Home Blog Pagina 117

Circolo Astrofili Veronesi

0

04.04: “Evoluzione stellare: l’origine degli elementi”
di Alessandro Bressan.
Per informazioni: info@astrofiliveronesi.it
Cell: 334 7313710 (Antonio Cagnoli)
www.astrofiliveronesi.it

Gruppo Amici del Cielo di Barzago

0

04.04: ”Astrofoto” di Davide Trezzi e Rosario Magaldi.
Per info: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

ASTROINIZIATIVE UAI

0

In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle
ore 21:30 alle 23:00, con la nuova Skylive Web-TV all’indirizzo:
http://www.skylive.it/WebTV.aspx o collegandoti al Client Web: http://app.skylive.name/Client/
IMPORTANTE: La tua iscrizione al canale Youtube è molto preziosa per noi al fine di migliorare la qualità della trasmissione. Basta cliccare sul pulsante sotto il video “iscriviti”, oppure andare al link diretto al nostro canale Youtube: www.youtube.com/subscription_center?add_user= skylivechannel.
Ovviamente tutto completamente gratuito.
Questi gli appuntamenti mensili.
UAI con SKYLIVE Una Costellazione sopra di Noi – Il
primo venerdì di ogni mese, a cura di Giorgio Bianciardi
(vicepresidente UAI).
SKYLIVE con UAI Rassegnastampa e cielo del mese
– Quarto giovedì del mese a cura di Stefano Capretti.
www.skylive.it

Aprile 4° Meeting sull’osservazione della Luna – Organizzato dalla SdR Luna UAI, Osservatorio INAF di Arcetri.
http://luna.uai.it

04-06/04XIX Seminario Nazionale diGnomonica Organizzato dalla SdR Quadranti Solari UAI, Cefalù
http://quadrantisolari.uai.it/
Per informazioni: www.uai.it

I Venerdì dell’Universo 2014

0

Tornano anche quest’anno i Venerdì dell’Universo, una serie di seminari scientifici per avvicinare, giovani e non, alla Fisica,
all’Astronomia e alle Scienze in generale, con la speranza che per molti giovani non sia solo una curiosità momentanea,
ma anche un’occasione di spunto per i loro studi professionali o amatoriali, dal momento che l’Università di
Ferrara offre importanti opportunità in questi campi.

04.04: “La storia del Bosone di Higgs e le nuove frontiere della Fisica ” a cura di FERNANDO FERRONI.

Diretta streaming video: http://web.unife.it/unifetv/universo.html
Per informazioni: Tel. 0532/97.42.11 – E-mail: venerdiuniverso@fe.infn.it
www.unife.it/dipartimento/fisica – www.fe.infn.it
Organizzati da: Dip. di Fisica Università di Ferrara, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Gruppo Astrofili Ferraresi “Columbia“ e Coop. Sociale Camelot.

Il Cielo del Mese – Il Cielo di Aprile

0
cielodelmese
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 01 aprile 2014 > 23:00 15 aprile > 22:00 30 aprile > 21:00
cielodelmese
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 01 aprile 2014 > 23:00 15 aprile > 22:00 30 aprile > 21:00

EFFEMERIDI

Il Leone, sopra tutte, sarà già in meridiano, seguito più a est dalla Vergine, che trascinerà con sé il grande occhio rosso di Marte in opposizione, e da Boote. Più in basso, a sudest, Saturno sarà appena sorto nella Bilancia, mentre verso est-nordest comincerà ad alzarsi la grande figura dell’Ercole, seguita dalla Lira e dal Cigno: le prime avvisaglie del Triangolo estivo. Il Sole si muoverà nella costellazione dei Pesci fino al 19 aprile, data in cui entrerà in Ariete. Complessivamente, nel corso del mese guadagnerà 10° in declinazione, passando dai +53° ai +63° come massima altezza raggiunta sull’orizzonte al momento del transito al meridiano. Ciò si tradurrà in una durata della notte astronomica che supererà di poco le 7 ore (in media): se a inizio mese il crepuscolo astronomico (Sole sotto l’orizzonte di più di 18°) finirà verso le 21:15, alla fine bisognerà attendere le 22:15, mentre al mattino le osservazioni non potranno protrarsi (mediamente) oltre le 5:00.

Il cielo stellato in Ultra HD

0
La via lattea sopra il deserto cileno. Crediti: ESO

La via lattea sopra il deserto cileno. Crediti: ESO

L’immagine è tutto, diceva André Agassi in un famoso spot della Canon dei primi anni novanta. Lo hanno capito bene all’ESO, dove hanno deciso di far girare i loro osservatori cileni a un team di quattro astrofotografi per documentare l’attività dei grandi telescopi sparsi da quelle parti.

Il progetto ha un nome di tutto rispetto, l’ESO Ultra HD Expedition, e – come da titolo – ha l’obiettivo di scattare foto e girare video e timelapse in qualità Ultra HD. L’Ultra HD è lo stato dell’arte dell’alta definizione, una tecnologia sperimentale che ha iniziato a essere commercializzata solo in questi mesi. Parliamo di risoluzioni che arrivano a 7680 × 4320 pixel, per un totale di circa 33 megapixel: siamo nei dintorni della massima risoluzione che la nostra percezione visiva può apprezzare, e quindi fondamentalmente il punto più alto raggiungibile con le immagini in 2D.

I protagonisti degli scatti, come ovvio, non sono soltanto i telescopi ma anche e soprattutto gli incredibili cieli stellati e i panorami unici dei deserti cileni dove gli osservatori sono stati costruiti. Come nel caso nella foto di sopra, una delle ultime diffuse dal team della spedizione (potete seguire il loro blog qui) dove i quattro grandi telescopi del Very Large Telescope (chiamati Unit Telescope: Antu , Kueyen , Melipal e Yepun), insieme a un telescopio ausiliare e al  VLT Survey Telescope, costruiscono una umile cornice alla poderosa Via Lattea che si estende sotto l’occhio di una lente fisheye.

Il luogo dello scatto è Cerro Paranal, 2635 metri sopra il livello del mare, in pieno deserto di Atacama: uno dei posti più aridi e meno piovosi del mondo, e di conseguenza uno dei posti migliori dove osservare le stelle. Non solo a livello professionale, come fanno all’ESO, ma anche a livello più amatoriale: solo in questa foto per esempio si distinguono chiaramente la Luna e Venere, Saturno, qualche stella notevole come Antares, Vega e Altair, e due galassie nane irregolari, satelliti della nostra: le Nubi di Magellano, piccola e grande. (Qui la versione della foto che indica dove cercare cosa in questo cielo stellato). Se vi sembra impressionante già così, sperate di avere la fortuna di poter prima o poi vedere il filmato fulldome che il team ha girato quella stessa notte, e che sarà distribuito gratuitamente tra qualche anno per l’utilizzo nei planetari.

Con la Ultra HD Expedition, l’ESO ha stabilito il primato di  diventare la prima organizzazione scientifica a fornire immagini Ultra HD a intervalli regolari. Per i più curiosi e gli appassionati, c’è un’intera pagina con l’elenco della strumentazione utilizzata: oggetti non per tutte le tasche. Il team è al settimo giorno di viaggio dei diciassette in programma. Il prossimo obiettivo sono le 66 antenne di ALMA. Tutto il materiale raccolto sarà rilasciato gratuitamente sul sito dell’ESO nel corso dei prossimi mesi, e può essere già apprezzato anche dai tanti che non possiedono ancora nessuna tecnologia Ultra HD.

Vista panoramica della piattaforma VLT. Crediti: ESO / Y. Beletsky Fonte: Media INAF | Scritto da Matteo De Giuli

Avvicinamento Luna alle Iadi

0
3 aprile

3 aprileLa sera del 3 aprile, una Luna crescente ancora molto giovane potrà essere fotografata verso le 23:00 mentre starà calando insieme all’ammasso delle Iadi (il muso del Toro) verso l’orizzonte ovest. Un’ottima occasione, in mancanza di eventi di maggiore spettacolarità, per realizzare delle belle esposizioni panoramiche.

Al Planetario di Ravenna

0

01.04: “I miti del Sole e della Luna” di A. Galegati.

Speciale La settimana di Urania

Per info: tel. 0544-62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Rosetta: suona la sveglia per GIADA e OSIRIS

0
Le first-light, le prime immagini della cometa scattate dalle due camere di OSIRIS. Lo sfondo è l’immagine ad ampio campo della WAC mentre nel riquadro compare lo zoom della NAC, dove la cometa è identificata con un cerchietto. Credits (per le due immagini): ESA © 2014 MPS for OSIRIS-Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Si chiama Commissioning. E’ la delicata fase che segue il risveglio della sonda europea Rosetta, in cui uno per uno, tutti gli strumenti riprendono vita, inviando a Terra la loro first-light ovvero i primi dati dopo oltre due anni di ibernazione. Il commissioning è una fase necessaria per verificare che tutto stia funzionando per il meglio, in cui i vari team scientifici europei coinvolti vivono febbrilmente l’attesa del momento, resa ancora più stressante dalle molte ore che i dati impiegano per essere trasmessi dalla sonda a terra e da un calendario molto serrato di accensioni e spegnimenti, programmato per dare tempo a tutti.

Le first-light, le prime immagini della cometa scattate dalle due camere di OSIRIS. Lo sfondo è l’immagine ad ampio campo della WAC mentre nel riquadro compare lo zoom della NAC, dove la cometa è identificata con un cerchietto. Credits (per le due immagini): ESA © 2014 MPS for OSIRIS-Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

In questi momenti è il turno di GIADA, uno strumento italiano realizzato da un consorzio guidato dall’Università di Napoli “Parthenope” e da INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte in collaborazione con l’Istituto di Astrofisica di Andalucia, con il supporto scientifico di Istituti  spagnoli, inglesi, francesi, tedeschi e americani e oggi controllato dal core team presso l’INAF-IAPS di Roma.
“Siamo in attesa dei dati di questa prima accensione.” dice Vincenzo Della Corte, Deputy-PI di GIADA dell’INAF-IAPS. “GIADA, ovvero il Grain Impact Analyser and Dust Accumulator, è uno strumento che misurerà numero, massa, quantità di moto e distribuzione di velocità dei grani di polvere emessi dal nucleo della cometa 67P/C-G. L’accensione di GIADA è avvenuta oggi alle 10.00 di mattina e il test è terminato alle 16.00 ora italiana.  I dati inviati dalla sonda Rosetta verso Terra arriveranno non prima di mezzanotte di oggi e ci diranno lo stato di GIADA dopo 33 mesi di ibernazione. Lavoro su GIADA dal 1999, si tratta di un lavoro portato avanti da 38 membri di un team internazionale e finalmente siamo vicini al momento in cui gli sforzi profusi avranno un ritorno scientifico.”

Appena qualche giorno fa è stata la volta dei team di OSIRIS, la Optical, Spectroscopic and Infrared Remote Imaging System, strumento sviluppato sotto la leadership del Tedesco Max-Planck-Institut con una forte partecipazione italiana. OSIRIS è lo strumento principale della missione Rosetta per la raccolta delle immagini ed è composto da due diversi canali: la NAC (Narrow Angle Camera), ottimizzata per ottenere mappe ad alta risoluzione del nucleo della cometa e la WAC (Wide Angle Camera), per ottenere panorami ad ampio campo del materiale gassoso e delle polveri nei dintorni del nucleo della cometa. Quest’ultima è di responsabilità italiana (Università di Padova) e verrà utilizzata per selezionare la zona in cui si dovrà posare il lander.

WAC e NAC sono le autrici delle due prime immagini della cometa dopo il risveglio della sonda, pubblicate da ESA oggi e realizzate il 20 e 21 di Marzo da una distanza dalla cometa di  5 milioni di chilometri. A questa distanza, ancora molto lontana, la cometa appare come un minuscolo puntino luminoso di cui è impossibile distinguere i dettagli: 67P/C-G copre appena un pixel e per essere visibile, ha richiesto la realizzazione di oltre 60 immagini da 300 secondi di esposizione. Nei prossimi mesi e grazie a una serie di manovre di rallentamento che la sonda dovrà compiere per mettersi in orbita intorno alla cometa -e che seguiremo su media INAF- quel piccolo puntino crescerà fino a coprire oltre 2000 pixels, l’equivalente di una risoluzione di appena 2m per pixel. Un minuscolo puntino luminoso che, in un futuro vicinissimo, promette grandi cose.

Nel video ESA in basso, una ricostruzione di quello che dovrebbe vedere al camera OSIRIS nei prossimi mesi, mentre la sonda Rosetta si avvicina al suo target

Il nuovo “pianeta” oltre il confine

0
Immagine sovrapposta dei movimenti di 2012 VP113, visibile nei tre puntini colorati. Crediti: S. Sheppard, Carnegie Institution for Science
Rappresentazione artistica (non in scala) dei pianeti del Sistema Solare. Crediti: NASA

Da oggi la lista dei nostri vicini di casa è un po’ più lunga. È quanto emerge da un articolo appena pubblicato su Nature, che annuncia la scoperta di un nuovo pianeta nano all’interno del Sistema solare. Per ora il suo nome è ancora un codice, 2012 VP113, ma dietro a quelle cifre ci sono tutte le implicazioni dell’ingresso di un nuovo protagonista nella famiglia più studiata dagli astronomi.

Una famiglia, quella del Sistema solare, che negli ultimi anni si è allargata parecchio. Non tanto per l’abbondanza di nuove scoperte, quanto piuttosto per il continuo affinarsi dei parametri di classificazione degli oggetti celesti. L’ultimo catalogo ufficiale è del 2006, ed è stato stilato a Praga dall’International Astronomical Union (IAU). Che ha definito i pianeti del Sistema solare in base a tre condizioni: devono orbitare intorno al Sole, devono avere una massa sufficientemente grande (tale per cui la loro gravità permetta di raggiungere l’equilibrio idrostatico, ossia una forma quasi sferica), e non devono avere nient’altro nei dintorni della loro orbita.

Queste regole, apparentemente legate a criteri formali, hanno in realtà avuto un impatto molto forte sulla comunità astronomica. Nonostante le proteste di alcuni, ad esempio, dopo l’approvazione delle regole dell’IAU Plutone è stato declassato: non tutti lo sanno, ma il più lontano dei mondi del Sistema solare ha ormai perso il suo statuto di pianeta.

Cacciato dalla porta, Plutone è però rientrato dalla finestra: inaugurando così una categoria tutta nuova, quella dei cosiddetti pianeti nani. Gruppo di cui fa parte anche Sedna, oggetto transnettuniano scoperto nel 2003, e che oggi apre le braccia al nuovo 2012 VP113.

Ma qual è il vero significato di questa classificazione planetaria? Perché è così importante definire il confine tra ciò che è pianeta e ciò che non lo è?

Immagine sovrapposta dei movimenti di 2012 VP113, visibile nei tre puntini colorati. Crediti: S. Sheppard, Carnegie Institution for Science

“Ogni oggetto si porta dietro la storia sulla sua formazione: è questa la cosa interessante rispetto alla classificazione dei pianeti” dice Gianfranco Magni, ricercatore dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF di Roma.

La classificazione, insomma, la dice lunga anche su quelli che sono stati i processi di formazione di un pianeta. E questa può essere un’informazione decisamente rilevante quando si tratta di tracciare la storia del Sistema solare.

“Per gli antichi tutto ciò che si muoveva intorno al Sole, se aveva una luminosità sufficiente, era un pianeta” continua Magni. “Poi si cominciò a identificare comete e asteroidi, che però avevano una differenza di massa così grande da poter essere classificati a parte. Alla fine è arrivato Plutone: un oggetto un po’ strano, perché la sua orbita era a cavallo con quella di Nettuno. Prima considerato il nono pianeta, è stato alla fine declassato a pianeta nano, anche perché si è scoperto che proveniva da un’altra zona del Sistema solare”.

Ecco quindi qual è uno degli elementi centrali che sta dietro al moderno concetto di classificazione dei pianeti: la provenienza.

I pianeti del Sistema solare si sono formati al suo interno: questo vale per tutti gli 8 pianeti da Mercurio a Nettuno, compresa la Terra. Nel corso della loro evoluzione, chi più chi meno, i pianeti si sono sicuramente spostati un po’, ma il loro perielio (il punto di minima distanza di un corpo del Sistema solare dal Sole) è rimasto all’interno del sistema planetario.

“In base alla meccanica celeste, se un oggetto nasce nel Sistema solare e viene deviato (ad esempio, perché passa vicino a Giove e riceve un colpo che ne cambia la traiettoria), dopo un certo tempo tornerà comunque indietro” spiega Magni. “Questo avviene perché il suo perielio è all’interno del Sistema solare”.

Una regola che invece non vale per i pianeti nani, la cui storia è di solito ben più travagliata.

“La formazione dei pianeti nani è avvenuta lontano, e il loro ingresso nel Sistema solare è accaduto a seguito dell’interazione con pianeti più grossi” continua l’astrofisico. “E probabilmente è ciò che è successo anche a 2012 VP113: il suo perielio infatti non rientra nel Sistema solare”.

Molto più che una semplice classificazione in base alla massa, quindi: i pianeti nani parlano anche del loro passato e della loro storia, ben diversa da quella dei pianeti “normali”.

Resta da capire chi è stato il responsabile dell’ingresso di 2012 VP113 nel nostro sistema planetario. I due autori dello studio pubblicato su Nature, Scott Sheppard del Carnegie Institution for Science di Washington e Chadwick Trujillo dell’Osservatorio Gemini alle Hawaii, parlano addirittura dell’ipotesi di una “super-Terra”. Questo oggetto celeste sarebbe grande 10 volte il nostro pianeta, e potrebbe aver influenzato l’orbita del pianeta nano.

“Si pensa che questa super-Terra sia collocata all’interno della nube di Oort, la fascia di corpi celesti che orbitano a enorme distanza dal Sole. Questa zona si conosce solo in maniera indiretta, ma è talmente lontana che a livello ipotetico si potrebbe osservare tutta insieme”.

Per avere risposte certe sull’origine di 2012 VP113 servirà però aspettare misure più accurate. Secondo Gianfranco Magni, il vero salto ci sarà con il lancio di James Webb il telescopio spaziale sviluppato per diventare il successore di Hubble.

“Con una dimensione di 6 metri di diametro, James Webb permetterà di osservare oggetti lontani come 2012 VP113, il cui spettro è visibile soprattutto nell’infrarosso” conclude l’astrofisico. “Grazie a questo telescopio i dati statistici aumenteranno enormemente, e potremo farci un’idea più precisa di cosa c’è dietro questo pianeta nano”.

PRIMO SISTEMA ATTORNO A UN ASTEROIDE

I due anelli di Chariklo

Gli anelli di Saturno sono tra i panorami più spettacolari del cielo. Come è noto altri anelli meno evidenti sono stati trovati anche intorno agli altri pianeti giganti. Nonostante ricerche accurate, nel Sistema Solare non sono stati trovati anelli intorno ad altri oggetti più piccoli in orbita intorno al Sole.

Rappresentazione artistica degli anelli intorno a Chariklo. L’origine degli anelli rimane misteriosa, ma potrebbero essere il risultato di una collisione che ha creato un disco di detriti. Crediti: ESO/L. Calçada/Nick Risinger

Alcune osservazioni da diversi siti dell’America del Sud, tra cui l’Osservatorio di La Silla dell’ESO, hanno invece reso possibile la scoperta inaspettata che il lontano asteroide Chariklo è circondato da due anelli densi e sottili di polveri e altre piccole particelle.

È l’oggetto finora più piccolo intorno a cui siano stati trovati degli anelli e solo il quinto corpo del Sistema Solare a mostrarli – dopo i pianeti molto più grandi: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. L’origine degli anelli rimane misteriosa, ma potrebbero essere il risultato di una collisione che ha creato un disco di detriti. I capi del progetto stanno chiamando provvisoriamente gli anelli con i nomi di Oiapoque e Chuí, due fiumi alle estremità Nord e Sud del Brasile. I nuovi risultati sono stati pubblicati on-line dalla rivista Nature il 26 marzo 2014.

Le osservazioni del pianeta minore (10199) Chariklo mentre è transitato di fronte a una stella hanno mostrato che anche questo oggetto è circondato da due anelli. Tutti gli oggetti in orbita intorno al Sole, troppo piccoli (con una massa troppo bassa) perché la propria gravità li porti ad assumere una forma quasi sferica, sono ora definiti dall’IAU piccoli corpi del Sistema Solare. Questa classe ora comprende la maggior parte degli asteroidi del Sistema Solare, gli oggetti in orbita vicina alla Terra (NEOs), gli asteroidi troiani di Marte e Giove, la maggior parte dei centauri, la maggior parte degli oggetti Trans-Nettuniani (TNOs) e le comete.

“Non stavamo cercando anelli e non pensavamo che piccoli corpi come Chariklo ne avessero; perciò la scoperta – e l’incredibile quantità di dettagli che abbiamo osservato nel sistema – sono stati una vera sorpresa!“, ha commentato Felipe Braga-Ribas (Observatório Nacional/MCTI, Rio de Janeiro, Brasile) che ha progettato la campagna osservativa ed è l’autore principale dell’articolo.

.


.
Chariklo è il membro più grande della classe di asteroidi nota come Centauri e orbita nella regione del Sistema Solare compresa tra Saturno e Urano. I centauri sono piccoli corpi con orbite instabili che incrociano quelle dei pianeti giganti. A causa delle frequenti perturbazioni che ne seguono, ci si aspetta che rimangano in queste orbite solo per qualche milione di anni. I centauri sono distinti dagli asteroidi, ben più numerosi, che si trovano tra le orbite di Marte e Giove e potrebbero provenire dalla regione della cintura di Kuiper. Anche Chariklo sembra essere più simile ad un asteroide e non ha mostrato attività cometaria.

Era previsto che passasse di fronte alla stella UCAC4 248-108672 il 3 giugno 2013, visibile dall’America meridionale. L’evento è stato previsto a seguito di una ricerca sistematica condotta con il telescopio dell’MPG/ESO da 2,2 metri all’Osservatorio di la Silla dell’ESO e pubblicata di recente. Alcuni astronomi, usando sette telescopi tra cui il telescopio danese da 1,54 metri e il telescopio TRAPPIST, sono stati in grado di osservare la stella svanire apparentemente per pochi secondi quando la sua luce veniva bloccata da Chariklo – fenomeno noto come occultazione. Gli studiosi affermano che questo è l’unico modo per definire con precisione la forma e la dimensione di un corpo distante: Chariklo si trova a più di un miliardo di chilometri dalla Terra. Anche con i telescopi più potenti questo oggetto così piccolo e distante appare come un debole punto di luce.

Ma hanno trovato molto di più di quello che si aspettavano: pochi secondi prima, e di nuovo pochi secondi dopo l’occultazione principale, si sono registrati due brevi cali di intensità nella luminosità apparente della stella. Qualcosa intorno a Chariklo stava bloccando la luce! Confrontando ciò che si vedeva da siti diversi, l’equipe ha potuto ricostruire non solo la forma e la dimensione dell’oggetto stesso, ma anche la forma, larghezza, orientamento e altre proprietà degli anelli appena scoperti. Gli anelli di Urano e gli archi intorno a Nettuno sono stati trovati in modo simile durante le occultazioni del 1977 e del 1984, rispettivamente. I telescopi dell’ESO erano stati coinvolti anche nella scoperta degli anelli di Nettuno.

Rappresentazione artistica degli anelli di Chariklo visti dall'interno. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser/Nick Risinger

L’equipe di ricercatori ha scoperto che il sistema è formato da due anelli ben confinati, larghi solo sette e tre chilometri rispettivamente, separati da un ben preciso intervallo di nove chilometri – intorno a un oggetto di soli 250 chilometri di diametro in orbita al di là di Saturno. ”Per me è stato veramente sorprendente rendermi conto che siamo stati in grado non solo di rivelare un sistema di anelli, ma anche di definire che è formato da due anelli ben distinti”, ha aggiunto Uffe Gråe Jørgensen (Niels Bohr Institute, University of Copenhagen, Danimarca), un membro dell’equipe. “Cerco di immaginarmi cosa significhi stare sulla superficie di questo oggetto ghiacciato – abbastanza piccolo perché una macchina da corsa possa raggiungere la velocità di fuga e scappare nello spazio – e intanto ammirare un sistema di anelli di 20 chilometri di larghezza 1000 volte più vicino della Luna”.

Anche se molte domande rimangono senza risposta, gli astronomi pensano che probabilmente questo tipo di anelli si formi a partire dai detriti rimasti dopo una collisione. Il confinamento nei due anelli sottili tradisce la probabile presenza di piccoli satelliti. ”E così, oltre agli anelli, è probabile che Chariklo abbia almeno una piccola luna che attende di essere scoperta”, ha poi detto Felipe Braga-Ribas. Questa sequenza di eventi, su scala più grande, potrebbe spiegare la nascita della nostra Luna nei primi giorni del Sistema Solare, così come l’origine di molti altri satelliti intorno a pianeti e asteroidi.

Associazione Astrofili Centesi

0

28.03 : “Vita da astronauta! A spasso sulla Stazione
ISS”. Al telescopio: Giove e Marte.

Per info: 346.8699254, astrofilicentesi@gmail.com

www.astrofilicentesi.it

Circolo Astrofili Veronesi

0

28.03: Uscita osservativa all’Osservatorio Astronomico Monte Baldo (Belligoli 334 7313710).

Per informazioni: info@astrofiliveronesi.it
Cell: 334 7313710 (Antonio Cagnoli)
www.astrofiliveronesi.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

0

28.03: ”Osservazioni e foto dell’autunno-inverno” di Claudio Troglia.

Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Curiosity arriva a Kimberly. Tutto pronto per la terza perforazione

0
Il rover Curiosity guarda verso il cratere Gale e il Monte Sharp. Foto scattata nel sol 548. Credit: NASA/JPL-Caltech/Ken Kremer- kenkremer.com/Marco Di Lorenzo

Curiosity, il rover della NASA su Marte dal 6 agosto 2012, è appena arrivato a Kimberly (KMS-9), una regione piena di affioramenti rocciosi collinari e luogo adatto per la terza perforazione della missione, dopo i siti John Klein e Cumberland. Dal giugno del 2013, da quando è cominciato il viaggio sulla superficie Marte, il gioiellino a sei ruote della NASA ha attraversato una serie di dune e regioni polverose passando, sei settimane fa, anche per il Dingo Gap e dirigendosi verso il Monte Sharp, le cui rocce potrebbero raccontare un pezzo importante della storia geologica, climatica e atmosferica di Marte. Ad oggi, Curiosity ha percorso 6,2 chilometri scattando più di 132 mila immagini e dovrà guidare ancora per almeno 4 chilometri per raggiungere la meta, forse a metà 2014.

Credit: NASA

Dal sol (giorno marziano) 559 al sol 569, Curiosity ha adottato una nuova tabella di marcia guidando ogni giorno, anche se il 9 marzo la sonda della NASA Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) è andata in safe-mode facendo perdere un giorno (sol 567, 11 marzo) di viaggio al rover. Kimberly è una regione particolarmente affascinante per i ricercatori perché formata da 3 piccoli tumuli, uno a sinistra e due all’estrema destra. Gli esperti alla guida del rover hanno notato una diversa risposta cromatica dei panorami ripresi con la MastCam in questa zona: sembra che ci sia una patina che ricopre il fondo e che non è presente sui promontori. Potrebbe trattarsi di una diversa concentrazione di sali minerali.

Credit: NASA/JPL-Caltech/Marco Di Lorenzo/Ken Kremer – kenkremer.com

Nella zona Kimberly “abbiamo osservato tre tipi di terreno e una superficie relativamente priva di polvere,” ha detto Katie Stack del California Institute of Technology, di Pasadena. ”Dalle immagini orbitali – ha aggiunto Ashwin Vasavada of del Jet Propulsion Laboratory della NASA – non avevamo capito di che rocce si trattasse, ma adesso ci stiamo avvicinando sempre più alla soluzione del mistero”. “Le texture contrastanti e le arenarie in questa zona sono molto affascinanti: superficialmente sono molto simili, ma le rocce, probabilmente, si sono formate in tempi e modi diversi”, ha aggiunto. Finora Curiosity ha studiato principalmente rocce di fango e argilla a grana fine e raramente ha estratto campioni di arenaria.  In questa fase della missione, invece, gli strumenti scientifici a bordo del rover avranno l’occasione di analizzare il particolare tipo di arenaria che si trova in questa regione di Marte.

Nelle ultime settimane sono state valutate diverse zone per la prossima trivellazione. Nel sol 574 (lo scorso 18 marzo) sono stati finalmente selezionati i piani rocciosi su cui appoggiare il braccio robotico. È quasi tutto pronto per la trivellazione: il rover sta pulendo la strumentazione per togliere ogni residuo dei campioni precedenti. Cosa troverà Curiosity? Il materiale riempitivo tra la sabbia e le rocce arenarie viene chiamato cemento, le cui caratteristiche possono variare in base alla storia evolutiva di quella particolare zona. Arenarie con elementi argillosi all’interno sono abbastanza morbide e fragili, tanto da sbriciolarsi facilmente se toccate con un martello. Cosa che non accade con le arenarie al quarzo, che, se colpite, “suonano”, riferiscono i ricercatori. Gli esperti alla guida di Curiosity cercheranno di capire proprio cosa ha portato alla formazione di tante tipologie di rocce sul pianeta.

Il braccio del robot è stato utilizzato per indagare i luoghi più scientificamente significativi e per studiare il terreno e il sottosuolo marziano. I ricercatori del Mars Science Laboratory Project cercano di comprendere meglio gli antichi ambienti abitabili del Pianeta rosso e ricostruire i cambiamenti delle condizioni climatiche che ha attraversato studiando le rocce. Durante il suo viaggio su Marte Curiosity è stato anche danneggiato diverse volte proprio da alcune formazioni rocciose più appuntite, che hanno letteralmente forato alcuni dei pneumatici di acciaio. Per questo la NASA è continuamente allo studio di nuovi percorsi più sicuri per il rover e una guida più prudente.

Un gruppo di rocce nella regione Kimberly. Credit: NASA/JPL-Caltech/Marco Di Lorenzo/Ken Kremer-kenkremer.com

Nel frattempo Opportunity sta esplorando delle formazioni argillose in cima a Solander Point, dall’altra parte di Marte. In futuro altri due orbiter arriveranno su Marte per aggiungersi alla flotta partita dalla Terra per studiare il pianeta: si tratta di MAVEN della NASA e di MOM, la sonda indiana che rileverà, grazie a dei sensori, la presenza di metano nell’atmosfera per rafforzare l’ipotesi di una forma di vita primitiva.

Per saperne di più:

Visita il sito del Mars Science Laboratory

RACCONTARE ED INSEGNARE IL CIELO E LE STELLE

0
adamo2

adamo2
26.03, ore 16:30: Incontro pubblico al “Caffè degli Autori” presso il Pad. Fiera Libro.
Organizzato dall’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna, un workshop/convegno, in collaborazione con la SAIt Società Astronomica Italiana, si vuole indagare lo stato dell’arte della didattica e della divulgazione dell’astronomia e della scienza in generale per bambini di età compresa tra i due e i dodici anni. L’obiettivo è quello di fare dialogare astronomi, divulgatori e insegnanti con pedagoghi, editori e altre figure professionali che operano nel campo della divulgazione e della didattica scientifica. Questo per fare in modo da affinare un approccio piu’ razionale allo studio delle reazioni del pubblico di minori alle sollecitazioni (testi, modi, immagini, suoni, video…) alle quali esso viene sottoposto in osservatori, planetari, musei e scuole. La nostra presenza all’interno della Fiera del libro per ragazzi di Bologna fornirà la giusta cornice per favorire l’incontro dei convegnisti con operatori del settore editoriale per l’infanzia e l’adolescenza.

www.bo.astro.it/universo/fieralibro.html

RACCONTARE ED INSEGNARE IL CIELO E LE STELLE

0
adamo2

adamo2
25 e 26.03, ore 11:00: Convegno INAF-SAIt presso il Pad. 33 (vedere sul sito il programma).
Organizzato dall’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna, un workshop/convegno, in collaborazione con la SAIt Società Astronomica Italiana, si vuole indagare lo stato dell’arte della didattica e della divulgazione dell’astronomia e della scienza in generale per bambini di età compresa tra i due e i dodici anni. L’obiettivo è quello di fare dialogare astronomi, divulgatori e insegnanti con pedagoghi, editori e altre figure professionali che operano nel campo della divulgazione e della didattica scientifica. Questo per fare in modo da affinare un approccio piu’ razionale allo studio delle reazioni del pubblico di minori alle sollecitazioni (testi, modi, immagini, suoni, video…) alle quali esso viene sottoposto in osservatori, planetari, musei e scuole. La nostra presenza all’interno della Fiera del libro per ragazzi di Bologna fornirà la giusta cornice per favorire l’incontro dei convegnisti con operatori del settore editoriale per l’infanzia e l’adolescenza.

www.bo.astro.it/universo/fieralibro.html

Al Planetario di Ravenna

0

25.03: “L’Astronomia dell’antico Egitto” di Agostino Galegati.

Per info: tel. 0544-62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

ASSOCIAZIONE CASCINESE

0

24.03: Corso base di Astrofotografia, fotografare Giove, lezione pratica con gli strumenti sul campo.
Presso: GAN Gruppo Aeromodellistico di Navacchio. Campo di volo Luchini, NAVACCHIO – PI.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

La Via Lattea a 360°

0
Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Wisconsin-Madison
Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Wisconsin-Madison

È proprio il caso di dirlo: la Via Lattea così non l’avete mai vista. Un gruppo di astronomi dell’Università del Wisconsin-Madison ha realizzato un ritratto a 360° della nostra galassia “cucendo” insieme ben 2 milioni di immagini a infrarossi scattate dal telescopio spaziale della NASA Spitzer, lanciato nel 2003, fornendo così nuovi dettagli sulla sua struttura. Per realizzare la panoramica sono stati necessari 10 anni di ricerche e le immagini sono state realizzate in 172 giorni.

“Per la prima volta abbiamo potuto studiare la struttura della galassia usando le stelle invece del gas”, ha spiegato Edward Churchwell, professore di astronomia membro del gruppo che ha realizzato l’immagine del piano galattico. ”Abbiamo stabilito senza ombra di dubbio che la nostra galassia ha una larga struttura a barra che si estende verso l’orbita del Sole. Adesso sappiamo molto di più anche sul posizionamento dei bracci della Via Lattea”, ha aggiunto.

Parte del mosaico realizzato con lo Spitzer Space Telescope della NASA

L’immagine a infrarossi è stata chiamata GLIMPSE360, che sta per Galactic Legacy Mid-Plane Survey Extraordinaire. Lo studio combina diverse survey, GLIMPSE, GLIMPSEII, GLIMPSE3D, Vela-Carina, GLIMPSE360, Deep GLIMPSE, CYGX, GALCEN e SMOG, e la panoramica copre circa il 3% del nostro cielo, ma dato che si concentra su una fascia di cielo che comprende il piano della nostra galassia,  mostra più della metà delle stelle della Via Lattea. I puntini blu sono singole stelle, la maggior parte delle quali molto vicine a noi, mentre la foschia blu attorno al centro della galassia è composta da luce stellare, ma troppo lontano da noi da cogliere le singole stelle che la compongono. Le strutture rosse, invece, sono nubi di polvere e gas che permeano la nostra galassia e danno vita a nuove stelle. Guardando con attenzione l’immagine realizzata dalla NASA è possibile osservare la nascita di nuove stelle, nelle regioni più luminose. È possibile notare anche nebulose, bolle, getti, colonne e altre forme bizzarre che saltano fuori scolpite nella polvere e gas dai venti stellari. In molte aree, filamenti scuri si stagliano nettamente contro lo sfondo luminoso: sono le spesse nubi di polvere nella nostra galassia.

Oltre a fornire nuove informazioni sulla struttura galattica, il telescopio e le immagini elaborate dal team guidato da Barb Whitney hanno reso possibile l’aggiunta di oltre 200 milioni di nuovi oggetti al catalogo della Via Lattea. Churchwell ha detto che l’immagine “ci dà l’idea della generale distribuzione delle stelle nella nostra galassia”. Potendo osservare anche le diverse zone di formazione, l’immagine ha dato la possibilità agli esperti di studiare “il tasso metabolico della via Lattea”, ha spiegato poi Whitney. “Ci dice quante stelle stanno si stanno formando ogni anno”.

Le nebulose Gum 22 e 25 nella Via Lattea.
Le nebulose Gum 22 e 25 nella Via Lattea.

Oltre a fornire un particolare e unico strumento di osservazione stellare, i dati a infrarossi raccolti dal team GLIMPSE hanno rivelato che lo spazio interstellare è riempito con gas idrocarburo aromatico policiclico diffuso. Si tratta di idrocarburi, quindi combustibili, molto complessi perché composti da due o più anelli aromatici, molecole pesanti con cinquanta o più atomi di carbonio. Churchwell ha detto che sono “sono più brillanti attorno a regioni di formazione stellare, ma rilevabili in tutto il disco della Via Lattea e galleggiano nel mezzo dello spazio interstellare. La loro presenza indica che il carbonio può essere più abbondante di quanto pensiamo”.

I dati di GLIMPSE fanno parte del progetto di citizen science Milky Way Project.

Per saperne di più:

CONGIUNZIONE LUNA, VENERE E MERCURIO

0
congiunzione_luna27Mar

congiunzione_luna27Mar
La mattina del 27 marzo, poco prima dell’alba, verso est sarà possibile seguire il lento ascendere di Venere e Luna in congiunzione, con il pianeta a sud della falce, distante circa 3 gradi. All’ora indicata nella illustrazione (in orientamento altazimutale) i due oggetti saranno alti circa +14°, mentre, se le condizioni del cielo lo permetteranno, potrebbe rendersi visibile anche Mercurio, molto basso sull’orizzonte est.

RACCONTARE ED INSEGNARE IL CIELO E LE STELLE

0
adamo2

adamo2
Dal 22 al 27.03 : Planetario + Laboratorio aperti al pubblico presso il Pad. 33 (a cura di Osservatorio Astronomico e SOFOS).
Organizzato dall’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna, un workshop/convegno, in collaborazione con la SAIt Società Astronomica Italiana, si vuole indagare lo stato dell’arte della didattica e della divulgazione dell’astronomia e della scienza in generale per bambini di età compresa tra i due e i dodici anni. L’obiettivo è quello di fare dialogare astronomi, divulgatori e insegnanti con pedagoghi, editori e altre figure professionali che operano nel campo della divulgazione e della didattica scientifica. Questo per fare in modo da affinare un approccio piu’ razionale allo studio delle reazioni del pubblico di minori alle sollecitazioni (testi, modi, immagini, suoni, video…) alle quali esso viene sottoposto in osservatori, planetari, musei e scuole. La nostra presenza all’interno della Fiera del libro per ragazzi di Bologna fornirà la giusta cornice per favorire l’incontro dei convegnisti con operatori del settore editoriale per l’infanzia e l’adolescenza.

www.bo.astro.it/universo/fieralibro.html

I Venerdì dell’Universo 2014

0

Tornano anche quest’anno i Venerdì dell’Universo, una serie di seminari scientifici per avvicinare, giovani e non, alla Fisica,
all’Astronomia e alle Scienze in generale, con la speranza che per molti giovani non sia solo una curiosità momentanea,
ma anche un’occasione di spunto per i loro studi professionali o amatoriali, dal momento che l’Università di
Ferrara offre importanti opportunità in questi campi.

21.03: “Il teletrasporto tra Scienza e Fantascienza” a cura di LEONARDO CASTELLANI.

Diretta streaming video: http://web.unife.it/unifetv/universo.html
Per informazioni: Tel. 0532/97.42.11 – E-mail: venerdiuniverso@fe.infn.it
www.unife.it/dipartimento/fisica – www.fe.infn.it
Organizzati da: Dip. di Fisica Università di Ferrara, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Gruppo Astrofili Ferraresi “Columbia“ e Coop. Sociale Camelot.

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

0

21.03 : “Il cielo dell’equinozio” di G. Ferrrario.
Conferenze inizio ore 21:00, a seguire osservazioni del cielo con i telescopi del Gruppo.

Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Circolo Astrofili Veronesi

0

21.03: “Energia elettromagnetica: la luce” di Natalino Fiorio.

Per informazioni: info@astrofiliveronesi.it
Cell: 334 7313710 (Antonio Cagnoli)
www.astrofiliveronesi.it

Gruppo Amici del Cielo di Barzago

0

21.03: ”Le aurore polari” a cura di A. Perboni.

Per info: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Gruppo Amici del Cielo di Barzago

0

21.03: ”Astrofoto” di Davide Trezzi e Rosario Magaldi.

Per info: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Onde gravitazionali primordiali!

L’annuncio che era nell’aria da qualche giorno è stato confermato questo pomeriggio. L’esperimento BICEP2, un telescopio da 26 cm di apertura che osserva dal Polo Sud, ha osservato tracce inconfondibili delle onde gravitazionali primordiali generatesi pochi istanti dopo il Big Bang. E, come spesso accade alle grandi scoperte, i dettagli della notizia più che chiudere una ricerca che va avanti da anni, rischiano di aprire nuovi e imprevisti scenari.

Ma andiamo con ordine. BICEP2 è stato concepito per osservare la radiazione cosmica di fondo (comunemente abbreviata in CMB, cosmic microwave background). Il CMB è la luce più lontana che possiamo osservare: ci arriva dalle profondità del cosmo e dunque del tempo (più si guarda lontano più si guarda indietro nel tempo), in un certo senso è la luce del Big Bang. Sappiamo ormai da oltre vent’anni che questa radiazione non è esattamente uniforme, ma possiede delle piccole (molto piccole, circa una parte su centomila) increspature. La ragione è presto detta: l’universo che abitiamo non è perfettamente omogeneo, ma la materia vi forma delle strutture su grandi scale: galassie, ammassi e superammassi di galassie. Queste strutture hanno impiegato miliardi di anni per formarsi per collasso gravitazionale (se creo una sovradensità esse tende a crescere per gravità), ma non potrebbero essere lì se qualcuno non avesse creato delle piccole increspature nell’universo primordiale. Infatti, un fluido perfettamente omogeneo non può formare strutture, evolve conservando l’omogeneità. Perché si formi struttura occorre ipotizzare l’esistenza di alcuni semi primordiali attorno a cui la materia si accumula. Questi semi, o perturbazioni primordiali, hanno influenzato la struttura del CMB: per questo essa appare ”increspata” (per usare un termine tecnico, anisotropa). Ma mentre la distribuzione della materia è stata irrimediabilmente modificata da miliardi di anni di amplificazione gravitazionale, il CMB, che proviene dall’universo giovane, ci trasmette un’immagine di queste perturbazioni come erano nell’universo primordiale.

Mappe della polarizzazione del CMB osservate (a sinistra) e calcolate (a destra), immagine da "BICEP2 2014 I: Detection of B-mode Polarization at Degree Angular Scales The BICEP2 Collaboration, 2014"

La domanda ovvia a questo punto è: come mai esistevano queste perturbazioni? Chi ce le ha messe? La risposta accreditata dalla maggior parte degli studiosi chiama in causa una fase dell’universo primordiale chiamata inflazione cosmica (cosmic inflation). Pochi istanti dopo il big bang (qualcosa come 10^-37 secondi dopo il Big Bang) l’universo ha cominciato a espandersi in maniera esponenziale, tanto da aumentare il proprio volume qualcosa come 80 ordini di grandezza in pochi istanti: a tempi dell’ordine di 10^-34 secondi dopo il Big Bang l’inflazione finisce. Questa crescita vertiginosa ha proiettato su scala macroscopica delle fluttuazioni che esistono naturalmente nel mondo microscopico del vuoto quantistico. Tutta la struttura su grande scala che conosciamo, inclusa la “struttura” del CMB deriva, in ultima analisi, da queste fluttuazioni quantistiche “rivelate” dall’inflation.

Le teorie predicono anche altre cose interessanti: le fluttuazioni di cui abbiamo parlato sono di tipo “scalare”. In parole semplici, sono perturbazioni alla densità di massa-energia locale. Esistono anche altre fluttuazioni che vengono dette di tipo “tensoriale”, che sono assimilabili a campi gravitazionali che viaggiano nello spazio. Esse sono dunque delle onde gravitazionali. L’inflation, oltre a produrre delle increspature nel fluido cosmico, ha anche lanciato un bang gravitazionale che si propaga nello spazio. Osservare direttamente queste onde gravitazionali è questione, si ritiene, del prossimo secolo. Esse sono troppo deboli per la tecnologia attuale. La loro esistenza può però essere confermata tramite le osservazioni del CMB, ed è esattamente ciò che ha fatto BICEP2. Vediamo perché.

Il CMB , una “luce” che osserviamo oggi nella regione spettrale delle microonde, dunque invisibile ai nostro occhi, possiede una debole polarizzazione lineare. Essa si polarizza per una ragione simile a quella che rende polarizzata la luce che si riflette su una superficie con basso angolo di incidenza (esperienza di ottica elementare osservabile con un semplice filtro polaroid). Questa polarizzazione del CMB può venir misurata. Dal punto di vista osservativo, ci sono due “modi” fondamentali in cui essa può presentarsi, denominate componente E e componente B, per analogia (solo formale) col comportamento dei campi elettromagnetici. Il punto cruciale è che le perturbazioni scalari possono generare solo una polarizzazione di tipo E (la ragione, un po’ tecnica, sta nel fatto che questi modi sono invariati sotto trasformazione di parità, esattamente come le fluttuazioni scalari che li generano, e la fisica del CMB, puramente elettromagnetica, deve conservare la parità). Le fluttuazioni tensoriali, invece, possono produrre sia polarizzazione di tipo E che polarizzazione di tipo B, non essendo obbligate a conservare una parità definita. Dunque, se osserviamo un modo B nella polarizzazione del CMB, siamo in presenza di una fluttuazione tensoriale. Abbiamo visto l’impronta che le onde gravitazionali primordiali hanno lasciato nella CMB. L’osservazione della polarizzazione B è stata annunciata oggi per la prima volta dall’esperimento BICEP2.

La notizia è di enorme importanza per varie ragioni. In primo luogo, costituisce una prova indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali che non sono ancora state osservate direttamente (e, come si diceva su, è lecito attendersi che queste onde gravitazionali primordiali non saranno osservate direttamente ancora per svariati decenni). Ma c’è di più. Averle viste significa aver la prova che l’inflation è davvero avvenuta. Esistono anche altri meccanismi che spiegano l’esistenza delle fluttuazioni cosmiche, ma nessuno a parte l’inflation prevede questa copresenza di fluttuazioni scalari e onde gravitazionali. Di più: misurando l’ampiezza dei modi B, si misura direttamente l’ampiezza delle fluttuazioni tensoriali primordiali, e quindi il rapporto tra fluttuazioni tensoriali e scalari. BICEP2 ci dice che questo rapporto è circa 0.20 (con incertezza di +0.07 e -0.05), cioè i tensori contano per circa il 20% di quanto contano le fluttuazioni scalari. Questo rapporto, sorprendentemente alto rispetto alle attese, è direttamente legato alla scala di energia a cui si è accesa l’inflation, scala che non è predetta dalla teoria. Oggi sappiamo quindi che questa scala è circa 10^16 GeV, qualcosa come 12 ordini di grandezza oltre la scala di energie raggiungibile da LHC, il più potente acceleratore di particelle terrestre, e solo due ordini di grandezza al di sotto della scala di Planck, che è il limite naturale oltre cui la gravità dovrebbe mostrare la sua natura quantistica.

E’ difficile sottostimare l’importanza di questa scoperta: in un colpo solo conferma l’inflation, mostrandocene letteralmente la “smoking gun”, e ci dice a quale energia si è accesa. Ci fornisce anche evidenza, indiretta, dell’esistenza delle onde gravitazionali che Einstein ha predetto nel lontano 1916. Prima di prenotare un (meritato) biglietto per Stoccolma, il team di BICEP2 dovrà aspettare che qualcun altro confermi questo risultato. Il satellite ESA Planck, dedicato proprio alla CMB, potrebbe farlo nei prossimi mesi. In effetti, Planck aveva pubblicato lo scorso marzo un limite superiore sul valore di r, asserendo che esso è minore di 0.11 con significanza statistica di due deviazioni standard. Questo risultato non deriva dai modi B, che Planck non ha (ancora) osservato, ma dall’anisotropia in intensità del CMB, ed è filtrato attraverso alcune assunzioni modellistiche (si assume cioè un modello di riferimento). Oggi questo risultato appare in tensione con quanto riportato da BICEP2. Occorre capire come mai. Una delle possibilità è che ci sia qualcosa da mettere a punto nel modello di riferimento: si aprono scenari molto interessanti. Al tempo stesso, la misura di BICEP2, unita ad altre che Planck ha già compiuto, ci aiuteranno a fare un passo avanti nella comprensione del meccanismo inflazionario, falsificando alcuni modelli di inflazione che prevedevano un apporto di tensori molto più basso di quello osservato da BICEP2. Questi modelli, con basso r, manco a dirlo andavano per la maggiore e, come spesso accade nella storia della Scienza, dovranno essere buttati o profondamente rivisti. La Natura non smette mai di stupirci.

by Scientificast.it

Per approfondire:

CONGIUNZIONE LUNA CON SATURNO

0
congiunzione_luna21Mar

congiunzione_luna21Mar
21.3 La mattina del 21 marzo, un po’ penalizzata dall’orario antelucano, ci sarà la più bella congiunzione del mese, con una Luna all’ultimo quarto abbondante che, verso le 4:00, avvicinerà Saturno fino a una distanza angolare minima di 1,1°.

Il Planetario a Piacenza DAL 14 FEBBRAIO AL 22 MARZO

0

20.03, ore 21:00: conferenza Gruppo Astrofili.

Per informazioni: info@planetariopiacenza.com
www.planetariopiacenza.com

Inflazione: c’è la prova

0
Il pattern in polarizzazione rilevato da BICEP nella radiazione cosmica di fondo a microonde. Crediti: Harvard/CfA
Il pattern in polarizzazione rilevato da BICEP nella radiazione cosmica di fondo a microonde. Crediti: Harvard/CfA

RILEVATI I MODI B PRIMORDIALI

Mai prima, nella storia dell’umanità, ci si era spinti così indietro nel tempo. Se la mappa della CMB era stata battezzata “la foto dell’universo neonato”, quella presentata al mondo pochi istanti fa da John Kovac, cosmologo della Harvard University, e dal resto del team dell’esperimento BICEP non la si può nemmeno definire un’ecografia del terzo mese: volendo restare in metafora, è piuttosto l’equivalente della linea viola del test di gravidanza. Il primo segnale possibile che qualcosa è accaduto. Quel qualcosa è il big bang, e le impronte che il telescopio antartico ha rilevato, debolmente impresse sotto forma di “modi B” sul segnale in polarizzazione del fondo cosmico a microonde, sono le tracce del primissimo evento nella storia del nostro universo, avvenuto 10 alla meno 35 secondi dopo il big bang: l’inflazione.

L’attesa era tale che il server di streaming, al quale scienziati da tutto il mondo hanno provato a collegarsi per seguire l’annuncio in diretta webcast, non ha retto. Sembrano invece avere tutte le carte in regola per reggere i dati presentati: la significatività statistica del risultato, stando ai due articoli fatti circolare in anteprima, è superiore a 5 sigma. Insomma, è un signor risultato. «Se effettivamente è la vera misura, e non il frutto di un errore sistematico, è un risultato eccezionale», è il commento a caldo di Sara Ricciardi, cosmologa della collaborazione Planck e ricercatrice all’INAF-IASF Bologna. Certo è che si tratta d’un risultato inatteso, che sta lasciando quasi tutti a bocca aperta. Per cercare di comprenderne la portata, conviene ripercorrere alcune delle tappe principali di quest’avvincente avventura.

Dal big bang a oggi ci separano circa 14 miliardi di anni, ma la storia che ha condotto all’immenso risultato odierno – dal punto di vista scientifico, se verrà confermato, ha implicazioni paragonabili, se non addirittura superiori, a quelle della scoperta del bosone di Higgs – è molto più breve: compie proprio quest’anno esattamente mezzo secolo. E muove i primi passi non nel buio gelido della notte antartica, bensì sulla cima d’un dolce pendio – appena 116 metri – della contea di Monmouth, nel New Jersey: la collina di Crawford. È lì che trascorrono le giornate due ricercatori dei Bell Laboratories,  Arno Penzias e Robert Wilson, inseguendo l’origine di uno strano rumore di sottofondo nel segnale della grande antenna a forma di tromba, sensibile alle microonde, installata sulla cima del colle. Ed è nel 1964 che i due giovani astrofisici, ascoltando i colleghi di Princeton presentare le loro ipotesi sulla radiazione di corpo nero nel fondo cosmico, hanno l’intuizione che li porterà a vincere nel 1978 il Nobel per la fisica: il fruscio che sporca le loro ricezioni e sì di fondo, ma non è un rumore: è il segnale con la esse maiuscola, il primo segnale elettromagnetico possibile. Viaggia più o meno indisturbato da quasi 14 miliardi di anni, e per la precisione da 380mila anni dopo il big bang: dall’istante in cui nuclei ed elettroni, combinandosi, hanno dato origine agli atomi, spalancando così la finestra che ha reso l’universo trasparente.

E prima? Già, se prima era tutto opaco, quel limite dei 380mila anni non rappresenta per definizione un muro invalicabile? Certo che lo è, almeno per le onde elettromagnetiche. Ma immerse in quel segnale potrebbero esserci le tracce di quanto accaduto in precedenza. E infatti, come scoprirà il satellite COBE all’inizio degli anni Novanta (portando ai suoi ideatori, John Mather e George Smoot, un altro doppio Nobel per la fisica), la radiazione di fondo cosmico a microonde (CMB) si rivela “anisotropa”: pervasa, cioè, da impercettibili fluttuazioni in temperatura. Fluttuazioni la cui distribuzione – rilevata in modo sempre più preciso da esperimenti su pallone, come Boomerang, e da telescopi spaziali come WMAP e Planck – rispecchia i grumi del brodo primordiale, ovvero le regioni nelle quali materia ed energia erano più o meno dense. E rappresenta dunque i semi di quelle che diventeranno, nel corso di miliardi di anni, sotto l’azione della forza di gravità, le strutture a grande scala dell’universo: ammassi di galassie e galassie. E quindi noi, in fondo in fondo.

Ma l’inflazione, allora? L’inflazione, questo stiramento di portata inimmaginabile (letteralmente: andrebbe oltre i confini dell’orizzonte degli eventi, ritengono i cosmologi) del tessuto dello spazio-tempo, sarebbe la responsabile della quasi completa uniformità della CMB. È a causa della sua azione distensiva che le fluttuazioni in densità sono così difficili da rilevare. Ma proprio per la sua violenza e subitaneità dovrebbe aver innescato, nel brodo primordiale, un maremoto gravitazionale di portata pazzesca. Pazzesca quanto? È esattamente su questo numero che si gioca la validità dei risultati presentati oggi a Harvard. Per essere rinvenibile nella CMB da un esperimento come BICEP 2 con un intervallo di confidenza attorno a 5 sigma (che, come ormai tutti sappiamo dal giorno dell’annuncio della scoperta del bosone di Higgs, per gli scienziati è il minimo sindacale), dev’essere stato un maremoto davvero impetuoso: in grado di generare onde “alte” più o meno il doppio, e qui il discorso si fa delicato, di quanto previsto dai modelli attuali in base ai dati raccolti da WMAP e Planck.

L’ampiezza delle onde, in questi casi, si calcola misurando il rapporto tra fluttuazioni tensoriali (quelle dei “modi B” primordiali, dovute alle onde gravitazionali) e fluttuazioni scalari (quelle in densità di cui abbiamo parlato poc’anzi). Gli esperimenti condotti fino a oggi, WMAP e Planck in testa, suggerivano un limite superiore, per questo rapporto, pari a circa 0,1. Ebbene, il numero trovato da BICEP – quello che sta facendo tremare parecchi polsi, quello con una significatività superiore a 5 sigma – è guarda caso praticamente il doppio: r = 0.2. «Se confermata, la curva nello spazio dei parametri mostrata oggi», va dritta al punto Daniela Paoletti, ricercatrice all’INAF IASF Bologna, «andrebbe a escludere moltissimi modelli d’inflazione al momento ammessi dai dati». Quali modelli? Lo spiega senza mezzi termini il responsabile dello strumento LFI di Planck, Reno Mandolesi, congratulandosi con il team di BICEP: «Risultato eccezionale. In bocca al lupo per il Nobel. Esistono limiti superiori, per il valore di r, che sono più bassi di questa detection: quelli pubblicati dalla collaborazione Planck nel 2013, sebbene non derivanti dalle misure di polarizzazione dei modi B. A questo punto si spalanca uno scenario di grande interesse, perché si potrebbe aprire un ulteriore problema nel modello standard lambda CDM o nei modelli di inflazione esistenti. I risultati attesi da Planck nel 2014 saranno importantissimi per capire in che direzione muoversi». Insomma, diciamo che per chi si occupa di cosmologia, nei prossimi mesi, ci sarà parecchio da divertirsi.

«Finalmente – dice il Presidente dell’INAF, Giovanni Bignami – abbiamo un’idea di come ha fatto l’Universo a diventare così grande così in fretta. Tutti hanno sempre creduto alla inflazione come l’unica soluzione possibile, ma averne una prova osservativa, anche se indiretta, è fantastico. Speriamo che sia vero, anche perchè, per buona misura, abbiamo avuto la conferma che le onde gravitazionali sono il modo di vedere l’Universo quando era invisibile, cioè opaco alla luce con la quale facciamo da sempre astronomia. Se confermato, un risultato stupendo, degno coronamento del lavoro europeo ed italiano con la missione spaziale Planck».

Per saperne di più:

Guarda su INAF-TV le primissime reazioni, a conferenza ancora in corso, di alcuni ricercatori INAF:

Per approfondire:

Club 100 Asteroidi: la parola ai protagonisti

0

.

Poco da segnalare rispetto al mese scorso. Solo Luca Maccarini e la coppia Andrea Tomacelli e Valeria Starace ha incrementato il bottino. Situazione cristallizzata per tutti gli altri partecipanti. Non avendo quindi personalmente granché da aggiungere, ho deciso di dare la parola direttamente ai protagonisti per sentire le loro impressioni a questo punto della sfida.

Claudio Pra


Ugo Tagliaferri (94 osservazioni)

«Questo mese nessun aggiornamento. Il prossimo obbiettivo è (74) Galatea ad aprile.
Quando decisi di partecipare a questa sfida optai per operare visualmente. Immaginai, date le difficoltà, che i partecipanti sarebbero stati pochi ma non avrei mai immaginato di essere io a guidare la pattuglia! Contavo di concludere l’impresa in 2 anni ma ci vorrà un po’ di più.
Voglio comunque gustarmi gli ultimi asteroidi. Se finirò per primo bene, altrimenti bene lo stesso!».


Paolo Palma (87 osservazioni)

«Purtroppo devo aspettare ancora qualche altra settimana  prima di poter aggiungere un altro obiettivo alla mia lista. Intanto, per riempire l’attesa, mi sto divertendo ad osservare gli asteroidi dal 101 al 200. Con gli strumenti che posseggo e il cielo che mi ritrovo ci vorrà probabilmente un altro anno per portare a termine l’impresa.
In ogni caso queste gigantesche montagne cosmiche, nella piccolezza di ciò che le distanze ci lasciano vedere, sono capaci di trasmettere una loro bellezza in chi con pazienza le cerca  tra lo sfondo del cielo stellato».


Andrea Tomacelli e Valeria Starace (52 osservazioni)

«L’ambito traguardo dei “100” è diventata ormai un ossessione. Praticamente ogni giorno scrutiamo il cielo e le varie immagini satellitari per comprendere se il movimento delle nuvole ci lascerà un buco per poter rimpinguare il bottino.
L’obiettivo è raggiungere Paolo Palma, nostro amico, che ha si un grande vantaggio, ma osserva in visuale mentre noi abbiamo il CCD con cui possiamo fotografare oggetti molto deboli che visualmente sono difficili da cogliere. Paolo, sei avvisato!
Ugo, anche tu guardati le spalle. L’obiettivo è riuscire ad arrivare alla meta entro l’anno o anche prima se siamo fortunati con il meteo.
E’ un avventura che è iniziata lentamente ma che adesso è diventata una vera e propria sfida».


Luca Maccarini (33 osservazioni)

«Sono giunto quasi a un terzo del percorso di questa lunga “maratona”.
Non potendo raggiungere un luogo montano per le osservazioni, quando decisi di rintracciare in cielo i primi 100 corpi minori della fascia principale del nostro sistema solare mi chiesi innanzitutto se da un cielo urbano mediamente inquinato mi sarebbe stata possibile questo tipo di ricerca. La sensazione che ho avuto e’ che, nonostante i problemi di inquinamento luminoso comuni a molte delle nostre città, se si e’ armati di una buona dose di pazienza ma soprattutto se si riesce ad organizzare la serata osservativa, si possono “catturare” questi corpi celesti erranti anche attraverso una modesta attrezzatura.
Gli asteroidi più luminosi sono individuabili visualmente durante il periodo dell’opposizione anche con piccoli rifrattori, mentre quelli meno luminosi sono rintracciabili con diametri di almeno 130-150 mm. Personalmente ho preferito approcciare questo lungo percorso osservativo con due diverse metodologie: visuale quando ho la fortuna di avere una buona trasparenza del cielo o l’asteroide e’ discretamente luminoso ed alto. Fotografico quando queste condizioni vengono meno».


Onde gravitazionali, forse ci siamo

0

ATTESO UN ANNUNCIO DALL’ESPERIMENTO BICEP 2

Sono ore di fermento e di attesa, queste, nella comunità scientifica internazionale. Quale sarà mai la major discovery – la grande scoperta – che la Harvard University annuncerà al mondo alle cinque ora italiana di oggi pomeriggio, lunedì 17 marzo? Il comunicato stampa non lo dice, ma le voci in rete si fanno sempre più insistenti, e sono tutte unanimi nell’evocare il sacro Graal della cosmologia: le onde gravitazionali.
Il ricordo corre subito al giorno dell’annuncio della scoperta del bosone di Higgs e il parallelismo è inevitabile. Oltre alla suspense costruita ad arte attorno a un annuncio internazionale da parte di un’istituzione leggendaria (il Cern allora, Harvard oggi), l’esistenza delle onde gravitazionali, come quella del bosone, è richiesta a gran voce dalla teoria – e che teoria: se per il bosone era Higgs, qui parliamo niente meno che di Einstein. Ma fino a oggi non hanno mai risposto all’appello. Perché mai dovrebbero farlo proprio ora? E in che modo?

In attesa di scoprirlo, o di essere colti in contropiede o peggio di rimanere delusi (e non sarebbe la prima volta, viste le major discoveries annunciate dalla Nasa negli ultimi anni che di major avevano soprattutto il battage pubblicitario), proviamo a seguire le tracce disseminate in rete in questi giorni.

Una tra le prime soffiate – forse la prima – è giunta venerdì scorso, il 14 marzo, con un post sul blog parigino Résonaances. L’autore mostra il grafico del range di valori possibili, stando ai dati di Planck e WMAP, per i parametri dell’inflazione primordiale e avverte: «guardatelo bene, perché da lunedì non sarà più lo stesso». A scombinare le carte, prosegue il post, saranno i dati raccolti da BICEP 2.
E chi sarebbe questo BICEP che offre anche il titolo al post, “Flettendo i bicipiti”? A guardare Wikipedia scopriamo che BICEP 2, seconda generazione dell’esperimento Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization, è un telescopio americano operativo in Antartide sensibile alla polarizzazione della radiazione cosmica di fondo a microonde (CMB), in particolare nelle bande 100 e 150 GHz. E già questo è un indizio notevole, perché è proprio nella polarizzazione della radiazione fossile che i cosmologi da anni cercano invano i cosiddetti “modi B” primordiali: l’impronta debole ma inequivocabile delle impetuose onde gravitazionali – un vero tsunami nell’oceano dello spazio-tempo – che stando alla teoria si sarebbero dovute sollevare a seguito dell’inflazione, ovvero l’episodio d’espansione vertiginosa che si vorrebbe appena 10 elevato alla meno 35 secondi dopo il big bang.

A guardare Wikipedia emerge anche un altro indizio: dopo quasi due anni di calma piatta, la sera del 13 marzo d’improvviso sulla pagina dedicata a BICEP prende il via un’attiva frenetica, dovuta soprattutto al contributor Mike Peel, che porta a una dozzina d’aggiornamenti nell’arco di poche ore. Per non parlare di Twitter, dove gli hashtag #bicep e #primordial #gravitational #waves già venerdì non lasciavano dubbi su quale sarebbe stato il trending topic scientifico del fine settimana. E puntuale l’anticipazione è atterrata anche sulle pagine dei quotidiani, primo fra tutti il Guardian venerdì scorso.

Insomma, nella sempre più improbabile ipotesi che l’annuncio non sia la scoperta delle onde gravitazionali primordiali, la delusione sarebbe vasta. E se invece andrà tutto come atteso?

«Sarà una scoperta super importante», dice Sara Ricciardi, cosmologa della collaborazione Planck e ricercatrice all’INAF-IASF Bologna.«Possiamo misurare due tipi di perturbazioni: quelle dell’inflazione stessa, che si traducono in perturbazioni di densità, e quelle del campo gravitazionale. La CMB è un tracciatore perfetto di queste perturbazioni. Mentre le perturbazioni scalari lasciano un’impronta distintiva sia sullo spettro di temperatura che di polarizzazione (i cosiddetti “modi E”), le perturbazioni primordiali del campo gravitazionale determinano unicamente la forma dei “modi B” di polarizzazione. Una misura del genere è dunque doppiamente fondamentale: non solo mostrerebbe che le onde gravitazionali esistono, ma offrirebbe anche gli strumenti per misurarne l’ampiezza. Per questo siamo tutti in attesa spasmodica di ciò che diranno a Harvard. E pronti a fare le pulci ai dati immediatamente dopo, come una scoperta così importante ovviamente merita».

E’ possibile seguire la diretta della conferenza stampa a questo link

Per approfondire:

Al Planetario di Ravenna

0

18.03: “L’equinozio di primavera” di M. Berretti.

Per info: tel. 0544-62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

ASSOCIAZIONE CASCINESE

0

17.03: “Asteroidi fra realtà e mistero” di P. Bacci.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Al Planetario di Ravenna

0

16.03: GIORNATA NAZIONALE DEI PLANETARI

Dalle ore 10:30 alle 19:00: Osservazioni al telescopio, laboratori didattici, Conferenze e molto altro ancora. Ingresso libero.

Per info: tel. 0544-62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

0

16.03: GIORNATA NAZIONALE DEI PLANETARI
Alle ore 16:00: “Le favole del cielo” presso il Planetario di Lumezzane, in via Mazzini 92.

Per info: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

0

14.03: “In viaggio con Dante: i paesaggi celesti del Purgatorio» di Loris Lazzati.

Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Al Planetario di Ravenna

0

14.03: Fanta-Scienza, Avventure nel tempo e nello spazio: “Impatti letali. Deep Impact, Armageddon” di Sara Ciet e Paolo Alfieri (in collaborazione con il Circolo del cinema “Sogni”).

Per info: tel. 0544-62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Circolo Astrofili Veronesi

0

14.03: “L’astronomia in rete” di Raffaele Belligoli.

Per informazioni: info@astrofiliveronesi.it
Cell: 334 7313710 (Antonio Cagnoli)
www.astrofiliveronesi.it

×
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

There was an error while trying to send your request. Please try again.

Autorizzo Coelum Astronomia a contattarmi via e-mail utilizzando le informazioni che ho fornito in questo modulo sia per fini informativi (notizie e aggiornamenti) che per comunicarmi iniziative di marketing.