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Gruppo Astrofili Villasanta

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2.02: Serata osservativa pubblica con i telescopi del GAV presso il Parco della Ghiringhella.
Per info: marco.saini@email.it Cell. 333 3999917 (Saini) – 335 8113987 (Milani) http://gav.altervista.org

ASTROINIZIATIVE UAI – Unione Astrofili Italiani

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Una Costellazione sopra di Noi – Ogni primo venerdì del mese, Giorgio Bianciardi (vicepresidente UAI) vi condurrà in un viaggio attorno a una costellazione del periodo. Osservazioni in diretta con approfondimenti dal vivo.
01.02: “La Costellazione dell’Auriga”.

Rassegnastampa e cielo del mese – Ogni quarto giovedì del mese. Ciclo di serate dedicate all’approfondimento delle principali notizie di attualità astronomica e all’anteprima degli eventi del cielo del mese, con Stefano Capretti.
http://telescopioremoto.uai.it/

www.uai.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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01.02: “Alla scoperta del cielo stellato”.

Per info: tel. 348 5648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

L’apparenza inganna: NGC 411 non è quello che sembra…

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Sembra un ammasso globulare, ma non lo è. Il protagonista di questa immagine ripresa dal telescopio spaziale Hubble, NGC 411, è la riprova di come spesso le apparenze possano ingannare. A prima vista ha infatti tutte le caratteristiche di un globulare, uno di quegli aggregati sferici popolati da stelle molto vecchie, sparsi intorno alla nostra galassia (ce ne sono oltre 150 conosciuti). In realtà, NGC 411 non si trova nemmeno nella Via Lattea, e le sue stelle non sono affatto vecchie.

NGC 411 è classificato come un ammasso aperto situato a 200 000 anni luce, nella Piccola Nube di Magellano, una piccola galassia satellite della nostra Via Lattea. Meno strettamente legate che in uno globulare, le stelle che formano questi raggruppamenti tendono ad allontanarsi nel tempo, quando, tipicamente, gli ammassi globulari sono sopravvissuti per ben oltre 10 miliardi di anni. NGC 411 è invece relativamente giovane, avendo non più di un decimo di questa età e, lungi dall’essere una reliquia dei primi anni dell’universo, possiede stelle in realtà ben più giovani del nostro Sole. Tutte più o meno coeve, ma non della stessa dimensione, anche se sono nate dalla stessa nube di gas e polveri.

Questa nuova immagine di Hubble fornisce molte informazioni agli astronomi… dalla luminosità delle stelle dell’ammasso è possibile ad esempio ricavare la loro massa, la temperatura e la fase evolutiva in cui si trovano. Stelle blu, per esempio, hanno temperature superficiali più elevate rispetto a quelle rosse.

L’immagine è una composizione realizzata grazie alla Wide Field Camera 3 di Hubble, prodotta da osservazioni nell’ultravioletto, nel visibile e nella banda dell’infrarosso: un set di filtri che permette al telescopio di “vedere” i colori al di là del rosso e del viola che sono le estremità dello spettro visibile.

LA CORONA CHE SCOTTA… su Urania di questa settimana

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Quindici milioni di gradi nel nucleo, circa 6000 sulla superficie visibile: sono le temperature caratteristiche del Sole e non stupisce che siano così elevate.

Ma lo stupore arriva non appena ci si allontana. Andando verso la parte più esterna dell’atmosfera del Sole,  nella corona, ci si aspetterebbe una graduale diminuzione della temperatura. Invece no, anzi si registra una vera e propria impennata che raggiunge i 4 milioni di gradi.

È una sorta di enigma, un tema caldo in tutti i sensi perché scatena accesi dibattiti fra i ricercatori. Si ritiene che i fenomeni responsabili del riscaldamento possano essere di natura magnetica e in questa direzione portano anche le recenti osservazioni effettuate dal Marshall Space Flight Center della NASA, che ha lanciato un razzo suborbitale per osservare ad alta risoluzione la zona incriminata.

Si è visto che anche in regioni molto circoscritte, dell’ordine di poche centinaia di chilometri, la configurazione del campo magnetico associato è quanto mai ingarbugliata. In questa situazione, il rilascio dell’energia magnetica immagazzinata potrebbe essere tale da giustificare le temperature osservate.

Il caso ancora non è chiuso, ma di questo passo la soluzione non è molto lontana.

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Per approfondire l’argomento: ‘Hi-C’ Mission Sees Energy in the Sun’s Corona

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Queste le altre notizie su URANIA di questa settimana:

  • ASTEROIDI PER DUE

  • COMETE IN ARRIVO

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URANIA è il notiziario settimanale realizzato da Luca Nobili ed Elena Lazzaretto.

Con Urania è davvero facile tenersi aggiornati sulle ultime news dell’astronautica e dell’astrofisica! Visita il sito: www.cieloblu.it

Associazione Astrofili Centesi

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02.02: Al telescopio: Giove
Per info: cell. 3468699254 astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Gruppo Astrofili Villasanta

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01.02: Serata a tema libero. Ingresso libero anche ai non iscritti.
Per info: marco.saini@email.it Cell. 333 3999917 (Saini) – 335 8113987 (Milani) http://gav.altervista.org

Originali e all’avanguardia, coniugano buona musica e buona astronomia… sono i Deproducer!

4 musicisti, 4 produttori con percorsi diversi ed importanti. Insieme per condividere un’idea, il primo capitolo di un progetto di ricerca: Musica, con entusiasmo e libertà, la Scienza come poesia.

PROSSIME DATE: a Milano il 1° febbraio (Teatro dal Verme); a Torino il 4 febbraio (Teatro Colosseo)

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La storia del progetto

Dall’incontro di 4 produttori del calibro di Vittorio Cosma, Gianni Maroccolo, Riccardo Sinigallia e Max Casacci nasce un progetto innovativo e coinvolgente, un connubio senza precedenti tra musica e scienza. Deproducers è una sorta di collettivo, al quale ha collaborato anche il superproduttore Howie B e lo strabiliante batterista Dodo Nkishi, che si ripropone di musicare dal vivo conferenze scientifiche raccontate in maniera rigorosa ma accessibile.

L’idea di Deproducers nasce da Vittorio Cosma, che decide di coinvolgere alcuni dei musicisti che più stima in un progetto che faccia incontrare musica e scienza.

Una mattina, con l’idea di Deproducers in testa, decide di entrare nel Planetario di Milano, dove incontra il direttore Fabio Peri, uno scienziato con un occhio di riguardo verso la musica. L’empatia è immediata, e il professore viene subito coinvolto nel progetto.

L’Astrofisico illustrerà le meraviglie del cosmo e il mistero della sua nascita, le costellazioni e la loro mitologia, il rapporto tra l’Uomo e l’Infinito, il tutto veicolato da un’incredibile capacità di coinvolgere il pubblico con un linguaggio semplice ed accessibile (vedi video in basso o nel sito dei Deproducer).

Con lui, i 4 produttori insieme alla batteria di Dodo Nkishi ed alla direzione “cosmonautica” di Howie B stenderanno un tappeto sonoro dal vivo che trascinerà l’ascoltatore dritto nel centro della volta celeste, rendendo il concerto un vero e proprio viaggio intergalattico.

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“Planetario”, il primo capitolo di questa “collana”

Nel cuore di Milano, al centro di una città che corre cercando di afferrare il tempo, ancora un posto in cui perdersi a guardare il cielo. Si chiama Planetario Civico e lo dirige un ricercatore, Fabio Peri. Da anni racconta ai visitatori le stelle, i pianeti, quella che i poeti chiamano volta celeste. Lo fa con un linguaggio appassionato e contenuti rigorosamente scientifici, attento a inserire pochi termini tecnici in mezzo ad esempi comprensibili a tutti.

E’ per questo motivo che i molti che vanno al Planetario curiosi, escono da quella visita affascinati e più consapevoli, ammirati dal mistero del cosmo che adesso grazie a Fabio Peri è un po’ meno misterioso. I deproducers – Max Casacci, Vittorio Cosma, Gianni Maroccolo e Riccardo Sinigallia, vale a dire quattro tra i migliori produttori/musicisti in circolazione – erano al lavoro da diversi mesi su un progetto musicale la mattina in cui Vittorio Cosma si infilò in quel Planetario per una visita improvvisata, nel corso della quale fece la conoscenza di Fabio Peri.

La loro collaborazione era nata per istinto naturale, un “effetto domino” provocato da un’idea che da tempo brillava davanti agli occhi di Vittorio Cosma: creare musica insieme a dei musicisti/produttori che stimava, e dare vita ad un progetto concettuale vero e proprio. Gianni Maroccolo, Riccardo Sinigallia e Max Casacci sono già lì, uniti tra loro da un solo grado di separazione.

L’idea è quella di intraprendere un percorso ambizioso, mettendo in musica una sorta di enciclopedia delle scienze, dividendola in argomenti, ognuno dei quali costituirà il soggetto di un apposito album e progetto live. Quando Cosma tornò a casa dopo aver conosciuto Fabio Peri al Planetario di Milano, ne parlò agli altri, che sull’onda dell’entusiasmo organizzarono subito un altro incontro, dal quale uscirono senza più dubbi. Il primo lavoro dei deproducers, il primo capitolo della loro enciclopedia scientifica in musica, avrebbe parlato del cielo, delle stelle, dei pianeti, dei viaggi interstellari, delle stazioni spaziali, e del nostro naso all’insù.

DeProducers

PLANETARIO

SonyMusic (CD)

Un’idea suggestiva come il tema scelto, che può risultare anche un po’ ostico, dicevamo. Ma la domanda è: funziona? Si, funziona, e anche parecchio bene. Musicalmente, l’alchimia tra i quattro ha prodotto 7 tracce che spaziano dall’atmosfera rilassata di “Planetario”, al rock elettronico di “Travelling”, “Home” e “Neu”, all’ambient di “Costellazioni”, e al collage di “ISS”. I riferimenti immediati sono diversi: la “Music for airports” di Brian Eno -trasformata in “Musica per conferenze scientifiche”, come hanno dichiarato i quattro. E poi i collage sonori di “My life in the bush of ghost” di Byrne/Eno (che vengono alla mente in “ISS,” in cui sono incluse le voci della stazione spaziale). O ancora i Kraftwerk, sia per la classe nella scelta dei suoni, sia per l’attenzione al tema del rapporto tra l’uomo, la tecnologia e ciò che lo circonda. In generale, quella dei DeProducers è una musica contaminata, che esce dagli schemi classici: frutto di improvvisazioni e rimanipolazioni, ma con una sua anima ben precisa…

• Leggi l’articolo completo di rockol.it.

• Guarda la “video intervista”

Dalle sessions dei “fantastici quattro” (> i membri) è nata allora la colonna sonora di un viaggio costruito sull’ascolto; di quanto la materia suggeriva, in primis, e di quanto ognuno dei quattro sentiva di voler proporre dagli altri. Un approccio musicale che cercava di comprendere e di abbracciare al massimo ogni nota o idea musicale si manifestasse, per creare quella che ad ascoltarla bene sembra – e forse vuole essere – la colonna sonora di un’immaginaria conferenza scientifica.

A cucire le varie tappe del viaggio i testi liberamente adattati da Alessandro Cremonesi (La Crus) dalle spiegazioni narrative di Fabio Peri, letti proprio dal curatore del Planetario Civico di Milano. Di certo non un personaggio noto, non una voce famosa, ma proprio per questo forse il più adatto a trasferire al progetto il fascino e la credibilità che derivano dalla sua passione.

Ad arricchire le tessiture ritmiche, un batterista illuminato come Dodo Nkishi (Mouse on Mars), ad alterare la densità delle strutture portanti un produttore “cosmonauta” come Howie B. Il risultato di questo lavoro è PLANETARIO, un disco necessario, di quelli che si aspettano a lungo finché, finalmente, arrivano.

PLANETARIO è un disco che racconta il cosmo ma in realtà parla all’uomo dell’uomo, che del cosmo è protagonista e al tempo stesso ospite. Torna a mettergli davanti le cose a lui più care: le possibilità, le potenzialità, la natura immanente – qualcuno direbbe “divina” – che lo rende simile alle stelle. Con linguaggio scientifico sottolinea dati e processi meccanicistici, ma solo per lasciarne intuire, sullo sfondo, il profondo senso di poesia che da questi emana. La scommessa di vivere, la possibilità di esprimere il proprio talento, il rispetto per ciò che è immensamente grande e che esiste da prima dell’uomo. La necessità, ora, di tornare ad alzare lo sguardo al cielo, e di riallinearsi a leggi e tempi millenari, naturali, che sono i tempi del respiro della nostra anima.

Di tutto questo e di altro ancora parla PLANETARIO. Parla, racconta, fa immaginare anche grazie a quello che si preannuncia come uno dei live set più interessanti dei prossimi mesi: immaginato e sviluppato dallo scenografo “illuminatore” Peter Bottazzi (già al fianco di registi come Peter Greenway, Robert Wilson, Moni Ovadia), lo spettacolo svilupperà una visione artistica che unirà ai testi raccontati da Fabio Peri il sound designing dei deproducers (sorretti anche dal vivo dalle ritmiche di Dodo Nikishi).

Un live che mostrerà al pubblico volte stellate, pianeti, stelle che bruciano in equilibrio perfetto tra energia e gravità, stazioni spaziali internazionali, il viaggio di un raggio di luce e tanto altro. Per ricordarci infine, come diceva la famosa canzone, che“noi siamo figli delle stelle /figli della notte che ci gira intorno…”

Super comete…tutto PROCEDE PER IL MEGLIO!

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Il percorso apparente della C/2012 S1 (Ison) durante il mese di febbraio

Il percorso apparente della C/2012 S1 (Ison) durante il mese di febbraio

Il percorso apparente della C/2012 S1 (Ison) durante il mese di febbraio. La cometa continuerà a muoversi di moto retrogrado nei Gemelli, mostrandosi con una luminosità di circa +15, ovviamente ancora penalizzata dalla grande distanza a cui si trova (4 UA dalla Terra e 4,76 UA dal Sole a metà mese).

Tabella osservazione cometa ISON

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 67 di Coelum n.167.

Al Planetario di Ravenna

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01.02: Appunti di fisica: “La particella della malora Il bosone di Higgs” di Piero Ranalli (Sala Conferenze del Planetario, INGRESSO LIBERO).
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Al Planetario di Padova

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Il venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 17:30 e 21:00, la domenica alle ore 16:00 e 17:30. Per il programma di febbraio consultare il sito del Planetario.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Gruppo Amici del Cielo di Barzago

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01.02: “I modelli cosmologici del sistema solare ”
Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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31.01: “Buchi neri nel nostro universo”.

DISEGNA LA STELLA DI BETLEMME:
Scade il 31 gennaio il consueto concorso graficopittorico per i giovanissimi.
Alla “Stella di Betlemme” è dedicato il concorso che l’Osservatorio Serafino Zani organizza ogni anno. I ragazzi delle scuole dell’obbligo sono invitati a rappresentare con un disegno una delle diverse ipotesi (congiunzione planetaria, cometa o addirittura esplosione di una stella) e a inviarlo, entro la fine di gennaio, al Centro Studi Serafino Zani, via Bosca 24, 25066 Lumezzane. Il disegno può essere di qualunque formato e realizzato con qualsiasi tecnica. Le opere più belle verranno ritratte il prossimo Natale in cartoline illustrate inviate in diverse copie agli autori e pubblicate nelle pagine del nostro
sito.
Per info: tel. 348 5648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Una mezza Luna calante sorgerà insieme a Spica

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Luna e Spica

Luna e Spica
La notte tra l’1 e il 2 febbraio, verso la mezzanotte, sarà possibile vedere Spica (alfa Virginis, mag. +1,0) , la stella principale della costellazione della Vergine, sorgere dall’orizzonte di est-sudest molto vicina (poco più di un grado) a un purtroppo abbastanza luminoso Quarto di Luna.

Al Planetario di Ravenna

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29.01: “La nebulosa del granchio” di M. Berretti.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Associazione Astrofili Centesi

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01.02: Al telescopio: Giove.
Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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Una Costellazione sopra di Noi – Ogni primo venerdì del mese, Giorgio Bianciardi (vicepresidente UAI) vi condurrà in un viaggio attorno a una costellazione del periodo. Osservazioni in diretta con approfondimenti dal vivo.

01.02: “La Costellazione dell’Auriga”

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www.uai.it

Il superammasso che sfida il principio cosmologico… su Urania di questa settimana

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E’ il più grande insieme di galassie mai individuato finora e mette in dubbio uno dei fondamenti della cosmologia moderna: il principio cosmologico.

Una visualizzazione a computer del gruppo di quasar U1.27, il più grande oggetto finora identificato nell'universo (Roger G. Clowes)

Andiamo con ordine: il gruppo – Huge-LQG (o U1.27, ovvero Huge Large Quasar Group) scoperto agli inizi del gennaio 2013 da un team di astronomi guidati da Dr. Roger G. Clowes dell’University of Central Lancashire utilizzando datti della Sloan Digital Sky Survey – è molto lontano ed è costituito da un insieme di 73 galassie primordiali che nel loro insieme si estendono per ben 4 miliardi di anni luce.
Un valore enorme se consideriamo che la nostra galassia è grande appena 100 mila anni luce.

Se da una parte la scoperta di un gruppo così esteso segna un nuovo record, dall’altra apre uno scontro con il cosiddetto principio cosmologico. Secondo questo principio, l’Universo deve essersi evoluto allo stesso modo in qualsiasi direzioni si osservi, a patto di considerare grandi porzioni di spazio a grandi distanze. Affinché il principio resti valido si dovranno trovare altri supergruppi come questo anche in altre direzioni di osservazione.

Huge-LQG è evidenziato dalla lunga catena di cerchietti neri mentre le croci rosse segnano le posizioni delle componenti quasar di un altro gruppo più piccolo. Per comprendere le dimensioni di questo cluster, si consideri che il campo coperto dalla mappa è di ben 29,4° x 24°. Nei due assi l'ascensione retta e la declinazione in gradi della carta (R. G. Clowes / UCLan).

Il problema è che per quanto estesi miliardi di anni luce questi ammassi sono anche molto lontani e quindi difficili da individuare. E così mentre una piccola parte di scienziati ritiene che il principio cosmologico vada rivisto, la maggior parte dei cosmologi preferisce aspettare, sicuri che con i futuri strumenti presto scopriremo anche gli altri supergruppi.

Per approfondire l’argomento:

• Astronomers discover the largest structure in the universe

Queste le altre notizie su URANIA di questa settimana:

  • A PROPOSITO DI TITANO

  • UN PALLONE GONFIATO PER LA NASA

URANIA è il notiziario settimanale realizzato da Luca Nobili ed Elena Lazzaretto.

Con Urania è davvero facile tenersi aggiornati sulle ultime news dell’astronautica e dell’astrofisica! Visita il sito: www.cieloblu.it

Le 10 comete più belle del nuovo millennio

Il 2013, come ormai tutti gli appassionati sanno, si preannuncia l’anno delle comete. Siamo infatti in attesa di due (presunte) superstars, la C/2011 L4 PanSTARRS (annunciata per marzo) e la C/2012 S1 ISON (visibile nel suo massimo splendore a novembre). Entrambe potrebbero risultare indimenticabili ma, vista l’imprevedibilità di questi oggetti, è meglio aspettare prima di darlo per scontato.

L’ultima grande cometa che tutti ricordano è sicuramente la Hale-Bopp del 1997. Il suo ricordo ancora così vivo, la sua “ingombrante” presenza a ben quindici anni dal suo memorabile show, rischiano però di cancellare molte altre sue sorelle che da allora hanno solcato i nostri cieli. Alcune, per certi versi, indimenticabili quanto la “cometa del “secolo” (scorso).

Del periodo post Hale-Bopp sono stato buon testimone, seguendo rigorosamente in visuale più di un centinaio di comete. Trasformandomi quindi in una specie di dee jay celeste, provo a proporre la superclassifica dei dieci migliori “astri chiomati del nuovo millennio” visibili dal nostro emisfero, tenendo conto non solo della luminosità raggiunta ma anche delle condizioni in cui si sono potuti osservare.

10° posto 8P/Tuttle

A fine 2007 superò di poco la sesta magnitudine e si percepì a occhio nudo sotto cieli bui, seppure con molta difficoltà. A fine anno finì tra i …bracci di M 33 per un abbraccio a dir poco particolare.

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9° posto C/2002 V1 NEAT

Dopo aver sfiorato il Sole, resistendo eroicamente in barba alle previsioni di molti esperti, nel febbraio 2003, grazie al suo ottimo grado di condensazione, fu visibile appena dopo il tramonto a occhio nudo, seppure in condizioni critiche. Grazie a un outburst, per qualcuno arrivò addirittura al di sotto della prima magnitudine. Altre stime la valutarono comunque tra la seconda e la terza magnitudine.

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8° posto C/2004 F4 Bradfield

Nell’aprile del 2004 si mostrò all’alba tra le luci del crepuscolo, bassissima sull’orizzonte. Tra le stime di luminosità, qualcuno riportò la notevole magnitudine di 2,6. In altri casi si arrivò a stimarla non lontano dalla quarta magnitudine. Le foto evidenziarono invece una lunga e stretta coda.

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7° posto C/2006 M4 Swan

Verso fine ottobre 2006 un outburst trasformò per qualche giorno la M4 Swan in un oggetto luminoso, visibile senza strumenti, che anche in piccoli binocoli sfoggiò una impressionante coda. La cometa era in quel momento vicina al grande Ammasso di Ercole e ciò diede forma a un quadretto indimenticabile.

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La C/2007 N3 Lulin. Disegno eseguito al binocolo 20x90 il 31/1/2009. Si possono vedere la coda (lunga e sottile) e la probabile anticoda (quella allargata). Crediti: Claudio Pra

6° posto C/2007 N3 Lulin

La N3 Lulin diede il meglio di sé nel febbraio 2009, raggiungendo la quinta magnitudine. La cometa mostrò per un po’ di tempo un anticoda, rilevabile anche visualmente. Il 23 febbraio transitò nei pressi di Saturno, mostrandosi ad occhio nudo. Successivamente perse rapidamente luminosità.

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La C/2004 Q2 Machholz. Disegno eseguito al binocolo 11x70 il 4/1/2005. La coda di polveri (verso il basso) e la coda di gas viste della stessa luminosità e lunghe più di un grado. Crediti: Claudio Pra

5° posto C/2004 Q2 Machholz

Dicembre 2004, la Q2 Machholz si mostra a occhio nudo, raggiungendo a inizio 2005 la terza magnitudine. Bellissimo il passaggio in prossimità delle Pleiadi, trafitte dalla sua coda di polveri. Anche la coda di gas fu alla portata di una strumentazione modesta.

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La C/2002 V1 Neat. Disegno eseguito al binocolo 10x50 il 6/2/2003. Visibili il falso nucleo e l’alone brillante che lo circonda. Dalla piccola testa parte una coda ben visibile. Crediti: Claudio Pra

4° posto C/2001 Q4 Neat

Maggio 2004: facilmente visibile a occhio nudo ecco la ragguardevole Q4 Neat che al massimo della sua luminosità arrivò a splendere di terza magnitudine. Al momento della scoperta le previsioni sull’orbita sembrarono suggerire un passaggio ravvicinassimo al nostro pianeta, con uno scenario che sarebbe stato incredibile. Le correzioni seguenti smentirono questa ipotesi, ma il transito dell’oggetto fu comunque notevole da seguire. La cometa, anziché la Terra, il 15 maggio 2004 sfiorò M44, il Presepe. Notevolissima la coda, anzi le code, visto che mostrò in visuale sia quella di polveri che quella di gas.

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3° posto P/153 Ikeya-Zhang

Nella primavera del 2002 lo spettacolo fu garantito dalla splendida C/2001 C1 Ikeya-Zhang, associata in seguito a una cometa del passato di lunghissimo periodo. La denominazione cambiò quindi successivamente in P/153 Ikeya-Zhang. A marzo raggiunse una notevolissima terza magnitudine, mostrandosi facilmente a occhio nudo. Stupenda la sua lunga coda, appena accennata a occhio nudo ma rilevabile con un minimo ausilio ottico. L’oggetto rimase accessibile a piccoli strumenti per qualche mese ed è sicuramente da ricordare come uno dei più belli del nuovo millennio.

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La 17/P Holmes. Disegno eseguito al binocolo 20x90 il 27/12/2007. La Holmes è un enorme bolla allungata così come la sua luminosa parte centrale. Crediti: Claudio Pra

2° posto 17/P Holmes

Incredibile il caso della Holmes che, pur a grande distanza dal Sole, con un outburst epocale nell’ottobre del 2007, aumentò in poche ore dalla mag. 17 alla 2. Fu visibile dapprima come una stellina perfettamente puntiforme, che si trasformò in seguito in una bolla sempre più grande, estesa circa un grado in visuale. Più che una cometa sembrò una nebulosa planetaria. Restò visibile ad occhio nudo per ben quattro mesi. Qualcosa di assolutamente incredibile.

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La C/2006 P1 Mc Naught. Disegno eseguito al binocolo 20x90 il 7/1/2007. Nonostante l’intenso chiarore (Sole a -5°) la cometa mostra senza problemi la sua piccola testa brillantissima e una corta coda (visibile solo la parte più luminosa vicino alla testa). Crediti: Claudio Pra

1° posto C/2006 P1 Mc Naught

Tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007 si accende in cielo questo autentico “mostro”, che avrebbe preso il posto della Hale-Bopp nei nostri ricordi, se solo la geometria dell’incontro avesse favorito maggiormente il nostro emisfero. Invece alle nostre latitudini fu vista tra le fauci del Sole. Nonostante ciò, raggiungendo la grandiosa magnitudine -6 fu facilmente osservabile per i pochi che la cercarono, sia pure in condizioni difficili.

La grandissima luminosità la rese visibile a occhio nudo durante il giorno, con tanto di coda appena accennata.

Il 13 gennaio, giorno del suo perielio, la vidi senza strumenti in pieno giorno, distante poco più di cinque gradi dal Sole, avendo l’accortezza di nascondere l’accecante astro diurno con una mano. Certo nell’emisfero australe hanno assistito a ben altro spettacolo, ma resta un fenomenale oggetto anche nei nostri ricordi.

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Le comete, nella stragrande maggioranza dei casi ”anonimi” deboli batuffoli che si assomigliano, eppure ognuno meritorio di attenzione. In altri casi “astri” che lasciano senza fiato. Per alcuni studiosi sono portatrici della vita sulla Terra nel corso di un bombardamento primordiale. Per molti superstiziosi, soprattutto del passato, sono portatrici di sventura. Per me, modesto osservatore, sono portatrici di emozioni.

ASSOCIAZIONE CASCINESE ASTROFILI

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28.01: “Fotografia del profondo cielo – 1° lezione” a cura di Gianmichele Ratto.
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736 domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it Simone Pertici: Cell: 329-6116984 simone.pertici@domenicoantonacci.it www.astrofilicascinesi.it

Hubble e il Grande Attrattore

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Crediti: ESA/Hubble & NASA

L’ultima immagine prodotta da Hubble, il telescopio spaziale di NASA ed ESA, ritrae una piccola porzione di spazio in cui è possibile vedere un folto gruppo di stelle luminose e, in secondo piano, numerose galassie.

La zona catturata dall’obiettivo di Hubble si trova al confine tra le costellazioni del Triangolo Australe e di Norma (detta anche Regolo). Comprende buona parte delle galassie dell‘ammasso del Regolo (o Abell 3627) e parte di una densa area della Via Lattea. L’ammasso del Regolo è l’ammasso stellare di grande massa più vicino a noi, trovandosi a circa 220 milioni di anni luce di distanza. La grande massa concentrata in quella zona, e la conseguente attrazione gravitazionale, fa sì che la zona sia chiamata il Grande Attrattore, una struttura che domina la nostra regione di Universo attraendo le galassie circostanti per centinaia di milioni di anni luce.

Crediti: ESA/Hubble & NASA

Questa immagine è costituita da esposizioni in luce blu e infrarossa ottenute dalla Advanced Camera for Surveys (ACS) di Hubble.

Come si può notare, la più grande galassia fotografata da Hubble in questa nuova immagine è ESO 137-002, una galassia a spirale. Attorno alla galassia è possibile vedere grandi regioni di polvere stellare. Quello che, in realtà, non possibile vedere nell’immagine è la lunga coda di raggi X che si estende oltre la galassia, invisibile per uno strumento ottico come Hubble.

Il Grande Attrattore è difficile da osservare a lunghezze d’onda ottiche, anche perché il lungo piano della Via Lattea illumina (con le sue numerose stelle) e allo stesso tempo oscura (di polvere) molti oggetti limitrofi. Gli astronomi hanno molti trucchi per superare il problema, come le  osservazioni a raggi infrarossi o radio, ma la regione dietro il centro della Via Lattea, dove la polvere è più spessa, rimane un mistero.

Pio & Bubble Boy – Coelum n.167 – 2013

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vignetta 167

vignetta 167

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.167 – 2013. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

Nausikaa e Cybele NEL LEONE l’incontro di due solitudini cosmiche.

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Nausikaa e Cybele NEL LEONE

Nausikaa e Cybele NEL LEONE

Durante il mese di febbraio saranno sei gli asteroidi a scendere sotto la decima magnitudine (che è un po’ la soglia di eccellenza osservativa per questo tipo di oggetti). In ordine di passaggio al meridiano avremo:Vesta, Ceres, Metis, Eunomia, Amphitrite e Irene. Nessuno di questi aggiungerà l’opposizione nel periodo, ma sarà comunque bene tenere d’occhio (14) Irene, che in marzo arriverà a una distanza dalla Terra mai raggiunta dal 1954… Ci sarà occasione per parlarne nel prossimo numero!
Tra i pianetini attualmente in opposizione ce ne sono invece due, (192) Nausikaa e (65) Cybele, mai trattati in questa rubrica. Intendiamoci, non è che questo mese faranno cose eccezionali, ma la mia intenzione – lo sapete – è quella di farvi conoscere in modo sistematico tutti i pianetini catalogati fino al numero (200), e qualcuno dei più “alti” quando se lo merita.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 68 di Coelum n.167.

Ecco i vincitori del Concorso Fotografico 2012… ma non solo!

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E adesso…
TOCCA A VOI VOTARE!!!
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Scadenza 28 Febbraio 2013
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TUTTE le immagini pervenuteci,  rientranti nel tema del concorso, troveranno posto sul sito della rivista in un’apposita sezione di PHOTOCOELUM
Concorso Moon Games 2012Tutte potranno essere votate dai lettori utilizzando il “Mi Piace” di Facebook, Mi Piaceo di Gplus fino ad arrivare a  una sorta di verdetto popolare, che non cambierà  in ogni caso il giudizio della giuria e l’attribuzione dei premi, ma che darà diritto al vincitore di ricevere un premio speciale messo a disposizione dalla Redazione:

UN ANNO CON COELUM
(Abbonamento annuale + Calendario CFHT 2013)!

La scadenza per la raccolta dei voti è fissata al 28 Febbraio 2013: affrettatevi a votare!

Circa sessanta partecipanti, un centinaio di foto da valutare. È stata questa la risposta dei lettori di Coelum all’invito a partecipare alla seconda edizione del Concorso Fotografico di Astronomia Creativa.

L’anno scorso, quando si trattava di includere nella inquadratura Giove con il suo sistema di satelliti la partecipazione fu decisamente più bassa; ma c’era da capirlo, non è ovviamente da tutti avere la pazienza e la capacità di riuscire a “far recitare” Giove in una scena che includa anche la presenza umana. Un po’ più facile il tema di quest’anno, che invitava a trattare ogni possibile fase lunare come occasione di gioco edivertimento, e che soprattutto si faceva forte dei bellissimi premi messi in palio dai nostri sponsor.

E proprio per la grande quantità di immagini arrivate in redazione non è stato davvero facile per la giuria scegliere quelle che sarebbero poi andate ad occupare i primi tre posti e che qui di seguito abbiamo il piacere di presentarvi.

Come sempre in questi casi, ci si potrebbe domandare: sono davvero queste le composizioni migliori, le più belle, le più originali o creative?
Per noi sì, ma ricadendo tutto ciò nel dominio delle valutazioni soggettive, ci piace anche l’idea di affidare la conferma o la smentita al responso statistico dei grandi numeri, confidando nel giudizio dei lettori.

Lasciandovi finalmente alle foto premiate, ognuna corredata dai dati tecnici e dai giudizi sintetici in base ai quali la giuria ha ritenuto di spiegarli, vi diamo appuntamento al 3° Concorso Fotografico di Astronomia Creativa che come gli altri verrà bandito poco prima dell’estate.

I Venerdì dell’Universo 2013

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25.01: “Il Lato Oscuro del Cosmo” a cura di MASSIMO CAPACCIOLI.

Diretta streaming video: http://web.unife.it/unifetv/universo.html
Per informazioni: Tel. 0532/97.42.11 – E-mail: venerdiuniverso@fe.infn.it
www.unife.it/dipartimento/fisica – www.fe.infn.it

Il gamma ray burst scritto negli alberi

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Rappresentazione artistica di un GRB (NASA/Dana Berry/Skyworks Digital)

Rappresentazione artistica di un GRB (NASA/Dana Berry/Skyworks Digital)

Cos’era il lampo di energia che ha investito la Terra verso la fine dell’ottavo secolo dopo Cristo, lasciando tracce evidenti dagli anelli di crescita degli alberi ai ghiacci dell’Antartide? Secondo Valeri Hambaryan e Ralph Neuhӓuser, astrofisici dell’Università di Jena, Germania, l’ipotesi più convincente è che si sia trattato di un gamma ray burst, un “lampo” di raggi gamma causato dalla fusione di due oggetti stellari molto compatti: buchi neri, stelle di neutroni o nane bianche.

La principale traccia di questo evento sono i livelli particolarmente alti, scoperti nel 2012 dal ricercatore giapponese Fusa Miyake, di Carbonio 14 e Berillio 10 negli anelli di crescita degli alberi risalenti all’anno 775. Questi particolari isotopi di carbonio e berillio si formano quando la radiazione ad alta energia proveniente dallo spazio si scontra con gli atomi di azoto nella nostra atmosfera. Questi isotopi, radioattivi, decadono nel tempo, per cui di regola la loro concentrazione negli anelli degli alberi cala gradualmente. Il brusco aumento visibile negli anelli degli alberi giapponesi indica che dallo spazio deve essere arrivato “qualcosa” a rifornire l’atmosfera di Carbonio 14 e Berillio 10. E i dati combaciano con quanto si osserva negli alberi americani ed Europei, anche se in quei casi per diverse ragioni è più difficile indicare una data così precisa: il periodo comunque è più o meno quello. Ultimo tassello: quell’aumento di isotopi radioattivi attorno all’ottavo secolo si ritrova anche nei ghiacci dell’Antartide. Qualunque cosa fosse, insomma, ha interessato l’intero pianeta.

I ricercatori hanno prima considerato le ipotesi più ovvie: al primo posto, un brillamento solare. Ma questi fenomeni non sono in genere abbastanza potenti da produrre quella quantità di carbonio 14. Ci sarebbe voluto un flare 20 volte più potente di quelli che osserviamo normalmente: sulla carta è possibile, ma molto improbabile e il fenomeno avrebbe avuto effetti tangibili di cui sarebbe rimasta traccia nelle fonti storiche.

Allo stesso modo, i ricercatori hanno escluso anche l’ipotesi di una supernova. Per generare abbastanza energia, avrebbe dovuto essere molto vicina, a meno di 1000 anni luce dalla Terra. E avrebbe dovuto essere tanto luminosa da essere ben visibile persino di giorno. Ancora una volte, dovrebbe essercene traccia nelle cronache dell’epoca perché l’avrebbero vista tutti. E invece non c’è traccia, a parte una citazione nella Cronaca Anglosassone (un testo del IX secolo) riferita al 776 dc, che parla di un “crocifisso rosso nel cielo” improvvisamente visibile dopo il tramonto. Il problema è che non sono mai stati trovati resti di alcuna supernova di quell’età e così vicina, eppure se ci fossero dovrebbero essere molto facili da vedere per gli astronomi.

Resta, quindi, il gamma ray burst. Per la precisione uno di quelli corti, gli short gamma ray burst, della durata di meno di due secondi, che osserviamo relativamente spesso nelle altre galassie. Secondo la teoria prevalente, questi intensi lampi di raggi gamma si generano quando due ex stelle, già da tempo degenerate in stelle di neutroni o nane bianche, si fondono, causando una violenta esplosione che emette una parte della sua energia nella lunghezza d’onda dei raggi gamma. Secondo i calcoli di Hambaryan e Neuhӓuser, un evento di questo tipo posto a una distanza fra 3.000 e 12.000 anni luce potrebbe spiegare l’aumento di carbonio 14 e berillio 10 osservato negli alberi. E spiegherebbe perché nessuno dei nostri antenati abbia visto niente: anche se si pensa che un GRB così vicino sarebbe associato a una certa quantità di luce visibile, sarebbe stata troppo debole per essere notata a occhio nudo.

Possiamo rallegrarci che l’evento non sia stato più vicino, comunque. Se fosse avvenuto a meno di 3.000 anni luce da noi, avrebbe avuto conseguenze pesanti sulla biosfera, al punto che forse non saremmo qui a parlarne.

La ricerca è pubblicata su Monthly Notices of the Royal Academy of Sciences

Vedi anche:

L’articolo Che cosa è successo nell’anno 775? di Elena Lazzaretto pubblicato su Coelum n. 162

Associazione Astrofili Centesi

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25.01: Al telescopio: Luna e Giove.
Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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25.01: “Ricerca astronomica non professionistica”.

Per info: tel. 348 5648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Monna Lisa va nello spazio

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Credit: Xiaoli Sun, NASA Goddard
Credit: Xiaoli Sun, NASA Goddard

Già è in assoluto il quadro più noto della storia, visto ogni anno da milioni di visitatori. Ora la sua notorietà si spinge oltre il nostro pianeta. La NASA ha infatti spedito, o meglio trasmesso, la Gioconda fino quasi sulla Luna.

I ricercatori hanno usato infatti il quadro di Leonardo per testare per la prima volta la trasmissione di informazioni via laser con un satellite in orbita attorno alla Luna, il Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO).

L’immagine della Monna Lisa è stata trasformata in una sequenza di pixel e ha viaggiato per circa 386mila chilometri dalla stazione Next Generation Satellite Laser Ranging della NASA, al Goddard Space Flight Center nel Meryland (USA), fino al Lunar Orbiter Laser Altimeter (LOLA), montato su LRO.

David Smith, lo scienziato a capo degli esperimenti con LOLA, ha detto che «è la prima volta che è possibile comunicare via laser a queste distanze. Questo tipo di tecnica, nel futuro, potrà essere utile per le comunicazioni radio con i satelliti».
lro_2006

Mentre la maggior parte dei satelliti che escono dall’orbita terrestre usano le onde radio per il tracking  e la comunicazione, LRO è l’unico a usare anche il laser. Una volta ricevuto il segnale digitale, l’immagine è stata rinviata sulla Terra utilizzando la telemetria tradizionale radio, per accertare il successo dell’operazione

L’immagine è stata divisa in 200 pixel, ciascuno dei quali è stato poi convertito nella scala dei grigi e codificato con un numero da 0 a 4095.  Ogni pixel è stato trasmesso con un impulso laser, “sparato” in uno tra 4096 slot di tempo disponibili nell’ambito della finestra temporale allocata. In questo modo l’immagine completa è stata trasmessa una velocità di trasferimento dati di circa 300 bit al secondo.

Le condizioni atmosferiche attorno alla Terra hanno causato qualche disturbo e l’immagine, al momento dell’arrivo, mostrava qualche imperfezione. I ricercatori hanno corretto le imperfezioni utilizzando lo stesso codice di correzione utilizzato in CD e DVD.

«Questo primo importante risultato – ha detto soddisfatto Richard Vondrak, vice scienziato del progetto dell’orbiter – pone delle solide basi per il progetto  Lunar Laser Communications Demonstration (LLCD), centrale nelle prossime missioni lunari della NASA».

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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24.01: “Buchi neri con momento angolare; Fisica dei buchi neri”.
Per info: tel. 348 5648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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Rassegna stampa e cielo del mese – Ogni quarto giovedì del mese. Ciclo di serate dedicate all’approfondimento delle principali notizie di attualità astronomica e all’anteprima degli eventi del cielo del mese, con Stefano Capretti.
24.01: Rassegna stampa di Gennaio e cielo di Febbraio.
http://telescopioremoto.uai.it/
www.uai.it

Cosa si vede nell’iperspazio

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Chi non ha mai sognato da bambino di poter viaggiare alla velocità della luce a bordo del Millennium Falcon con Han, Luke e Leila?

In realtà, come sappiamo, non è possibile raggiungere la velocità della luce (300.000 km/sec). Ma ammettiamo per un attimo che questa ipotesi si realizzasse: che cosa vedremmo dal “parabrezza” della nostra navicella? Sicuramente non quello che ci ha mostrato (come si vede nell’immagine qui accanto) George Lucas nei film della serie di Star Wars.

Alcuni studenti di fisica all’Università di Leicester hanno usato le leggi della relatività per descrivere un ipotetico viaggio nell’iperspazio, reso celebre da molti romanzi e film di fantascienza, e ciò che hanno concluso è lontano anni luce (è il caso di dirlo) dall’immaginazione dei più attenti sceneggiatori.

I quattro studenti, Riley Connors, Katie Dexter, Joshua Argyle e Cameron Scoular, hanno dimostrato che a quella velocità l’equipaggio della navicella spaziale non vedrebbe una scia infinita di stelle, ma semplicemente un disco di luce molto luminoso, come se le stelle si fondessero.

I risultati ottenuti dai quattro studenti di fisica si basano sulla teoria di Einstein della relatività speciale (relatività ristretta), una riformulazione successiva della meccanica classica a opera di Albert Einstein: è quella teoria, in contrapposizione a relatività generale, che si limita a considerare i sistemi di riferimento inerziali.

Lo studio è pubblicato sul Journal of Physics Special Topics, una rivista che l’Università di Leicester usa per pubblicare brevi articoli dei suoi studenti agli ultimi anni, anche su temi “non tradizionali”, per far prendere loro confidenza con i meccanismi della peer review e con la scrittura di articoli scientifici. I quattro hanno usato argomenti di fisica teorica per dimostrare che, dal punto di vista di una navicella che viaggiasse alal velocità della luce, non ci sarebbero tracce visibili di stelle a causa dell’effetto Doppler, quel particolare fenomeno fisico che spiega la variazione di frequenza delle onde emesse da una sorgente in moto rispetto a un osservatore. Per chiarire il concetto in modo banale basti pensare alla sirena di un’ambulanza, la cui frequenza aumenta con l’avvicinarsi all’ascoltatore, e diminuisce in caso di allontanamento.

Crediti: University of Leicester

L’effetto Doppler, in questo caso applicato alle onde elettromagnetiche, causerebbe il cosiddetto blue shift, lo spostamento verso il blu della luce: agli occhi di chi si trovasse nel Millenium Falcon, la lunghezza d’onda della luce emessa dalle stelle diminuirebbe, prima spostandosi verso il blu e poi uscendo dalla luce visibile per passare nello spettro dei raggi X, non visibili dall’occhio umano.

L’equipaggio percepirebbe un grande disco di luce bianca, creato nientemeno che dalla radiazione cosmica di fondo(Cosmic Microwave Background) che per lo stesso effetto Doppler finirebbe per essere percepita nello spettro del visibile. La radiazione cosmica di fondo è una radiazione elettromagnetica, a 2,7 gradi Kelvin, che permea l’universo in modo uniforme ed è ciò che resta del Big Bang.

Per saperne di più:

Curiosity pronto al primo scavo

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L’ immagine mostra la roccia pianeggiante scelta per la prima perforazione del rover Curiosity. CREDIT: NASA/JPL-Caltech/MSSS

L’ immagine mostra la zona di roccia piatta, attraversata da fratture e venature, scelta per la prima perforazione del rover Curiosity; nei riquadri vengono evidenziate le caratteristiche formazioni della roccia: scalini, creste, venature, crepe e possibili infiltrazioni di sabbia. CREDIT: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Atterrato su Marte circa cinque mesi fa il rover della Nasa Curiosity si prepara, con il benestare degli ingegneri del progetto, a perforare la prima roccia marziana. L’ammasso roccioso scelto è piatto con venature chiare e potrebbe dimostrare la presenza, passata, di acqua.

Il rover Curiosity è al momento all’interno del cratere Gale di Marte per indagare se il pianeta ha mai offerto un ambiente favorevole per la vita microbica.

“La perforazione di una roccia per raccogliere un campione sarà l’attività più difficile di questa missione dopo l’atterraggio. Non è mai stato fatto su Marte”, ha dichiarato il manager del progetto Richard Cook del NASA Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California. Che avverte “il trapano interagirà energeticamente con il materiale marziano in modi che non controlliamo del tutto. Non ci sarà da stupiris se alcune fasi del processo non andranno esattamente come previsto.”

Curiosity prima raccoglierà i campioni in polvere dall’interno della roccia e  li userà per pulire il trapano. Poi il rover dovrà forare e prendere più campioni di questa roccia, li esaminerà, per carpire informazioni sulla composizione chimica e minerale di questa.

La roccia scelta è in una zona dove la Mastcam di Curiosity e altre telecamere hanno rivelato diverse caratteristiche inaspettate, tra cui vene, noduli, doppie stratificazioni, un ciottolo brillante incorporato in pietra arenaria, e forse alcuni buchi nel terreno.

La roccia scelta per la perforazione si chiama “John Klein” in omaggio all’ex vice responsabile del progetto John W. Klein, morto nel 2011. La roccia si trova all’interno di una depressione poco profonda chiamata “Yellowknife Bay.” Il terreno di questa zona è diversa da quella del luogo di atterraggio, un corso d’acqua asciutto circa un terzo di miglio (circa 500 metri) a ovest. Il team del rover Curiosity ha deciso di cercare lì un target di foratura perché le osservazioni orbitali hanno mostrato terra fratturata che si raffredda più lentamente.

“Il segnale orbitale ci ha attirato qui, ma quello che abbiamo trovato quando siamo arrivati ​​è stata una grande sorpresa”, ha detto John Grotzinger scienziato del progetto Mars Science Laboratory, del California Institute of Technology di Pasadena. “Questa zona ha avuto un diverso tipo di ambiente umido rispetto al alveo in cui siamo atterrati.”

Una prova viene dalla ChemCam del rover che ha trovato livelli elevati di calcio, zolfo e idrogeno.

“Queste vene sono probabilmente composte da solfato di calcio idrato, come bassinite o gesso”, ha detto un membro del team ChemCam Nicolas Mangold del Laboratoire de Planetologie et de Nantes Geodynamique in Francia. “Sulla Terra, la formazione di vene come queste richiede la presenza di acqua che circola nelle fratture.”

I ricercatori hanno utilizzato il Mars mano Lens Imager (Macli) del rover per esaminare le rocce sedimentarie della zona. Alcune sono in pietra arenaria e in altre  vicinanze si trova la siltite. Queste differiscono in modo significativo dalle rocce di conglomerato di ghiaia nella zona di atterraggio.

“Tutte queste sono rocce sedimentarie e le diverse granulometrie ci racconteranno le condizioni di trasporto.” Ha detto Macli Yingst ricercatore Aileen del Planetary Science Institute di Tucson, in Arizona.

Cygnus OB212, la stella che brillerebbe come Deneb

In alto. A sinistra, una mappa a campo medio fornisce la posizione (indicata dalla freccia all’interno del riquadro giallo) di Cygnus OB2-12, 2,2° a estnordest da gamma Cygni. A destra, l’ingrandimento del riquadro mostra in modo più accurato la locazione della stellina in un campo di 30 primi.

In alto. A sinistra, una mappa a campo medio fornisce la posizione (indicata dalla freccia all’interno del riquadro giallo) di Cygnus OB2-12, 2,2° a estnordest da gamma Cygni. A destra, l’ingrandimento del riquadro mostra in modo più accurato la locazione della stellina in un campo di 30 primi.

Avendo la fortuna di osservare la Via Lattea sotto un cielo scuro, anche il neofito o inesperto osservatore noterà come essa sia attraversata, divisa verrebbe più propriamente da dire, da lunghe aree scure dove la densità stellare sembra davvero minima; é ben noto che a produrre questo effetto selettivo, noto come estinzione della luce stellare, siano le vaste quantità di polveri interposte qua e la nel disco galattico, a volte disposte quasi come una vera muraglia che sembra impedire la visione di ciò che c’è oltre. L’effetto è ancor più evidente utilizzando un binocolo, tanto che a volte il passaggio tra le dense nubi galattiche e queste oscure fenditure polverose è netto; peraltro, numerose altre galassie come la nostra o ancor più esotiche come Centaurus A mostrano fenomeni di assorbimento della luce stellare anche più notevoli. E’ logico quindi pensare che molte delle stelle visibili ad occhio nudo tra quelle disposte lungo la Via Lattea potrebbero in realtà essere molto più luminose di come si presentano; a tutti gli effetti, esistono stelle, anche di eccezionale luminosità, la cui luce risente dell’estinzione al punto da sparire quasi del tutto alla vista. Ma come apparirebbero queste se il mezzo interstellare non avesse effetto? Considerando l’immenso numero di stelle presenti lungo la Via Lattea, sembrerebbe del tutto impossibile rintracciare tali campioni; la ricerca andrebbe ovviamente limitata a quelle che sono le stelle più luminose in assoluto, le supergiganti azzurre.

Ebbene, le più luminose tra queste si raggruppano nelle cosiddette associazioni OB, sigla che mette evidenza la loro appartenenza ai tipi spettrali più energetici; si tratta di veri e propri gruppi di giovani astri nati quasi contemporaneamente dalla stessa nube molecolare, stelle con masse 30 volte quella del Sole e temperature superficiali fino a 40.000°. Tali condizioni inducono loro un vita che generalmente non supera i 50 milioni di anni, al termine della quale deflagrano come supernovae; la loro breve vita potrebbe essere uno dei motivi per i quali le associazioni OB note nella Via Lattea sono non più di una settantina, davvero poche. Anche il numero delle componenti non è particolarmente elevato, variando mediamente tra le 10 e le 100 unità, sparse però su aree solitamente molto grandi, lunghe centinaia di anni-luce; è questo il motivo per cui l’estensione apparente di tali gruppi può rientrare in una singola costellazione o addirittura coprirne più d’una. Tra le associazioni OB più note, quella di Orione, centrata sulle tre stelle della cintura ed apprezzabile appieno con un binocolo, e Scorpione-Centauro, quest’ultima talmente estesa che molte delle stelle che delineano le costellazioni ne sono componenti effettive! Le associazioni OB furono per la prima volta catalogate a metà dello scorso secolo e da allora sono statti intrapresi approfonditi studi sulle singole componenti oltre che solo censirle.

Una delle più notevoli è Cyg OB2, situata nel mezzo dell’oscura fenditura del Cigno, l’area oscurata da polveri meglio visibile alle nostre latitudini, nettamente stagliata su una delle zone più luminose della Via Lattea. Al contrario di come si potrebbe pensare, lo spropositato numero di deboli stelle li presenti è tale impedirne l’immediato reperimento del gruppo stellare; tuttavia, l’ausilio di un buon binocolo assieme ad una buona dose di pazienza dovrebbe essere sufficiente a distinguere nei pressi di Sadr (γ Cyg), più precisamente ad 1/3 del percorso tra questa e la vicina Deneb (α Cyg), un gruppo di una quindicina di stelline sulla nona grandezza e dalla colorazione bianco-azzurrina, esteso non più di 2°; certo, non sfavillante in bellezza come altri ammassi stellari, ma sapendo quali mostri esso cela, nascosti dietro la muraglia di polveri del Cigno, varrà certamente la pena indagarlo, anche con l’aiuto di un modesto telescopio che ne permetterà di cogliere soprattutto le tonalità cromatiche delle componenti. Considerando la grande distanza, stimata in 4700 anni-luce, Cyg OB2 si estende per circa 195 anni-luce, ospitando al suo interno alcune delle stelle più calde e luminose conosciute della Galassia. Detiene il record di essere l’associazione OB col più grande numero di componenti presente in sistemi di questo tipo, tanto da annoverare circa 2600 componenti, 120 delle quali sono rare stelle di tipo O. Si tratta quindi dell’associazione OB più massiccia conosciuta: secondo stime recenti, Cyg OB2 include qualcosa come 30 mila masse solari, valore simile a quello delle più massicce regioni di formazione stellare sparse nella Galassia, massa distribuita non solo tra stelle gigantesche e luminosissime ma anche di piccola taglia, tutte non più vecchie di 3 milioni di anni! L’emissione energetica di queste e di altre associazioni OB vicine è talmente elevato da riscaldare i gas dell’enorme nube molecolare Cygnus-X, una delle più vaste regioni di formazione stellare presenti nella Galassia, le cui polveri sono proprio quelle ad affievolire molte delle stelle lungo quella visuale.

A tal proposito, osservando Cyg OB2 con attenzione sarà facile notare, non lontana dal centro geometrico di quello che a tutti gli effetti appare come un ammasso aperto molto sparso, una stella di undicesima grandezza dalla colorazione decisamente rossastra; essa indicata col numero 12 dall’astronomo Daniel H. Schulte in un catalogo del 1956 dettato dai risultati di osservazioni fotometriche e spettroscopiche effettuato su Cyg OB2, compiute con il famoso telescopio riflettore da 208 cm dell’Osservatorio McDonald. Al contrario di come essa appare, lo spettro di Cyg OB2 12, classificato come B3-B5Iae, corrisponde a quello di una supergigante azzurra dalla temperatura superficiale di 18.500° K e i cui valori di massa e raggio sono stimati rispettivamente in 110 e 246 volte quelli del Sole! Già i valori appena elencati sono da capogiro, ma è senz’altro quello relativo potere intrinseco ad essere letteralmente inimmaginabile, poiché alle –12,2 magnitudini assolute ad essa attribuite (quella del Sole è +4,75) corrisponde una luminosità assoluta pari a 6 milioni di volte quella solare! E’ proprio su questa stella che l’estinzione interstellare sferra il suo colpo migliore, tanto da indebolirne luminosità di ben 10,3 magnitudini, quantità finora ineguagliata; sono proprio le polveri interstellari ad assorbirne l’intensa luce azzurra riemettendola in seguito a lunghezze d’onda maggiori tanto da farle acquisire la tonalità rossastra con la quale si presenta all’osservazione telescopica. Non esistessero le polveri interstellari, Cyg OB2 12 splenderebbe nel bel mezzo della Via Lattea di magnitudine apparente 1,5, rendendosi appena più luminosa della vicina Deneb ed arricchendo la già splendida costellazione del Cigno di un’altra luminosa stella, dal color topazio!

Ebbene, abbiamo finalmente delineato quella che è in assoluto una delle stelle più luminose della Galassia, inferiore solo a R136a1, una stella del Dorado che detiene il record come la più massiccia conosciuta, la nota Pistol Star ed η Car durante il suo massimo del 1843! Non è certo facile idealizzare come un’anonima e debole stellina tra le sterminate abbia risposto alla nostra domanda iniziale. La natura di questa stella è comunque controversa, tanto da esibire anche irregolari variazioni spettroscopiche, spaziando tra B3 a B8 anche nel giro di un solo anno; il satellite IRAS, operante nell’infrarosso, mise in evidenza la presenza di materiale polveroso attorno ad essa, perso forse in un passato evento di tipo eruttivo. Tale fenomeno è tipico delle cosiddette variabili luminose blu (LBV), classe di variabili straordinariamente rare tanto che solo una ventina sono gli esemplari noti; queste presentano cambiamenti nella luminosità generalmente lunghi, interrotti da occasionali aumenti relazionati a sostanziali perdite di massa, come esibito da η Car e P Cyg: Cyg OB2 12 non ha mai mostrato variazioni luminose, ma la relazione tra la sua posizione nel diagramma HR, l’elevatissima luminosità intrinseca e le variazioni spettrali osservate ne fanno un ottimo candidato LBV. Ma c’è di più.

E’ ben noto, e lo abbiamo visto anche qui, che in astronomia l’aspetto di un determinato oggetto possa essere a volte ingannevole, anche in funzione di parametri come l’età e la distanza; a tal proposito, già negli anni ’60 dello scorso secolo fu proposta l’idea che l’associazione Cyg OB2 potesse essere in realtà un giovanissimo ammasso globulare, simile a quelli blu presenti in gran numero nella Grande nube di Magellano. La cosa certamente stupisce, d’altronde siamo portati a associare a questi oggetti sia rosse stelle vetuste che le enormi distanze che da loro ci separano, proiettandoli al di fuori del piano galattico; dimentichiamo invece che anch’essi erano popolati da giovani stelle azzurre in tempi remoti e che molti incrociano il piano galattico in un disegno non dissimile dalla classica rappresentazione di elettroni in moto attorno ad un atomo, proprio come Cyg OB2. D’altronde il suo numero di stelle è davvero al di fuori degli schemi per una comune associazione OB…

Sia come sia, lasciandosi trasportare ancora una volta dal pensiero, è bello immaginare come, in una futura notte, gli amanti del cielo alzeranno lo sguardo al cielo per ammirare due fari cosmici apparentemente vicini tra loro ma fortunatamente distanti da noi, maturati in diverso modo ma accomunati dalla stessa catastrofica, spettacolare fine che rischiarerà la notte con la loro bianca luce, il loro ultimo canto del Cigno.

Stelle in contromano

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La galassia a spirale controrotante NGC 5719 ottenuta con la camera a grande campo del Large Binocular Telescope. È visibile una parte del ponte di materia che collega NGC 5719 con la galassia compagna NGC 5713 e che alimenta la formazione delle stelle in rotazione retrograda. Crediti: A. Pizzella/Large Binocular Cameras Team

La galassia a spirale controrotante NGC 5719 ottenuta con la camera a grande campo del Large Binocular Telescope. È visibile una parte del ponte di materia che collega NGC 5719 con la galassia compagna NGC 5713 e che alimenta la formazione delle stelle in rotazione retrograda. Crediti: A. Pizzella/Large Binocular Cameras Team

Quando pensiamo ad una galassia a spirale ci immaginiamo una maestosa ed ordinata danza delle stelle che si muovono ordinatamente attorno al suo centro. L’esperienza accumulata dagli astronomi dipinge però un quadro non sempre così idilliaco. È stato infatti scoperto da tempo che alcune galassie a spirale contengono due distinti gruppi di stelle in rotazione con verso opposto l’uno rispetto all’altro. A prima vista queste galassie, dette “controrotanti”, sono del tutto simili alle altre e solo lo studio dettagliato della rotazione delle loro stelle e del loro gas permette di svelarne lo strano comportamento. Nei casi finora noti la frazione di stelle in moto retrogrado rispetto al resto della galassia varia dal 20 al 50 per cento. Un vero e proprio enigma per gli scienziati, ma ora il lavoro di un team di ricercatori italiani e dell’INAF in pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics fornisce nuove informazioni per fornire una spiegazione convincente a questo comportamento.

“Trovarsi in una galassia controrotante sarebbe come stare nel bel mezzo di una strada a una sola corsia in cui metà delle automobili viaggia in una direzione e metà nell’altra,” spiega Lodovico Coccato dell’European Southern Observatory che ha recentemente condotto uno studio sulla struttura delle galassie controrotanti grazie ai dati raccolti con il Very Large Telescope in Cile. “Per fortuna, al contrario di quanto accadrebbe in un’autostrada priva di corsie distinte per senso di marcia, le distanze tra le stelle di una galassia sono così grandi da rendere praticamente impossibili gli scontri frontali,” continua Coccato che con i suoi collaboratori dell’Università e dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova è finalmente riuscito a raccogliere le prove utili per capire come si formano le galassie controrotanti. Si pensa infatti che si tratti di sistemi in cui inizialmente le stelle ruotavano tutte nello stesso verso. Se nel corso del tempo la galassia cattura dall’esterno una certa quantità di gas, che ruota in senso inverso rispetto alle stelle preesistenti, allora le stelle che si formeranno da questo gas si muoveranno anch’esse in direzione opposta alle stelle preesistenti dando vita ad una galassia controrotante.

Per provare definitivamente la validità di questo scenario di formazione era necessario verificare che le stelle controrotanti ruotassero nella stessa direzione del gas e fossero più giovani del resto delle stelle della galassia. Questo è proprio quanto scoperto con il Visible Multi Object Spectrograph montato sul Very Large Telescope, che ha mappato i moti delle stelle in rotazione inversa e ne ha misurato l’età in tre diverse galassie controrotanti: NGC 3593, NGC 4550 e NGC 5719. In tutti e tre i casi le stelle controrotanti sono di almeno un miliardo di anni più giovani delle stelle del resto della galassia. Inoltre, le proprietà chimiche delle stelle controrotanti sono diverse da quelle delle altre stelle, segno che le due popolazioni stellari sono nate da nubi di gas con caratteristiche differenti. “Nel caso di NGC 5719 la cattura di materiale dall’ambiente esterno sta continuando ancora oggi,” spiega Enrico Maria Corsini, ricercatore dell’Università di Padova e associato INAF. “Questa galassia a spirale è infatti collegata alla galassia compagna NGC 5713 da un ponte di idrogeno neutro, che si estende per circa 100 milioni di anni luce e alimenta la formazione delle stelle controrotanti nel disco di NGC 5719.” Contrariamente a NGC 5719, le altre due galassie studiate, NGC 3593 e NGC 4550, sono relativamente isolate e non presentano segni evidenti di interazione né con altre galassie né con materiale intergalattico. Questo significa che il processo di cattura del gas in rotazione inversa e la successiva formazione delle stelle controrotanti si conclusero molto tempo fa.

La presenza di gas, stelle o entrambi in controrotazione è stata rilevata in decine di galassie di tutti i tipi. Oltre ai casi appena considerati ci sono anche i nuclei stellari controrotanti, che si sono formati al centro di alcune galassie ellittiche a seguito della cattura di una galassia satellite, o quelle galassie lenticolari in cui il gas è di origine esterna e ruota in direzione opposta alla componente stellare. Sono tutti esempi dell’importanza del ruolo giocato dai processi di interazione nel plasmare la struttura delle galassie come oggi le osserviamo.

Per saperne di più:

  • L’articolo Spectroscopic evidence of distinct stellar populations in the counter-rotating stellar disks of NGC 3593 and NGC 4550 di L. Coccato, L. Morelli, A. Pizzella, E. M. Corsini, L. Buson e E. Dalla Bontà in pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics

Mingus la remota.. su Urania di questa settimana

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Si chiama Mingus, in onore del musicista jazz Charles Mingus, ed è una tra le supernovae più lontane mai scoperte finora.

Le supernovae sono stelle che al termine della loro evoluzione esplodono in modo violento. Mingus è tra le più lontane mai individuate, ad oltre dieci miliardi di anni luce di distanza. Averla scoperta è come aver visto una lucciola lontana 5.000 chilometri.

In realtà la supernova non è stata vista ma trovata analizzando alcune immagini dell’Universo lontano ottenute nel 2004 dal telescopio spaziale Hubble. All’epoca non si aveva la certezza della sua vera natura. Si è così dovuto attendere il 2009, quando una nuova camera è stata montata a bordo di Hubble. A quel punto il telescopio spaziale è tornato a osservare in quella direzione, fornendo immagini più dettagliate rispetto alle precedenti. Immagini che hanno confermato che laggiù era esplosa una stella.

Mingus è un tipo di supernova che permette di calcolarne la distanza con buona precisione. Più supernovae così scopriremo, più riusciremo a calcolare quanto variano con il tempo le distanze nell’Universo.

Al momento sembra che lo spazio si stia espandendo sempre più velocemente, come fosse gonfiato da una misteriosa energia oscura che però nessuno riesce a individuare. Ma che l’Universo stia accelerando la sua espansione è una conclusione che si basa sulle misure delle distanze degli oggetti celesti più lontani. E’ quindi necessario che queste misure siano le più accurate possibili e supernovae come la Mingus sono e saranno ciò che serve per raggiungere la massima precisione possibile.

Queste le notizie su URANIA di questa settimana:

  • Mingus la remota

  • Uno sguardo ad Apophis

  • Dove nascono i Giganti

URANIA è il notiziario settimanale realizzato da Luca Nobili ed Elena Lazzaretto.
Con Urania è davvero facile tenersi aggiornati sulle ultime news dell’astronautica e dell’astrofisica! Visita il sito: www.cieloblu.it

Gruppo Astrofili Lariani

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18.01: “I rilevatori di particelle” a cura di Marco Gorza sugli ultimi sviluppi nel campo della rilevazione delle particelle che sono alla base della materia.

Per info: tel. 328/0976491
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

Una piccola webcam puntata su Marte

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Un montaggio delle immagini della Webcam di Mars Express scattate nel 2012. Copyright: ESA- VMC Mars Web cam – Elaborazione: Emily Lakdawalla, Planetary Society.

Una camera ordinaria in un posto straordinario: così la descrive l’ESA. In un mondo mediatico fatto di telecamere nascoste che spiano e ritrasmettono online una quotidianità spesso inutile, quasi sempre scontata, ce n’è una, di webcam, che merita tutta l’attenzione possibile. E’ lontana da noi centinaia di milioni di chilometri, ha una storia travagliata, e si chiama Visual Monitoring Camera, VMC o Mars Webcam per gli amici. E’ a bordo della sonda Mars Express, in orbita intorno a Marte dal 2003. Come una vera webcam, VMC spia il pianeta rosso, e da qualche tempo pubblica senza filtro e in tempo reale le immagini scattate, in un account Flickr aperto al pubblico.

Un montaggio delle immagini della Webcam di Mars Express scattate nel 2012. Copyright: ESA- VMC Mars Web cam – Elaborazione: Emily Lakdawalla, Planetary Society.

Le singole immagini che compongono il mosaico di oggi sono state realizzate da maggio a dicembre 2012, a intervalli di tempo non costanti, e processate per creare questo magnifico poster da Emily Lakdawalla, della Planetary Society.
Tutte le foto sono state scattate da una altitudine di circa 10 000 Km dal pianeta ma con un punto di vista che cambia nei mesi, in funzione dell’orbita della sonda Mars Express. Nella loro sequenza, si possono leggere i cambiamenti climatici che avvengono sul pianeta Marte al passare dei mesi. Nelle prime immagini, realizzate a Maggio, è inquadrata l’estate e il ghiaccio si è ritirato intorno al polo nord del pianeta. In quel momento, l’orbita della sonda viene modificata per supportare l’arrivo di Curiosity, inquadrando la zona dell’atterraggio. A fine settembre, la traiettoria seguita dalla sonda fa perdere di vista il polo nord e l’attenzione si focalizza, nelle immagini realizzate tra maggio e giungo, sulle impressionanti strutture di nubi che si iniziano ad avvistare.

Malgrado la bassa risoluzione, tipica di una webcam, alcune di queste immagini meritano decisamente di essere ingrandite e osservate in dettaglio. Ma per questa operazione non è necessario far parte del team dell’ESA, scaricare software particolare o aspettare i tempi storici di un embargo. Basta digitare l’indirizzo del Blog, diventare fan dell’account Flickr o follower del loro account twitter. Perché da qualche settimana, VMC è l’unica camera attualmente esistente che condivide in tempo reale raw data con il pubblico.

La storia di VMC, che ha permesso alla camera di conquistare questo brillante primato, è particolare, fatta di impegno, di imprevisti, di fallimenti e di enormi successi. Un destino che testimonia la vita travagliata e avventurosa di una missione spaziale. All’inizio, VMC è nata come il più piccolo tra gli strumenti scientifici a bordo di Mars Express, tra cui brillano gli italiani Marsis e PFS. Anzi a dire il vero, VMC non è mai stata un vero e proprio strumento scientifico. Era stata pensata come una camera low cost, montata a bordo della sonda con l’obiettivo di scattare delle immagini del distacco della sonda Beagle 2 nel 2003. Ignara del triste destino che attendeva Beagle 2, VMC compie lo scopo per cui è stata costruita fotografando la separazione del lander. Dopo quel momento di gloria, la camera viene spenta e non se ne sente più parlare per diversi anni.

Nel 2007, il Flight Control Team della missione, di base all’ESOC (European Space Operations Centre) a Darmstadt, in Germania, ha una idea brillante e inizia una campagna di test per verificare se è possibile riaccendere quella piccola camera per realizzare delle immagini globali di Marte. E’ una vera scommessa, il team non ha idea se dopo tre anni di inattività la camera possa essere riaccesa. Inoltre il Flight Control Team è un team composto da ingegneri e tecnici e di solito non si occupa degli obiettivi scientifici della missione. Il team deve imparare un altro lavoro e, nei pochi momenti liberi, inventare un nuovo modo di utilizzare una piccola, semplice camera, nata per fare altro.

Ma VMC si riaccende, eccome. E nei rari momenti in cui non hanno la priorità gli strumenti scientifici di Mars Express, gli ingegneri imparano ad utilizzare la camera e, di errore in errore, riescono a realizzare i primi ritratti del pianeta. Tra vari problemi tecnici che focalizzano l’attenzione del team su altri aspetti della missione e lunghi periodi di spegnimento della webcam, la VMC diventa completamente operativa da maggio 2012. Da quel momento, e nel rispetto degli altri task scientifici, l’uso di VMC è inserito nelle campagne osservative di Mars Express e la webcam adempie al compito, unico nel suo genere, di realizzare foto globali di Marte da una prospettiva unica. E da qualche tempo,  inviarle direttamente sul web in tempo reale e in formato raw.

Ma le sorprese non sono finite, e grazie all’inventiva del Flight Control team i fans del pianeta rosso non si dovranno accontentare di godere di queste meraviglie in tempo reale, ma potranno partecipare in prima persona all’avventura marziana. Identificare crateri, vulcani e altre strutture geologiche, studiare il post processing delle immagini, proporre usi didattici e perché no, artistici delle immagini stesse: queste sono le scommesse lanciate dal team della missione e la sfida è lanciata a tutti gli aspiranti esploratori spaziali, invitati a iniziare il proprio viaggio verso Marte da una semplice (e molto terrestre) pagina web.

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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18.01, ore 21: “L’effetto dei fenomeni astronomici sul presente e il futuro dell’umanità” di Elio Antonello.
Per info: Tel. 0341 367 584
www.deepspace.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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18.01: “Invito al firmamento“.

Per info: tel. 348 5648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

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