Un montaggio delle immagini della Webcam di Mars Express scattate nel 2012. Copyright: ESA- VMC Mars Web cam – Elaborazione: Emily Lakdawalla, Planetary Society.
Una camera ordinaria in un posto straordinario: così la descrive l’ESA. In un mondo mediatico fatto di telecamere nascoste che spiano e ritrasmettono online una quotidianità spesso inutile, quasi sempre scontata, ce n’è una, di webcam, che merita tutta l’attenzione possibile. E’ lontana da noi centinaia di milioni di chilometri, ha una storia travagliata, e si chiama Visual Monitoring Camera, VMC o Mars Webcam per gli amici. E’ a bordo della sonda Mars Express, in orbita intorno a Marte dal 2003. Come una vera webcam, VMC spia il pianeta rosso, e da qualche tempo pubblica senza filtro e in tempo reale le immagini scattate, in un account Flickr aperto al pubblico.
Un montaggio delle immagini della Webcam di Mars Express scattate nel 2012. Copyright: ESA- VMC Mars Web cam – Elaborazione: Emily Lakdawalla, Planetary Society.
Le singole immagini che compongono il mosaico di oggi sono state realizzate da maggio a dicembre 2012, a intervalli di tempo non costanti, e processate per creare questo magnifico poster da Emily Lakdawalla, della Planetary Society.
Tutte le foto sono state scattate da una altitudine di circa 10 000 Km dal pianeta ma con un punto di vista che cambia nei mesi, in funzione dell’orbita della sonda Mars Express. Nella loro sequenza, si possono leggere i cambiamenti climatici che avvengono sul pianeta Marte al passare dei mesi. Nelle prime immagini, realizzate a Maggio, è inquadrata l’estate e il ghiaccio si è ritirato intorno al polo nord del pianeta. In quel momento, l’orbita della sonda viene modificata per supportare l’arrivo di Curiosity, inquadrando la zona dell’atterraggio. A fine settembre, la traiettoria seguita dalla sonda fa perdere di vista il polo nord e l’attenzione si focalizza, nelle immagini realizzate tra maggio e giungo, sulle impressionanti strutture di nubi che si iniziano ad avvistare.
Malgrado la bassa risoluzione, tipica di una webcam, alcune di queste immagini meritano decisamente di essere ingrandite e osservate in dettaglio. Ma per questa operazione non è necessario far parte del team dell’ESA, scaricare software particolare o aspettare i tempi storici di un embargo. Basta digitare l’indirizzo del Blog, diventare fan dell’account Flickr o follower del loro account twitter. Perché da qualche settimana, VMC è l’unica camera attualmente esistente che condivide in tempo reale raw data con il pubblico.
La storia di VMC, che ha permesso alla camera di conquistare questo brillante primato, è particolare, fatta di impegno, di imprevisti, di fallimenti e di enormi successi. Un destino che testimonia la vita travagliata e avventurosa di una missione spaziale. All’inizio, VMC è nata come il più piccolo tra gli strumenti scientifici a bordo di Mars Express, tra cui brillano gli italiani Marsis e PFS. Anzi a dire il vero, VMC non è mai stata un vero e proprio strumento scientifico. Era stata pensata come una camera low cost, montata a bordo della sonda con l’obiettivo di scattare delle immagini del distacco della sonda Beagle 2 nel 2003. Ignara del triste destino che attendeva Beagle 2, VMC compie lo scopo per cui è stata costruita fotografando la separazione del lander. Dopo quel momento di gloria, la camera viene spenta e non se ne sente più parlare per diversi anni.
Nel 2007, il Flight Control Team della missione, di base all’ESOC (European Space Operations Centre) a Darmstadt, in Germania, ha una idea brillante e inizia una campagna di test per verificare se è possibile riaccendere quella piccola camera per realizzare delle immagini globali di Marte. E’ una vera scommessa, il team non ha idea se dopo tre anni di inattività la camera possa essere riaccesa. Inoltre il Flight Control Team è un team composto da ingegneri e tecnici e di solito non si occupa degli obiettivi scientifici della missione. Il team deve imparare un altro lavoro e, nei pochi momenti liberi, inventare un nuovo modo di utilizzare una piccola, semplice camera, nata per fare altro.
Ma VMC si riaccende, eccome. E nei rari momenti in cui non hanno la priorità gli strumenti scientifici di Mars Express, gli ingegneri imparano ad utilizzare la camera e, di errore in errore, riescono a realizzare i primi ritratti del pianeta. Tra vari problemi tecnici che focalizzano l’attenzione del team su altri aspetti della missione e lunghi periodi di spegnimento della webcam, la VMC diventa completamente operativa da maggio 2012. Da quel momento, e nel rispetto degli altri task scientifici, l’uso di VMC è inserito nelle campagne osservative di Mars Express e la webcam adempie al compito, unico nel suo genere, di realizzare foto globali di Marte da una prospettiva unica. E da qualche tempo, inviarle direttamente sul web in tempo reale e in formato raw.
Ma le sorprese non sono finite, e grazie all’inventiva del Flight Control team i fans del pianeta rosso non si dovranno accontentare di godere di queste meraviglie in tempo reale, ma potranno partecipare in prima persona all’avventura marziana. Identificare crateri, vulcani e altre strutture geologiche, studiare il post processing delle immagini, proporre usi didattici e perché no, artistici delle immagini stesse: queste sono le scommesse lanciate dal team della missione e la sfida è lanciata a tutti gli aspiranti esploratori spaziali, invitati a iniziare il proprio viaggio verso Marte da una semplice (e molto terrestre) pagina web.
18.01, ore 21: “L’effetto dei fenomeni astronomici sul presente e il futuro dell’umanità” di Elio Antonello.
Per info: Tel. 0341 367 584
www.deepspace.it
Ivan Coccarelli durante la realizzazione del suo Parco del Tempo, le Torri Cosmiche, accanto alla Meridiana Aurora
Molti anni fa leggendo un testo di astronomia rimasi estremamente affascinato dai racconti sui culti sothiaci dell’Antico Egitto legati all’alba eliaca della stella Sirio; essi svelavano agli occhi di un bambino l’antico legame esistente tra cielo e terra, tra l’uomo e il cosmo…
Inoltre, le mie prime esperienze di astronomia pratica, realizzate con un piccolo rifrattore, avvenivano di frequente in campagna dai nonni e le emozioni all’oculare spesso si fondevano con gli odori agresti del fieno o, in autunno, del mosto. Ciò, molto probabilmente, instillò in me l’interesse nei riguardi delle relazioni intercorse nei tempi tra il mondo agricolo e le “cose” celesti.
Negli anni, ispirato da quelle lontane esperienze, ho proposto, nell’ambito di varie progettazioni, tematiche poste all’interfaccia delle dimensioni cielo e terra.
L’ultima delle fatiche è stato il progetto delle “Torri Cosmiche”. L’idea progettuale nasce nel 2009, in occasione dell’IYA2009 indetto dall’UNESCO, e l’opera è stata finanziata dalla Regione Lazio.
“Le Torri Cosmiche” come tipologia di opera rientrano nei parchi pubblici a carattere tematico.
Tale opera in particolare vuole essere parte di un sistema progettuale più ampio e complesso definito PET : “Parchi Europei del Tempo”. I PET a loro volta vogliono essere una rete europea di parchi in cui il tema principale risulti il “tempo” nei suoi svariati aspetti, dal suo significato etimologico al concetto di storia, memoria collettiva, ecc. Il primo parco PET è stato realizzato nel 2001, finanziato dalla Comunità Europea e nato dal recupero di una ex cava di materiale lapideo (Parco Astronomico Sothis).
Ma torniamo alle “Torri Cosmiche”, il nome del parco trae origine dagli elementi architettonici principali : tre torri in acciaio corten.
Essesono dei calendari astronomici, veri e propri gnomoni/menhir che, tramite fenditure che li attraversano, permettono ai raggi solari di colpire in certi giorni dell’anno (solstizi ed equinozi) delle lastre in marmo poste ai piedi delle torri stesse e sulle quali sono incise alcune costellazioni e simboli zodiacali. Le figure incise sulle lastre marmoree rappresentano la costellazione passante al meridiano celeste del luogo intorno alla mezzanotte vera di quel giorno in cui al mezzodì il raggio di luce solare aveva illuminato la specifica lastra.
Un particolare della lastra marmorea che viene illuminata dal sole il giorno del solstizio invernale
Le costellazioni scelte, che vogliono essere (a nostro parere) quelle che rappresentano il cielo notturno nei periodi d’ingresso alle quattro stagioni, ricordano le immagini dell’Atlante astronomico di Hevelius e rispetto alla posizione reale sulla sfera celeste risultano in posizione speculare.
Ciò, non solo per sublimare il fatto che, quando a mezzodì la costellazione rappresentata sulla lastra viene illuminata, essa si localizza realmente sulla sfera celeste in posizione diametralmente opposta a quella del Sole, ma anche per aver immaginato di guardare le costellazioni come riflesse in uno specchio d’acqua.
Particolare della lastra marmorea dell'equinozio.
Il riferimento all’elemento “acqua” non risulta casuale ma come vedremo coerente con le prospettive progettuali complessive.
Le Torri inoltre raccoglieranno la luce della nostra stella (Il Sole) e, quando al tramonto il cielo svela i segreti del cosmo, emetteranno segnali elettromagnetici verso l’equatore celeste.
Il flusso energetico solare attraversando le Torri si trasformerà in segnali vitali verso il cosmo.
L’accensione e lo spegnimento del sistema di trasmissione sarà gestita utilizzando un codice ASCII ricavato dal testo del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” (Galileo Galilei, 1632). Tali segnali in codice binario rappresenteranno un tentativo simbolico di inviare un messaggio verso altri mondi utilizzando il linguaggio della matematica: l’opera di Galileo trasformata in sequenza binaria!
Infine le torri emetteranno delle vibrazioni acustiche secondo modalità dettate da un sistema semi-randomico che esegue una catena di Markov producendo una sorta di “sinfonia” (non ripetitiva) della durata di 100 anni! …in attesa del 500° anniversario del telescopio galileiano (IYA2109).
Oltre alle Torri in acciaio in questo Parco del Tempo si svilupperà un percorso didattico-scientifico integrabile e sviluppabile nel tempo, anche in possibile connessione con altri siti europei, avente come tema “La misura del tempo nella storia dell’uomo”.
Inoltre la presenza nel settore di elementi rispetto ai quali il progetto PET risulta molto sensibile, ha indotto a tracciare e sviluppare nel contesto delle Torri Cosmiche interventi di recupero finalizzati alla “Valorizzazione degli ambienti ipogei, delle risorse idriche sotterranee e dei punti di emergenza (fonti) e della facies culturale connessa (Mundus Cereris)”.
In questo settore della Valle Latina in particolare, durante gli scavi TAV nei pressi di una fonte scavata nel tufo, sono venuti alla luce i resti di un santuario dedicato alla dea Demetra nel quale si svolgevano ritualità stagionali a partire dal IV sec. a.C. ed in particolare il rito del “porcellino” come testimoniato dalla stratigrafia dei pozzi votivi rinvenuti.
La presenza in questi ultimi di ossa di animali (tipicamente maialini) e resti di semi carbonizzati testimoniano un culto centrato su rituali propiziatori delle attività agricole durante i quali le parti solide venivano affidate alla terra e offerte al mondo ctonio, mentre il fumo degli arrosti sacri e delle piante aromatiche s’innalzava invece verso il cielo ed era offerto agli dei celesti. Menhir posti in questi luoghi poi rappresentavano un ancestrale ponte eretto tra il cielo verso cui maestosamente si protendevano e la terra in cui erano infissi, archetipi di lorenziani “attrattori caotici” e d’imperscrutabili fantasie sintropiche, erano gli elementi architettonici perfetti all’ombra dei quali riunirsi e celebrare questi riti stagionali di ricongiunzione degli uomini col mondo divino degli inferi e dei cieli.
Tale vocazione di questo territorio a ritualità stagionali, che si svolgevano tipicamente nei pressi delle fonti e di ambienti tufacei (il tufo vulcanico è contemporaneamente relativamente facile da lavorare e scavare ma abbastanza solido ed autoportante), ha portato in particolare in fase progettuale a sviluppare la valorizzazione di una fonte d’acqua che si localizza topograficamente ad Est delle Torri Cosmiche.
La scelta del sito, oltre alle sue peculiarità e valenze idrologiche intrinseche, è motivata dal valore simbolico che assume nel contesto di questo parco del tempo: all’equinozio i raggi del Sole nascente, prima di attraversare la porta equinoziale che verrà realizzata nelle vicinanze delle Torri, si bagneranno simbolicamente nelle acque della fonte. Luce, acqua, terra; elementi dal cui abbraccio nasce la vita.
Il sito della fonte è strutturato inoltre come se fosse una porta aperta nell’ambiente ipogeo; tale “porta” sembra essere rivolta verso l’esterno nella direzione in cui il Sole sorge al Solstizio d’estate (nord-est): in quel periodo dell’anno i raggi del Sole penetrano nel varco aperto sul mondo sotterraneo per illuminare il Mundus Cereris .
Il mito di Sothis svela l’antico connubio tra le attività rurali e le stelle: per migliaia di anni i ritmi dei fenomeni celesti scandirono le attività di uomini perfettamente integrati nell’ecosistema naturale. Essi sapevano ascoltare i lievi ed impalpabili messaggi del cosmo e trarne profitto anticipando i mutamenti naturali; cioè impararono, a differenza dell’uomo moderno, a “progettare” per prevenire ed ottimizzare le interazioni con la natura, o meglio a “sintonizzarsi” con i fenomeni naturali
Ulteriori interventi proposti in questo ambito progettuale riguarderanno la “Valorizzazione del mondo agricolo e della facies culturale connessa (Museo dell’agricoltura e Faro della memoria – Antiche ritualità dionisiache – Rapporti tra astronomia e civiltà agricola : il mondo di Sothis e Demetra)”.
Si propone in particolare la realizzazione di un’area museale (Museo della civiltà agricola) all’interno di un futuro complesso polifunzionale; quest’ultimo si qualificherà come “faro” sul territorio: il “Faro della Memoria” (Complesso polifunzionale e Centro per la promozione di attività e prodotti locali) come luogo in cui le dimensioni Spazio, Tempo e Memoria s’intrecciano in modo virtuoso.
Così come la quercia, che ha bisogno di affondare sempre più le radici nella terra per poter elevare i propri rami al cielo, il nostro territorio deve immergere le sue radici nel fiume sotterraneo della memoria per poter disegnare nuove linee sull’orizzonte degli eventi.
Nei PET si propone, quindi, un viaggio nelle proprie tradizioni, ripercorrendo i sentieri di antiche ritualità alla ricerca del Deus Loci. In questo viaggio nella memoria dei luoghi si apriranno e si dispiegheranno orizzonti antichi, ora velati dal tempo, capaci di interagire in modo attivo con il nostro orizzonte storico.
Inevitabile è in questo viaggio l’incontro con la madre di tutte le discipline scientifiche: l’Astronomia.
Il cielo e le sue stelle furono riferimenti fondamentali per le primitive civiltà stanziali ed agricole, particolarmente per scandire il tempo delle loro attività.
Il Quadrante astronomico Sothis
Riti stagionali, culti, divinità traevano origine dall’interazione di problematiche pratiche (semina, raccolto agricolo, ecc.) con l’osservazione dei cicli naturali (giorno, notte, equinozio, solstizio, lunazione, ecc.) e delle forze naturali alle quali gli umani sembravano assoggettati in modo indecifrabile. In quel mondo lontano molte ritualità si svolgevano “all’ombra dei menhir” e nelle vicinanze di corsi d’acqua e fonti ; quest’ultime assumevano un notevole valore simbolico essendo all’interfaccia tra il mondo superficiale e quello ipogeo.
Con il tempo le fonti hanno perso questo profondo “rispetto” che gli uomini del passato avevano per questi luoghi e questo viaggio nella memoria ha proprio lo scopo di ristabilirlo e di tentare di farlo per tutti gli elementi del territorio.
Le tre Torri Cosmiche rappresenteranno quindi il “futuro” tracciato dall’uomo dal ritorno da quel viaggio nel passato accompagnati dalla Musa Urania e la tensione di tutto il territorio verso un domani più sintonizzato con i ritmi naturali e le dinamiche complesse del cosmo, assiomi indispensabili per un serio “sviluppo sostenibile”.
Apophis visto da Herschel nelle tre bande di 70, 100 e 160 micron. Crediti: ESA/Herschel/PACS/MACH-11/MPE/B.Altieri (ESAC) and C. Kiss (Konkoly Observatory)
Apophis visto da Herschel nelle tre bande di 70, 100 e 160 micron. Crediti: ESA/Herschel/PACS/MACH-11/MPE/B.Altieri (ESAC) and C. Kiss (Konkoly Observatory)
Così come aveva già fatto nel novembre 2011 per l’asteroide 2005 YU55, lo scorso fine settimana il telescopio spaziale Herschel dell’ESA ha fotografato l’asteroide 99942 Apophis, che proprio in questi giorni si è avvicinato alla Terra fino a una distanza minima di 14,5 milioni di km. I dati ottenuti dall’osservazione hanno permesso di stabilire che Apophis è un po’ più grande di quanto in precedenza stimato, e un po’ meno riflettente.
In particolare, il diametro è ora indicato con buona precisione attorno ai 325 metri, una misura di poco superiore ai 270 metri precedentemente stimati. “Il 20% di incremento in diametro si traduce in un aumento del 75% delle nostre stime del volume e della massa dell’asteroide”, precisa Thomas Müller del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics in Germania, lo scienziato che sta conducendo le analisi dei nuovi dati.
L’asteroide Apophis, come si sa, è un sorvegliato speciale: nel 2029 passerà ad appena 36.000 km dalla superficie terrestre, una distanza paragonabile a quella dei satelliti geostazionari, tanto da poter diventare visibile ad occhio nudo. Tornerà nei paraggi della Terra nel 2036, ma quanto vicino è ancora presto per dirlo con assoluta certezza. Conoscere con la massima precisione i parametri fisici dell’asteroide è quindi cruciale per prevederne la traiettoria futura in maniera accurata.
Modello della temperatura di Apophis - Crediti: ESA/Herschel/MACH-11/T.Müller MPE (Germany)
Analizzando il calore emesso da Apophis, le osservazioni di Herschel hanno anche permesso una nuova stima dell’albedo dell’asteroide, ovvero della sua capacità di riflettere la luce ricevuta. Il nuovo valore è 0,23 (quello stimato precedentemente era 0,33) e indica che il 23% della luce solare che colpisce il corpo celeste viene riflessa, mentre il resto viene assorbito e contribuisce a riscaldare l’asteroide. Anche questo dato contribuirà a prevedere il comportamento futuro dell’asteroide. Il ciclo di leggerissimi riscaldamenti e raffreddamenti del piccolo corpo spaziale, dovuti alla sua rotazione e alla diversa distanza dal sole, induce infatti nel lungo periodo dei piccoli cambiamenti nell’orbita dell’asteroide, un fenomeno noto come effetto Yarkovsky.
A questo proposito vale la pena di ricordare che, proprio basandosi su questo effetto e sulle caratteristiche di Apophis, lo scorso anno uno studente del Massachusetts Institute of Technology aveva avuto un’idea per eventualmente deviare la traiettoria dell’asteroide: dipingerlo di bianco. Questa originale strategia è risultata vincitrice del 2012 Move an Asteroid Technical Paper, una competizione annuale sponsorizzata dallo Space Generation Advisory Council delle Nazioni Unite. Niente imbianchini spaziali: le 5 tonnellate di “vernice” necessarie sarebbero lanciate verso l’asteroide sotto forma di paintball.
Un’altra bella congiunzione tra Luna e Giove la notte tra il 21 e il 22 gennaio. Il massimo avvicinamento si avrà verso le 2:30 del mattino, quando la Luna sarà sotto il pianeta (in un riferimento altazimutale) di circa 2° e i due oggetti saranno prossimi all’orizzonte ovest. Meraviglioso il campo di stelle circostante (le Iadi, le Pleiadi…), anche se un po’ offuscato dall’eccesso di luminosità del nostro satellite.
Alcune immagini dell'inverno marziano scattate da MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Una candida coperta di neve trapuntata di pini scuri, una distesa di dune rosate increspate dalla brina mattutina, la superficie ghiacciata di un lago dove sono visibili i primi segni di scongelamento. Potrebbero sembrare immagini scattate dall’alto di meravigliosi paesaggi invernali raccolti in vari punti del nostro sorprendente pianeta. Ma la verità è che le immagini che state guardando non vengono dal nostro pianeta. Protagonisti dei ritratti di oggi sono Marte e i cambiamenti sulla sua superficie causati dal passare delle stagioni, ripresi dall’alto dalla camera ad alta risoluzione della missione Mars Reconnaissance Orbiter.
Alcune immagini dell'inverno marziano scattate da MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Proprio come sulla Terra, la causa primaria di questi paesaggi più o meno invernali è il cambiamento di temperatura dovuto all’avvicendarsi delle stagioni. All’arrivo dell’inverno, l’abbassamento della temperatura causa la precipitazione dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera marziana, provocando vere e proprie nevicate di ghiaccio secco e altri fenomeni associabili agli inverni terrestri. Questi fenomeni sono stati recentemente osservati e descritti daun interessante articolopubblicato nel Journal of Geophysical Research. Tuttavia, la spiegazione scientifica del fenomeno non rende meno stupefacenti i paesaggi raccolti in questo album e inviati recentemente dalla MRO,la missione NASA lanciata nel 2005 e tuttora in orbita intorno a Marte.
Grazie alle indicazioni del team del JPL, possiamo descrivere il contenuto delle immagini, partendo dall’angolo in alto a sinistra e procedendo in senso orario.
Nella prima immagine, l’anidride carbonica presente nell’atmosfera marziana si è condensata in ghiaccio per l’arrivo dell’inverno e si è depositata sulla superficie, formando una distesa innevata simile ad una pista da sci non battuta. Il ghiaccio secco sublimerà di nuovo in primavera.
La seconda fotografia è realizzata al polo sud, dove le temperature sono tali da far sopravvivere del ghiaccio in forma solida per tutto l’anno marziano. Le strutture circolari dell’immagine possono essere interpretate come dei particolari iceberg marziani, delle pozze dal fondo piatto i cui bordi appaiono brillanti a causa dello scongelamento del ghiaccio.
Nella terza immagine, realizzata al polo nord, è invece visibile l’arrivo della primavera. Quelli che potrebbero sembrare pini scuri sulla neve non sono altro che tracce lasciate dall’anidride carbonica che, sciogliendosi, evapora e lascia intravedere il terreno scuro al di sotto.
L’arrivo della primavera è protagonista anche della quarta immagine, dove la crosta di ghiaccio che ricopre le dune durante l’inverno inizia a fessurarsi. La sabbia viene soffiata sopra al ghiaccio formando dei depositi o lasciando tracce scure in corrispondenza delle fessure.
Infine nell’ultima immagine sono inquadrate le dune ondulate della terra Aonia nell’emisfero sud all’arrivo dell’inverno, quando il ghiaccio inizia appena a ricoprire il lato delle dune rivolto verso il polo sud.
Per gli appassionati, altri spettacoli invernali sono presentati in questo imperdibile album del JPL. Uno dei souvenir più interessanti che sia mai stato riportato da una vacanza invernale nell’intero sistema solare.
SKYLAUNCH – Ogni secondo giovedì del mese.
Partiremo a bordo dei razzi che hanno dato il via alle principali missioni di esplorazione del Sistema Solare ripercorrendone il lancio, fino alle scoperte, con Stefano Capretti.
10.01: “L’avvio dell’era spaziale: la Terra vista da fuori”.
http://telescopioremoto.uai.it/
www.uai.it
Un meteorite così, da Marte, non era mai arrivato. NWA 7034 (le lettere stanno per North West Africa, visto che è stato raccolto in Marocco) è infatti diverso da ognuno dei 110 campioni di meteoriti provenienti dal pianeta rosso finora raccolti sul nostro pianeta. In compenso, assomiglia molto a quelli analizzati dai rover che hanno raggiunto Marte negli ultimi anni.
I ricercatori che lo hanno analizzato, guidati da Carl Agee dell’Università del New Mexico, scrivono su Science di questa settimana che NWA 7034 proviene probabilmente dalla crosta marziana (lo strato più esterno del pianeta, a contatto con l’atmosfera) a differenza degli altri campioni finora raccolti sulla Terra.
NWA 7034 ha un contenuto d’acqua che è di un ordine di grandezza superiore a quello di tutti gli altri meteoriti marziani (noti come SNC, dalle località di Shergotty, Nakhla, e Chassign dove sono stati rinvenuti i rappresentanti più significativi): circa 6000 parti di acqua per milione, acqua che potrebbe venire da una sorgente vulcanica o da una falda superficiale. In ogni caso, doveva esserci acqua in superficie su Marte fino al momento in cui questo meteorite ha interagito con l’atmosfera, circa 2,1 miliardi di anni fa (quello che si chiama “primo periodo amazzoniano” nella storia geologica marziana). Inoltre, come spiega Andrew Steele della Carnegie Institution (uno degli autori), “la sua composizione è diversa da quella di tutti i meteoriti SNC. È fatto di frammenti di basalto cementati, un tipo di roccia che si forma dal rapido raffreddamento della lava in presenza di attività vulcanica. Questa composizione è molto comune nei campioni lunari, ma non in quelli marziani. La sua composizione chimica insolita suggerisce che provenga dalla crosta. L’analisi del carbonio suggerisce anche che il meteorite abbia subito processi secondari sulla superficie marziana, il che spiegherebbe la presenza di macromolecole di carbonio organico”.
Di certo, notano gli autori, NWA 7034 è il primo meteorite ad avere una composizione coerente con le misurazioni fatte sulla superficie marziana da rover come Spirit, o dallo spettrometro della missione Odissey; cosa che non si può proprio dire ti tutti i meteoriti SNC, che devono provenire o da altre zone del pianeta o da altri strati.
La copertina di Nature del 3 gennaio 2013 con, in primo piano, la galassia di Andromeda by Jean-Charles Cuillandre (CFHT) e Giovanni Anselmi (Coelum Astronomia).
L’anno è iniziato con un bellissimo regalo per la nostra Redazione!
Jean-Charles Cuillandre, l’astronomo del Canada-France-Hawaii Telescope (CFHT) con cui collaboriamo da anni per la realizzazione del calendario e dei poster astronomici, ci ha fatto una graditissima sorpresa annunciandoci la pubblicazione nella copertina di Nature di questa settimana (Volume 493, Number 7430, pp62-65, 3 January 2013 > About the cover) dell’immagine della galassia di Andromeda che trovate anche nel nuovissimo Calendario CFHT/Coelum 2013 e, in versione più grande, nei Poster CFHT/Coelum.
L’occasione della pubblicazione dell’immagine di M31 in copertina della prestigiosa rivista è stata data dallo studio di una equipe dell’Osservatorio di Strasburgo (PAndAS team), che grazie allo strumento MegaCam del CFHT ha condotto una survey su Messier 31 i cui risultati sono contenuti nell’articolo su Nature e riassunti in questa comunicazione del CFHT: A vast rotating disk of dwarf galaxies surrounding the Andromeda galaxy (disponibile a breve anche in italiano sul nostro sito).
Verso le 7:30 del 10 gennaio il cielo sarà già chiaro, ma non tanto da impedire di scorgere, poco al di sopra dell’orizzonte di sudest, la Luna e Venere distanti circa 3° l’una dall’altra. L’orario non è certamente di quelli che invitano alla rilassata contemplazione del cielo, ma un’occhiata dalla finestra, magari muniti di binocolo, si potrà dare anche facendo colazione…
Il famigerato 21 dicembre 2012, con buona pace dei peggiori catastrofisti, è ormai solo un ricordo. Come c’era da attendersi, nessuno dei paventati disastri su scala planetaria si sono verificati. Tra questi, uno dei più ‘gettonati’ era quello associato a una super tempesta solare che avrebbe investito la Terra, cancellandone ogni forma di vita. Per quelle che sono le nostre conoscenze, un evento così estremo non dovrebbe proprio verificarsi. Ma situazioni in cui la nostra stella può creare seri problemi, se non alla vita, alle infrastrutture tecnologiche di cui oggi disponiamo, quelle sì che potrebbero presentarsi, e magari anche in tempi relativamente brevi.
Su questi argomenti e in particolare sullo sviluppo di metodologie di previsione dell’attività solare e dei suoi possibili impatti sulla Terra discuteranno i ricercatori che parteciperanno al “Second Annual SWIFF Meeting”, un congresso internazionale che si terrà a Torino dal 14 al 16 gennaio prossimi e organizzato dal locale Osservatorio Astronomico dell’INAF. In particolare, nelle sessioni in programma verranno discussi i risultati del progetto europeo di ricercaSWIFF (Space Weather Integrated Forecasting Framework), finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del Settimo Programma Quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico (FP7).
“Oggi conosciamo molti dei segreti del Sole, la nostra stella” dice Alessandro Bemporad, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Torino, membro del comitato scientifico del congresso. “Sappiamo per esempio che la sua attività segue un andamento ciclico e che circa ogni 11 anni il Sole si ‘risveglia’ per poi tornare nel suo stato di quiete apparente. Sappiamo anche che nei periodi in cui l’attività è al massimo, il Sole è capace di produrre enormi esplosioni dalla sua superficie che espellono in poche decine di minuti un’energia pari a circa 10 miliardi di bombe di Hiroshima. Questa enorme energia viene emessa sotto forma di radiazione (raggi X e ultravioletti), particelle subnucleari (protoni ed elettroni che viaggiano a velocità prossime a quelle della luce) ed enormi bolle di plasma che trasportano miliardi di tonnellate di plasma solare a velocità di circa 1000 km al secondo. Tutto questo genera una tempesta spaziale.
“La vita sulla Terra per fortuna è parzialmente protetta – prosegue Bemporad – grazie all’atmosfera che assorbe i raggi X e ultravioletti e grazie al campo magnetico terrestre, che deflette come uno scudo le particelle ed i plasmi solari. Tuttavia, l’uomo oggi dipende molto dall’uso della tecnologia e questo lo rende più vulnerabile: una tempesta spaziale di grande intensità può per esempio danneggiare anche permanentemente i satelliti per le telecomunicazioni e la rete GPS, può indurre correnti sugli elettrodotti e provocare gravi black-out di intere regioni, disturbare per ore i segnali radio ed avere effetti gravi per la salute degli astronauti eventualmente in orbita. Per questo, oggi diventa sempre più importante riuscire a prevedere l’arrivo di una tempesta spaziale ed i suoi possibili effetti sulle tecnologie umane: di questo si occupa la Meteorologia Spaziale”.
E a chiusura del convegno, il 16 gennaio alle ore 18, presso l’Hotel ‘Principi di Piemonte’ di Torino, si svolgerà una conferenza aperta al pubblico proprio su questi argomenti, tenuta da Mauro Messerotti (ricercatore INAF ed esperto di fisica solare) dal titolo “Tempeste solari: dobbiamo preoccuparci?”.
06.01, ore 16:30 e 17:30: “Le stelle dei pirati dello spazio”.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it
L’AAB organizza il ciclo di conferenze Astronomia in Città 2012 presso il Parco del DopoLavoro Ferroviario di Bologna, fino a marzo 2013 sei appuntamenti in città, ogni serata (inizio ore 21) un argomento-guida con conferenza e, meteo permettendo, osservazioni del cielo con l’aiuto dei telescopi.
Per dettagli e informazioni: tel. 348 2554552
info@associazioneastrofilibolognesi.it
www.associazioneastrofilibolognesi.it
Il fato ha voluto che sucedesse tutto qualche giorno prima del fatidico 21 dicembre, comportando solo un numero limitato di articoli allarmisti e annunci della fine del mondo. Il sorvolo ravvicinato di Toutatis (leggi anche l’articolo “Due asteroidi in visita alla Terra l’11 dicembre 2012“) è avvenuto in modo silenzioso, tra l’11 e il 12 dicembre, giorno in cui il Near Earth Asteroid è passato a una distanza relativamene vicina alla Terra, ad appena 7 milioni di chilometri da noi (leggi anche l’articolo “Le olimpiadi di Toutatis“). E se l’evento non ha suscitato particolare clamore nei media, non si può dire lo stesso per il mondo scientifico. Osservatori e radar astronomici sono stati tutti puntati nella direzione dell’asteroide per sfruttare l‘occasione. Ciliegina sulla torta, le immagini inattese di una poco conosciuta sonda riprogrammata dalla Agenzia Spaziale Cinese per passare a una distanza ravvicinatissima dall’asteroide e realizzare le spettacolari immagini di oggi.
Il flyby di questa missione denominata Chang’e 2 è stato avvincente di per sé. Il 13 dicembre 2012, la sonda è arrivata ad appena 3,2 km dalla superficie dell’asteroide, viaggiando con una velocità di 10,7 km/s. Queste prime immagini diffuse sono state scattate in fase di avvicinamento, da una distanza compresa tra 93 e 240 km. In un prossimo futuro, si attendono fotografie ad altissima risoluzione, in cui saranno molto probabilmente visibili particolari di poche decine di centimetri. Queste fotografie diffuse dall’agenzia spaziale cinese, ancora poco propensa a rilasciare dati e informazioni sulle proprie missioni, sono rimbalzate sui media asiatiaci fino ad arrivare in occidente, dove fino a quel momento, si sapeva ben poco della nuova fase della missione Chang’e.
A posteriori, potremmo dire che la storia della sonda cinese è la storia di un triplo successo. Chang’e 2 è stata lanciata nel 2010 come seconda tappa del Chinese Lunar Exploration Program, compiendo egregiamente il proprio compito primario. Primo successo. Alla conclusione di questa prima fase di studio della Luna, la sonda è stata diretta verso il punto Lagrangiano L2, il punto di equilibrio del campo gravitazionale del sistema Terra-Sole, per testare le capacità cinesi di navigazione e controllo di missione. L2 è un punto di estrema importanza per le missioni spaziali, posizionato a 1.5 milioni di Km dalla Terra, sempre in direzione opposta al Sole. L’obiettivo è stato raggiunto il 25 agosto 2011, facendo della Cinese, dopo la NASA e l’ESA, la terza agenzia spaziale a conquistare questa ambiziosa orbita. Secondo successo. Invece che mantenere questa posizione, ad aprile Chang’e è stata diretta quasi in segreto verso un terzo obiettivo, un asteroide sconosciuto fino a poco tempo fa. La Cina è stata cosi’ il quarto paese ad aver compiuto il flyby ravvicinato di un asteroide. Terzo successo. .
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Ma veniamo al protagonista del flyby, il NEO Toutatis. Le immagini realizzate dalla sonda cinese (video in alto), insieme ai fondamentali dati del radar Goldstone (in basso il video ricavato dai 64 frame ripresi il 12-13 dicembre scorso) mostrano l’asteroide che prende il suo nome da una divinità celtica come un grande sasso dal diametro medio di circa 5 km. O per meglio dire, come due grandi sassi di densità diversa, saldati insieme. Dalle prime analisi, il sasso più piccolo sembrerebbe essere il 15% più denso rispetto a quello più grande e i due lobi sembrerebbero avere dei nuclei più densi rispetto alla superficie. Questi dati potrebbero indicare che Toutatis è in realtà un insieme di rocce e detriti provenienti da qualche collisione avvenuta in passato nella fascia principale. Inoltre, essendo così irregolare, Toutatis viaggia nello spazio come una palla da rugby colpita a una delle estremità, rotolando su se stessa e rendendo la sua traiettoria difficilmente prevedibile. .
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Una difficoltà aggiuntiva nello studio e monitoraggio di questo asteroide, uno dei più grandi tra quelli potenzialmente pericolosi per la Terra e contemporaneamente, una vecchia conoscenza per il nostro pianeta. Toutatis, infatti, nel percorrere il suo giro attorno al Sole, passa una volta ogni 4 anni ad una distanza minima dalla Terra, rendendo questi passaggi ravvicinati del nostro pianeta degli appuntamenti periodici.
Intendiamoci. Sappiamo già che Toutatis non colpirà la Terra per altre centinaia di anni, ma le nuove osservazioni permetteranno ai ricercatori di prevedere la sua traiettoria con più sicurezza e per un futuro più lontano. Oltre ad avere informazioni scientifiche sul passato del sistema solare.
04.01: Serata di astronomia in sede e osservazione cielo coi telescopi sociali.
Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it
04.01, ore 21:00: “Storie e stelle del cielo di Gennaio” e proiezione di “Due piccoli pezzi di vetro”.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it
Una Costellazione sopra di Noi – Ogni primo venerdì del mese, Giorgio Bianciardi (vicepresidente UAI) vi condurrà in un viaggio attorno a una costellazione del periodo. Osservazioni in diretta con approfondimenti dal vivo.
Due immagini di Mercurio realizzate da Messenger in diverse condizioni di illuminazione. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington
Sembra un gioco per bambini. Stesso pianeta, stesso strumento, stessa inquadratura. Eppure, trovate delle differenze tra le due immagini? Basta modificare le condizioni di illuminazione per vedere comparire, come per magia, una enorme dirupo di 400Km di lunghezza. A parte i giochi, il concetto celato nelle immagini è semplice: per studiare un pianeta in remoto è fondamentale pianificare le osservazioni e usare intelligenza e furbizia nel definire le migliori condizioni di misura.
Due immagini di Mercurio realizzate da Messenger in diverse condizioni di illuminazione. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington
Le due immagini sono state realizzate da Messenger sul pianeta Mercurio. L’artefice delle fotografie è lo strumento MDIS (Mercury Dual Imaging System) in due fasi diverse della missione. Malgrado le due fotografie siano state realizzate da una distanza simile, quando lo strumento inquadrava la stessa porzione del pianeta, la differenza è ben evidente anche per l’occhio più inesperto.
Nella fotografia a destra, molti crateri risultano più profondi, alcuni sembrano comparire dal nulla, ma soprattutto fa bella mostra di sé la Discovery Rupe, un immenso dirupo di oltre 400km che sembra praticamente invisibile nella inquadratura di sinistra. In realtà, la differenza tra le due immagini è molto più importante di quanto possa sembrare. I due scatti sono stati realizzati con due diverse illuminazioni, con angoli di incidenza del sole (angolo tra la verticale al suolo e la posizione del sole) di 62° e di 85.6°. L’immagine a destra è stata quindi scattata quando la luce era molto radente, per intenderci, al tramonto, quando il sole proietta lunghe ombre al suolo, evidenziando strutture altrimenti invisibili. Una condizione che conosciamo bene anche sulla Terra ma che, nell’osservazione di altri pianeti, può risultare particolarmente utile.
Le due immagini permettono di evidenziare uno dei task scientifici della “extended phase”, fase estesa della missione. Tra gli obiettivi scientifici della fase principale, conclusasi a Marzo 2012, c’era la realizzazione di una mappa morfologica con risoluzione media di 250 metri per pixel che coprisse più del 90% della superficie del pianeta. Una volta completato questo task primario, l’asticella è stata spostata più in alto. Grazie a una raffinata e complessa pianificazione delle osservazioni, Messenger sta oggi realizzando immagini della superficie del pianeta con una risoluzione di 200 metri per pixel e soprattutto, con l’illuminazione del sole vicino all’orizzonte. Le immagini realizzate in queste condizioni sono già oltre 80.000 e continueranno ad aumentare in questa extended fase di circa un anno, permettendo di identificare crateri, montagne, dirupi e altre strutture geologiche altrimenti invisibili.
Escursioni in montagna, a Pian dell’armà (PV), per l’osservazione degli astri i venerdì e sabato: 07/08, 14/15 e 30/31 dicembre.
I Martedì della scienza. Sala conferenze-Cascina Grande, Biblioteca Civica, Via Togliatti, Rozzano.
Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
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Il percorso apparente di Vesta durante il mese di gennaio. L’asteroide si muoverà in senso retrogrado tra le corna del Toro, mantenendo sempre una luminosità tale da essere facilmente trovato anche con un binocolo. La vicinanza a Giove, e il campo stellare ricco e variegato faranno di Vesta l’asteroide più fotogenico del momento.
Il percorso apparente di Vesta durante il mese di gennaio. L’asteroide si muoverà in senso retrogrado tra le corna del Toro, mantenendo sempre una luminosità tale da essere facilmente trovato anche con un binocolo. La vicinanza a Giove, e il campo stellare ricco e variegato faranno di Vesta l’asteroide più fotogenico del momento.
Qualche settimana fa mi è capitato di vedere a tarda notte un vecchissimo film risalente addirittura al 1931; il primo mai realizzato intorno alla figura del conte Dracula… La cosa singolare è che a un certo punto della vicenda, il conte si trasferisce dalla Transilvania in Inghilterra viaggiando a bordo di una goletta di nome… Vesta! Subito mi si è accesa una luce… Sapevo che il racconto da cui era stato tratto il film era stato scritto da John Polidori, il medico personale di Byron, nel 1816 (e pubblicato nel 1819). Vuoi vedere, mi sono detto, che il dottor Polidori aveva un qualche interesse per l’astronomia, tanto da chiamare Vesta la goletta in onore dell’asteroide scoperto nel 1807, solo qualche anno prima? O magari, chissà, era un buon amico di Olbers, lo scopritore? Recuperato il testo originale di Polidori (che non avevo mai letto) mi sono però accorto con raccapriccio che nel suo “Il vampiro”, non c’era assolutamente traccia di una goletta di nome Vesta! Riavutomi dalla sorpresa, ho appreso che il film del 1931 non era stato tratto dal lavoro di Polidori, ma dal romanzo “Dracula” dell’irlandese Bram Stocker, pubblicato più tardi, nel 1897. Va bene, mi sono detto, vorrà dire che era Stocker ad avere interesse per l’astronomia! Così, mi procuro il romanzo, lo sfoglio, e… maledizione, della imbarcazione di nome Vesta non c’era traccia nemmeno lì! Per farla breve, alla fine mi sono dovuto arrendere all’evidenza che la storia della goletta con quel nome doveva essere stata una trovata del regista Tod Browning. Tanto che per la terza volta mi ritrovai a pensare… “Forse era lui l’appassionato di astronomia”! No, nemmeno un po’. Nella sua biografia non ho trovato il benché minimo accenno alla cosa. Però… sono forse riuscito a scoprire il motivo che potrebbe averlo spinto a scegliere quel nome. Narrano le cronache che nel 1836, una goletta che portava il nome dell’asteroide scoperto da Olbers era naufragata sulle coste inglesi perdendo misteriosamente l’intero equipaggio di sette uomini. Una vicenda assai simile a quella descritta nel film, dove l’imbarcazione che trasportava Dracula arrivò in Inghilterra senza traccia dei sette marinai a bordo. Insomma, probabilmente Browning si era servito di un tragico fatto di mare per risvegliare con l’assonanza del nome il senso di tragedia che si doveva respirare nel film…
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 68 di Coelum n.166.
Il percorso apparente della C/2012 S1 (Ison) durante il mese di gennaio. La cometa, che sta accendendo l’entusiasmo di milioni di appassionati, si muoverà nei Gemelli, e la sera del 16 si troverà 30 primi a sud di Castore.
Beh se avrete modo di leggere queste righe vuole dire che il 21 dicembre non è successo nulla di irreparabile… e pertanto possiamo sperare di dedicarci all’osservazione del Cielo per almeno altri 5300 anni. Mancando al momento comete in grado di arrivare almeno ad una magnitudine binoculare, non possiamo che centrare la rubrica sull’andamento fotometrico dei due “mostri” che si
stanno avvicinando alla parte interna del sistema solare.
La prima metà di gennaio la C/2011 L4 (Panstarr) si muoverà nella coda dello Scorpione, per poi passare nella ancora più meridionale costellazione della Corona Australe. Oltre ad essere molto bassa di declinazione sarà anche in congiunzione eliaca per cui inosservabile alle nostre latitudini; per vederla si dovrà aspettare la seconda metà di marzo. I dati osservativi raccolti nelle ultime settimane confermano che passerà il perielio il 10 marzo con una magnitudine NEGATIVA, per cui noi, con ogni probabilità, la potremo osservare a fine marzo, prima dell’alba, intorno alla magnitudine ZERO. L’altra super sorvegliata, la C/2012 S1 (Ison), si troverà in gennaio nei Gemelli, dove si muoverà mostrandosi all’incirca di mag. +16. Al momento viene prudenzialmente stimata a -4,5 per il perielio del 13 novembre.
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 67 di Coelum n.166.
Una bella ripresa fotografica dell’ammasso aperto NGC 1981 inquadrato in un campo di 40'. Disegnato da poche ma luminose componenti, è sicuramente uno degli oggetti più belli del suo tipo, specialmente se osservato a bassi ingrandimenti. Verso sud, nella foto appaiono già le propaggini più settentrionali della sottostante nebulosa NGC 1977, inosservabili visualmente.
Una bella ripresa fotografica dell’ammasso aperto NGC 1981 inquadrato in un campo di 40'. Disegnato da poche ma luminose componenti, è sicuramente uno degli oggetti più belli del suo tipo, specialmente se osservato a bassi ingrandimenti. Verso sud, nella foto appaiono già le propaggini più settentrionali della sottostante nebulosa NGC 1977, inosservabili visualmente.
Se parliamo di iconografie, la costellazione di Orione viene per lo più identificata con la grande nebulosa M42 (che ci riserviamo di trattare ampiamente nel prossimo numero), o con la Testa di Cavallo (vedi Coelum dicembre 2009) …due oggetti certamente straordinari, ma che non esauriscono di sicuro l’impressionante mole di nebulose e ammassi che quasi si
sovrappongono l’un l’altro nel cuore della costellazione. In questo numero ne proponiamo tre; i primi due abbastanza ovvi, il terzo un po’ meno.
NGC 1981 – Anche a un’indagine frettolosa risulta quasi impossibile non vederlo…
si tratta infatti di un ammasso di notevoli dimensioni angolari (grande quasi come il disco lunare) e di forte luminosità apparente (mag. +4,2). Stiamo parlando di NGC 1981, un gruppo di stelle visibile anche ad occhio nudo nelle notti più scure; le sue componenti più luminose sono infatti una decine di giovani (5 milioni di anni) stelle azzurre di magnitudine compresa fra la +6 e la +8. Malgrado la sua evidenza (è sufficiente un binocolo 10×50 per risolverlo completamente in nottate limpide), questo ammasso fu individuato soltanto il 4 gennaio 1827 da John Herschel, che lo descrisse al tempo come: “Molto brillante,
dalla forma irregolare. Una manciata di stelle brillanti, molto sparse”. Possibile che nessuno lo abbia mai notato prima? Beh, a parte che lo disegnarono in molti già alla fine del Seicento (e per primo Galileo nel Sidereus Nuncius), il fatto che sia stato “scoperto” così tardi potrebbe significare semplicemente che i predecessori non lo considerarono un ammasso, ma un semplice asterismo.
Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici, le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 54 diCoelum n. 166.
Il venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 17:30 e 21:00, la domenica alle ore 16:00 e 17:30. Per il programma di ottobre consultare il sito del Planetario.
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Un esempio di immagini di due 'buchi' nello spazio (colonna a sinistra) e due nuvole di polveri fredde (colonna a destra). Le riprese di Spitzer sono riportate in blu, mentre la radiazione captata da Herschel, che evidenzia la presenza di polvere molto più fredda, è rappresentata in colore oro. Crediti: ESA/Herschel/SPIRE/Hi-GAL Consortium ; NASA/JPL-Caltech
Avete una buona vista e ottimo spirito di osservazione? Vi sentite un po’ novelli Sherlock Holmes con la passione dell’astronomia? Se a queste domande la vostra risposta è sì, allora potreste essere le persone adatte a partecipare al progetto del portale web zooniverse.org che prende il nome di Milky Way Project.
Un esempio di immagini di due 'buchi' nello spazio (colonna a sinistra) e due nuvole di polveri fredde (colonna a destra). Le riprese di Spitzer sono riportate in blu, mentre la radiazione captata da Herschel, che evidenzia la presenza di polvere molto più fredda, è rappresentata in colore oro. Crediti: ESA/Herschel/SPIRE/Hi-GAL Consortium ; NASA/JPL-Caltech
La missione è tanto semplice quanto ambiziosa: confrontare le immagini della regione del piano della nostra galassia raccolte dagli osservatori orbitanti Spitzer della NASA ed Herschel dell’ESA, alla caccia di ‘buchi’ nelle zone dove di addensano fredde nubi di polveri. La questione è nata in seguito all’analisi delle immagini raccolte da Spitzer, che mostrano a volte zone scure proprio nel centro di nuvole di gas e polveri molto brillanti. Per gli astronomi questo fenomeno era dovuto alla presenza di ammassi di polveri ancora più fredde che la strumentazione del satellite non riusciva a identificare. La prova finale poteva darla proprio Herschel, che opera a lunghezze d’onda maggiori e che quindi avrebbe avuto le carte in regola per individuarle. Ebbene, dal confronto delle riprese ottenute nella campagna di osservazioni del piano galattico denominata Hi-Gal, è emerso che in alcuni casi le zone buie di Spiter lo erano anche per Herschel. E dunque, il ‘nero’ era dovuto proprio all’assenza di materia. In altre parole, in alcune nubi erano stati scoperti dei veri e propri buchi.
“Herschel è il solo strumento che possa chiarire senza ombra di dubbio se queste strutture in assorbimento viste da Spitzer sul Piano Galattico siano dense nubi oscure o solo buchi nel cielo: se sono brillanti nelle bande Herschel allora sono nubi dense, altrimenti no” sottolinea Sergio Molinari, dell’INAF-IAPS, che guida il team internazionale di scienziati coinvolti nel progetto Hi-Gal. “È semplice a dirsi, ma quando le posizioni da controllare sono decine di migliaia allora diventa indispensabile avere a disposizione una Survey come Hi-GAL che mappa in modo uniforme tutto il piano della Via Lattea nel lontano infrarosso dove queste nubi dense e fredde sono brillantissime. Con le sue 900 ore di tempo osservativo, ed unico a guida Italiana, Hi-GAL è il piu grande Key-Project Herschel in tempo aperto”.
Questo confronto, data la sterminata messe di dati raccolta dalle due missioni, finora è stato completato dai ricercatori solo per una piccolissima porzione del totale. A peggiorare le cose, l’analisi non può essere affidata, come in altre survey astrofisiche, ai computer. “Il problema è che le nuvole di polvere interstellare non si presentano in forme facilmente riconoscibili e codificabili” dice Derek Ward-Thompson, dell’Università del Central Lancashire, a capo di questo progetto. “Le immagini sono troppo ingarbugliate per le analisi dei computer e ce ne sono tantissime ancora da verificare. Un lavoro impossibile da completare noi soli”.
Ecco allora che scatta l’idea di coinvolgere anche altre persone inserendo la raccolta delle immagini ancora da analizzare nel sito Milky Way Project che, a due anni dal suo lancio e con il contributo di oltre 40.000 volontari, ha già prodotto il più grande catalogo astronomico di zone di formazione stellare e la mappatura di ammassi stellari, galassie distanti e molto altro. “È molto istruttivo vedere come per analizzare questa immensa mole di dati lo strumento più affidabile sia ancora l’occhio umano” continua Molinari. “Questo prova che sul piano dello sviluppo di algoritmi per analisi dati automatica c’è ancora tantissimo lavoro da fare”.
Se anche voi volete partecipare, il primo passo è quello di visitare il sito del Milky Way Project, sezione “clouds” e iscriversi. Buona caccia!
Il Libro delle discendenze, in ebraico Sefer Yuhasin, di Ahima’az benPartielè noto agli studiosi dal 1895, anno della scoperta di un manoscritto conservato nella Biblioteca Capitolare presso la Cattedrale di Toledo in Spagna. Esso fa parte di una raccolta di codici donata alla Biblioteca dal cardinale Francesco Saverio Zelada (Roma 1712-1801), personalità di gran prestigio ecclesiastico e di vasti interessi culturali, infatti, raccoglie una notevole biblioteca (ora nella Vaticana), una ricca collezione numismatica, varie opere d’arte e s’interessa pure di Scienza. Da Prefetto agli Studi presso il Collegio Romano, vi erige un Osservatorio astronomico. Zelada, nato e cresciuto a Roma, è memore delle proprie origini iberiche e nel suo testamento dispone che una trentina di manoscritti ebraici sia donata alla Biblioteca di Toledo. Esecutore delle disposizioni testamentarie è il card. F. A. Lorenzana.
Se per gli studiosi è stato agevole capire come il codice sia approdato in Spagna, molto più complesso è stato comprendere come questi manoscritti siano giunti nelle mani dello Zelada. Si possono formulare solo congetture tenendo presente la carriera ecclesiastica dell’alto prelato. Tra i molti importanti incarichi, sappiamo che, tra il 1780 e il 1798, Zelada è anche visitatore della Casa dei Catecumeni, la speciale istituzione che prepara al battesimo gli ebrei convertiti al cristianesimo. Con ogni probabilità, i manoscritti possono essere stati il dono di uno o più neofiti con una certa levatura sociale oppure legalmente acquistati dallo stesso cardinale. È, in ogni caso, certa la provenienza dall’ambiente giudaico romano, ma è assai probabile che la raccolta scaturisca dalle requisizioni operate dallo Stato della Chiesa.
Il Sefer è contenuto in un codice miscellaneo ottenuto dalla composizione di più manoscritti indipendenti databili tra i secoli XIV e XV, consta di 83 fogli pergamenacei ed è autenticato con lo stemma di Zelada. Nei fogli di guardia all’inizio del volume vi è un indice firmato da Giovanni Antonio Costanzi, un’ebraista convertitosi nel 1731 ed autore di un gran numero d’annotazioni contenute a margine di molti manoscritti giudaici. Nel volume, insieme alla Cronaca di Ahima’az, figurano tra i vari manoscritti un’interessante tavola d’effemeridi valida per 14 anni ad iniziare dal 5266 ebraico (cioè il 1506) con le date relative al novilunio nei mesi di Tishri (settembre-ottobre)nei quali cadeil Capodanno ebraico e lo Yom Kippur, il giorno più sacro del calendario in cui si osserva un rigoroso digiuno che inizia prima del tramonto e termina con l’apparizione delle stelle la notte successiva. Le effemeridi si basano sui calcoli di Isaaq ben Menahem, un esegeta romano vissuto a cavallo tra il XIII e XIV secolo. Molto interessanti anche i due quadernetti relativi a questioni attinenti il Calendario ebraico. Già questi elementi conferiscono al codice un certo motivo d’interesse in ambito strettamente astronomico, però è il Sefer, vale a dire la Cronaca, l’elemento di maggior richiamo perché il manoscritto in ebraico non è solo un componimento letterario, variamente romanzato, delle vicende di una stirpe, ma è il racconto di una dinastia d’astronomi/astrologi particolarmente importanti tra i secoli VIII e XI. Lo stesso autore del Sefer è, oltre che un profondo conoscitore delle Scritture e della mistica ebraica, anche prosecutore di antiche e dotte conoscenze.
Ahima’az nasce a Capua nel 1017 in seno ad una delle comunità ebraiche sorte in Italia dopo la deportazione romana, ma le sue origini sono pugliesi, nell’importante comunità di Oria in Terra d’Otranto.
La Cronaca inizia con un proemio in cui l’autore esprime la volontà di narrare le vicende della sua famiglia, formulando lodi e preghiere per la buona riuscita dell’opera. La narrazione prende l’avvio con l’insediamento degli antenati, giunti in Oria con la deportazione in Italia di migliaia d’ebrei, conseguente all’espugnazione di Gerusalemme operata da Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano, nel 70 d.C., ma, di fatto, la storia inizia con le vicende dell’avo Ammittai, poeta e sapiente vissuto tra la fine del VIII secolo e gli inizi del successivo, e quelle dei figli Shefatiah, Hananeel ed El’azar, tutti e tre “esperti di dottrine mistiche, compositori di rime,conoscitori di misteri, investigatori della Hochmah, indagatori della Binah, sussurratori dell’arcano”, studiosi della Torah e guide spirituali nella loro comunità. La storia dei tre fratelli s’intreccia con quella di tale Abu Aron di Bagdad, un esule che deve averla combinata veramente grossa nella sua terra per essere stato costretto ad un esilio così lontano. Questo personaggio è sicuramente Abu Aron ben Shamuel ha-Nasì, di cui si parla anche in altre fonti ebraiche medievali. Aron nelle fonti è descritto come un grande Maestro di mistica esoterica. L’autore del Sefer lo descrive come interprete di segreti divini, conoscitore del cielo, dotato di grande levatura dottrinale e alquanto radicale nella condotta morale, tanto da far condannare a morte diverse persone nella comunità oritana. Sicuramente la fama di Abu Aron nelle comunità ebraiche era notevole, l’attività nelle accademie documentata, ma non ci sono giunti testi che portino la sua firma. L’inserimento di episodi relativi a questo personaggio illustre nel racconto della genealogia dell’autore pone dunque qualche interrogativo. Gran risalto è posto nella figura di Shefatiah ben Ammittai che riesce a strappare all’imperatore Basilio I esclusivi privilegi per la sola comunità ebraica oritana, dopo aver guarito a Costantinopoli la figlia dell’imperatore da una malattia misteriosa che l’autore attribuisce ad una possessione diabolica. Le gesta di Shefatiah, pur possibili, non trovano riscontri oggettivi nelle vicende storiche e, con ogni probabilità, sono un’invenzione letteraria dell’autore della Cronaca.
Hananeel, secondogenito di Ammittai e avo diretto di Aima’az, è uno dei protagonisti nelle cui vicende sono maggiormente manifeste le conoscenze astronomiche dell’intera dinastia, infatti, nella Cronaca si racconta dell’insolita scommessa fatta da costui con il vescovo della Città, circa la comparsa in cielo del primo crescente lunare. La prima sottile falce lunare era di basilare importanza per il computo del calendario religioso ebraico perché il primo giorno del mese cadeva in quello del novilunio e nell’antichità la proclamazione dell’inizio del mese era fatta ufficialmente dal Sinedrio sulla base di testimonianze dirette ed affidabili. Già a metà del IV secolo, l’astronomo Rabbi Hillel II aveva definito un sistema basato sui calcoli astronomici, in grado di determinare l’inizio del mese liturgico senza dipendere dall’osservazione diretta della sottile falce lunare, però l’uso corretto di tali effemeridi era appannaggio di pochi specialisti e perciò erano frequenti gli errori.
Nella pregevole traduzione del noto ebraista Cesare Colafemmina [Sefer Yuhasin – Libro delle Discendenze – Vicende di una famiglia ebraica di Oria nei secoli IX – XI, Messaggi 2001], leggiamo nella Cronaca di quest’episodio nel quale Hananeel conversa con il vescovo della città intorno a questioni teologiche, però, ad un certo punto, la discussione s’incentra sul calcolo delle fasi lunari e siccome l’indomani sarebbe stato il primo giorno del mese, il vescovo chiede al sapiente interlocutore se sappia indicare, con la massima precisione, l’ora di comparsa del primo crescente. Hananeel, forse con troppa leggerezza, fornisce una risposta al quesito, però il vescovo (in base alle coordinate storiche dovrebbe trattarsi di Teodosio), preventivamente informatosi, contesta l’orario indicato dal rabbi e gli risponde: “Se questo è il tuo calcolo sulla Luna, non sei pratico incomputi!…Oh mio sapiente Hananeel, se il novilunio avverrà secondo i miei calcoli, tu farai la mia volontà: ti convertirai alla mia legge e al libro del mio Vangelo, lasciando la tua fede e le ordinanze della tua Torah…Se invece avverrà secondo i tuoi calcoli, io adempirò la tua volontà: ti darò il mio miglior cavallo, quello riservato a me per il giorno del trono, del valore di 300 pezzi d’oro,oppure ti darò l’equivalente in denaro”. Entrambi accettano le condizioni e la scommessa è sancita alla presenza di notabili e magistrati. Il vescovo quindi ordina a vari uomini di appostarsi sulle torri più alte per avvistare la prima falce lunare e comunicarne tempestivamente l’orario esatto. Hananeel rientrato a casa, per scrupolo si applica al calcolo e, sgomento, si accorge di aver consultato effemeridi viziate da errori, quindi corre ad avvisare i parenti e gli altri della comunità per informarli della disavventura e a supplicarli affinché levino preghiere per far compiere dall’Altissimo un prodigio che lo salvi, perché preferirebbe piuttosto la morte anziché diventare un apostata. L’indomani sera Hananeel si porta sul tetto della sua dimora per implorare Dio e, all’orario calcolato per la comparsa del primo crescente, la Luna rimane miracolosamente nascosta fino il giorno successivo, inficiando la scommessa giacché anche gli osservatori posti dal vescovo non vedono nulla. Nel mattino seguente il vescovo, pur sapendo di aver avuto ragione, riconosce a Hananeel la vittoria nella disputa e gli consegna le 300 monete d’oro che il rabbino dispenserà totalmente in opere di beneficenza.
Il racconto offre, se trattasi di fatti autentici, un vivace spaccato storico in seno all’importante comunità ebraica medievale di Oria, dei rapporti tolleranti e cordiali con il clero cristiano, ma anche dell’esistenza di persone preposte all’osservazione del cielo, benché per finalità non propriamente scientifiche, ma piuttosto funzionali alla regolazione del calendario. Questo racconto è anche importante perché contraddice, in modo manifesto, un luogo comune che vuole gli ebrei come un popolo poco interessato all’osservazione del cielo e ai calcoli astronomici. Le comunità ebraiche erano ambienti culturalmente chiusi in sé stessi, con scarsa propensione alla divulgazione delle proprie conoscenze e tradizioni verso quanti non fossero correligionari. Libri e trattati perciò restavano all’interno delle comunità e poche copie raggiungevano le scuole in altre città. Niente di strano se gran parte di questi manoscritti sia andata perduta o volutamente distrutta nei secoli. Sappiamo che l’antica astronomia ebraica ha attinto tantissimo dall’astronomia babilonese. Lo stesso calendario lunare era quello adottato, sin dalla metà del V secolo a.C., a Babilonia e nel quale era stato introdotto il Ciclo di Metone che prevedeva l’introduzione di 7 anni intercalari in un periodo ciclico di 19 anni. L’adozione di un siffatto calendario dovette comportare qualche problema perché era strettamente dipendente dall’osservazione diretta dei fenomeni celesti, cosa non sempre possibile per ragioni atmosferiche. Lo stesso Tolomeo, nel II secolo d.C., notava come le antiche osservazioni mediorientali nel loro insieme, non erano degne di fede proprio perché effettuate spesso in prossimità dell’orizzonte, ove si addensano le foschie e le polveri dei deserti. Il problema doveva essere già noto agli astronomi ebrei, perciò si ricorreva sovente alle tavole di effemeridi, come quella molto più tarda contenuta nel codice di Toledo o quelle inesatte consultate dallo sfortunato Hananeel. Per ottenere le effemeridi gli astronomi calcolavano con esattezza la posizione che il Sole, la Luna e i pianeti avrebbero assunto a intervalli regolari di tempo e, con i dati ottenuti, si compilavano liste di date relative alle fasi lunari, alla posizione dei pianeti ed eclissi, non di rado con diversi anni d’anticipo. Calcoli certamente non facili, frutto di secoli di affinamento delle formule, codificate in veri e propri prontuari ad uso dei sapienti della comunità e gelosamente tramandati dalle varie generazioni.
L’episodio della scommessa di Hananeel, nelle intenzioni di Ahima’az, non è soltanto quella di mettere in risalto l’importanza sociale e culturale dell’avo, ma principalmente quella di infondere nei lettori i valori della rettitudine morale, con il fermo rifiuto dell’apostasia a favore del cristianesimo in un momento di diffuso proselitismo, e di mettere in guardia dall’eccessiva fiducia in se stessi, sicurezza che aveva tradito il protagonista. Il tema della virtù morale caratterizza l’episodio successivo che vede come protagonista Abu Aron di Bagdad, indicato da Ahima’az come grande Maestro, valente astronomo e profondo conoscitore di misteri, però circa queste pratiche non ci racconta alcun episodio e si sofferma principalmente sugli insegnamenti religiosi.
La narrazione prosegue con altri episodi relativi a Shefatiah e Hanannel. Di un certo interesse è il capitolo relativo alle nozze di Cassia, figlia di Shefatiah, la quale ci è descritta come molto bella e già piuttosto avanti negli anni. Per evitare il rischio di vederla sfiorire, il padre decide di darla in sposa al cugino, non senza il disappunto della moglie che voleva come genero un giovane di pari rango e ricchezza. Shefatiah prende la decisione di far sposare la figlia dopo le preghiere della notte, cioè poco prima dell’alba. Sono proprio le lodi innalzate nel corso dell’orazione il motivo d’interesse del passo, offrendoci un saggio della cosmologia ebraica medievale.
Nella sua preghiera Shefatiah menziona i sette cieli interposti tra la Terra e il Trono della Gloria (Dio), iniziando con la sfera celeste più alta, le ‘Aravot, ove si trovano la giustizia e il diritto, la rettitudine, i tesori di vita e di pace, gli scrigni di benedizione e le anime dei giusti, gli spiriti dei nascituri nonché la rugiada che farà resuscitare i morti nel Giorno del Giudizio. Sempre in questo cielo c’è il Trono divino circondato da una corte infinita di angeli. Sotto segue Machon, in cui si trovano i depositi della neve e della grandine, della brina, della pioggia e delle tempeste. Ancora sotto Ma’on la residenza degli angeli officianti che cantano di notte e tacciono di giorno. Il cielo mediano si chiama Zevul, ove è collocata la Gerusalemme e il Santuario celeste. Seguono poi gli Shehaqim, sede dei mulini celesti che macinano la manna per i giusti e il cielo più basso Raqia’ sede del Sole, della Luna, dei cinque pianeti e delle stelle fisse. I sette cieli sono sostenuti da possenti pilastri, costituiti da maestose montagne, posti ai confini della Terra che, nella cosmologia ebraica, era totalmente circondata dal mare. Al centro vi è la Gerusalemme terrena. L’Inferno è collocato nelle viscere della terra e vi si accede attraverso profonde gallerie. Dove poggi la Terra è lecito domandarselo, ed Ahima’az ci tramanda che sia la forza divina a sostenere tutto l’Universo. Tutti i nomi usati da Shefatiah per designare i cieli hanno effettivo riscontro nei testi biblici.
Un altro personaggio degno d’approfondimento è Paltiel, un lontano parente privo di un’ascendenza diretta con Ahima’az. L’autore della Cronaca ci tramanda che fosse un ragazzino particolarmente esperto nel vaticinio astrologico e questa specializzazione fu anche la sua salvezza all’indomani dell’espugnazione musulmana di Oria, occorsa il 4 luglio 925, quando la città fu saccheggiata, incendiata e tutta la popolazione uccisa o fatta schiava. Partiel era dunque un astrologo, ma non è il caso di prenderne le distanze perché in antico l’astronomia ha percorso un lungo tragitto con l’arte divinatoria, anzi era la regola che le due discipline fossero esercitate simultaneamente, spesso insieme alla pratica medica. L’astrologia era considerata una disciplina molto seria ed ogni potente, di norma, si circondava di almeno un astrologo. Presso gli ebrei, al contrario di quanto sovente riportato in letteratura, l’astrologia non solo era coltivata, ma si fondava su basi astronomiche ed era esercitata attraverso l’osservazione diretta del cielo notturno al fine di trarne previsioni. L’astrologo era considerato un “sapiente e filosofo”, quindi figura di prestigio e degna di grande rispetto. Abbiamo più di un motivo per ritenere Partiel un profondo conoscitore della volta stellata e del movimento degli astri. Di lui, Ahima’az ci tramanda la figura di un uomo del IX secolo intento a scrutare il cielo notturno per trarne previsioni: immagine ben lontana dagli astrologi contemporanei.
In un episodio, pochi giorni dopo la cattura e presso l’accampamento non lontano da Taranto, il giovane Paltiel e il qait (capo, governatore, generale), uscirono di notte ad osservare le stelle e mentre le osservavano notarono che “l’astro del qait” stava ingoiando tre stelle in sequenza. L’astro del qait è chiaramente la Luna che occulta tre stelle e nell’interpretazione del giovane Paltiel il fenomeno celeste pronostica la vittoria militare in Sicilia, Africa e Babilonia. Di tale previsione il qait (secondo Ahima’az nientemeno che Al-Mu’izz, però è anacronistico) si compiace e promette al ragazzo grande autorità se si dimostrerà vera. La previsione si realizza entro poco tempo.
Nell’astrologia ebraica grande rilevanza era riposta nelle meteore, alle quali essi attribuivano un presagio di morte per regnanti e grandi dignitari. Un esempio in tal senso è presente nell’episodio in cui Paltiel, ormai vecchio, durante una conversazione con il suo re sotto un cielo stellato, alla visione di tre brillanti meteore, infatti, predice la morte di altrettanti regnanti entro l’anno. Il re arabo, che negli anni aveva maturato una certa esperienza astrologica grazie agli insegnamenti del sapiente consigliere, lo smentisce con tristezza, annunciandogli l’imminente morte perché egli era per prestigio pari ad un re. Nell’episodio, l’autore del Sefer usa l’espressione: “Osservavano il cielo, quand’ecco tre lucenti stelle siaccesero e in un attimo il loro splendore svanì”. E’ probabile che non ci fosse un termine specifico per indicare il fenomeno, però è certo che essi collocavano le meteore nello stesso cielo delle stelle: il Raqia’.
La sezione del Sefer dedicata a Paltiel l’astrologo e quella storicamente meno attendibile ed è, con tutta probabilità, un’invenzione letteraria dell’autore per esaltare un personaggio particolarmente versato nell’interpretazione dei segni nel cielo. Paltiel non è un avo diretto di Ahima’az, perché mai gli ha destinato tanta attenzione e spazio nel Libro dellediscendenze?
Questo Paltiel, secondo Colafemmina, è da identificare con Musa ben El’azar, un celebre medico riportato in varie fonti arabe, in una delle quali è specificato che fu catturato da Abu Ahmad Gia’far ibn Ubayd (il qait degli episodi?) proprio in Oria. Musa poiché medico poteva benissimo essere anche astronomo. Gli esempi in tal senso sono numerosi. Ad esempio, nella stessa comunità ebraica di Oria, suo contemporaneo e fatto schiavo nella stessa occasione del saccheggio nel 925, troviamo un altro illustre esempio di gran medico, scienziato, astronomo e filosofo, qual era Shabbetai bar Abram, detto Donnolo presso i bizantini, autore del Sefer Hammazalot (Libro delle costellazioni).
Nei restanti episodi riportati nel Sefer non si ravvisano ulteriori richiami all’astronomia ebraica in pieno Medioevo, però il cultore dell’astronomia può cogliere sfumature che allo storico e all’ebraista possono sfuggire ed è quanto cerchiamo di carpire appresso.
Quali sono state le motivazioni che hanno indotto l’autore a scrivere la Cronaca? In primis l’attesa per l’avvento del Messia, che Il SeferZerubabel (un breve componimento apocalittico databile al VII secolo che il nostro autore sembra conoscere) vuole molto prossimo, poiché nella tradizione esoterica ebraica, tale evento sarebbe occorso 990 anni dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (fatto risalire al 68 d.C. per un’errata datazione giudaica). Secondo questa previsione, perciò, l’anno dell’avvento doveva essere il 1058. Il Messia avrebbe chiamato a raccolta i dispersi nella Diaspora nonché, i nomi dei giusti tramandati nel Libro delle generazioni e ritornati nella Gerusalemme ricostruita. Altra finalità dell’autore era di tramandare, alle generazioni future, esempi di rettitudine morale e religiosa in modo da osteggiare il proselitismo cristiano.
Ahima’az iniziò la stesura del Libro delle discendenze agli inizi del 1054, precisamente nel mese di Adar (Febbraio-Marzo), probabilmente per scrivere con calma le gesta della sua ascendenza e terminare per tempo il lavoro entro il 1058, però sappiamo che la Cronaca fu terminata frettolosamente nella tarda primavera dello stesso anno nel mese di Sivan (maggio-giugno). Di questa fretta nel portare a termine il lavoro se ne meraviglia lo stesso Colafemmina, il quale, nelle note alla sua traduzione, lo rimarca e non ne trova una valida ragione. Di fatto, nella Cronaca si evince una discontinuità narrativa. Ad una prima parte caratterizzata da una dettagliata descrizione dei protagonisti (insieme con una ricchezza di particolari negli episodi) è contrapposta una seconda parte meno curata, in cui trova largo spazio la problematica figura di Partiel l’astrologo.
Il 1054 per uno storico è l’anno in cui si consuma lo scisma tra la Chiesa Romana e quella d’Oriente, un evento che segnerà in maniera rilevante vicende storiche posteriori, ma non può aver turbato più di tanto il rabbino di Capua che, anzi, deve aver avuto motivo per gioirne, in considerazione dell’astio che trasuda nei confronti del Cristianesimo per tutto il Sefer.
La Crab Nebula, ovvero il residuo della supernova del 1054. Credit: J.C. Cuillandre (CFHT), Giovanni Anselmi (Coelum)
Per uno storico dell’astronomia lo stesso 1054, invece, è l’anno della supernova nel Toro. Può l’autore aver visto l’apparizione di questo nuovo astro ed averlo interpretato come un eccezionale segno divino, tanto da averlo indotto ad accelerare il lavoro? La domanda è intrigante. Nel testo non troviamo espliciti riferimenti a quest’apparizione, tuttavia, leggendo nel proemio, Ahima’az nelle lodi profuse per propiziare la buona riuscita dell’opera ripete più volte ed esalta i prodigi che l’Altissimo realizza nel cielo per mostrare la sua potenza agli uomini. L’autore della Cronaca, giacché fervente credente e conoscitore dei passi biblici, può averne fatto cenno – come era consuetudine – parafrasando passi attinti dalle Sacre Scritture, in particolare dai Salmi, con espressioni del tipo: “ del Signore dei signori, del Signore che compieprodigi…”,“Nel nome di Colui che abita i cieli limpidi…”, “Giorno enotte mi delizierò nel glorificare Colui che compie gesta grandiose…” e poi “Narrerò le sue imprese possenti, rivelerò i suoi prodigi e la potenzadella sua grandezza, lo splendore della sua magnificenza, la gagliardia della sua forza, la soavità delle sue lodi, l’immanità delle sue azioni terrifiche…”,“Egli stabilì i monti con la sua forza e mostra all’uomo il suo pensiero, con la sua sapienza creò la Terra e stabilì il mondo con la sua intelligenza. Chi può essere paragonato a Lui nei cieli?”.
Uno splendido disegno, tratto da un manoscritto del 1450, che raffigura l’imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico III (1017-1056) mentre indica la SN del 1054 ad alcuni dignitari di corte.
Con tutte le cautele del caso, supponiamo che Ahima’az sia stato testimone dell’evento. Come e quando può aver notato la supernova?
Della supernova nel Toro, le più antiche segnalazioni sono relative al primo mattino del 4 Luglio 1054 (astronomi cinesi e giapponesi), in pratica nei giorni immediatamente successivi la congiunzione eliaca della costellazione, con la “stella ospite” visibile poco prima dell’alba, quando questa era pressoché al massimo di luminosità con una magnitudine –6 circa. Sebbene gli avvistamenti tramandati siano relativi ai primi di Luglio, la stella poteva già essere esplosa da diverse settimane e non avvistata perché in congiunzione col Sole. Può Ahima’az aver notato la supernova nel mese ebraico di Sivan del 1054, prima della congiunzione con il Sole? Ricostruendo l’aspetto del cielo con un planetario, notiamo che nel giorno 11 maggio al crepuscolo un sottile crescente lunare si proietta vicinissimo all’attuale M1, il resto nebulare della supernova di quell’anno. Come abbiamo già scritto, il crescente lunare aveva un’importanza non secondaria per il computo del calendario ebraico, perciò il nostro Ahima’az poteva benissimo essersi appostato per scrutare il cielo alla ricerca della prima Luna e decretare, essendo rabbino, l’inizio del nuovo mese lunare, oppure solo per rivivere l’esperienza dell’avvistamento del crescente avendo da poco raccontato nella Cronaca l’episodio dell’avo Hananeel e della scommessa con il vescovo. Così come i suoi sapienti avi, avendo una buona conoscenza del cielo, Ahima’az può aver notato prossima all’orizzonte ovest quella nuova fulgida stella, in un crepuscolo alquanto affollato di pianeti i quali, secondo un’interpretazione astrologica che ignoriamo, potevano avere un certo importante significato in un contesto messianico presunto imminente. L’enfasi riposta da Ahima’az nei confronti delle figure di Aron di Bagdad e di Paltiel, non un avo diretto, ma grande esperto nell’interpretazione in chiave astrologica degli eventi celesti, a mio avviso, può essere un tentativo dell’autore di accreditarsi verso i posteri come prosecutore di analoga sapienza per insegnamenti ricevuti e per dote di stirpe, essendo stato un testimone in prima persona di un grandioso prodigio. Tale desiderio l’autore non lo nasconde nemmeno, infatti, in chiusura del Sefer egli scrive: “Io Ahima’az, figlio di RabbiPaltiel (omonimo dell’astrologo), figlio di Rabbi Shamuel, figlio di Rabbi Hananeel, figlio di Rabbi Ammittai, servo di Dio, nel mese di Adar di tantianni da quando furono distesi i cieli (formula che ricorre alla gematria, ovvero indicare un numero dalla somma delle lettere componenti una parola. In questo caso 4814 dalla Creazione, pari al 1054 del nostro calendario), pregai Colui che misura col suo pugno le acque di farmi la grazia di rendermi sapiente nella profondità dei misteri (cioè la capacità di interpretare gli astri,considerata dagli ebrei una grazia divina) che sono la delizia dei due giorni, per corroborarmi nella sua Torah perfetta, preesistente di duemila anni (l’universo), per guidarmi nella via retta ed essere a me di aiuto, perché ascoltasse la mia preghiera di assistermi nella ricerca della genealogia dei miei padri. Io levai a Lui i miei occhi, confidai nel suo Nome santo, invocai la sua misericordia e cercai la sua pietà. Ed egli mi concesse quanto avevo con ardore chiesto. (…) Ho terminato nel mese di Sivan, con la costellazione dei Gemelli, segno sotto il quale fudata la Torah, nell’anno del ‘termine maturato’, raddoppiando‘nel mio desiderio’, l’ho completato nella sua interezza dall’inizio alla fine”. Ahima’az, esplicitamente quindi, scrive di aver ricevuto un segno ardentemente agognato ed interpretato come segnale di un “termine maturato” e di aver raddoppiato l’impegno per terminare l’opera. Gli astri, nella cosmologia ebraica, erano prodigiose emanazioni divine e media di comunicazione con gli uomini, perciò nulla di strano se l’Autore non indichi che cosa abbia visto levando al cielo le proprie suppliche, dando per scontato ai lettori che si riferisca alle stelle. Assai rilevante, inoltre, che Ahima’az specifichi di aver terminato quando in cielo è presente la costellazione dei Gemelli – ulteriore conferma della buona conoscenza della volta celeste – che la tradizione ebraica vuole legata alla Torah e nei confini della quale rientrava, all’epoca, la zona d’apparizione della supernova.
Le argomentazioni fin qui formulate, sebbene ragionevoli, possono apparire deboli per suffragare la tesi che Ahima’az sia stato un testimone oculare dell’apparizione della SN 1054. Provare quest’eventualità è tutt’altro che banale nell’ambiente della storiografia astronomica perché ne farebbe la prima testimonianza occidentale, benché non esplicita, di un fenomeno certamente appariscente, ma clamorosamente trascurato in un contesto culturale fortemente influenzato dalla concezione aristotelica dell’immutabilità dei cieli che confinavano comete, meteore e stelle nuove a fenomeni meramente atmosferici. Ci sono, sulla base dei dati disponibili, possibili conferme per un’apparizione in maggio/giugno della supernova? Forse sì.
Un indizio lo propongono F. Richard Stephenson e David A. Green i quali citano un riferimento alla supernova del 1054 contenuto nel Meigetsuki (Diario della Luna Piena) del poeta di corte Fujiwara Spadaie che così scrive:
“Secondo anno del periodo del regno Teki dell’imperatore Go-Reizei, quarto mese lunare, dopo il periodo mediano di dieci giorni. Alla doppia ora chou una stella-ospite è apparsa nei gradi di Zuixi e Shen. Fu vista a est ed emerse dalla stella Tianguan. Era grande come Giove”.
Gli autori ci informano che il quarto mese lunare va dal 10 maggio all’8 giugno e che la stella fu avvistata in un giorno imprecisato dell’ultima decade, di certo all’alba perché fu vista ad est. Forse con il “periodo mediano” il Fujiwara vuole intendere i giorni in congiunzione eliaca della costellazione occorsi proprio in quel periodo. Singolare, tuttavia, che questa segnalazione coincida proprio con il mese di Sivan dell’autore del Sefer.
Particolarmente interessante mi pare anche un passo in latino tratto dalla Cronaca di Rampona, una delle tante composte in età medievale, riportato in Medieval Chronicles and the Rotation of the Earth (R. R. Newton, John Hopkins University Press, Baltimore 1972, pag. 690): “Tempore huius stella clarissima in circuitu prime lune ingressa est, XIII Kalendas in nocte inizio”. La forma latina risente di influenze volgari, ma possiamo tradurre (con qualche libertà): “Al tempo in cui la stella fulgidissima entrò (in congiunzione) con il crescente lunare, all’inizio della notte del 13° giorno alle Calende”. In questo passo non è specificato il mese, però, supponendo si tratti della supernova, la congiunzione con il crescente lunare poteva avvenire soltanto nel mese maggio e la concordanza con la presunta data d’avvistamento di Ahima’az è veramente notevole. Questo passo è riferito al 1058, però non è da escludere un errore durante una delle trascrizioni.
Tre indizi, dunque, portano ad uno stesso periodo, vale a dire maggio-giugno del 1054.
Servono, ovviamente, ulteriori indizi per suffragare l’ipotesi della comparsa della supernova in una data anteriore al 4 luglio, però, se così fosse, il nome dell’ignaro Ahima’az sarà consegnato al Sefer degli astronomi come il primo avvistatore occidentale.
Giuseppe Donatiello è nato nel 1967 e vive ad Oria (Brindisi). Speaker professionista, lavora nell’emittenza radiotelevisiva privata sin dal 1979. Astrofilo da sempre, s’interessa a tutti gli aspetti dell’astronomia amatoriale con una predilezione per il deep sky.
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