già spiegato a più riprese il Big Bang spiega l’evoluzione globale e le proprietà dell’universo che possiamo osservare, mentre esistono quadri teorici che permettono una generalizzazione e consentono di considerare il nostro universo come una “bolla” in un universo più vasto dove possono aver luogo altri Big Bang: in questo caso non solo la cosmologia del XX secolo non “cede di schianto”, ma è moltiplicata in un numero enorme di realizzazioni. Queste nuove ipotesi cercano di dare delle risposte a ciò che la teoria del Big Bang, per sua natura, non è in grado di spiegare.

Infine, non vanno confusi diversi piani: la validità generale della relazione tra redshift e distanza è un fatto provato da una schiacciante evidenza osservativa; nessun astronomo professionista tranne Arp la mette più in discussione. Qualcuno invece continua a dubitare che in certi casi il redshift di alcuni quasar possa avere una componente non cosmologica: anche se mi sembra che i dati e le conoscenze attuali non rendano probabile una simile eventualità, non lo si può escludere a priori, ma ciò non invaliderebbe comunque la teoria del Big Bang. Si possono naturalmente cercare delle alternative, come hanno fatto Hoyle, Burbidge e Narlikar, e si può pensare che il Big Bang non sia una teoria definitiva: certo lascia aperti diversi e profondi interrogativi. Ma voler imporre un universo statico negando la validità delle osservazioni e degli esperimenti, come fa Arp e lei in modo ancor più veemente, accusando per di più la comunità scientifica di dogmatismo e di falsificazione, appartiene purtroppo al dominio di ciò che gli anglofoni chiamano crank theories.

Il mio dialogo con lei finisce pertanto qui. È evidente che continuerà a propagandare le tesi dell’astronomo americano denunciando i fallimenti della fisica moderna: ciò è legittimo, ma la pregherei soltanto di farlo senza denigrare coloro che non condividono la sua opinione.

Cordiali saluti,

Alberto Cappi