A Roma un ciclo di conferenze innovative ed emozionanti per scoprire aspetti poco noti e sorprendenti del Cielo e dell’Astronomia. Per studiosi, appassionati e curiosi.
20.11: A scuola di astronomia (didattica dell’astronomia)
Imparare l’astronomia può essere straordinariamente piacevole se si utilizzano alcuni metodi che illustriamo stasera! Vedremo come è facile fare, senza nemmeno usare un telescopio, osservazioni fondamentali: dai satelliti di Giove alla determinazione dell’orbita ellittica della Terra (nozioni che hanno cambiato la storia dell’astronomia), insieme ad esperienze semplici e sorprendenti che si possono fare in casa come costruire una meridiana con uno specchio od osservare le eclissi di Sole con un mestolo. Ci divertiremo infine a scorrere i più diffusi luoghi comuni sbagliati sull’astronomia e le notizie astronomiche più stravaganti date dai mass media.
Ingresso singolo 15 euro previa prenotazione e eventi@accademiadellestelle.org. Oppure iscrizione a tutti gli appuntamenti (il prezzo cala col progredire del corso). Inizio conferenze ore 21, presso la nostra sede di fronte alla fermata EUR Laurentina.
Ecco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per i mesi di Novembre e Dicembre 2017; le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.
20.11: Il terzetto energetico di NGC4993: KILONOVAE, Onde gravitazionali e Gamma ray burst.
Relatore: Stefano Schirinzi 27.11: I raggi cosmici.
Relatore: Prof. Fulvio Mancinelli 04.12: L’enigma dei buchi neri primordiali.
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec 11.12: Novità ai confini del Sistema Solare: i TNO e la ricerca del pianeta IX.
Relatore: Stefano Schirinzi 18.12: Gli strumenti dell’astronomia: telescopi, radiotelescopi,
spettrografi e satelliti.
Relatore: Muzio Bobbio
Ascolta il Circolo Culturale Astrofili Trieste ne “Il buio degli anni luce” in diretta streaming su Radio Fragola ogni mercoledì dalle 21:30 alle 22:30. http://www.radiofragola.com
Il suo senso della bellezza guidò la sua ricerca della verità. B. Brecht, VITA DI GALILEO
Il 21 e il 22 novembre (e solo in quelle date!) arriverà nelle sale italiane, distribuito da Officine UBU, Il Senso della Bellezza, Arte e scienza al CERN diretto da Valerio Jalongo e girato all’interno del prestigioso e più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle.
Il film è il racconto di un esperimento senza precedenti che vede scienziati di tutto il mondo collaborare intorno alla più grande macchina mai costruita dagli essere umani per scoprire i misteri dell’universo, ovvero, l’acceleratore di particelle LHC (Large Hadron Collider).
“Il senso della bellezza” racconta un momento speciale del CERN, a sessant’anni dalla sua nascita. Quattro anni dopo la sensazionale scoperta del “Bosone di Higgs”, il CERNè alla vigilia di un nuovo, eccezionale esperimento. Un viaggio nel tempo più lontano e nello spazio più piccolo che possiamo immaginare: un’esplorazione della materia immediatamente dopo il Big Bang che ha dato origine al nostro universo.
«Molti di noi assistono con sgomento alla crisi dell’Europa – dichiara il regista – del suo sistema politico, dei suoi ideali assediati da antiche diffidenze e nuovi fanatismi. C’è un’istituzione europea però che resiste, e anzi sembra aumentare il suo prestigio. È il CERN di Ginevra, creato nel dopoguerra dai fisici europei quasi come antitesi al Progetto Manhattan – che portò alle bombe americane di Hiroshima e Nagasaki».
«Il CERN ha scopi pacifici non ha finalità di lucro e le sue scoperte sono condivise e a disposizione di tutti. Forse questo spiega un singolare paradosso nella storia di questa grande comunità di scienziati: e cioè come mai un laboratorio di Fisica delle particelle, dove si persegue la conoscenza pura, senza alcuna applicazione pratica, sia stato all’origine dell’invenzione che più di ogni altra ha rivoluzionato le nostre vite. È infatti al CERN che nel 1990 nasce il World Wide Web, l’internet libero di un mondo senza più confini».
In questo anello a cento metri di profondità e lungo ventisette chilometri si producono ogni secondo miliardi di collisioni tra particelle subatomiche. Perché? Cosa stanno cercando i fisici con i loro rivelatori? Queste specie di macchine fotografiche di proporzioni titaniche come ATLAS e CMS, sono capaci di scattare quaranta milioni di “fotografie” al secondo.
Ma chiamarle “fotografie” è in realtà una semplificazione per i media. Nessun fisico usa davvero quelle immagini per elaborare le proprie teorie. Perché i fisici degli ultimi cento anni hanno imparato a loro spese che siamo di fronte ad alcuni aspetti della Natura che sembrano assurdi.
«Ormai i fisici cercano di avvicinarsi a questi fenomeni per noi ancora misteriosi con la matematica, e con esperimenti che forniscono posizioni, dati statistici, numeri. Sanno di non avere più nessuna immagine concreta della Natura da offrirci. E non solo perché si tratta di realtà infinitamente piccole, invisibili. Ma perché la natura, nella sua essenza, ha un comportamento che è lontano dal senso comune e dai nostri cinque sensi.
«La Fisica moderna ha distrutto le ultime certezze che venivano dalla nostra esperienza del mondo, ma non ha trovato una spiegazione altrettanto certa e definitiva. La scienza, questo dovremmo averlo capito ormai, non cerca verità assolute, è sempre in cammino, sospinta solo dal dubbio e dall’ansia di conoscere.
Il titolo del film potrebbe apparire fuori luogo data l’aura scientifica che il CERN emana: eppure queste riprese vogliono essere un viaggio in un parallelo tra arte e scienzaesplicitato attraverso scienziati e artisti contemporanei. Attraverso immagini sensazionali del CERN di Ginevra e interviste esclusive a scienziati e artisti, il documentario spiega come scienza e arte, in modi diversi, inseguano verità e bellezza.
«Come diceva Einstein, il mistero più grande è la nostra capacità di conoscere l’universo, di afferrarne la misteriosa semplicità e bellezza».
Un documentario con Fabiola Gianotti, Gian Francesco Giudice, Luis Alvarez Gaumè, Paolo Giubellino, John Ellis, Antony Gormley, Michelangelo Mangano, Sergio Bertolucci, Robert Hodgin
Scritto e diretto da: Valerio Jalongo
Fotografia: Alessandro Pesci, Leandro Monti
Montaggio: Massimo Fiocchi
Musiche originali: Maria Bonzanigo, Carlo Crivelli – eseguite dall’Orchestra della Svizzera Italiana diretta da Kevin Griffiths
Suono: Christophe Giovannoni, Masaki Hatsui
Produttori: Tiziana Soudani, Silvana Bezzola Rigolini, M. Letizia Mancini
Produttore associato: Camilo Cienfuegos per La Frontera Video & Film
Produttore esecutivo: Tina Boillat
Una produzione: Amka Films, RSI Radiotelevisione Svizzera SRG SSR, Ameuropa International con
Rai Cinema
Distribuzione: Officine UBU
Indice dei contenuti
Onde gravitazionali, Astronomia Multimessaggero, Missione VITA, espansione dell’UNIVERSO… TUTTO QUANTO sul nuovo numero di Coelum Astronomia!
Coelum Astronomia 216 di novembre 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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Rappresentazione artistica delle capacità scientifiche del telescopio spaziale James Webb della Nasa. Sia l’imaging che la spettroscopia saranno fondamentali per la missione. Crediti: Nasa, Esa e A. Feild (STScI)
Rappresentazione artistica delle capacità scientifiche del telescopio spaziale James Webb della Nasa. Sia l’imaging che la spettroscopia saranno fondamentali per la missione. Crediti: Nasa, Esa e A. Feild (STScI)
Il nome in codice è Dd-Ers, e sta per Director’s Discretionary Early Release Science: è il programma di quelle che saranno le prime settimane di attività scientifica del James Webb Space Telescope, durante le quali è il direttore a scegliere come impiegarlo, dopo aver valutato le proposte giunte dalla comunità scientifica. In pratica, è il primo assaggio che l’erede dello Hubble Space Telescope offrirà alla comunità scientifica una volta giunto a destinazione (se tutto va secondo i programmi, arriverà in L2 entro la fine del 2019). Di proposte ne sono arrivate un centinaio, e l’elenco delle 13 selezionate da Ken Sembach, direttore dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora (Maryland, Usa), è ora disponibile in rete.
«Vogliamo che la comunità possa essere il più produttiva possibile dal punto di vista scientifico, e che questo avvenga prima possibile», ha detto Sembach, «per cui sono molto soddisfatto di poter dedicare quasi cinquecento ore del tempo discrezionale del direttore a queste osservazioni Ers».
Le ore, per la precisione, saranno 460, e i programmi scientifici sono i più disparati. Partendo dal più vicino a noi, dunque nel Sistema solare, c’è un obiettivo che avrebbe reso orgoglioso Galileo: l’osservazione per quasi dieci ore del sistema gioviano, in particolare le due lune Io e Ganimede. Seguono due programmi dedicati ai pianeti extrasolari, mondi come Wasp-39b and Wasp-43b, sui quali Jwst dispiegherà tutta la potenza dei suoi spettrografi infrarossi per caratterizzarne l’atmosfera e scoprire quanto sia o meno adatta a ospitare forme di vita. Le restanti ore si divideranno tra fisica stellare, buchi neri supermassicci e galassie remote, con le quali Jwst inizierà a esercitarsi puntando il suo enorme specchio composito da 6.5 metri di diametro verso la stessa regione del programma Frontier Fields di Hubble – tanto per far vedere subito di che pasta è.
«Tutti programmi osservativi che non solo produrranno una scienza eccellente, ma saranno anche una risorsa unica per dimostrare alla comunità scientifica mondiale le capacità d’indagine di questo straordinario osservatorio», sottolinea Sembach, mettendo in chiaro lo scopo del programma Dd-Ers.
Pensando alle caratteristiche di Jwst e della sua suite di strumenti, e non ultimo considerando quanto è costato, le attese della comunità scientifica sono un po’ come quella d’un cliente che varca la soglia d’un ristorante stellato – anzi, per qualche anno almeno, del più stellato di tutti. Senza contare che raccoglie il testimone non proprio comodissimo d’uno “chef” leggendario qual è Hubble. È dunque cruciale che già dall’antipasto Jwst riesca a dimostrare di essere all’altezza delle aspettative.
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di Ettore Perozzi di Asi e Marta Ceccaroni dell’Esa Neo Coordination Centre
Che la meccanica celeste abbia molti punti in comune con le arti visive non è una novità. «So di essere mortale di natura e effimero, ma quando seguo le evoluzioni dei corpi celesti i miei piedi non toccano più il suolo e mi elevo alla presenza di Zeus nutrendomi di Ambrosia, il cibo degli Dei» – così Tolomeo descriveva il suo lavoro. Ed è vero oggi più che mai grazie alle moderne tecniche di visualizzazione 3D che permettono a tutti di ammirare quelle “sculture spaziali” che a volte la natura, a volte l’uomo sono in grado di forgiare con l’aiuto della gravità.
Le complesse merlettature disegnate dalle comete nelle loro danze orbitali attorno a Giove oppure il groviglio inestricabile tracciato dalla sonda Cassini durante il suo lungo peregrinare nel sistema di Saturno ne sono esempi famosi.
Lo stemma della missione VITA di Paolo Nespoli sulla ISS Crediti: ESA/ASI
Non stupisce quindi che il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto con la sua forma a doppio infinito – simbolo della missione Vita che accompagna Paolo Nespoli nello spazio – abbia fatto risuonare qualcosa nella nostra mente.
Prendiamo allora due orbite: una circolare come quella della Stazione Spaziale Internazionale attorno al nostro pianeta, l’altra fortemente ellittica, come ad esempio quella della capsula Soyuz che ha portato Paolo Nespoli sulla Iss.
Supponiamo che i periodi di rivoluzione attorno alla Terra delle due orbite siano “sincronizzati” in modo che il primo sia il doppio dell’altro. Una ipotesi plausibile visto che la Soyuz parte dalla superficie terrestre per raggiungere la Iss che viaggia a 400 km di altitudine.
Le due orbite corrispondono a quelle tracciate in blu (orbita circolare) e rosso (orbita ellittica) nella figura animata. Ma che forma avrebbe l’orbita rossa vista da un osservatore in movimento lungo l’orbita blu – ad esempio da un astronauta sulla ISS in attesa dell’arrivo di Paolo? Una domanda che concettualmente implica un cambiamento di sistema di riferimento paragonabile al guardare una corsa di automobili da una telecamera fissa posta sopra il circuito oppure da un elicottero che insegue la corsa di un pilota.
Animazione dell'orbita di Pistoletto. Crediti: Ettore Perozzi e Marta Ceccaroni
Il risultato nel nostro caso è rappresentato dalla traiettoria in verde nella figura, che nell’arco di un intero giro attorno alla Terra della Iss si chiude a formare proprio il simbolo della missione Vita. Cambiando eccentricità e inclinazione dell’orbita ellittica si ottengono tutte le possibili “variazioni sul tema”, più allungate e/o caratterizzate da una diversa ampiezza dei lobi laterali rispetto a quello centrale. Tecnicamente si tratta di una “famiglia di orbite tridimensionali in risonanza 1:2 nel problema ristretto dei tre corpi”, ma da oggi possiamo battezzarle più semplicemente Orbite di Pistoletto.
Il caso vuole che l’asteroide 2016 XK24 si trovi su un’orbita di questo tipo e per una fortunata coincidenza passerà nelle vicinanze della Terra il 30 dicembre prossimo – poco dopo il rientro a terra di Paolo Nespoli.
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Nell’immagine la situazione alle 4:20, con i due astri alti appena 6° sull’orizzonte est, il momento forse migliore per riprenderli nella cornice del paesaggio.
Alle 4:00 del 15 novembre, una sottilissima falce di Luna (fase del 10%) sorgerà a soli 2,8° a est di Marte (mag. +1,8), converrà attendere però l’ora indicata nella cartina sopra per poterli avere sopra i 10° sull’orizzonte Est. I due astri potranno poi essere seguiti ancora per poco meno di un paio d’ore, sempre più alti nel cielo del mattino, prima che l’alba la faccia da padrona.
Alle 6:30, circa due ore dopo rispetto alla situazione presentata nell’immagine precedente, potremo ammirare, in un contesto ad ampio campo, l’evolversi della situazione in cui gli attori saranno ben di più, includendo, oltre alla Luna e a Marte, anche la stella Spica (alfa Virginis) e, più in basso, anche i pianeti Giove e Venere. Il mattino seguente vedremo la Luna avvicinarsi ai due ultimi pianeti fino alla congiunzione del 17 novembre.
Avendo pazienza fino alle 6:30, potremo anche veder sorgere, sempre dallo stesso orizzonte, Venere e Giove, non così vicini come il 13, ma comunque separati di soli 2°.
Tra le 6:20 e le 6:30, poco più a sudest per chi osserva dal Centro Italia (si consiglia di controllare le esatte circostanze) si potrà osservare anche un luminoso transito della Stazione Spaziale Internazionale (mag. –3,2) che completerà il quadro di questo magnifico incontro astrale.
Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di novembre su Coelum Astronomia 216 Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!
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13.11: La fortuna degli astronomi
La fortuna aiuta gli audaci, si dice: in questa conferenza gli audaci sono gli astronomi, e la fortuna è quella circostanza che ha permesso ad alcuni di loro di fare scoperte fondamentali e del tutto inaspettate (oltre che, in alcuni casi, di salvare la propria vita!) Alle scoperte casuali e fortunose, e alle peripezie che molti astronomi hanno affrontato per riuscire nelle loro imprese, si affiancheranno anche episodi di grande spirito da parte degli scienziati, con alcuni clamorosi pesci d’aprile che fanno parlare ancora oggi.
20.11: A scuola di astronomia (didattica dell’astronomia)
Imparare l’astronomia può essere straordinariamente piacevole se si utilizzano alcuni metodi che illustriamo stasera! Vedremo come è facile fare, senza nemmeno usare un telescopio, osservazioni fondamentali: dai satelliti di Giove alla determinazione dell’orbita ellittica della Terra (nozioni che hanno cambiato la storia dell’astronomia), insieme ad esperienze semplici e sorprendenti che si possono fare in casa come costruire una meridiana con uno specchio od osservare le eclissi di Sole con un mestolo. Ci divertiremo infine a scorrere i più diffusi luoghi comuni sbagliati sull’astronomia e le notizie astronomiche più stravaganti date dai mass media.
Ingresso singolo 15 euro previa prenotazione e eventi@accademiadellestelle.org. Oppure iscrizione a tutti gli appuntamenti (il prezzo cala col progredire del corso). Inizio conferenze ore 21, presso la nostra sede di fronte alla fermata EUR Laurentina.
Ecco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per i mesi di Novembre e Dicembre 2017; le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.
13.11: I vulcani di Io, satellite infernale di Giove.
Relatore: Giovanni Chelleri 20.11: Il terzetto energetico di NGC4993: KILONOVAE, Onde gravitazionali e Gamma ray burst.
Relatore: Stefano Schirinzi 27.11: I raggi cosmici.
Relatore: Prof. Fulvio Mancinelli 04.12: L’enigma dei buchi neri primordiali.
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec 11.12: Novità ai confini del Sistema Solare: i TNO e la ricerca del pianeta IX.
Relatore: Stefano Schirinzi 18.12: Gli strumenti dell’astronomia: telescopi, radiotelescopi,
spettrografi e satelliti.
Relatore: Muzio Bobbio
Ascolta il Circolo Culturale Astrofili Trieste ne “Il buio degli anni luce” in diretta streaming su Radio Fragola ogni mercoledì dalle 21:30 alle 22:30. http://www.radiofragola.com
La luce di iPTF14hls è stata vista aumentare e iminuire almeno cinque volte in due anni. Un comportamento mai osservato nelle supernove precedenti, che in genere rimangono luminose per circa 100 giorni per poi svanire. Crediti: Lco/S. Wilkinson
Un'illustrazione artistica di una supernova. Crediti: NASA, ESA, AND G. BACON (STSCI)La luce di iPTF14hls è stata vista aumentare e iminuire almeno cinque volte in due anni. Un comportamento mai osservato nelle supernove precedenti, che in genere rimangono luminose per circa 100 giorni per poi svanire. Crediti: Lco/S. Wilkinson
«È una supernova che mette in crisi tutto quello che pensiamo di sapere su come funzionano questi oggetti. Ed è il più grande enigma nel quale mi sia mai imbattuto in quasi un decennio di studi di esplosioni stellari». Così Iair Arcavi, ricercatore postdocall’Università della California – Santa Barbara e primo autore di uno studio, pubblicato oggi su Nature, su iPTF14hls: una supernova di tipo II-P.
Di solito, quando una stella “muore” è per sempre: una volta esplosa come supernova, se mai la materia di cui è fatta torna a splendere è perché viene riciclata per dare vita ad altre stelle. In questo caso, invece, pare proprio che siamo davanti allo stesso oggetto già visto brillare in cielo oltre sessant’anni anni or sono.
Tutto comincia, o meglio, ricomincia, nel settembre del 2014. Quando un team d’astronomi della Intermediate Palomar Transient Factory – una survey automatizzata per intercettare eventi transienti in banda ottica – registra un’esplosione a mezzo miliardo d’anni luce da noi. L’analisi spettrale rivela che si tratta d’una supernova II-P, ma ha qualcosa di strano: invece dei circa 100 giorni che di norma trascorrono prima che la luce di supernove di questo tipo s’estingua, l’impronunciabile iPTF14hls non vuole saperne di spegnersi e continua a brillare per oltre 600 giorni. Incuriositi, gli astronomi la studiano con attenzione, vanno pure a spulciare gli archivi della Palomar Sky Survey. E salta fuori che lì, in quel punto esatto della costellazione dell’Orsa Maggiore, già c’era stata un’altra esplosione. Quando? Nel 1954.
Un’immagine della Palomar Observatory Sky Survey mostra una possibile esplosione avvenuta nel 1954 nella posizione di iPTF14hls (a sinistra), assente nell’immagine successiva, che risale al 1993 (a destra). Crediti: Poss/Dss/Lco/S. Wilkinson
L’ipotesi degli scienziati è che possa trattarsi del primo esemplare mai osservato di quella che i teorici chiamano supernova a instabilità di coppia pulsazionale (pulsational pair-instability supernova). «Stando a questa teoria, potrebbe essere l’esito di una stella talmente calda e massiccia da aver prodotto nel suo nucleo antimateria», spiega uno dei coautori dello studio, Daniel Kasen, dell’Università di Berkeley. «Ciò renderebbe la stella instabile in modo violento, provocando ripetute esplosioni per periodi lunghi anni».
Da sinistra: Iair Arcavi, Andy Howell and Lars Bildsten. Photo Credit: SONIA FERNANDE
«Prevedevamo che questo tipo d’esplosioni potesse essersi verificato solo nell’universo primordiale, ora dovrebbero essere estinte. Vederne una è come imbattersi oggi in un dinosauro ancora vivo: se ne scopri uno, ti viene da chiederti se sia davvero un dinosauro», aggiunge un altro coautore dello studio, Andy Howell, del Las Cumbres Observatory (Lco).
E forse non è finita qui: se davvero siamo davanti a una pulsational pair-instability supernova, il processo potrebbe anche ripetersi per decenni prima della grande esplosione “finale” – garantiscono gli scienziati… – che prelude al collasso in un buco nero.
Per saperne di più:
Leggi su Nature l’articolo “Energetic eruptions leading to a peculiar hydrogen-rich explosion of a massive star“, di Iair Arcavi, D. Andrew Howell, Daniel Kasen, Lars Bildsten, Griffin Hosseinzadeh, Curtis McCully, Zheng Chuen Wong, Sarah Rebekah Katz, Avishay Gal-Yam, Jesper Sollerman, Francesco Taddia, Giorgos Leloudas, Christoffer Fremling, Peter E. Nugent, Assaf Horesh, Kunal Mooley, Clare Rumsey, S. Bradley Cenko, Melissa L. Graham, Daniel A. Perley, Ehud Nakar, Nir J. Shaviv, Omer Bromberg, Ken J. Shen, Eran O. Ofek, Yi Cao, Xiaofeng Wang, Fang Huang, Liming Rui, Tianmeng Zhang, Wenxiong Li, Zhitong Li, Jujia Zhang, Stefano Valenti, David Guevel, Benjamin Shappee, Christopher S. Kochanek, Thomas W.-S. Holoien, Alexei V. Filippenko, Rob Fender, Anders Nyholm, Ofer Yaron, Mansi M. Kasliwal, Mark Sullivan, Nadja Blagorodnova, Richard S. Walters, Ragnhild Lunnan, Danny Khazov, Igor Andreoni, Russ R. Laher, Nick Konidaris, Przemek Wozniak e Brian Bue
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I due astri sorgeranno attorno alle 5:45 dall'orizzonte est-sudest, e lentamente aumenteranno la loro altezza. All'ora indicata saranno ancora bassi sull'orizzonte (circa 5°), si potrà attendere ancora per averli un po' più alti, ma si dovranno fare i conti con il crepuscolo mattutino che illuminerà sempre più il cielo inghiottendoli nella sua luce. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Chi ha abitudini mattiniere potrà tentare l’osservazione di una bella congiunzione tra i pianeti Giove (mag. –1,7) – che comincia a fare capolino nel crepuscolo del mattino – e Venere (mag. –3,9).
I due astri saranno separati da circa 16′, ma la bassissima altezza sull’orizzonte ne renderà un po’ difficoltosa l’osservazione, su uno sfondo di cielo già piuttosto chiaro.
Sarà un’ottima occasione per immortalare l’incontro dei due pianeti includendo anche alcuni dettagli del paesaggio circostante, possono quindi tornare utili i consigli di Giorgia Hofer ➜ Astrofotografia L’incontro tra Venere e Marte
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Le effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti le trovi nel Cielo di Novembre
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Un'immagine composita del recente passaggio, dal 25 al 30 ottobre, nel campo del coronografo delle sonde SOHO LASCO C3 della cometa 96P. Crediti: SOHO/LASCO/Barbara Thompson (NASA)
Una cometa speciale è tornata nel campo dell’Osservatorio solare SOHO, una collaborazione NASA ESA. Da quando l’Osservatorio spaziale, lanciato nel 1995, è attivo la cometa 96P Machholz è una abitué delle riprese del coronografo LASCO C3.
La cometa 96P è stata scoperta dall’astronomo amatore Don Machholz, nel 1986, e si è subito mostrata come una cometa di breve periodo, e infatti completa un giro intorono al Sole in soli 5,24 anni circa. Al suo perielio passa a una distanza dal sole tre volte più vicina di Mercurio, a circa 18 milioni di chilometri (un decimo di unità astronomica, ovvero la distanza Terra-Sole), cosa che le ha permesso di apparire nel campo del coronografo nel 2012, 2007, 2002 e 1996, facendola diventare la cometa più assidua delle riprese SOHO.
Ma non solo, ha anche una famiglia, e una famiglia molto numerosa! La 96P è infatti progenitrice di due famiglie di comete distinte (i gruppi Marsden e Kracht della SOHO), degli sciami meteorici Sud Delta Aquaridi, Arietidi e delle più famose Quadrantidi. Inolte, nel suo passaggio del 2012, i ricercatori delle SOHO hanno scoperto due piccoli frammenti, ben distanti dal nucleo principale, segnale di una evoluzione ancora attiva e in atto della cometa.
Uno studio pubblicato nel 2008 ha poi mostrato delle abbondanze molecolari estremamente anomale, con una composizione molto diversa e strana rispetto a tutte le comete conosciute, cosa che ha portato alcuni a pensare che possa trattarsi di una cometa interstellare catturata dal nostro sistema solare.
In questa immagine del 2002, la cometa sembra "fuggire" da un enorme espulsione di massa coronale. Crediti: SOHO/LASCO (ESA & NASA)
«Negli anni passati, la cometa 96P ci ha regalato magnifiche immagini grazie alle camere SOHO» si legge in un comunicato stampa sulla pagina dell’Osservatorio. «Il suo passaggio del 2002 è stato probabilmente quello più spettacolare, arricchito da un’espulsione di massa coronale (CME) imponente proprio poche ore prima che la cometa sorpassasse il Sole. (Una CME è un getto di particelle cariche dal Sole, spesso associato a un flare solare). È importante notare che non c’è correlazione tra i due eventi – assistiamo a volte anche a sei o più CME al giorno, perciò non è poi così sorprendente che ne sia accadutouno proprio al passagio della cometa. Ma l’immagine non è per questo meno spettacolare».
La cometa 69P appare nuovamente nel campo del coronografo LASCO C3, nell'angolo in basso a destra. Crediti: SOHO/LASCO
E quest’anno, come previsto, non ha mancato il suo appuntamento… Un’immagine del 25 ottobre mostra infatti la cometa nell’angolo destro in basso dal quale ha poi attraversato tutta la parte destra del campo di ripresa per uscirne il 30 ottobre.
In questo passaggio le immagini non sono forse altrettanto spettacolari di quelle del 2002, ma con un picco di magnitudine al massimo attorno alla +2, è stata comunque molto luminosa e un montaggio delle varie fasi del suo passaggio ha reso altrettanto suggestiva anche questa ripresa.
Durante questo passaggio poi, per una fortunata configurazione geomatrica, per la prima volta la cometa è stata osservata non solo da entrambi i coronografi SOHO ma anche da quelli STEREO-A/SECCHI COR1 e COR-2 della NASA, da un punto di vista diverso, sempre nell’orbita terrestre ma dalla parte opposta alla Terra (nei dintorni del punto lagrangiano L3), per queste ultime immagini però, a causa della grande distanza delle sonde STEREO, si dovrà attendere qualcosa in più.
Ma un’ultima sorpresa non è mancata… perché ai due frammenti individuati nel 2012 ora se n’è aggiunto un terzo, a rafforzare ancora di più l’idea che si tratti di una cometa tutt’ora in evoluzione e definitivamente una delle comete più interessanti registrate dalle sonde SOHO.
Nella ripresa la cometa 69p e indicati nei riquadri rossi i tre frammenti individuati che viaggiano in paralleo.
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Rappresentazione artistica della sonda New Horizons in volo verso la coppia binaria 2014 MU69. L’incontro avverrà il 1 gennaio 2019. Le prime osservazioni di MU69 suggeriscono che l’oggetto sia una coppia binaria di corpi quasi simili con diametri di 20 e 18 chilometri. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute
Rappresentazione artistica della sonda New Horizons in volo verso la coppia binaria 2014 MU69. L’incontro avverrà il 1 gennaio 2019. Le prime osservazioni di MU69 suggeriscono che l’oggetto sia una coppia binaria di corpi quasi simili con diametri di 20 e 18 chilometri. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institutela missione principale della New Horizons era, come sappiamo, il sorvolo di Plutone e lo studio delle sue lune. Su Coelum Astronomia n. 206 e 207 uno speciale in due parti ha ripercorso la missione e tutte le scoperte sull'ex-non pianeta del sistema solare. Come sempre la lettura è in formato digitale e gratuito.
New Horizons continua il suo viaggio nello spazio, dopo aver incontrato il pianeta nano Plutone il 14 luglio 2015. Il prossimo obiettivo è un oggetto binario della Fascia di Kuiper, cioè quella regione periferica del Sistema solare che va dall’orbita di Nettuno fino alla distanza di 50 unità astronomiche dal Sole. Il planetoide2014 MU69(a 1,6 miliardi di chilometri da Plutone e a 6,5 miliardi di chilometri dalla Terra) ha già “in agenda” un appuntamento molto importante con la sonda della Nasa, che incontrerà il primo gennaio 2019. Il piccolo mondo ghiacciato (per meglio dire, i due corpi) non ha però un nome, a parte la serie di lettere e cifre con cui, di solito, gli astronomi classificano ogni oggetto scoperto nel cielo, e la Nasa chiede proprio il vostro aiuto.
L’agenzia spaziale statunitense intende presentare delle proposte di nomi all’Unione astronomica internazionale e – come accade spesso in questi casi – il pubblico di esperti o di amatori corre in soccorso facendo proposte e votando online il nome più accattivante o quello più appropriato all’oggetto. Alan Stern, principal investigator della missione New Horizons presso il Southwest Research Institute di Boulder, ha spiegato: «Il nostro incontro ravvicinato con MU69 segna un altro capitolo nella storia straordinaria di questa sonda. Siamo entusiasti che il pubblico ci possa aiutare a scegliere un soprannome per il nostro target».
I nomi attualmente in ballo descrivono alcune caratteristiche fisiche del planeotide (come Arachide o Mandorla) o si riferiscono alla costellazione (Sagittario) in direzione della quale è possibile osservare l’oggetto. Per adesso, al ballottaggio ci sono questi nomi: Año Nuevo (“anno nuovo” in spagnolo), Camalor (città fittizia nella Fascia di Kuiper), Kibo, Mawenzi, Shira (vette del Monte Kilimanjaro), Mjölnir (il martello di Thor),
Arachide, Mandorla, Anacardo (per ricordare le forme di questi piccoli corpi), Grinta & Tenacia (caratteristiche di New Horizons), Sagittario (costellazione) e Z’ha’dum (un pianeta fittizio ai margini della galassia). Il pubblico può anche proporre altri nomi. La campagna di voto si concluderà il primo dicembre e il nuovo nome ufficiale verrà comunicato a gennaio 2018.
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Una rappresentazione artistica della fascia di polvere appena scoperta intorno alla stella più vicina al Sole, Proxima Centauri. Le osservazioni di ALMA mostrano la luce diffusa dalla polvere fredda in una regione che si trova a una distanza da Proxima Centauri pari a una fino a quattro volte la distanza della Terra dal Sole. I dati suggeriscono poi la presenza di una cintura di polvere ancora più fredda e ancora più esterna. Le due cinture potrebbero indicare la presenza di un sistema planetario elaborato. Si noti che questo disegno non è in scala: per rendere visibile Proxima b, il pianeta è stato disegnato più lontano dalla stella e più grande di quanto sia in realtà. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Proxima Centauri è la stella più vicina al Sole. È una nana rossa, debole, ad appena quattro anni luce da noi, nella costellazione australe del Centauro. Le orbita intorno il pianeta Proxima b, un mondo temperato di dimensioni simili alla Terra, scopertonel 2016: il pianeta più vicino al Sistema Solare. Ma non c’è solo un singolo pianeta in questo sistema. Le nuove osservazioni di ALMA rivelano le emissioni di nuvole di polvere cosmica fredda che circonda la stella.
L’autore principale dello studio, Guillem Anglada, dell’Instituto de Astrofísica de Andalucía (CSIC), Granada, Spagna, spiega l’importanza di questa scoperta:
«La polvere intorno a Proxima Centauri è importante perchè, dopo la scoperta del pianeta di tipo terrestre Proxima b, è la prima indicazione della presenza, intorno alla stella più vicina al Sole, di un sistema planetario complesso e non di un singolo pianeta».
In questa immagine vediamo combinate una veduta dei cieli australi sopra al telescopio da 3,6 metri dell'ESO all'Osservatorio di La Silla in Cile con immagini di Proxima Centauri (in basso a destra) e della stella doppia Alfa Centauri AB (in basso a sinistra) ottenute dal telescopio Hubble della NASA/ESA. Proxima Centauri è la stella più vicina al Sistema Solare ed è accompagnata dal pianeta Proxima b, scoperto con lo strumento HARPS installato sul telescopio da 3,6 metri dell'ESO. Crediti: Y. Beletsky (LCO)/ESO/ESA/NASA/M. Zamani
In una coincidenza “cosmica”, il primo autore dello studio, Guillem Anglada, ha lo stesso nome dell’astronomo che ha guidato l’equipe alla scoperta di Proxima Centauri b, Guillem Anglada-Escudé, egli stesso coautore dell’articolo in cui questa scoperta è pubblicata, anche se i due non sono parenti.
Le fasce di polvere sono i resti di materia che non è riuscita ad aggregarsi in un corpo più grande come un pianeta. Le particelle di roccia e ghiaccio di queste fasce variano di dimensione dai grani di polvere più fini, più piccoli di un millimetro, fino a corpi asteroidali di molti chilometri di diametro.
La polvere sembra raccolta in una fascia di qualche centinaio di milioni di chilometri da Proxima Centauri, con una massa totale di circa un centesimo quella della Terra. Si stima che la cintura abbia una temperatura di circa -230 gradi C, fredda come quella della Fascia di Kuiper nella zona esterna del Sistema Solare. Essendo infatti Proxima Centauri una stella vecchia, di età simile al Sole, ha fasce di polvere probabilmente simili alla polvere residua della Fascia di Kuiper, della fascia di asteroidi del Sistema Solare e della polvere che produce la Luce Zodiacale.
Ma i dati di ALMA suggeriscono la presenza di un’altra fascia di polvere ancora più fredda, circa dieci volte più lontana. Un ambiente assolutamente intrigante, così freddo e lontano da una stella ancor più fredda e più debole del Sole…
Entrambe le fasce sono ben più lontane da Proxima Centauri rispetto al pianeta Proxima b, che orbita a soli quattro milioni di chilometri dalla sua stella madre. Se la scoperta fosse confermata, la forma apparente della cintura esterna, molto debole, darebbe agli astronomi un mezzo per stimare l’inclinazione del sistema planetario di Proxima Centauri. Apparirebbe ellittica, infatti, a causa dell’inclinazione di quello si suppone essere un anello circolare. Questo a sua volta permetterebbe una miglior stima della massa del pianeta Proxima b, per ora nota solo come un limite inferiore.
Guillem Anglada spiega le implicazioni della scoperta: «Questo risultato suggerisce che Proxima Centauri potrebbe avere un sistema multiplo di pianeti con una ricca storia di interazioni che hanno prodotto una fascia di polvere. Ulteriori studi potrebbero dare informazioni sull’ubicazione di pianeti aggiuntivi non ancora identificati».
L’interesse attorno al sistema planetario di Proxima Centauri viene non solo perché essendo vicino è più “facile” da osservare, ma anche eprché si parla della possibilità di una futura esplorazione diretta del sistema – ilprogetto Starshot– con microsonde guidate da vele a laser. E la conoscenza della distribuzione della polvere nell’ambiente che circonda la stella è essenziale per poter pianificare una tale missione.
Lo speciale dedicato alla scoperta di Proxima b pubblicato su Coelum astronomia 204 (ottobre 2016): cosa ne pensano gli esperti? Con i contributi di Marco Malaspina, Isabella Pagano, Giusi Micela, Mario Damasso, Raffaele Gratton, Sabrina Masiero, John Robert Brucato, Amedeo Balbi, Claudio Elidoro. Gianpietro Marchiori e Massimiliano Tordi. Intervista esclusiva con Giovanni Bignami. Per leggere lo speciale cliccare sull'immagine.
Il coautore Pedro Amado, dell’Instituto de Astrofísica de Andalucía, spiega che questa osservazione è solo l’inizio: «Questi primi risultati mostrano che ALMA può rivelare le strutture di polvere in orbita intorno a Proxima. Ulteriori osservazioni potrebbero darci un quadro più dettagliato del sistema planetario di Proxima. In combinazione con lo studio del disco protoplanetario intorno a giovani stelle, saranno svelati molti dei dettagli dei processi che hanno portato alla formazione della Terra e del Sistema Solare circa 4600 milioni di anni fa. Quello che vediamo ora è solo l’antipasto rispetto a tutto ciò che verrà!».
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L'immagine raffigura la sonda Juno mentre si allontana veolocemente dal polo sud del pianeta, dopo l'ottavo flyby della missione. Credit: NASA/JPL-Caltech
L'immagine raffigura la sonda Juno mentre si allontana veolocemente dal polo sud del pianeta, dopo l'ottavo flyby della missione. Credit: NASA/JPL-Caltech
Juno ha completato l’ottavo sorvolo di Giove. La conferma del successo del fly-bysopra le misteriose nubi del gigante risalente al 24 ottobre è arrivata con qualche giorno di ritardo, il 31, a causa della congiunzione di Giove con il Sole che ha provocato un rallentamento delle comunicazioni con la sonda.
Durante questo periodo, infatti, non vengono effettuati tentativi per l’invio di istruzioni alla sonda in quanto è impossibile verificare se i comandi possano effettivamente essere recepiti da Juno a causa delle interferenze delle particelle cariche provenienti dal Sole. Il procedimento seguito dal team di scienziati prevede la trasmissione delle istruzioni prima dell’inizio della congiunzione solare, i dati vengono così memorizzati a bordo per poi essere inviati a terra dopo l’evento.
Il nuovo project manager della missione Ed Hirst. Crediti: NASA/JPL-Caltech
«Tutti i dati sono stati memorizzati da Juno – ha commentato Ed Hirst del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, recentemente nominato project manager della sonda – gli strumenti a bordo hanno lavorato normalmente e hanno trasmesso le informazioni al nostro team scientifico».
Il prossimo flyby di Juno è in programma per il 16 dicembre. A bordo della sonda otto strumenti, tra cui i due esperimenti italiani realizzati con il supporto e il coordinamento dell’ASI. Si tratta della camera a infrarossi con spettrometro JIRAM(Jovian InfraRed Auroral Mapper), uno strumento chiave di JUNO, realizzata da Leonardo-Finmeccanica sotto la guida scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), e dell’esperimento di radioscienza KaT (Ka-band Translator/Transponder), realizzato da Thales Alenia Space, sotto la responsabilità scientifica della Sapienza Università di Roma.
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Questa volta non un'immagine a largo campo, ma una vista ingrandita del campo delle Iadi, delle quali Aldebaran è senza dubbio la più luminosa; anche perché è parte dell'ammasso solo prospetticamente, si trova infatti molto più vicina a noi, all'incirca a metà strada, rispetto alle restanti stelline del gruppo (pur essendo l'ammasso aperto più vicino a noi: circa 151 anni luce). Per una fotografia della Luna praticamente piena a largo campo, possiamo provare a contare invece sulle Pleiadi, più distanti e quindi meno soffocate dalla luminosità della Luna.
Cominciamo la mattina del 6 novembre, quando si verificherà una interessante congiunzione molto stretta (22’ per il Centro Italia) tra la stella Aldebaran (alfa Tauri, mag. +0,87) con la Luna quasi piena (fase del 95%). I due astri si troveranno ben alti in cielo, a circa una cinquantina di gradi sull’orizzonte ovest–sudovest.
A seconda della località, la distanza della stella dalla Luna varierà, senza però mai occultare la stella, occulterà invece alcune delle più brillanti stelline delle Iadi (vedi circostanze nella guida giorno per giorno).
Si tratta di un fenomeno sicuramente suggestivo da osservare e da fotografare, e lo si potrà seguire fin dalla sera prima, con la Luna ancora in avvicinamento, considerando anche il contesto in cui avviene, ossia il magnifico sfondo dell’ammasso delle Iadi, nella costellazione del Toro.
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Le effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti le trovi nel Cielo di Novembre
La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n. 211
Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di novembre su Coelum Astronomia 216 Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!
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A Roma un ciclo di conferenze innovative ed emozionanti per scoprire aspetti poco noti e sorprendenti del Cielo e dell’Astronomia. Per studiosi, appassionati e curiosi.
06.11: L’audacia degli astronomi (Storia della cosmologia)
Chi è stato il primo astronomo? (Ne sappiamo il nome!) Cosa lo ha spinto ad osservare il cielo? E cosa ha scoperto? Come abbiamo visto in alcune lezioni precedenti, l’Astronomia ha successo quando ti dice che l’universo non è come te lo aspettavi: alcuni astronomi sono stati capaci, nei secoli, di smentire le concezioni correnti e mostrare come sia fatto in realtà il cosmo, affermando idee audaci (se non rivoluzionarie!) e dimostrando che erano vere. Le vedremo, insieme a tanti colpi di genio di astronomi totalmente in anticipo rispetto ai loro tempi. 13.11: La fortuna degli astronomi
La fortuna aiuta gli audaci, si dice: in questa conferenza gli audaci sono gli astronomi, e la fortuna è quella circostanza che ha permesso ad alcuni di loro di fare scoperte fondamentali e del tutto inaspettate (oltre che, in alcuni casi, di salvare la propria vita!) Alle scoperte casuali e fortunose, e alle peripezie che molti astronomi hanno affrontato per riuscire nelle loro imprese, si affiancheranno anche episodi di grande spirito da parte degli scienziati, con alcuni clamorosi pesci d’aprile che fanno parlare ancora oggi.
20.11:A scuola di astronomia (didattica dell’astronomia)
Imparare l’astronomia può essere straordinariamente piacevole se si utilizzano alcuni metodi che illustriamo stasera! Vedremo come è facile fare, senza nemmeno usare un telescopio, osservazioni fondamentali: dai satelliti di Giove alla determinazione dell’orbita ellittica della Terra (nozioni che hanno cambiato la storia dell’astronomia), insieme ad esperienze semplici e sorprendenti che si possono fare in casa come costruire una meridiana con uno specchio od osservare le eclissi di Sole con un mestolo. Ci divertiremo infine a scorrere i più diffusi luoghi comuni sbagliati sull’astronomia e le notizie astronomiche più stravaganti date dai mass media.
Ingresso singolo 15 euro previa prenotazione e eventi@accademiadellestelle.org. Oppure iscrizione a tutti gli appuntamenti (il prezzo cala col progredire del corso). Inizio conferenze ore 21, presso la nostra sede di fronte alla fermata EUR Laurentina.
Le fasi della Luna in novembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Le fasi della Luna in novembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
In apertura del mese di novembre, a partire dalle 17:30 circa, potremo osservare il nostro satellite di sera in sera sempre più basso nel cielo orientale.
Per gli amanti delle falci di Luna si comincia questo mese con la Luna Calante, appuntamento quindi per il 16 novembre quando alle 04:53 sorgerà una falce di 27 giorni visibile fino alle prime luci dell’alba, quando sarà seguita dai pianeti Giove e Venere. Praticamente da non perdere il mattino seguente, il 17 novembre, con falce lunare di 28,41 giorni che alle 05:56 sorgerà nel cielo di sudest a circa 4° da Giove e 2,5° da Venere. Per la ripresa della luce cinerea, sono sempre validi i consigli di Giorgia Hofer:
La prima proposta di questo mese è per la serata del 5 novembre quando la Luna in fase di 16,93 giorni (un giorno dopo il Plenilunio del 4 novembre) sorgerà alle 18:25 col punto di massima Librazione localizzato proprio in corrispondenza della regione polare settentrionale che nel caso specifico ci consentirà di osservare l’area dei crateri Hermite (114 km) e Peary (77 km) situati al confine di quel 9% dell’altro emisfero lunare che il fenomeno delle Librazioni rende accessibile ai nostri strumenti.
Per la seconda e principale proposta, l’appuntamento è per il 25 novembre quando alle 17:39 il nostro satellite transiterà in meridiano a un’altezza di +30° con la Luna in fase di 7,21 giorni, perfettamente osservabile per gran parte della serata fino al suo tramonto previsto per le 22:52. Nel caso specifico andremo a osservare il terzetto composto dai crateri Aristoteles (diametro 90 km), Eudoxus (diametro 70 km), Alexander (diametro 85 km) situati immediatamente a nord dei monti Caucasus nel settore nordorientale del nostro satellite.
Nella terza proposta Nella nostra terza proposta di novembre continua la carrellata sulle grandi strutture situate lungo il bordo orientale del mare Nubium dedicandoci questo mese ad Alphonsus, eccezionale struttura crateriforme con diametro di 121 km situata in posizione centrale fra i crateri Ptolemaeus e Arzachel, la ben nota “Cauda Pavonis” di Galileiana memoria. L’appuntamento è per la serata del 26 novembre dalle 17:30 circa.
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Per tutto l’inverno, il palazzo dell’Accademia delle Scienze di Torino ospita “L’infinita curiosità. Un viaggio nell’universo in compagnia di Tullio Regge”. La mostra, curata da Vincenzo Barone e Piero Bianucci, propone, con un allestimento coinvolgente, un viaggio ideale nell’universo, dall’immensamente grande all’estremamente piccolo, alla scoperta delle meraviglie della fisica contemporanea.
L’ingresso alla mostra accoglie il visitatore con un allestimento spettacolare. Nello scenografico corridoio è posta un’installazione di legno che rappresenta la “scala cosmica”: 62 blocchi corrispondenti ai 62 ordini di grandezza dell’universo conosciuto, dall’estremamente piccolo (la lunghezza di Planck) all’immensamente grande (l’orizzonte cosmologico). Lungo il percorso della mostra il visitatore si muoverà idealmente su e giù per questa scala, confrontandosi con le dimensioni delle cose, dai quark alle galassie.
La mostra si avvale della collaborazione di importanti istituzioni scientifiche italiane, tra le quali l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM). Il progetto è realizzato nell’ambito delle attività del Sistema Scienza Piemonte, un accordo promosso dalla Compagnia di San Paolo e sottoscritto dai principali enti torinesi che si occupano di diffusione della cultura scientifica. www.torinoscienza.it
Ecco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per i mesi di Novembre e Dicembre 2017; le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.
06.11: …Forse sono lì!
Relatore: Prof. Fulvio Mancinelli 13.11: I vulcani di Io, satellite infernale di Giove.
Relatore: Giovanni Chelleri 20.11: Il terzetto energetico di NGC4993: KILONOVAE, Onde gravitazionali e Gamma ray burst.
Relatore: Stefano Schirinzi 27.11: I raggi cosmici.
Relatore: Prof. Fulvio Mancinelli 04.12: L’enigma dei buchi neri primordiali.
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec 11.12: Novità ai confini del Sistema Solare: i TNO e la ricerca del pianeta IX.
Relatore: Stefano Schirinzi 18.12: Gli strumenti dell’astronomia: telescopi, radiotelescopi,
spettrografi e satelliti.
Relatore: Muzio Bobbio
Ascolta il Circolo Culturale Astrofili Trieste ne “Il buio degli anni luce” in diretta streaming su Radio Fragola ogni mercoledì dalle 21:30 alle 22:30. http://www.radiofragola.com
Rappresentazione artistica d’una cometa in orbita attorno alla stella Kic 3542116. Crediti: Danielle Futselaar
Rappresentazione artistica d’una cometa in orbita attorno alla stella Kic 3542116. Crediti: Danielle Futselaar
Come i prigionieri nella caverna di Platone, anche gli astrofisici che si occupano di pianeti extrasolari vedono – dei mondi che studiano – nient’altro che ombre. O almeno è così per chi si avvale della tecnica dei transiti, quella del telescopio spaziale Kepler: periodo orbitale e dimensioni del pianeta, e tutto ciò che ne deriva, vengono dedotti da null’altro che dalla lieve “ombra” – una sorta di micro-eclissi – prodotta dal pianeta stesso allorché si trova a transitare fra la stella che lo ospita e i nostri telescopi.
È già stupefacente che da quelle ombre, da quegli impercettibili “cali di luce” (una sorta di “U” nella linea altrimenti piatta dell’intensità della luce della stella), gli astronomi siano riusciti non solo a scoprire in pochi anni migliaia di pianeti extrasolari, ma anche interi sistemi planetari e, forse, delle lune. Ma ora hanno fatto un passo in più: il 18 marzo scorso, osservando alcune di quelle “U” debolissime – talmente deboli che gli algoritmi automatici le avevano scartate – l’occhio allenato d’un astrofilo e citizen scientist di Bellevue (Washington), Thomas Jacobs, ha notato, nella luce emessa da Kic 3542116, una debole stella a 800 anni luce da noi, non solo le tracce d’un transito, ma anche che si trattava di tracce strane, lievemente asimmetriche: i due rami della “U” non scendevano e salivano con la stessa pendenza. Come se l’oggetto in transito non fosse perfettamente sferico.
Come se avesse una coda.
Saul Rappaport, astrofisico del Massachusetts Institute of Technology, messo a conoscenza dell’anomalia dallo stesso Jacobs, si è messo a studiare in modo sistematico quelle “tracce di ombra”. L’asimmetria nelle curve luminose gli ricordava quella prodotta da pianeti disintegrati, con lunghe scie di detriti che continuano a coprire la luce della stella mentre il pianeta se ne allontana. Ma a differenza dei pianeti che stanno perdendo pezzi (e che continuano comunque a orbitare attorno alla stella) questi segnali erano unici, non si ripetevano, non mostravano periodicità.
«Riteniamo che i soli oggetti in grado di fare la stessa cosa, senza ripetizioni, siano quelli che alla fine vengono distrutti», spiega Rappaport. Riassumendo: oggetti molto più piccoli d’un pianeta (il calo di luce impercettibile), che transitano vicino a una stella perdendo “pezzi” (l’asimmetria) fino al punto da venire vaporizzati e sparire (il segnale che non si ripete). Andando per eliminazione, non rimane che un indiziato: si tratta d’una cometa. O meglio: una esocometa. Anzi: sei esocomete. Già, perché passando sistematicamente in rassegna i dati ne sono poi saltate fuori altre cinque.
Lo studio che racconta questa prima scoperta di esocomete esce questa settimana su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. E per pura coincidenza, proprio in questi giorni, è stata avvistata, dalle parti della Terra, quella che è forse un’esocometa (o un esoasteroide, non si sa) in visita: si chiama C/2017 U1 (o A/2017 U1) e sarebbe la prima “cometa aliena” mai intercettata nel Sistema solare.
Guarda su MediaInaf Tv il servizio video su A/2017 U1:
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Con la mostra L’UNIVERSO AD OROLOGERIA l’Astrario di Giovanni Dondi rivive nel luogo esatto dove a lungo fu collocato, la biblioteca visconteo-sforzesca del Castello di Pavia.
DOVE: Musei Civici del Castello Visconteo, Viale XI febbraio 35, Pavia, Collegio Castiglioni Brugnatelli, Via San Martino 20, Pavia
La mostra esibisce al pubblico la ricostruzione dell’antico strumento realizzata da Guido Dresti (2009-2011), accompagnata da altri strumenti per la misurazione del tempo e del moto dei pianeti “antenati” dell’Astrario, da preziosi codici di astronomia e astrologia provenienti dall’Archivio Civico della Biblioteca Bonetta e dalla serie di stampe dei sette Pianeti, attribuiti a Baccio Baldini e appartenenti ai Musei Civici di Pavia. Un ricco calendario di appuntamenti consente di approfondire l’affascinante figura di Giovanni Dondi, medico, astrologo, astronomo, letterato a tutto tondo del XIV secolo e la temperie culturale e scientifica in cui si colloca la sua eccezionale opera.
12.11, ore 16.00: “UNO:UNO A tu per tu con l’opera. Dal manoscritto alla ricostruzione dell’Astrario” con Guido Dresti e Rosario Mosello, presso i Musei Civici del Castello Visconteo. 14.11, ore 18.00: “Giovanni Dondi e Francesco Petrarca, un’amicizia tra Pavia e Padova” con Elena Necchi, presso Collegio Castiglioni Brugnatelli. 19.11, ore 11.00: “Un horologio di maravigliosa fattura” visita guidata alla mostra. 28.11, ore 18.00: “Destini meccanici: orologi astronomici e astrologia, tra Medioevo e Rinascimento” con Marisa Addomine, presso il Collegio Castiglioni Brugnatelli. 03.12, ore 11.00: “Un horologio di maravigliosa fattura” visita guidata alla mostra.
Nell'animazione Cerere visto dalla sonda Dawn della NASA. La mappa sulla destra ha aiutato i ricercatori a studiarne la struttura interna attraveso misure di gravità. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Minerali contenenti acqua, infatti, sono sparsi su tutto Cerere, ma se c’era, cosa ne è stato di quell’oceano? Ed è possibile trovare ancora acqua liquida su Cerere? Due nuovi studi cercano di fare luce su questi interrogativi.
Nel primo studio, il team della missione Dawn ha scoperto che la crosta del pianeta nano è formata da un miscuglio di ghiaccio, sali e materiali idrati soggetti ad attività geologiche passate ma anche più recenti, e questa crosta sarebbe quello che resta di un antico oceano globale. Un secondo studio, riferendosi al primo e andando più in profondità, suggerisce che sotto questa solida superifice ci sia uno strato più soffice e facilmente deformabile, tanto che potrebbe contenere del liquido residuo di questo antico oceano.
«Stiamo sempre più scoprendo quanto Cerere sia un mondo dinamico e complesso, che può aver ospitato molta acqua liquida in passato, e averne tutt’ora nel sottosuolo» spiega Julie Castillo-Rogez, Project Scientist della missione e coautrice degli studi. Vediamoli in dettaglio.
Il primo dei due studi, guidato da Anton Ermakov, ricercatore post-doc al JPL, e pubblicato nelJournal of Geophysical Research: Planets, sfrutta misurazioni di gravità e di forma del pianeta per determinarne la struttura interna e la composizione. Le misurazioni vengono dal NASA Deep Space network che traccia i piccoli cambiamenti dei moti della sonda nella sua orbita attorno a Cerere .
L’ipotesti di Ermakov e colleghi è che Cerere sia ancora geologicamente attivo, mostrando segni di crioattività, o se proprio non lo è ora deve esserlo stato in un recente passato. Il pianeta nano mostra infatti un’abbondanza di anomalie gravitazionali, associate a strutture di rilievo della sua superficie. In particolare, tre crateri – Occator, Kerwan e Yalode – e l’alta montagna solitaria Ahuna Mons, sono risultati associati a quattro principali anomalie, individuate dal confronto tra il modello che si aveva della gravità di Cerere e le effettive osservazioni di Dawn.
Il famoso cratere Occator, famoso in particolare per contenere una delle più grandi e evidente "macchie bianche" che fin dall'inizio hanno affascinato pubblico e ricercatori. Macchie che si sono dimostrate essere formate per lo più di sali. (NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI/LPI)
Lo studio ha rivelato che la densità della crosta è relativamente bassa, più vicina a quella del ghiaccio che della roccia, d’altra parte però uno studio precedente, di Michael Blend guest investigator della missione presso il U.S. Geological Survey, dimostra che il ghiaccio è troppo morbido per essere una componente dominante della crosta di Cerere, che si è sempre rivelata molto resistente: come può essere leggera quanto il ghiaccio, come densità, ma allo stesso tempo estremamente più dura?
Per rispondere a questa domanda un secondo studio ha costruito un modello della superficie di Cerere che evolve nel tempo. Roger Fu, della Harvard University di Cambridge, ha ottenuto informazioni sulla durezza e la composizione della crosta e dell’interno di Cerere, studiandone la topografia. Lo studio è stato pubblicato nel Journal of Earth and Planetary Science Letters.
Studiando l’evoluzione della topografia di un corpo planetario, gli scienziati sono in grado di comprenderne la composizione interna: una crosta robusta e dominata dalla roccia può restare immutabile per tutti i 4,5 miliardi di anni di vita del nostro Sistema solare, mentre una crosta più debole e ricca di ghiaccio e sali, nello stesso arco di tempo, è soggetta a trasformazioni.
I ricercatori, studiando quindi la topologia del pianeta nano, pensano che Cerere dovesse avere in passato strutture superficiali molto più pronunciate, che si sono addolcite e appianate nel tempo, il che richiede una superficie resistente ma posta sopra a uno strato di materiale più soffice e deformabile, che potrebbe contenere una componente liquida.
Un modello di questo tipo, che segue l’evoluzione di queste modifiche superficiali, ha mostrato come l’evoluzione “recente” di Cerere sia più simile a un modello che prevede una superficie composta si da ghiaccio, sali e roccia, ma con un componente addizionale, che la renda più dura: un clatrato idrato. Si tratta di strutture molecolari – “gabbie” composte da molecole d’acqua occupate e circondate da molecole di gas – da 100 a 1000 volte più forti del ghiaccio d’acqua, nonostante abbiano più o meno la stessa densità, il che giustificherebbe la durezza della crosta del pianeta nano nonostante la bassa densità mostrata.
La conclusione è quindi che Cerere fosse ricoperto nell’antichità da un enorme oceano, ora ghiacciato e intrappolato nella crosta superficiale del planetoide sottoforma appunto di ghiaccio, clatrato idrato e sali, e che sia in questo stato da almeno 4 miliardi di anni. Ma lo strato soffice sotto la superficie, che ha consentito in questo tempo l’evoluzione delle grandi strutture superficiali (e che potrebbe essere ancora in atto) porta a pensare che questo oceano globale non si sia completamente ghiacciato, ma abbia lasciato un residuo liquido sotto la superficie…
Un risultato oltretutto consistente con i numerosi modelli di evoluzione termica di Cerere, pubblicati prima dell’arrivo della sonda Dawn, e che supportano l’idea che Cerere possieda nel suo interno ancora di quell’acqua in forma liquida residuo di un antico oceano globale superficiale.
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Onde gravitazionali, Astronomia Multimessaggero, Missione VITA, espansione dell’UNIVERSO… TUTTO QUANTO sul nuovo numero di Coelum Astronomia!
Coelum Astronomia 216 di novembre 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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A Roma un ciclo di conferenze innovative ed emozionanti per scoprire aspetti poco noti e sorprendenti del Cielo e dell’Astronomia. Per studiosi, appassionati e curiosi.
30.11: Le luci del cielo
La luce è stato il primo (ed è ancora il più importante) messaggero che ci raggiunge dagli astri e su cui si basa l’astronomia. Cosa rende luminosi gli oggetti celesti? Cosa possiamo imparare dalla loro luce? Come facciamo a scoprire oggetti che non emettono luce? Ci occuperemo anche di casi bizzarri: perché la Luna piena è 11 volte più luminosa rispetto a quando è illuminata per metà? E perché appare così splendente pur essendo in realtà scurissima? Di quali astri riusciamo a vedere l’ombra per terra? E quali astri non vediamo più dall’Italia a causa dell’inquinamento luminoso? Non mancherà un cenno alla materia che non emette luce: dalla massa mancante alla Materia Oscura.
06.11: L’audacia degli astronomi (Storia della cosmologia)
Chi è stato il primo astronomo? (Ne sappiamo il nome!) Cosa lo ha spinto ad osservare il cielo? E cosa ha scoperto? Come abbiamo visto in alcune lezioni precedenti, l’Astronomia ha successo quando ti dice che l’universo non è come te lo aspettavi: alcuni astronomi sono stati capaci, nei secoli, di smentire le concezioni correnti e mostrare come sia fatto in realtà il cosmo, affermando idee audaci (se non rivoluzionarie!) e dimostrando che erano vere. Le vedremo, insieme a tanti colpi di genio di astronomi totalmente in anticipo rispetto ai loro tempi. 13.11: La fortuna degli astronomi
La fortuna aiuta gli audaci, si dice: in questa conferenza gli audaci sono gli astronomi, e la fortuna è quella circostanza che ha permesso ad alcuni di loro di fare scoperte fondamentali e del tutto inaspettate (oltre che, in alcuni casi, di salvare la propria vita!) Alle scoperte casuali e fortunose, e alle peripezie che molti astronomi hanno affrontato per riuscire nelle loro imprese, si affiancheranno anche episodi di grande spirito da parte degli scienziati, con alcuni clamorosi pesci d’aprile che fanno parlare ancora oggi.
20.11:A scuola di astronomia (didattica dell’astronomia)
Imparare l’astronomia può essere straordinariamente piacevole se si utilizzano alcuni metodi che illustriamo stasera! Vedremo come è facile fare, senza nemmeno usare un telescopio, osservazioni fondamentali: dai satelliti di Giove alla determinazione dell’orbita ellittica della Terra (nozioni che hanno cambiato la storia dell’astronomia), insieme ad esperienze semplici e sorprendenti che si possono fare in casa come costruire una meridiana con uno specchio od osservare le eclissi di Sole con un mestolo. Ci divertiremo infine a scorrere i più diffusi luoghi comuni sbagliati sull’astronomia e le notizie astronomiche più stravaganti date dai mass media.
Ingresso singolo 15 euro previa prenotazione e eventi@accademiadellestelle.org. Oppure iscrizione a tutti gli appuntamenti (il prezzo cala col progredire del corso). Inizio conferenze ore 21, presso la nostra sede di fronte alla fermata EUR Laurentina.
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 ottobre > 22:00 - 15 ottobre > 21:00 - 30 ottobre > 19:00 Crediti: Coelum Astronomia
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E. La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 novembre > 23:00 - 15 novembre > 22:00 - 30 novembre > 21:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Verso la mezzanotte si avvicinerà al “mezzocielo superiore” (il punto in cui l’equatore celeste taglia il meridiano, che alle nostre latitudini è situato a circa 48° di altezza) l’inconfondibile Orione, accompagnato da Toro, con le splendide Pleiadi e l’ammasso delle Iadi con Aldebaran, Gemelli e Cane Maggiore. Più in basso il meridiano sarà attraversato dalla estesa ma debole costellazione dell’Eridano. Cigno e Pegaso saranno al tramonto sull’orizzonte ovest, mentre dalla parte opposta del cielo starà sorgendo il Leone.
All’inizio di novembre il Sole si troverà ancora entro i confini della costellazione della Bilancia e solo il giorno 23 entrerà nello Scorpione, costellazione in cui non si “fermerà” per un mese intero, come di solito fa nelle altre, ma solo per una settimana. L’eclittica, infatti, passa nella parte alta dello Scorpione, attraversandola solo per un breve tratto, così che il giorno 30 il Sole sarà già nella costellazione dell’Ofiuco.
Nel corso del mese continuerà la discesa della nostra stella verso declinazioni e culminazioni al meridiano sempre più basse. Alle ore 0:00 del 1 novembre la sua declinazione sarà di -14,3°, mentre alle stessa ora del 1 dicembre avrà già raggiunto i -21,7°: questo si tradurrà in una perdita del periodo di luce (variabile secondo la latitudine) di circa 1 ora.
La notte astronomica, pertanto, comincerà in media verso le 18:30 e terminerà alle 5:30 circa.
FENOMENI E CONGIUNZIONI DI NOVEMBRE
Il mese di novembre sarà ricco di congiunzioni planetarie. In particolare sarà il nostro satellite naturale, la Luna, a far visita via via che passano i giorni, ai principali pianeti del nostro Sistema Solare: Giove, Saturno, Venere e anche Marte, nessuno sarà trascurato. Poiché in novembre il tramonto del Sole si farà sempre più anticipato, le ore di buio saranno considerevolmente più numerose rispetto ai mesi precedenti e avremo quindi la possibilità di osservare alcune congiunzioni già nel tardo pomeriggio, prima delle 18. Tenete d’occhio le nostre pagine e i nostri social, oppure…
Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di novembre su Coelum Astronomia 216 Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!
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La "colorsfera" del Sole. Sulla sinistra l'immagine del Sole nell'attimo seguente la fine della totalità, sulla destra lo spettro "flash" ottenuto con una esposizione di 1/30 sec. Crediti: ESA/M. Castillo-Fraile
Questa immagine colorata è uno “spettro flash della cromosfera” catturato durante l’eclissi solare totale che si è verificato negli Stati Uniti il 21 agosto di quest’anno, dal team della spedizione ESA che ha monitorato l’eclissi da Casper, nel Wyoming.
Durante un’eclissi, quando la Luna oscura temporaneamente la luce travolgente della fotosfera del Sole, gli astronomi possono effettuare misure non possibili in condizioni normali. Tra queste l’analisi della tonalità di rosso, normalmente invisibile, della cromosfera, lo strato dell’atmosfera solare direttamente sopra la superficie turbolenta della fotosfera.
Un’immagine di questo tipo può essere ottenuta solo dall’ultima e dalla prima luce del lembo solare, subito prima e subito dopo la fase totale dell’eclissi rispettivamente, quando è possibile riprendere questo tipo spettro chiamato “flash” proprio perché le misurazioni devono essere completate in pochissimi secondi. È così che l’emissione di luce che arriva dalla cromosfera del Sole può essere suddivisa in uno spettro di colori, che mostrano l’impronta digitale di diversi elementi chimici. L’emissione più intensa è dovuta all’idrogeno, così come l’emissione rossa in H alpha che vediamo all’estremo destro.
Nel mezzo, il giallo brillante corrisponde all’elio, un elemento scoperto proprio in occasione di uno spettro di questo tipo raccolto durante l’eclisse totale del 18 agosto 1868, anche se in quel momento ancora non si sapeva di cosa si trattasse. Solo tre decenni dopo, l’elio verrà scoperto sulla Terra e quello spettro associato ad esso, si scoprirà poi trattarsi del secondo più abbondante elemento nell’intero Universo, dopo l’idrogeno!
L’immagine è stata ripresa dal team del Cesar science educational project (European Space Astronomy Centre vicino a Madrid, Spagna). Altre immagini raccolte durante l’eclissi sono visibili sul sito del progetto Cesar eclipse.
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Leggi anche
➜ Eclissi storiche. I primi passi verso lo studio della parte esterna del Sole di Mario Rigutti
➜ Eclissi di Sole USA 2017. Le vostre migliori immagini e l’esperienza di chi era sul posto. Di Giovanna Ranotto, Corrado Lamberti, Giuseppe Conzo, Cristiano Secci e le immagini e i video di Simone Renoldi, Carlo Dellarole, Giovanni Mele, Aldo Dell’Acqua, Antonio Demichele, Luca Maccarini.
Coelum non è solo l’ultimo numero! Scegli l’argomento che preferisci e inizia a leggere! E’ gratis…
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it
CONVEGNI E INIZIATIVE UAI 21 ottobre – Riaccendiamo le stelle, giornata nazionale dell’inquinamento luminoso. La Commissione Inquinamento Luminoso UAI propone alle associazioni di organizzare eventi, star party pubblici e conferenze per sensibilizzare ed informare l’opinione pubblica sul tema dell’inquinamento luminoso.
28 ottobre – Moonwatch Party: La notte della Luna INAF-UAI. In occasione della International Observe The Moon Night (InOMN). Migliaia di postazioni osservative in decine di paesi di tutto il mondo allestite per osservare la Luna nella stessa serata. L’INAF e l’UAI aderiscono all’iniziativa mondiale InOMN promuovendo il Moonwatch Party. http://divulgazione.uai.it, http://www.media.inaf.it http://observethemoonnight.org
28 – 29 ottobre – 14° Meeting nazionale di Radioastronomia Amatoriale ICARA 2017. Il meeting nazionale sulle tematiche della radioastronomia amatoriale e delle strumentazioni relative, organizzato da SdR Radioastronomia UAI e IARA – Italian Amateur Radio Astronomy. http://radioastronomia.uai.it
Diffusore e relativo schema ottico. Crediti: RPC Photonics
Diffusore e relativo schema ottico. Crediti: RPC Photonics
È stato pubblicato il 5 ottobre scorso su The Astrophysical Journal un articolo che attesta la precisione delle misure ottiche raggiungibili da Terra per l’osservazione di esopianeti grazie all’utilizzo di un dispositivo ottico testato da un gruppo di astronomi della Penn State University. Il dispositivo oggetto di studio – tecnicamente un beam-shaping diffuser, prodotto nei laboratori della Rpc Photonicsdi Rochester (New York) – è un micro-componente ottico con il compito di distribuire la luce, proveniente dalla stella, su una superficie del sensore ottico maggiore di quella che coprirebbe senza diffuser.
Il test del dispositivo è stato condotto altelescopio Hale dell’Osservatorio Palomar, in California, al telescopio da 0.6 m Davey Lab Observatory della Penn State University e altelescopio Arc da 3.5 m dell’Apache Point Observatory, in New Mexico.
Ma perché “sparpagliare la luce” dovrebbe portare un beneficio alla qualità delle immagini?
A rovinare la qualità delle immagini da terra intervengono svariati fattori. In primis, costituisce un grande problema per gli astronomi e per chi progetta i telescopi l’atmosfera, che deteriora il seeing delle immagini (è la distorsione che si cerca di correggere con i sistemi di ottica adattiva). A parte i problemi relativi alla scintillazione del cielo – che riguardano solo le osservazioni da terra – rimane l’errore introdotto dalla disomogeneità nella risposta dei pixel del rivelatore, i quali non rispondono tutti allo stesso modo alla luce. Questo errore aumenta se la misura è basata su pochi pixel ma diminuisce proporzionalmente se si riesce a mediare la misura su un grande numero di pixel, compensando così statisticamente gli errori dei singoli pixel e ottenendo una migliore qualità dell’immagine.
Ecco dunque che la tecnica di distribuire la luce su una superficie maggiore – chiamata defocusing – permetterebbe di raggiungere precisioni molto elevate, ed è utile nel caso in cui quello introdotto dai pixel sia l’errore dominante, come succede nei telescopi spaziali, per i quali l’atmosfera non rappresenta un problema.
Alla ricerca di pianeti solari è dedicato il numero 215 di ottobre di Coelum Astrnomia, e proprio con Roberto Ragazzoni, assieme a Isabella Pagano e Giampaolo Piotto, andiamo invece alla scoperta del telescopio spaziale Plato, altra missione, quasi tutta italiana, che entrerà in campo dal 2025 per analizzare le atmosfere dei pianeti extrasolari. Cliccare sull’immagine per accedere alla lettura gratuita.
Ma è davvero efficace? Lo abbiamo chiesto a Roberto Ragazzoni, astronomo dell’Istituto nazionale di astrofisica all’Osservatorio di Padova, esperto di ottica e membro del board della missione spaziale europea Cheops (CHaracterizing ExOPlanets Satellite).
«Si tratta di un’applicazione interessante in tutte le situazioni in cui il telescopio o il rivelatore ottico non sono ottimali o allo stato dell’arte», spiega Ragazzoni. «Se applicata a telescopi sub-ottimali, questa tecnica permette di ottenere risultati molto buoni, pur non stabilendo un record nella qualità delle osservazioni (intendiamo sempre da Terra), consentendo di raggiungere un livello di misure di qualità medio-alta a una classe di rivelatori che altrimenti ne sarebbe esclusa. Esistono misure effettuate con i migliori rivelatori a disposizione in modo tradizionale che mostrano una precisione anche superiore: per citare un esempio, quelle fatte dal gruppo di Valerio Nascimbeni per cercare transiti di pianeti da Terra».
Chiediamo a Ragazzoni se questo tipo di tecnica verrà utilizzato anche per Cheops, la missione europea destinata allo studio dei pianeti extrasolari in partenza nel 2018. Cheops avrà il compito di compiere osservazioni molto precise di stelle attorno alle quali è già nota la presenza di pianeti o di cui ci sono forti indizi, con l’obiettivo di studiare la struttura di pianeti extrasolari con raggi che vanno tipicamente da 1 a 6 volte quelli della Terra e con masse fino a 20 volte quella del nostro Pianeta, in orbita attorno a stelle luminose.
«Anche il nostro gruppo di ricerca aveva valutato questa soluzione per Cheops, testando lo stesso dispositivo oggetto dello studio in laboratorio (vediMagrin et al., 2014), come citano anche loro nell’articolo. Nel caso spaziale questa tecnica avrebbe un piccolo margine di miglioramento netto, ma bisogna considerare», osserva Ragazzoni, «che sarebbe stata la prima volta che un dispositivo simile avrebbe volato nello spazio. Sia per cause termiche sia per un possibile annerimento del vetro a causa delle radiazioni a cui il telescopio è esposto durante il periodo della permanenza in orbita, sarebbe stato troppo rischioso adottare questa soluzione».
L’esposizione prolungata del vetro comune (borosilicato) alle radiazioni cosmiche può infatti produrre un annerimento e variazione nella trasparenza, con la conseguente perdita di qualità dello strato riflettente degli specchi o di altri dispositivi ottici (lenti, eccetera). Per le applicazioni spaziali è normalmente utilizzata una miscela di borosilicato con altre sostanze (per gli specchi lo ZeroDur, per le lenti il BK7 a cui si aggiunge ossido di cerio), che conferiscono al vetro la tipica colorazione leggermente giallognola rendendolo stabile alle radiazioni anche per anni.
«Anche per Cheops si userà una tecnica di defocusing», conclude Ragazzoni, «ossia di sparpagliamento della luce sulla superficie del sensore, ma la qualità ottica del telescopio si giocherà tutta sulla stabilità, dote fondamentale nel campo spaziale. Proprio recentemente è stata verificata in Svizzera la stabilità del telescopio, garantita dalle strutture in carbonio, ed è stata testata con successo con una precisione di pochi nanometri».
Per saperne di più:
Leggi su The Astrophysical Journlal l’articolo “Towards Space-like Photometric Precision from the Ground with Beam-Shaping Diffusers“, di Gudmundur Stefansson, Suvrath Mahadevan, Leslie Hebb, John Wisniewski, Joseph Huehnerhoff, Brett Morris, Sam Halverson, Ming Zhao, Jason Wright, Joseph O’rourke, Heather Knutson, Suzanne Hawley, Shubham Kanodia, Yiting Li, Lea M. Z. Hagen, Leo J. Liu, Thomas Beatty, Chad Bender, Paul Robertson, Jack Dembicky, Candace Gray, William Ketzeback, Russet McMillan e Theodore Rudyk
This chart shows the sprawling constellation of Hydra (The Female Sea Serpent), the largest and longest constellation in the sky. Most stars visible to the naked eye on a clear dark night are shown. The red circle marks the position of the galaxy NGC 4993, which became famous in August 2017 as the site of the first gravitational wave source that was also identified in light visible light as the kilonova GW170817. NGC 4993 can be seen as a very faint patch with a larger amateur telescope. Credit: ESO, IAU and Sky & Telescope
In questa impressione artistica due piccole ma estremamente dense stelle a neutroni stanno per fondersi ed esplodere in una kilonova! Un evento estremamente raro capace di produrre dia onde gravitazionali, che lampi gamma di breve durata, entrambi osservati il 17 agosto di quest'anno, dalla collaborazione LIGO-Virgo e dai telescopi Fermi e INTEGRAL rispettivamente. Le successive osservazioni con numerosi telescopi dell'ESO hanno confermato la natura di kilonova dell'oggetto, ospitata nella galassia NGC 4993, a circa 130 milioni di anni luce da noi. Sono le kilonovae le fonti principali nell'universo degli elementi chimici più pesanti, come l'oro e il platino. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick
I rumors giravano già qualche tempo fa, quando si è avuta la conferma del quarto evento di onde gravitazionali rivelato da LIGO e primo per l’interferometro di Cascina Virgo, un twit lasciava pensare che ci fosse dell’altro, che un altro evento fosse stato registrato e che ci fosse anche l’osservazione della controparte visuale… e finalmente è arrivata la conferma, che va oltre le aspettative! È stata effettuata la prima osservazione diretta della controparte visibile di una sorgente di onde gravitazionali, ovvero… si è riuscito a vedere da dove ha avuto origine e cos’è rimasto di quell’evento.
La correlazione tra le due osservazioni, gravitazionale ed elettromagnetica, è stata possibile grazie a una collaborazione globale e alla rapida reazione di tutti gli enti e gli osservatori partecipanti.
Ma andiamo con ordine, il 17 agosto 2017 l’interferometro LIGO negli Stati Uniti, in collaborazione con l’Interferometro Virgo in Italia, ha ottenuto la quinta rivelazione di onde gravitazionali, a cui è stata data la sigla GW170817. Solo due secondi più tardi, due Osservatori spaziali, il telescopio spaziale a raggi gamma Fermi, della NASA, e INTEGRAL dell’ESA hanno raccolto un lampo gamma di breve durata proveniente dalla stessa zona di cielo.
Grazie all'avvio delle attività dell'interferometro Virgo, nell'agosto 2017, è stato possibile restringere l'area di provenienza del segnale delle onde gravitazionali rivelate da LIGO. Sullo sfondo un'immagine tridimensionale della Via Lattea, centrata su di noi, sulla sfera celeste sono evidenziate le aree di provenienza delle onde gravitazionali rivelate fin'ora. In giallo l'area ben più limitata, identificata dalla collaborazione dei due interferometri, dell'onda di cui è stata trovata anche la controparte visuale. Crediti: LIGO/Virgo/NASA/Leo Singer/Axel Mellinger
L’area di provenienza di un’onda gravitazionale è sempre molto ampia, da qui la difficoltà a individuarne con esattezza l’origine, e in questo caso, proprio grazie alla collaborazione LIGO-Virgo, si è riusciti a identificarla in modo più preciso, con una regione del cielo meridionale comunque ancora ampia: circa 35 gradi quadrati, quanto svariate centinaia di lune piene e contenente milioni di stelle….
Dal Cile, appena calata la notte, si sono attivati diversi telescopi, per osservare a tappeto quell’area di cielo, alla ricerca di una sorgente. Tra gli altri: il telescopio nell’infrarosso e nel visibile VISTA dell’ESO e il VLT Survey all’Osservatorio Paranal, il telescopio italiano REM (Rapid Eye Mount) a La Silla dell’ESO, il telescopio da 0,4 metri LCO dell’Osservatorio di Las Cumbres e il DECam dell’Osservatorio Interamericano di Cerro Tololo. Ma il primo ad annunciare la presenza di un nuovo punto di luce è stato il telescopio da 1 metro Swope, quasi in contemporanea con le osservazioni di VISTA all’infrarosso.
La fonte sembrava molto vicina a NGC 4993, una galassia lenticolare nella costellazione dell’Idra, e man mano che la notte si è spostata verso ovest altri Osservatori da terra si sono attivati: dalle Hawaii, i telescopi Pan-STARRS e Subaru l’hanno individuata potendone anche osservare la rapida evoluzione.
Nella cartina l'Idra, la più ampia costellazione del cielo. La maggiorparte delle sue stelle sono visibili a occhio nudo, sotto un cielo buio. Il cerchietto rosso indica la posizione della galassia NGC 4993, che ha ospitato la kilonova GW170817. NGC 4993 può essere vista come una macchiolina molto tenue solo attraverso una buona strumentazione amatoriale. Crediti: ESO, IAU and Sky & Telescope
«Ci sono rare occasioni in cui uno scienziato ha la possibilità di assistere all’inizio di una nuova era», osserva Elena Pian, astronomo dell’INAF e autore principale di uno degli studi pubblicati su Nature. «Questo è uno di quelli!».
Nel diagramma la copertura delle differenti lunghezze d'onda dei numerosi strumenti dell'ESO che hanno osservato l'esplosione della kilonova in NGC 4993. Crediti: ESO
La galassia sarebbe presto stata troppo vicino al Sole per essere osservata, l’evento si sarebbe potuto seguire solo entro la fine di agosto, e alla improvvisa chiamata all’osservazione dell’ESO, una delle più ampie che siano mai state fatte, hanno risposto in molti tra gli Osservatori dell’ESO stesso e dei suoi partner: oltre al VLT anche il New Technology Telescope (NTT), il VST, il telescopio da 2,2 metri MPG e ALMA (l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e più di 70 Osservatori in tutto il mondo, incluso il telescopio spaziale Hubble (NASA/ESO). Tutti hanno osservato l’evento, la sua evoluzione e i suoi effetti su un ampio spettro di lunghezze d’onda (qui un elenco degli strumenti di alcuni osservatori utilizzati).
La galassia NGC 4993 ripresa da diversi strumenti e telescopi ESO, tutti rivelano la debole fonte di luce vicino al nucleo luminoso della galassia (sulla sinistra in alto). Oltre ad essere vista da Terra, l'esplosione, chiamata kilonova, ha prodotto sia onde gravitazionali, rivelate dagli interferometri di LIGO-Virgo, sia lampi gamma raccolti da Fermi e INTEGRAL dallo spazio. Credit: VLT/VIMOS. VLT/MUSE, MPG/ESO 2.2-metre telescope/GROND, VISTA/VIRCAM, VST/OmegaCAM
Sia le osservazioni telescopiche che quelle gravitazionali concordano sulla distanza dell’evento: l’onda è stata generata alla stessa distanza in cui si trova NGC 4993, circa 130 milioni di anni luce dalla Terra. Una conferma che la rende anche la sorgente più vicina di un’onda gravitazionale rivelata, e anche di uno tra i più brevi raggi gamma mai visti.
C’è da dire che un’onda gravitazionale di questo genere difficilmente avremmo potuto rivelarla se fosse stata più distante, era infatti significativamente più debole delle prime quattro. L’ipotesi quindi è che l’origine sia stata non la fusione di coppie di buchi neri, come nelle prime quattro onde rivelate, ma una kilonova, un evento esplosivo luminoso 1000 volte più di una nova, generata dalla fusione di due stelle a neutroni.
L’onda gravitazionale viene generata dal rilascio di energia del movimento dei due oggetti massici, come sono le stelle a neutroni, ma per poter essere sufficientemente ampia da essere “vista” dalla nostra strumentazione deve essere amplificata da un evento catastrofico, come l’improvvisa accelerazione dei due oggetti sul punto di fondersi e la conseguente esplosione di energia generata.
In aggiunta a questo, l’ipotesi principale per spiegare i lampi gamma di breve durata, vede proprio come sorgente la fusione di questo tipo di stelle. Le kilonovae sono quindi oggetti teorizzati da lungo tempo, più di 30 anni fa, ma non se ne era ancora mai osservata una, e la rilevazione simultanea del lampo gamma e dell’onda gravitazionale ha fatto pensare che forse la fine della caccia alla kilonova era vicina. Ma è grazie alle osservazioni dei telescopi ESO, che hanno rivelato una serie di proprietà dell’evento molto vicine a quelle delle previsioni teoriche, che se ne è potuta confermare l’identità.
In questo mosaico la kilonova (cliccare per ingrandire) diventa sempre più rossa fino a scomparire in una settimana circa dalla sua esplosione, il 17 agosto 2017. Questa immagine è stata ottenuta dal telescopio a infrarossi di VISTA, nell'Osservatorio cileno Paranal dell'ESO. Credit: ESO/N.R. Tanvir, A.J. Levan and the VIN-ROUGE collaboration
A seguito della fusione delle due stelle di neutroni, l’energia liberata ha provocato un’esplosione di elementi chimici pesanti in rapida espansione, a quasi un quinto della velocità della luce. La kilonova si è mostrata all’osservazione in un rapido cambiamento di colore dal profondo blu al profondo rosso nell’arco di una sola settimana, più repentino di qualsiasi altra esplosione stellare osservata.
«Quando lo spettro è apparso sui nostri schermi ho capito che si trattava dell’evento transitorio più insolito che avessi mai osservato», racconta Stephen Smartt, che ha condotto le osservazioni con il NTT dell’ESO, all’interno del progetto ePESSTO, una survey spettroscopica di oggetti transienti. «Non avevo mai visto niente di simile. I nostri dati, insieme a dati provenienti dagli altri gruppi, hanno dimostrato a tutti che questa non era una supernova o una stella variabile in primo piano, ma era qualcosa di molto notevole».
L’analisi degli spettri ha poi suggerito la presenza tra i resti diffusi nello spazio dall’esplosione di cesio e tellurium, indici della formazione di metalli più pesanti del ferro in reazioni nucleari all’interno di nuclei stellari a così alta densità, una nucleosintesi chiamata processo r anch’essa fin’ora solo teorizzata… per la prima volta abbiamo potuto assistere alla dispersione di questi elementi nello spazio e confermarne quindi la provenienza.
La fusione di due nuclei stellari ad altra densità, produce una violenta esplosione chiamata kilonova. SDa un evento del genere ci si aspetta l'espulsione nello spazio di elementi chimici pesanti, che alcuni dei quali vediamo indicati nell'illustrazione assieme al loro numero atomico. Credit: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser
Non deve stupire quindi che la notizia sia stata data in contemporanea da più fonti: tre eventi simultanei che si sono tenuti a Washington, con la conferenza stampa organizzata dalla collaborazione scientifica LIGO-VIRGO presso la National Science Foundation (NSF), a Monaco con la conferenza stampa dell’ESO (European Southern Observatory) nel suo quartier generale di Garching, e a Venezia dove si terrà una conferenza stampa organizzata dall’ESA (European Space Agency).
In un colpo solo sono tanti i risultati raggiunti, tante le previsioni e le teorie che trovano conferma e il tutto grazie a una inter-collaborazione senza precedenti di progetti e strumentazioni capaci di raccogliere e analizzare diversi tipi di segnali.
«I dati analizzati fin’ora corrispondono sorprendentemente alla teoria. È un trionfo per i fisici teorici, una conferma che gli eventi rivelati dalla collaborazione LIGO-Virgo sono assolutamente reali e un risultato sorprendente per l’ESO nell’aver raccolto tali quantitò di dati sulle kilonovae», aggiunge Stefano Covino, autore principale di uno degli studi su Nature Astronomy.
L’ultima parola a Andrew Levano, autore principale di un altro degli studi pubblicati: «La grande forza dell’ESO è stata di avere a disposizione una vasta gamma di telescopi e strumenti in grado di affrontare grandi e complessi progetti astronomici e di farlo in tempi brevi. È l’inizio di una nuova era di una astronomia “multimessaggero”!».
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Nei giorni 9,10,11 novembre 2017 si terrà a Bagnoregio (VT) un corso di aggiornamento per docenti nel settore dell’astronomia culturale realizzato in collaborazione dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dalla Associazione Romana Astrofili (ARA) e dalla Società Italiana di Archeoastronomia (SIA), con fondi erogati dalla Regione Lazio al Comune di Bagnoregio. Il responsabile del corso è il Dott. Ing. Vito Francesco Polcaro, Ricercatore Associato dell’INAF, membro del Centro interdipartimentale ACHe (“Astronomy and Cultural Heritage”) dell’Università di Ferrara e del Comitato Direttivo della SIA e socio ARA. Il corso verrà realizzato tramite lezioni frontali ed esercitazioni sul campo nel rilievo archeoastronomico e verterà sui vari argomenti di astronomia posizionale; storia dell’astronomia occidentale, moderna, dell’astronomia cinese, archeoastronomia, procedure e metodiche scientifiche e interdisciplinari, etnoastronomia. La graduatoria verrà effettuata in ordine di prenotazione via mail dal sito www.ara.roma.it. Il numero massimo dei partecipanti è comunque fissato in 20; nel caso in cui non lo si raggiunga, il corso sarà aperto anche ad operatori del settore sino ad esaurimento dei posti. Per maggiori dettagli sui contenuti e la struttura delle lezioni, sui posti disponibili e gratuità scaricare il PDF con il programma.
L’annuncio del corso è stato pubblicato sul sito dell’Ufficio Scolastico Regionale Lazio. Per informazioni: Tel. 339-7900809 – ara.roma.it
Comune di San Marcello Piteglio
UAI – Unione Astrofili Italiani, GAMP – Gruppo Astrofili
Montagna Pistoiese
Nei giorni 28 e 29 ottobre 2017 presso l’Osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese, struttura del Comune di San Marcello Piteglio, organizzato dal GAMP – Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese – con il patrocinio della UAI – Unione Astrofili Italiani – si svolgerà un imperdibile e prestigioso evento: si terrà, infatti, uno specifico corso sugli Asteroidi tenuto da due importanti astronomi italiani.
Il corso è rivolto a coloro che sono appassionati dello studio dei corpi minori del Sistema Solare, i quali avranno un’occasione davvero unica per conoscere le metodologie utilizzate dai professionisti per studi scientifici da svolgere sugli asteroidi, anche attraverso l’utilizzo di software specialistici.
I relatori del corso, infatti, saranno gli astronomi Fabrizio Bernardi, Amministratore di SpaceDys e curatore del sito NeoDys, co-scopritore del famoso asteroide Apophis e della cometa 268P/Bernardi ed Albino Carbognani, coordinatore della ricerca scientifica presso l’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma della Valle d’Aosta (OAVdA),
e responsabile della ricerca sugli asteroidi, in particolare per quanto riguarda l’aspetto fotometrico. L’evento è reso ancor più esclusivo poiché sarà la prima volta che due professionisti metteranno a disposizione di astrofili ed appassionati, le loro competenze in un vero e proprio corso formativo.
Interverranno anche Paolo Bacci, Responsabile della Sezione di Ricerca Asteroidi dell’UAI – Unione Astrofili Italiani – e Luca Buzzi esperto astrofilo dell’Osservatorio Astronomico Schiaparelli di Varese.
Il corso, come già accennato, si svolgerà in due giornate nelle quali verranno illustrate le principali caratteristiche degli asteroidi: dalla loro formazione alla loro classificazione e caratterizzazione morfologica, con approfondimenti sulla dinamica celeste e l’eventuale pericolo di impatto con la Terra; dalle metodologie utilizzate per misurare la posizione sulla sfera celeste per determinarne l’orbita, allo studio fotometrico per individuare il periodo di rotazione, lo spin e la forma in 3D.
Di seguito è riportato il programma di massima:
PROGRAMMA
Sabato 28 Ottobre
14:00 ritrovo in osservatorio
14:30 saluti autorità
15:00 Introduzione agli asteroidi (Paolo Bacci)
15:30 Foto di gruppo
16:00 Astrometria (Fabrizio Bernardi)
17:00 pausa caffe
17:30 Astrometria (Fabrizio Bernardi )
cena Domenica 29 Ottobre
09:00 Inizio lavori
09:30 Astrometria (Luca Buzzi )
10:00 Fotometria (Albino Carbognani)
11:00 pausa caffè
11:30 Fotometria (Albino Carbognani )
12:30 Saluti
Il corso è aperto ad un massimo di 50 persone.
Per maggiori informazioni scrivere a
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it
CONVEGNI E INIZIATIVE UAI 7-8 ottobre – 1° Meeting nazionale Sistema Solare. Il Meeting tematico UAI, per la prima volta “unificato”, sulle osservazioni planetarie, solari e lunari. Organizzato a Bologna dalle SdR Pianeti, Sole e Luna, con la collaborazione dell’Associazione Astrofili Bolognesi. http://pianeti.uai.it – http://sole.uai.it – http://luna.uai.it
21 ottobre – Riaccendiamo le stelle, giornata nazionale dell’inquinamento luminoso. La Commissione Inquinamento Luminoso UAI propone alle associazioni di organizzare eventi, star party pubblici e conferenze per sensibilizzare ed informare l’opinione pubblica sul tema dell’inquinamento luminoso. http://inquinamentoluminoso.uai.it/
28 ottobre – Moonwatch Party: La notte della Luna INAF-UAI. In occasione della International Observe The Moon Night (InOMN). Migliaia di postazioni osservative in decine di paesi di tutto il mondo allestite per osservare la Luna nella stessa serata. L’INAF e l’UAI aderiscono all’iniziativa mondiale InOMN promuovendo il Moonwatch Party. http://divulgazione.uai.it, http://www.media.inaf.it http://observethemoonnight.org
28 – 29 ottobre – 14° Meeting nazionale di Radioastronomia Amatoriale ICARA 2017. Il meeting nazionale sulle tematiche della radioastronomia amatoriale e delle strumentazioni relative, organizzato da SdR Radioastronomia UAI e IARA – Italian Amateur Radio Astronomy. http://radioastronomia.uai.it
Corsi di Astronomia a Roma.
L’anno Accademico 2017-2018 della nostra Scuola di Astronomia si apre con due corsi, uno il lunedì, l’altro il giovedì, che dureranno per tutto ottobre e novembre alla nostra sede dell’EUR.
Da lunedì 2 ottobre: L’astronmia insolita e curiosa. Una raccolta delle più curiose e interessanti nozioni, raramente divulgate al pubblico, per scoprire gli aspetti più insoliti ed increduli del cielo e della scienza che lo studia.
Da giovedì 5 ottobre ottobre: Come si osserva il cielo. Corso base completo di astronomia pratica: tutte le competenze che servono per diventare astrofili! Con guida alla scelta del primo telescopio, tecniche osservative e fotografiche e lezioni pratiche sotto le stelle.
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
telescopioremoto.uai.it
7-8 ottobre – 1° Meeting nazionale Sistema Solare Il Meeting tematico UAI, per la prima volta “unificato”, sulle osservazioni planetarie, solari e lunari. Organizzato a Bologna dalle SdR Pianeti, Sole e Luna, con la collaborazione dell’Associazione Astrofili Bolognesi. http://pianeti.uai.it – http://sole.uai.it – http://luna.uai.it
Come ricorderete, Rosetta aveva terminato la sua missione il 30 settembre 2016 all’interno dell’ellisse designata, di 700×500 metri, tra due pozzetti nella regione Ma’at, un’area di interesse sul piccolo lobo della cometa.
L’ultima immagine ricevuta era stata scattata dal sistema di imaging OSIRIS quando la sonda stava per toccare il suolo, da un’altezza di soli 23,3 – 26,2 metri.
La foto mostrava una zona sfocata di terreno perché le fotocamere NAC e WAC non erano progettate per riprendere soggetti così ravvicinati (la NAC iniziava ad avere problemi di messa a fuoco a 1 chilometro dal nucleo, la WAC a circa 200-300 metri di distanza).
Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA
Successivamente, però, gli scienziati si sono resi conto che Rosetta aveva riservato loro ancora un regalo:
“Più tardi, abbiamo trovato alcuni pacchetti di telemetria sul nostro server e abbiamo pensato, WOW, potrebbe essere un’altra immagine“, ha dichiarato nella press releaseHolger Sierks, ricercatore principale per OSIRIS presso il Max Planck Institute for Solar System Research in Germania.
Durante le operazioni, le immagini erano state suddivise in pacchetti di dati a bordo di Rosetta prima dell’invio a Terra. Le ultime, prese prima del touchdown, corrispondenti a 23.048 byte ciascuna, erano state suddivise in sei pacchetti.
Per l’ultima immagine la trasmissione si era interrotta dopo tre pacchetti completi, inviati e ricevuti, per un totale di 12.228 byte, cioè poco più della metà di un’immagine completa. Ma questi, non erano risultati sufficienti al software di elaborazione automatica utilizzato per ricostruire i dati che, di fatto, non aveva riconosciuto l’ultima immagine. Tuttavia, gli ingegneri non si sono arresi riuscendo a dare un senso a quei frammenti ed ecco la sorpresa: la foto che vedete in apertura,
un metro quadrato di Chury visto da 17,9 – 21,0 metri di quota.
Purtroppo, oltre alle capacità di messa a fuoco delle fotocamere, altri dettagli sono andati persi: i dati, infatti, non sono stati inviati pixel per pixel ma a strati, dove ogni livello avrebbe aggiunto maggiore definizione.
Chissà se il prezioso bottino restituito dalla missione non nasconderà ancora qualcosa? 😉
La vita dell’astrofotografo può essere complicata; per ottenere buoni risultati, infatti, deve disporre di un computer di controllo e di vari dispositivi elettronici che gli rendono complessa l’installazione del telescopio sul campo (spesso in luoghi lontani, con basso inquinamento luminoso) anche a causa dei moltissimi cavi che possono inavvertitamente staccarsi durante l’utilizzo! Inoltre i computer portatili hanno un elevato consumo e quindi richiedono grandi e pesanti batterie per rimanere in funzione tutta la notte.
Arisolvere tutti questi problemi e rendere l’astrofotografia più facile e veloce, ci ha pensatoPrimaluceLab,la nota azienda di Pordenonespecializzata nello sviluppo di nuovi sistemi che, grazie alla compatibilità fra i diversi componenti, consentono di scoprire l’Universo con massima facilità d’uso e garanzia dei risultati. Tra questi la linea Eagle e soprattutto il neonato EAGLE2.
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Come spiega Filippo Bradaschia nella sua videopresentazione, «EAGLE2 non è solo un computer, ma un’innovativa unità di controllo del telescopio che si occupa sia di comandare tutti gli strumenti che compongono il setup fotografico che di alimentarli».
Grazie al basso consumo di corrente elettrica, è lo strumento perfetto per chi si sposta con il proprio telescopio alla ricerca di cieli non inquinati e che quindi può alimentare tutto il proprio strumento anche con compatte e leggere batterie da campo, come quelle al litio. Ma è perfetto anche per chi ha bisogno anche di grande potenza di calcolo per l’astrofotografia avanzata: ad esempio per l’automazione delle riprese del profondo cielo o per la fotografia planetaria e lunare con le apposite camere USB 3.0 (che possono così registrare video ad elevati fps nel veloce disco SSD).
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EAGLE2 unisce in un solo dispositivo un potente computer (non un miniPC!) con sistema operativo Windows 10 Enterprise (più stabile e leggero dei normali computer) al più avanzato sistema di alimentazione per telescopi per consentirvi di fare astrofotografia in maniera più semplice e veloce!
Grazie al sistema WiFi integrato è possibile controllare l’intero telescopio in remoto dallo smartphone, dal tablet o da un computer esterno (anche Mac) e lo speciale case in alluminio compatibile con il sistema PLUS può essere collegato in molti modi al telescopio sempre con massima rigidità.
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Cosa è possibile fare con EAGLE2
• Controllare qualsiasi montatura dal software planetario: grazie al software SkyCharts preinstallato su ogni EAGLE2, superi i limiti delle normali pulsantiere di controllo delle montature avendo a disposizione un fantastico planetario per spostarti nel cielo notturno. Accedi a milioni di oggetti, tutti con moltissimi dati e punta il telescopio (compatibile con le montature dotate di driver ASCOM) dove vuoi, semplicemente selezionando l’oggetto che vedi sullo schermo!
• Controllare la reflex digitale o la camera CCD in remoto: installa su EAGLE2 il software per Windows fornito con la camera (non incluso in EAGLE2) che usi per l’astrofotografia e trasformala in una camera wireless! Puoi osservare l’immagine in tempo reale sullo strumento che usi per controllare il tuo telescopio con EAGLE2 e salvarla su EAGLE2 stesso o su una penna USB per importarla nel computer con cui elabori le foto!
• Impostare e usare l’autoguida in maniera semplice: EAGLE2 viene fornito con il software PHD2Guiding pre installato quindi vi consente di effettuare l’autoguida con moltissime camere e montature! Osserva l’immagine della stella di guida e il grafico delle correzioni automatiche, potrai così verificare la correttezza di inseguimento della tua montatura anche nelle pose astrofotografiche molto lunghe.
• Espandere le funzionalità installando nuovi software: EAGLE2 utilizza il sistema operativo Windows quindi potete espanderne le potenzialità in maniera molto semplice, caricando il software astronomico che preferite, proprio come un normale computer.
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Il nuovo software integrato EAGLE Manager mostra in tempo reale lo stato di connessione delle periferiche, i consumi di ogni singolo dispositivo e la durata della batteria: potrete così monitorare, anche in remoto, lo stato del vostro telescopio durante la cattura delle astrofotografie! Grazie all’innovativo progetto protetto da domanda di brevetto internazionale e modello di utilità italiano, non avrete più bisogno di scomodi computer portatili o grandi batterie sul campo. EAGLE, molto più di un computer!
I vantaggi di EAGLE2
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• Più facile da usare: elimina la necessità di usare un computer esterno. Visto che EAGLE2 si collega direttamente sul telescopio e ruota insieme alla montatura mentre questa insegue gli astri in cielo, il problema dei cavi che possono staccarsi da soli durante le riprese fotografiche viene superato. I cavi USB e di alimentazione non potranno staccarsi inavvertitamente in quanto EAGLE2 si muove insieme al telescopio!
• Più compatibile: consente il controllo remoto via ethernet o WiFi da qualsiasi dispositivo (smartphone, tablet, computer) con qualsiasi sistema operativo (iOS, OSX, Android, Windows). E’ compatibile con tutti i software per astrofotografia e con tutti i telescopi, camere CCD, camere di guida e montature computerizzate.
• Più efficiente: gestisce l’alimentazione di tutti i componenti del telescopio e riduce la dimensione e il peso delle batterie necessarie al funzionamento di tutta la strumentazione. Per il controllo remoto EAGLE2 non usa VNC o altre soluzioni simili ma il Remote Desktop integrato nella licenza Enterprise del sistema operativo: per questo è più veloce e non richiede altro software da installare/impostare.
• Più stabile: utilizza un sistema Windows 10 Enterprise, più leggero e stabile rispetto ai PC tradizionali (che utilizzando Windows 10 normale o OEM hanno tanti programmi inutili preinstallati che rendono il sistema più lento) ma compatibile al 100%. EAGLE2 utilizza componenti interni progettati anche per l’uso sul campo e con un range esteso di temperature.
• Più trasportabile: è leggero e compatto, pesa solo 1200 grammi e si integra perfettamente nel sistema PLUS. Se non avete un elemento PLUS o utilizzate un telescopio di altro marchio, vi basta aggiungere il nostro “Morsetto PLUS Vixen + Losmandy” a EAGLE2 per collegarlo alla barra Vixen o Losmandy del vostro telescopio.
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Per maggiori informazioni consultate il sito del produttore PRIMALUCELAB
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Una falce di Luna crescente (fase del 37%) affiancherà Saturno (mag. +0,5) a 4° circa di distanza, subito a ovest del ramo estivo della Via Lattea, ancora visibile nel cielo di sud-sudovest. La luminosità della falce di Luna potrebbe rendere difficile, ma non impossibile, la ripresa del ricco campo stellare assieme ai due astri principali. Anche la stella Sabik (eta Ophiuchi; mag. +2,4) farà mostra di sé a circa 3,5° dalla Luna, ma non solo… all’ora indicata in cartina, riusciremo a riprendere in un’immagine di paesaggio anche la rossa Antares (alfa Scorpionis; mag. +1,1), a circa 11° a sud della coppia, che tramonterà però molto presto.
Dal Nord e Centro Italia, a partire dalle 20:23 circa, nei pressi della congiunzione, si potrà osservare il primo tratto del passaggio della Stazione Spaziale Internazionale (visibile comunque da tutta Italia, vedi la Rubrica ISS su Coelum 215).
La sera successiva, il 27 settembre, la Luna , nel suo moto retrogado, avrà superato Saturno e si troverà a circa 8° a nordest del pianeta, ma sarà ancora possibile riprendere i due astri immersi nella cornice del panorama.
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