Associazione Ligure Astrofili Polaris
06.02: “Per esplorare il Sistema Solare basta Newton o ci vuole Einstein?” di Pietro Planezio.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it
06.02: “Per esplorare il Sistema Solare basta Newton o ci vuole Einstein?” di Pietro Planezio.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it
06.02: Conferenza (a seguire osservazione degli oggetti del cielo con i telescopi del gruppo): “I 10 anni del satellite Swift, il Rondone che sonda l’Universo violento” di Paolo Davanzo.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it
06.02: “C’era una volta… un polimero” di ELEONORA POLO.
Per informazioni: Tel. 0532/97.42.11
E-mail: venerdiuniverso@fe.infn.it
www.fe.infn.it
www.unife.it/dipartimento/fisica

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.186 – 2014. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy


Dal momento in cui Philae – il piccolo lander sganciato dalla sonda Rosetta sulla superficie della cometa 67/P lo scorso 12 novembre – ha toccato il suolo e si è spostato rispetto al luogo previsto per l’atterraggio rimbalzando quattro volte e facendo perdere le sue tracce, è cominciata una ‘caccia al lander’ per immagini che non ha precedenti.
Mentre lo strumento CONSERT ha contribuito a restringere la ‘pista di atterraggio’ ad un’area sul lobo più piccolo della cometa, la ricerca per immagini fatta grazie agli scatti di OSIRIS non è stata finora in grado di confermare quale sia l’effettiva posizione finale del piccolo lander.
Subito dopo la discesa ed i primi rimbalzi, documentati in modo molto chiaro dalla camera a stretto campo di OSIRIS, il team di controllo pensava di aver identificato Philae sul margine di una vasta depressione che prende il nome di Hatmehit, sul lobo minore della cometa. Successivamente i dati inviati dallo stesso Philae hanno permesso di stabilire che si trovasse nella zona denominata Abydos, e sono stati usati per ricostruire la traiettoria del lander e stabilirne la posizione finale.
Tra novembre e dicembre si è cercato grazie alla camera di OSIRIS di fare una serrata campagna di rilevamento immagini, sfruttando l’ora e mezza di attivazione quotidiana di Philae, ma la posizione del Sole rispetto a Rosetta ha reso infruttuoso questo tentativo di localizzazione visiva. Rispetto ai momenti subito successivi allo sgancio, Rosetta si sta anche allontanando di orbita dalla cometa e la ricerca di Philae sembra farsi sempre più difficile.

Per comprendere quanto sia improbo il compito di individuare il lander sulla superficie della cometa basta pensare che, rispetto alle immagini usate per la sua ricerca (composte da un mosaico di foto, come quella qui a destra), Philae occupa circa tre pixel delle stesse, essendo grande nella realtà più o meno come una lavatrice. Un’impresa davvero difficoltosa, considerando che nell’area esaminata sono numerosissimi i set da tre pixel che i ricercatori si sono trovati ad esaminare.
Il 14 febbraio Rosetta ha in programma un flyby ravvicinato a 6 chilometri dalla superficie della cometa, che sarà sfruttato per raccogliere ulteriori immagini ad altissima definizione delle aree sorvolate e continuare nella ricerca di Philae. Sarà una sorta di ultima chance, visto che poi la sonda si allontanerà dalla cometa e non sarà possibile effettuare un’altra campagna visiva ravvicinata di ricerca, forse fino al prossimo anno.

Chi ha seguito le fasi del risveglio di Rosetta sa che tale processo non è immediato e anche per Philae sarà lo stesso, anzi, occorre tenere presente che mentre nel sito individuato per lo sbarco si prevedeva che il lander avrebbe potuto contare su un’illuminazione di 6,5 ore, rispetto alle 12,4 che dura un giorno sulla cometa per ricaricare le batterie, il periodo di illuminazione nella zona dove si presume sia andato a cacciarsi il lander è di appena 1,3 ore al giorno.
Anche nel peggiore dei casi, ovvero se Philae non dovesse svegliarsi, rimangono importantissimi i dati inviati successivamente all’atterraggio, e da una pluralità di posizioni (a causa dei rimbalzi) rispetto alla sola dove era previsto si fermasse.
Da maggio, la posizione del Sole rispetto alla presunta posizione del lander sarà tale da irraggiare dall’alto la zona di atterraggio, anche se l’orientamento di Philae è tale che non sarà in grado di sfruttare appieno l’illuminazione offerta. Sarà cruciale quindi – come dice Stephan Ulamec, Project manager del Lander Control Centre di Colonia – il ruolo dell’illuminazione solare extra che potrà essere sfruttata man mano che la cometa si avvicinerà al Sole.
Sarà probabilmente a maggio o giugno, che la radiazione della nostra stella sarà sufficiente a rendere utilizzabile il trasmettitore di Philae e ristabilire un collegamento di comunicazione con Rosetta – il lander ha bisogno di circa 17 Watt per svegliarsi. Sperando che Rosetta si trovi in una posizione adeguata rispetto al sito di atterraggio per “sentire” il piccolo Philae che la chiama.
E la ricerca continua!
Per approfondire:
La notizia uscita sul blog di Rosetta
Un’altra discreta congiunzione tra Luna e Giove, dopo quelle dei mesi passati, avrà luogo la sera del 3 febbraio e sarà osservabile all’incirca a partire dalle 19:00. I due oggetti sorgeranno dall’orizzonte est separati di circa 7,6°, mostrandosi proprio davanti alla testa del Leone.
La Luna sarà però prossima al plenilunio, tanto da apparire decisamente invasiva con il suo chiarore, ma anche così gli astrofotografi più bravi riusciranno senz’altro a ricavare suggestivi accostamenti tra il cielo e gli elementi del paesaggio.
Verso le 19:15 i due oggetti saranno infatti alti sull’orizzonte est solo +11°.
N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del dischetto lunare,
in questa e nelle altre illustrazioni, è due o tre volte superiore alla scala corretta.
<strong>Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il </strong><strong><a href=”https://www.coelum.com/appuntamenti/cielo-del-mese/il-cielo-di-gennaio” target=”_blank”>Cielo di gennaio</a></strong>
03.02: “L’amore fra le costellazioni” di Agostino Galegati.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it
Lasciato finalmente Mercurio, la sera del primo febbraio sarà Venere ad avvicinarsi a Nettuno. Come si può vedere dalla figura, la distanza angolare minima osservabile sarà di 47′, e quindi superiore a quella raggiunta da Marte il 19 gennaio. Alle 18:00 i due pianeti saranno alti circa +14° sull’orizzonte di ovestsudovest.
Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di gennaio
30.01: “Gli strumenti per l’osservazione del cielo: binocoli e telescopi” di Roberto Mancuso.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it
30.01: “La galleria delle meraviglie: i 25 anni di Hubble” di Martino Fossati (a seguire osservazione degli oggetti del cielo con i telescopi del gruppo).
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it
30.01: Osservazione della volta stellata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it
30.01: “Il Pianeta Terra visto dallo spazio”. Al telescopio: La Luna crescente, Il pianeta Giove e i suoi satelliti, la nebulosa di Orione e le Pleiadi.
Per informazioni: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Sorpresa! Ci aspettavamo un single, ed è arrivata una coppia. E che coppia: 325 metri lui, 70 metri lei, non sono certo passati inosservati innanzi all’occhiuta concierge, l’antenna radar di Goldstone, in California. È accaduto ieri pomeriggio, all’appuntamento con l’asteroide 2004 BL86. Puntualissimo, addirittura un minuto in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Ma inaspettatamente accompagnato. Da una luna.

Ora la NASA spiega che non è una rarità, tutt’altro. E che anzi, potevano pure presentarsi in tre! Fra gli asteroidi che ci ronzano attorno, quelli con dimensioni superiori ai 200 metri una volta su sei sono in realtà asteroidi binari – se non addirittura triplette, appunto. Ovvero, una coppia o un trio danzante, due o tre corpi avvinghiati gravitazionalmente, l’uno in orbita attorno all’altro. Uno di solito è signicativamente maggiore, come in questo caso, con quello che avevamo battezzato scherzosamente “Mr Big” grande circa cinque volte la compagna.
Non è una rarità, dunque, ma certamente è l’ennesimo spettacolo inatteso che ci offre il nostro Sistema solare. A immortalare con una ragguardevole risoluzione di quattro metri per pixel la remota coppia danzante – nell’istante di massimo avvicinamento, val la pena ricordarlo, si trovava a 1.2 milioni di km da noi, oltre tre volte la distanza che ci separa dalla Luna – è stata la parabola radio del Deep Space Network di Goldstone, una sorta d’immenso radar. Prossimo appuntamento fra duecento anni. Chissà se BL86 e signora saranno ancora insieme…
Dall’ alto di ‘Cape Tribulation’, un’area del bordo del cratere Endeavour, ecco questa spettacolare vista panoramica di Marte, inviata dal rover Opportunity della NASA, che da quasi undici anni ormai ‘scorrazza’ sulla superficie del Pianeta rosso. Proprio come facciamo qui sulla Terra con le fotocamere digitali o, più semplicemente, anche con uno smartphone, la foto a così ampio campo di vista (ben 245 gradi) è un collage di riprese più strette, poi montante insieme, tutte ottenute il 6 gennaio scorso dalla panoramic camera (Pancam) che equipaggia il robottino.
Il punto da dove è stata presa questa vista d’insieme è il più alto raggiunto da Opportunity dopo aver lasciato la zona del cratere Victoria nel 2008 ed aver intrapreso un viaggio durato tre anni che lo ha portato fino al cratere Endeavour, una struttura dal diametro di ben 22 chilometri.
L’immagine è stata trattata in modo che i suoi colori fossero il più possibile fedeli a quelli che potremmo osservare con i nostri occhi se ci trovassimo sul Pianeta rosso, ed è stata ottenuta combinando le riprese della Pancam scattate con tre differenti filtri: uno centrato attorno alla lunghezza d’onda di 753 nanometri (che cade nel vicino infrarosso), uno attorno ai 535 nanometri (luce verde) e l’ultimo a 432 nanometri (violetto).
29.01 Il giorno giovedì 29 gennaio 2015 ore 18:30 ci sarà una Conferenza di presentazione del Corso. Ulteriori e più dettagliate informazioni verranno pubblicate sul nostro sito.
Contatti: Fabio Anzellini 339.7900809
www.ara.roma.it
27.01: “Messaggera del cielo: la Luce” a cura di Oriano Spazzoli.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it


La cometa 67/P Churyumov Gerasimenko è scurissima, povera di ghiaccio d’acqua sulla sua superficie, ma ricca di composti organici presenti negli amminoacidi, i ‘mattoni della vita’. Questi in estrema sintesi i primi risultati sulle proprietà della superficie del nucleo della cometa 67/P, pubblicati in un articolo sull’ultimo numero della rivista Science. Risultati ottenuti grazie ai dati raccolti tra agosto e dicembre 2014 dallo spettrometro a immagini italiano VIRTIS (Visual, Infra-Red and Thermal Imaging Spectrometer) a bordo della sonda Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea, ESA. Lo strumento è stato realizzato da un consorzio internazionale italo-franco-tedesco sotto la responsabilità dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF e con il contributo italiano finanziato dall’ASI, Agenzia Spaziale Italiana.
La prima sorpresa che emerge dallo studio arriva dalla misura dell’albedo della cometa, ossia la quantità di luce solare riflessa dalla superficie del nucleo, che è solo del 6%. Per confronto il nostro satellite naturale, la Luna, possiede un albedo circa doppio. Il valore che possiede 67/P ci fa capire che la cometa è uno degli oggetti più scuri del Sistema solare. Un potere riflettente cosi basso indica che sulla superficie della cometa sono presenti minerali opachi alla radiazione (come ad esempio solfuri ferrosi), ma anche composti contenenti carbonio. Ci dice inoltre che la presenza di ghiaccio d’acqua negli strati più superficiali del nucleo è estremamente limitata o assente. «Questo ovviamente non significa che la cometa non sia ricca d’acqua, ma soltanto che i primi strati (all’incirca di un millimetro o poco più di spessore) non contengono ghiaccio» commenta Fabrizio Capaccioni, ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma, Principal Investigator di VIRTIS e primo autore dell’articolo su Science. «Ciò è legato alla storia evolutiva recente della cometa. I ripetuti passaggi nelle vicinanze del Sole determinano la sublimazione del ghiaccio dalla superficie».
La scoperta più rilevante è collegata poi all’individuazione di segnali nella banda dell’infrarosso legati alla presenza di composti organici macromolecolari, osservati sulla totalità della superficie del nucleo di 67/P. Alcuni di questi composti sono assimilabili ad acidi carbossilici, o piuttosto a polimeri di acidi carbossilici, presenti negli amminoacidi. Amminoacidi sono stati osservati già in materiali cometari e in meteoriti primitive, ma questa è la prima volta che simili composti sono stati osservati direttamente sulla superficie di un nucleo cometario. Inoltre, la copertura globale della superficie lascia supporre che tali composti fossero presenti in abbondanti quantità nel materiale che è stato assemblato a formare il nucleo cometario.
«La formazione di tali composti richiede la presenza di ghiacci di elementi molto volatili, come ad esempio metanolo, metano o monossido di carbonio, che solidificano solo a basse temperature» spiega Capaccioni. «La loro regione di formazione doveva trovarsi quindi a grandi distanze dal Sole nelle prime fasi di formazione del Sistema solare. Ciò fa quindi supporre che ci troviamo effettivamente in presenza di una cometa che contiene al suo interno tracce dei composti primordiali o addirittura precedenti alla formazione del nostro Sistema solare».
Nel team internazionale di ricercatori che ha condotto lo studio su Science, oltre Fabrizio Capaccioni, fanno parte anche i colleghi dell’INAF Gianrico Filacchione, Maria Cristina De Sanctis, Maria Teresa Capria, Federico Tosi, Priscilla Cerroni, Andrea Raponi, Mauro Ciarniello, Ernesto Palomba, Eleonora Ammannito, Giancarlo Bellucci, Gianfranco Magni, Giuseppe Piccioni, Alessandro Frigeri, Davide Grassi, Andrea Longobardo, Marco Cartacci, Andrea Cicchetti, Stefano Giuppi, Raffaella Noschese e Romolo Politi (tutti dell’INAF-IAPS di Roma), Vito Mennella (INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte), Gian Paolo Tozzi (INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri) e Roberto Orosei (INAF-IRA Bologna).
Il 29 gennaio verso le 18:00, l’ammasso delle Iadi sarà alto più di cinquanta gradi sull’orizzonte di est-sudest. La scena sarà ingentilita e illuminata dalla presenza di un Primo Quarto di Luna che a quell’ora andrà a posizionarsi 44′ a nordest (in altazimutale) della rossa Aldebaran, stella alfa del Toro.
Un avvicinamento che darà il via alla stagione delle occultazioni di Aldebaran da parte della Luna, che mancavano ormai dal 1999.
Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di gennaio
23.01: “Orion vista da dentro“ di Fabio Quarato.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it
23.01: “Astronautica da ridere: gli episodi più divertenti nella storia dell’esplorazione spaziale” di Paolo Attivissimo (a seguire osservazione degli oggetti del cielo con i telescopi del gruppo).
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it
23.01: Fotoreporter fra le stelle “Le meraviglie del cielo profondo” di Luca Argalia.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it
23.01: “La questione energetica italiana” di ALBERTO ROTONDI.
Per informazioni: Tel. 0532/97.42.11
E-mail: venerdiuniverso@fe.infn.it
www.fe.infn.it
www.unife.it/dipartimento/fisica


Dopo un anno passato in orbita intorno all’asteroide Vesta e altri due anni e mezzo di viaggio, la missione NASA Dawn sta finalmente raggiungendo il pianeta nano Cerere. Questa ultima fase di avvicinamento durerà fino al 6 Marzo, giorno in cui Dawn entrerà in orbita intorno a Cerere e darà il via ai successivi 16 mesi di studio. In questa ultima fase di approccio, gli strumenti si accenderanno ogni due settimane, iniziando a inviare a Terra le prime immagini e dati di questo mondo ancora sconosciuto.
Prima di Dawn, le migliori immagini di Cerere a nostra disposizione erano quelle scattate da Hubble Space Telescope nel 2003 e 2004 e mostravano poco e niente della sfocata superficie di quello che è il corpo piu grande della fascia degli asteroidi. Con i suoi 950 km di diametro, Cerere è a tutti gli effetti un pianeta nano che potrebbe nascondere ghiaccio, oceani sotterranei e chissà quali altre sorprese.
“Sappiamo molto del Sistema Solare e ancora così poco di questo corpo. Ora Dawn è pronto a rivoluzionare questo stato di cose” annuncia Marc Rayman, ingenere capo e Direttore di missione di Dawn, del Jet Propulsion Laboratory della NASA.

Il 13 gennaio, durante la prima accensione in fase di avvicinamento, sono state scattate una serie di immagini che la NASA presenta oggi al pubblico per la prima volta. La prima è un ritratto di Cerere realizzato dalla camera da 383,000 chilometri. Da questa distanza, la camera aveva un potere risolutivo paragonabile a quello con cui l’Hubble Space Telescope ha ritratto il pianeta nano, producendo un’immagine di Cerere che ricopre 26 pixel (in basso uno zoom elaborato al computer). La Camera ha continuato ad osservare Cerere per oltre un’ora e i dati raccolti hanno permesso al team di elaborare una prima animazione dove è visibile più della metà della superficie del corpo e su cui è già possibile indovinare zone chiare e scure (vedi l’immagine a sinistra e l’animazione in alto).
L’altra preziosa immagine (immagine in basso) è la prima di Cerere realizzata dallo spettrometro italiano VIR ed è tratta dai 6 cubi di dati raccolti finora dallo strumento in questa fase di avvicinamento.

Nell’immagine originale è visibile il pianeta nano ritratto sempre il 13 gennaio, che misura 10 x 10 pixels, in un campo di vista totale dello strumento di 256 x 123 pixels (box al centro dell’immagine). I due zoom in alto sfruttano le varie lunghezze d’onda catturate da VIR per evidenziare come il pianeta nano apparirebbe in bianco e nero a un occhio umano e per mostrare una prima mappa termica nell’infrarosso del corpo celeste.
Racconta Maria Cristina De Sanctis, PI di VIR “la temperatura media che emerge da queste prime misure è in accordo con quanto ci aspettavamo e già da questa distanza, è possibile vedere che esistono sulla superficie di Cerere zone più o meno calde, che differiscono tra loro per qualche decina di gradi. La composizione di Cerere al momento non è molto chiara. Sicuramente si tratta di un oggetto ricco di materiali idrati, probabilmente ricco di acqua. Uno spettrometro ad immagini come VIR potrà dare indicazioni precise sul materiale che compone la superficie. L’altra cosa che andremo a studiare è l’eventuale presenza di getti di vapor d‘acqua in atmosfera, simili a quelli osservati su Encelado. Le passate osservazioni di Herschel di questo fenomeno ci fanno ben sperare. Il prossimo appuntamento è fissato per il 25 gennaio, prossima accensione degli strumenti. In questa data , la distanza tra Dawn e Cerere sarà scesa a circa 200,000 km e le fotografie realizzate dalla camera avranno una risoluzione migliore di quella del telescopio Hubble, mentre la risoluzione di VIR sarà circa un terzo rispetto a quella della camera. Di sicuro, già da queste fasi di avvicinamento, Cerere ci riserverà molte sorprese.”
La missione Dawn è gestita dal JPL per conto del Science Mission Directorate della NASA. Dawn è un progetto appartenente al Discovery Program, gestito dal Marshall Space Flight Center in Huntsville, Alabama. La University of California a Los Angeles (UCLA) è responsabile per la parte scientifica. La sonda è stata progettata e costruita da Orbital Sciences Corp. in Dulles, Virginia. Il German Aerospace Center, il Max Planck Institute for Solar System Research, l’ASI, Agenzia Spaziale Italiana e l’INAF, Istituto Nazionale di Astrofisica sono partner internazionali della missione.
Per maggiori informazioni: http://www.nasa.gov/dawn.
Vedi l’intervista completa a https://www.youtube.com/watch?v=WHV-MO-nF10&feature=youtu.be
22.01, ore 21:00: “Antimateria” di Davide Trezzi presso LA TORRE DEL SOLE, Via Caduti Sul Lavoro (ang. Via Locatelli), Brembate di Sopra (BG).
Per info: didattica@amicidelcielo.it
www.facebook.com/groups/15788424963
www.amicidelcielo.it
La sera del 21 gennaio, appena dopo il tramonto del Sole, Mercurio e Venere sfideranno con la loro luminosità il chiarore del cielo al crepuscolo. La coppia di pianeti dovrebbe farcela a rendersi visibile, sia pure nei pressi dell’orizzonte (altezza di +12°). La vera impresa sarà invece riuscire a scorgere una giovanissima falce di Luna crescente, situata 2,4° a ovest di Mercurio.
Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di gennaio
20.01: “Le stelle più grandi della Via Lattea” di Massimo Berretti.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it
Alle 18:30 del 19 gennaio – osservando verso l’orizzonte ovest-sudovest – sarà possibile osservare Marte (mag. +1,1). Il piandeta rosso sarà alto circa +17° nell’Acquario, 18′ a nord della stella sigma Aquarii (mag. +4,8), ma la vera sorpresa verrà dal constatare (con un telescopio) che 18′ a nord di Marte ci sarà anche un puntino luminoso di mag. +7,9 che indicherà la presenza di… Nettuno.
Dato che l’avvicinamento del 1952 fu di fatto inosservabile, possiamo dire che dal 1900 ad oggi quello del 19 gennaio è il più stretto avvicinamento Marte-Nettuno mai effettivamente osservato in Italia.
Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di gennaio

La prima immagine rilasciata per il 2015 dalla missione Rosetta ci mostra la spettacolare crescita dell’ attività della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko e una vista senza precedenti del dettaglio dei getti di polvere espulsi dal nucleo.
La straordinaria immagine è stata ripresa il 22 novembre scorso tramite la camera grandangolare OSIRIS a bordo della sonda Rosetta, che in quel momento di trovava a una distanza di 30 km dal nucleo.
Malgrado la lunga esposizione mostri il nucleo quasi completamente avvolto dai getti gassosi, in realtà siamo soltanto all’inizio del lungo processo che, in prossimità del suo perielio, porterà la 67P/Churyumov-Gerasimenko a livelli di attività per ora inimmaginabili.
Mai visto un asteroide dal vivo? L’occasione per riuscirci si presenterà a fine gennaio, quando 2004 BL86, un pietrone dalle dimensioni stimate attorno ai 500 metri, passerà a circa 1.2 milioni di chilometri dalla Terra. Non proprio uno sfioramento, diciamocelo, visto che corrisponde più o meno a tre volte la distanza che ci separa dalla Luna: dunque un margine di sicurezza abbondantemente superiore anche alla soglia più pessimista. Ma comunque un passaggio degno di nota, non fosse altro che per la sua rarità: per vedere un altro oggetto di dimensioni comparabili intersecare così da vicino l’orbita terrestre, fanno sapere dalla NASA, occorrerà infatti attendere l’incontro con 1999 AN10, in calendario per il mese d’agosto del 2027.

«Per l’asteroide 2004 BL86, quello di lunedì 26 gennaio sarà il passaggio più ravvicinato dei prossimi 200 anni», dice Don Yeomans, del Near Earth Object Program Office presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA. «Non rappresenta una minaccia per la Terra, perlomeno non nel prossimo futuro, ma si tratta comunque d’un flyby relativamente ravvicinato da parte d’un asteroide relativamente grande, dunque è un’opportunità unica per osservarlo e scoprire qualcosa di più».
Proprio per scoprire qualcosa di più sul versante scientifico, la NASA è intenzionata a seguire il passaggio di BL86 anche nella banda delle microonde, sfruttando come fossero dei radar le gigantesche antenne di Goldstone, in California, e dell’Osservatorio di Arecibo, a Puerto Rico. «Il giorno dopo il flyby, quando ci arriveranno i dati, saremo in grado di estrarne le prime immagini dettagliate», promette Lance Benner del JPL, al quale è stato affidato il compito di coordinare le osservazioni radar di BL86 con l’antenna di Goldstone, «e non escludiamo sorprese, visto che a oggi, di quest’asteroide, non sappiamo praticamente nulla».
Ma non sarà un’osservazione riservata ai radioastronomi: BL86 dovrebbe infatti essere sufficientemente grande, e passarci sufficientemente vicino, da diventare visibile a qualunque astrofilo dotato di un piccolo telescopio o anche solo di un comune binocolo. Dalle nostre parti, il momento ideale per l’osservazione dovrebbe presentarsi qualche ora dopo l’apice del flyby (che avverrà alle 17:20 ora italiana), nella notte fra il 26 e il 27 gennaio.
Un’occasione che nemmeno gli scienziati vogliono farsi scappare. «Mi sa che prenderò il binocolo e ci darò anch’io un’occhiata», dice Yeomans, «perché gli asteroidi hanno qualcosa di speciale. Non solo hanno portato sulla Terra i mattoni della vita e la maggior parte dell’acqua: in futuro potranno diventare miniere preziose per l’estrazione di minerali e di altre risorse naturali vitali. E saranno loro le “stazioni di rifornimento” per l’umanità nei futuri viaggi d’esplorazione del sistema solare. Insomma, c’è qualcosa, negli asteroidi, che mi fa venire voglia di guardarli».
Per seguire il passaggio in diretta webcast:
Dal tardo autunno fino alla primavera, la costellazione dei Gemelli, altissima al meridiano nelle serate di febbraio e marzo, si rende manifesta soprattutto per le due luminose stelle che identificano i mitici Dioscuri: la bianca Castore e la dorata Polluce.

È alquanto strano come gli arabi, attenti osservatori, stimarono le due stelle di luminosità identica mentre il Bayer attribuì a Castore la lettera α ad indicarne il primato luminoso su Polluce che ricevette quindi la β, stima in seguito ribadita anche da Flamsteed nel suo Historia Coelestis Britannica del 1714.
Qualcosa è evidentemente cambiato negli ultimi quattro secoli, ma non esiste purtroppo documento alcuno che possa attestare quale delle due abbia incrementato o diminuito la propria luminosità, e in che misura.
Mentre Polluce è una gigante arancione non dissimile da Arturo, isolata nello spazio ad una distanza di 35 anni luce, la luce di Castore, al contrario, ci rivela particolari incredibili sulla sua multipla natura; tanto che già W. Herschel la definì “la più pregevole stella doppia dell’emisfero boreale”, senza conoscerne ancora la sua reale natura di sistema multiplo, che verrà scoperta in seguito. Ma andiamo per ordine.
Castore splende di magnitudine 1,58, seconda per luminosità tra le stelle della costellazione dopo Polluce e ventiquattresima di tutta la volta celeste. Sembra sia stato G. Cassini nel 1678 il primo a risolvere la stella in due componenti anche se la sua doppia natura divenne nota solo nel 1719, allorché W. Herschel la presentò come primo esempio noto di stella binaria.
Storia alquanto curiosa: allorché, infatti, egli compilò nel 1784 e nel 1782 due cataloghi di stelle da lui definite “doppie”, era convinto che queste fossero solo prospettiche e non fisicamente legate tra loro come invece accade nella realtà; anzi, l’astronomo tedesco, ritenendo che tutte le stelle splendessero della stessa luminosità intrinseca, rilegava quella apparente solo alla distanza, aspettandosi quindi che la componente più luminosa in una coppia fosse quindi la più vicina. Ragione per la quale essa avrebbe dovuto mostrare un certo spostamento parallattico rispetto alla secondaria, più lontana.
Ma Herschel non ottenne alcun risultato a suffragare tale ipotesi, fortemente contrastata dal reverendo J. Michell che dedusse, tramite puro calcolo probabilistico, che erano ben troppe le stelle doppie che potevano spiegarsi con un casuale allineamento prospettico.
Quasi un quarto di secolo più tardi Herschel giunse alla medesima conclusione, rinnegando la sua ipotesi; questo arco di tempo gli permise infatti di osservare, per alcune delle doppie che seguiva, degli “archi di orbita” seguiti dalle componenti più deboli attorno alle più luminose. Abbandonando quindi la sua ipotesi, fu proprio Herschel ad annunciare per primo, nel 1803, che era la gravitazione a tenere legate tali binarie, fornendo come primo esempio proprio la stella α dei Gemelli, da lui seguita per lunghi anni.
Da allora, le due componenti di Castore sono denominate A la più luminosa (mv = 1,93) e B (mv = 2,97) la più debole. Dopo aver raggiunto la minima separazione angolare di 1,8” d’arco nel 1965, le due componenti vanno da allora “aprendosi”: al momento, la coppia AB è separata da circa 4,8” d’arco, valore in costante aumento fino al 2085, quando le due saranno lontane 7,35” d’arco.
L’uso di un comune telescopio è quindi già sufficiente per risolvere Castore in due stelline, entrambe bianco-azzurrine ma dalla evidente differenza di luminosità, a patto di effettuare l’osservazione sotto un cielo che restituisca immagini le più calme e puntiformi possibili.
.
Misurazioni astrometriche relative alla posizione della coppia, effettuate a partire dal XIX secolo, hanno permesso di seguire l’arco orbitale finora percorso dalla componente B per circa metà dell’intera orbita; non essendo quindi noto con precisione, il periodo orbitale “più probabile” stimato sembra essere di 467 anni. Mettendo in relazione tali grandezze con i dati ottenuti dal satellite Hipparcos sulla distanza del sistema, stimata in 51 anni-luce, ne consegue che la distanza fra le due componenti varia da un minimo di 71 UA fino ad un massimo di 138 UA.
Nel 1904, H. Curtis annunciò che entrambe le stelle erano, a loro volta, doppie spettroscopiche: la duplicità si rese manifesta dallo spostamento periodico delle righe spettrali per effetto Doppler, dovuto al moto orbitale. Scoperta certamente degna di nota poiché, improvvisamente, Castore diveniva il secondo sistema quadruplo noto dopo quello di Epsilon Lyrae!
Studi condotti sui ciclici spostamenti delle righe spettrali, in stretta relazione con la velocità radiale delle stelle, forniscono alla coppia Aa e Ab, separata da 3 milioni di km, un periodo orbitale di 9 giorni; al contrario, le più vicine Ba e Bb impiegano poco meno di 3 giorni a compiere una rivoluzione attorno al comune centro di massa.
Le componenti secondarie di ognuna delle due coppie distano circa 0,12 e 0,03 UA dalle principali; mentre queste ultime sono stelle di sequenza principale di tipo A, con luminosità rispettivamente 34 (Aa) e 14 (Ba) volte quella solare, le due compagne più piccole sono entrambe di tipo M, più piccole e fredde del Sole e con la metà della sua massa. Ma le sorprese non finiscono qui.
Basta infatti un comune telescopio per poter individuare, a poco più di 1 primo dalla coppia principale, un’anonima stellina rossastra di decima grandezza che, osservata nel corso degli anni, ha reso manifesto lo stesso moto nello spazio delle componenti A e B: si tratta di Castore C, terza componente del sistema, che dista dalla coppia principale almeno 1000 UA (150 miliardi di km) e attorno alle quali sembrerebbe orbitare in non meno di 14 000 anni!
Castore C è una binaria sia spettroscopica sia ad eclisse, cioè le due stelle si eclissano a vicenda durante il loro moto orbitale. Il periodo orbitale è di 0,81428 giorni, corrispondenti a circa 19,54 ore.
Un periodo così breve indica che le due componenti sono molto vicine fra loro: 2,7 milioni di km. L’orbita delle due stelle si presenta quasi di taglio e ciò spiega perché le due componenti, viste dalla Terra, si eclissano a vicenda. Le due componenti, entrambe di classe M1Ve, possiedono caratteristiche quasi identiche: i valori di massa, raggio e luminosità sembrano essere rispettivamente la metà, 0,6 volte ed appena 7 centesimi di quelli del Sole per entrambe le componenti.
Le osservazioni nelle alte energie condotte da telescopi spaziali hanno rivelato che, nei raggi X, la coppia AB è ben quattro volte meno luminosa della componente C che, pur essendo composta da stelle fredde, sono tuttavia interessate da fenomeni di intensa portata. La sigla YY Gem con la quale è conosciuta la componente C identifica la presenza di una certa variabilità; a tutti gli effetti, le due nane rosse esibiscono intensi brillamenti superficiali a cui sono associate intense emissioni nei raggi X aventi luogo nelle rispettive corone, molto probabilmente dovute ad interazioni fra le stesse.
Castore C venne scoperta spettroscopicamente, quindi identificata come terza componente del sistema di Castore, nel 1926; in realtà, l’orbita di Castore C non è ben nota ma se questa dovesse essere iperbolica, allora Castore C sarebbe solo “momentaneamente” legata al sistema AB, dal quale si allontanerà in futuro. Tralasciando questo dato, al momento quello di Castore è ad ogni modo un sistema popolato, quindi, da ben sei stelle legate tra loro dalla mutua gravità: roba da capogiro!
L’ultima sorpresa nella nostra esplorazione virtuale del sistema di Castore è che essa da il nome all’omonima corrente di stelle che condivide lo stesso movimento nello spazio; il gruppo, scoperto nel 1990, è composto da circa una quindicina di stelle relativamente vicine e tutte della stessa età, stimata in circa 200 milioni di anni: tra queste, figurano Fomalhaut, Vega, Alderamin e Zubenelgenubi, tutte posizionate in punti molto lontani sulla volta celeste proprio a causa della loro vicinanza.
.
Approfondimenti e link

[Aggiornamento 17:30]
Samantha ci aggiorna anche in Italiano…
(IT) Grazie a tutti, stiamo tutti bene qui nel segmento russo e siamo al sicuro. Per aggiornamenti seguite @NASA e @Space_Station
— Sam Cristoforetti (@AstroSamantha) January 14, 2015
[Aggiornamento 16:20]
Samantha via Twitter ci conferma che è tutto a posto…
Hey everybody, thanks for your concern. We’re all safe & doing well in the Russian segment. Follow @Nasa for updates on @Space_Station today
— Sam Cristoforetti (@AstroSamantha) January 14, 2015
[Aggiornamento 14.30]
E’ arrivato il momento di riportare la situazione aggiornata:
[Aggiornamento 14.10]
Con un Tweet NASA conferma i “sospetti” di un falso allarme per quanto riguarda la perdita di ammoniaca rilevata stamane dai sensori di bordo.
#ISS flight controllers are not sure if the alarm was triggered by a pressure spike, a faulty sensor, or a problem in a computer relay box.
— NASA (@NASA) January 14, 2015
[Aggiornamento 14.05]
Ecco la trascrizione e la traduzione della comunicazione di Houston agli astronauti avvenuta alle 13.00 ora italiana. Per chi ha dimestichezza con l’inglese, abbiamo messo a disposizione anche lo spezzone dell’audio originale.
http://www.astronautinews.it/wp-content/uploads/2015/01/ISS-Houston-Sitrep-20150114T1300.mp3
[B] = Barry “Butch” Wilmore, comandante della ISS
[H] = Controllo missione di Houston
TRASCRIZIONE
[B] – Houston, go ahead.
[H] – Hey Butch, no change to the step I told you about earlier, with the Loop Bravo, and the LTL loops, and the leak, and all that stuff that we talked about before. We are still doing a graceful powerdown. There are several things that we decided to not power down, we’re hanging on to. We have also still not vented Loop Bravo, which of course is a step that you can’t take back.
So big picture perspective, we’re still trying to figure out exactly what happened. We’re not entirely convinced that this is an ammonia leak, as you probabily suspect from the fact that we started, stopped, and started over again. Maybe there’s the possibility that this is a combination of sensor problems, MDM partial failures ant thermal effects, all together in the exact wrong way, to make this thing look like it was a classic ammonia leak.
Bottom line is, we’ve get all the experts coming now, everybody is pouring over the data, we’ve got all the smart folks taking a look at it, and we’re trying to exactly figure out what’s going on. Right now our dP/dT is still effectively stable. Sometimes it looks like it’s a little bit positive, but it’s certainly not increasing at a great rate. We’ve at least a full day before it hits any kind of limit right now for a positive pressure relief, or anything like that.
Bottom line is, we’re pretty much standing with the configuration we have right now, all the folks have come in and talking about the data, de-construct this thing and trying to figure out exactly what happened.
[B] – Thanks, we really appreciate that summary. We’ll just stand by and if we can do anything on our end, you have force. Thank you for that.
[H] – Yeah, we wish we had more for you guys to do, but we don’t. So, enjoy your in-prompt day off a little bit. We’ll keep you guys informed with what’s going on. We’ll also let you know as the conventional wisdom comes around on the story. Like I said the good news is that right now we’re not utterly convinced that we had a very bad problem that we had indications of. Clearly we did the right thing with the indications that we had, but we’re still trying to figure out what the actual event is.
TRADUZIONE ITALIANA
[B] – Houston, avanti.
[H] – Ehi Butch, nessun cambiamento allo step di cui discutevamo prima, a proposito del circuito Bravo, i circuiti LTL, e la perdita, e tutta quella roba di cui abbiamo parlato. Stiamo ancora procedendo con cautela con gli spegnimenti. Ci sono diverse cose che abbiamo deciso di non spegnere, che teniamo su. Abbiamo anche evitato di svuotare il circuito Bravo, dato che si tratta di un passo irreversibile (cioè lo svuotamento nello spazio del contenuto in ammoniaca del circuito di raffreddamento B della ISS, ndr).
Quindi, la situazione generale è questa: stiamo ancora cercando di capire cosa sia successo. Non siamo del tutto convinti che si tratti di una vera perdita di ammoniaca, come avrai già capito dal fatto che abbiamo iniziato (ad applicare certe procedure, ndr), poi ci siamo fermati, e poi ricominciato da capo.
Potrebbe esserci la possibilità che si tratti di una combinazione di sensori difettosi, di un fallimento parziale dell’MDM (computer che si occupano di ricevere la telemetria dai trasduttori e di girarla ai computer principali, ndr) e di effetti termici, che tutti insieme e nell’ordine sbagliato hanno fatto sembrare questa cosa una classica perdita di ammoniaca.
In sostanza, abbiamo qui tutti gli esperti ora, e stanno analizzando i dati. Abbiamo tutti i cervelloni che stanno dando un’occhiata e stiamo cercando di capire cosa sta succedendo. In questo momento il dP/dT (derivata prima della pressione rispetto al tempo, in altre parole la misura di eventuali variazioni della pressione atmosferica interna alla ISS, ndr) è ancora molto stabile. A volte sembra esserci un lieve incremento ma di certo non cresce velocemente. Abbiamo almeno un altro giorno buono prima che i livelli si avvicinino a qualunque limite che richieda uno scarico della pressione, o qualcosa di simile.
Quindi restiamo nella configurazione attuale; qui sono arrivati tutti e stanno discutendo dei dati (di telemetria, ndr), dissezionando questa cosa e cercando di capire esattamente cosa sia successo.
[B] – Mille grazie per questo riassunto, lo apprezziamo molto. Restiamo in attesa e se possiamo fare qualcosa puoi contare su di noi. Grazie ancora.
[H] – Sì, vorremmo aver qualcosa in più da farvi fare ragazzi, ma per ora nulla, quindi, godetevi il vostro giorno libero a sorpresa. Vi terremo informati non appena avremo capito bene questa storia. Come ho detto, la buona notizia in questo momento è che non siamo del tutto convinti che abbiamo davvero avuto il grave problema di cui sembravamo avere indicazione. Chiaramente abbiamo fatto la cosa giusta visti i segnali che avevamo, ma stiamo ancora cercando di capire la reale natura di questo evento.
[Aggiornamento 13.15]
Abbiamo precedentemente citato i segmenti USOS (americano/internazionale) e russo della ISS. Questa foto mostra la posizione dei moduli russi.
[Aggiornamento 13.05]
Houston ha comunicato poco fa agli astronauti che probabilmente anche il primo allarme, quello legato alla perdita di ammoniaca, potrebbere essere stato un falso positivo dovuto ad una sfortunata serie di concause. Stiamo riascoltando il segmento audio per preparar una traduzione tecnicamente corretta.
Nel frattempo, ecco il video che mostra il momento in cui è scattato l’allarme questa mattina a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Come abbiamo precedentemente spiegato, AstronautiNEWS registra costantemente lo streaming ISS Live di NASA su Ustream per farne fonte di articoli, commenti e curiosità per i nostri siti, e proprio queste registrazioni sono la nostra fonte primaria per gli aggiornamenti che stiamo pubblicando.
.
.
[Aggiornamento 13.00]
Nuovo allarme incendio poco fa, e nuova conferma degli astronauti che si tratta di un falso allarme, questa volta nel modulo MRM/Rassvet sempre nel segmento russo. Ricordiamo ai nostri lettori che la situazione è sotto controllo, Mosca e Houston stanno lavorando insieme agli astronauti e applicando le procedure previste per riconfigurare correttamente la Stazione, dopo che vari apparati del segmento USOS della Stazione sono stati spenti o disattivati (esperimenti scientifici inclusi) in seguito all’allarme da contaminazione ammoniaca di questa mattina. Al momento gli astronauti sono tutti nel segmento russo e non vi sono pericoli per la loro incolumità.
.
[Aggiornamento 12.50]
In questa immagine, tratta dal sito ISS Live! della NASA vedamo il dettaglio del sistema di raffreddamento ad ammoniaca della ISS, con telemetria reale letta alle 12.15 circa di oggi.
.
[Aggiornamento 12.40]
Nella sezione russa della ISS gli astronauti stanno attivando, giudati dal controllo missione a Mosca e dalle procedure, i sistemi Elektron e Vozduh. Elektron è un appparato per la generazione di ossigno, che scinde l’acqua tramite elettrolisi e inietta l’ossigeno nella Stazione, mentre l’idrogeno viene espulso all’esterno. Vozduh invece è un apparato in grado di assorbire CO2 dall’atmosfera della ISS, tramite particolari filtri rigenerabili. Ricordiamo che al momento tutti e sei gli astronauti si trovano nel segmento russo della ISS, e che alcuni apparati della segmento USOS (la parte americano/internazionale della ISS) è parzialmente inoperante per le misure di sicurezza previste dalle procedure dopo l’allarme per contaminazione da ammoniaca scattato in mattinata.
.
[Aggiornamento 12.30]
Poco fa si è verificato un allarme incendio sulla Stazione, che però non ha trovato riscontro nelle osservazioni degli astronauti. Capita relativamente spesso che i sensori anti incendio rilevino falsi positivi, e la collaborazione attiva degli astronauti consente di accertare immediatamente la situazione. Houston e Mosca sono in contatto radio con gli astronauti e stanno diagnosticando il comportamento dei sensori antincendio numero 7, 8 e 9 del modulo russo Zarya / FGB, che segnalano un incendio ma che chiaramente non è stato confermato in alcun modo (niente fumo né odori, riferiscono via radio) dagli astronauti. La situazione è in evoluzione ma al possiamo confermare che NON è in corso un incendio.
[Aggiornamento 12.15]
Una specificazione per tutti i nostri lettori: la nostra fonte è il loop audio/video di NASA, che viene trasmesso su questa pagina ufficiale NASA su Ustream http://www.ustream.tv/channel/live-iss-stream, che monitoriamo costantemente per ricavarne informazioni e curiosità sulla missione Futura di Samantha Cristoforetti. Il canale è attivo anche in questo momento e chiunque abbia dimestichezza con l’inglese può ascoltare facilmente. Al momento in cui scriviamo l’immagine sulla pagina ustream è blu perché la Stazione non è in vista dei satelliti TDRS e non ha abbastanza banda per trasmettere video, mentre l’audio è disponibile senza problemi.
[Aggiornamento 11:47]
Il centro di controllo di Mosca dopo essersi assicurato delle buone condizioni dell’equipaggio, ha confermato che la situazione è “off-nominal” ma comunque sotto controllo.
Attualmente la perdita sembra sia sul circuito B del Nodo 2 mentre nel settore Russo le letture sulla contaminazione riportano aria pulita e gli astronauti non indossano più le maschere.
[Aggiornamento 11:14]
L’equipaggio, come da procedura, ha chiuso il portello di collegamento fra la sezione internazionale della ISS e quella russa, isolandosi in quest’ultima. Da questa posizione di sicurezza continuerà l’analisi della situazione nella sezione evacuata.
[Aggiornamento 10:55]
La perdita di ammoniaca sembra confermata dall’innalzamento della pressione ambientale interna della ISS. Le operazioni di ricerca del guasto e messa in sicurezza dell’equipaggio e della Stazione stanno continuando.
Da alcuni minuti sulla ISS è stato attivato l’allarme per contaminazione dell’atmosfera da ammoniaca.
L’equipaggio attualmente indossa i dispositivi di sicurezza per la respirazione e sono in corso le analisi per l’accertamento delle cause.
Sulla ISS uno dei pericoli maggiori è la contaminazione da ammoniaca, utilizzata per il raffreddamento dei sistemi nei vari moduli è un gas altamente tossico e fra i maggiori rischi, se inalata, per gli astronauti a bordo.
L’equipaggio è ovviamente addestrato per la gestione di tale tipologia di emergenza (nella foto Samantha Cristoforetti impegnata in una simulazione a terra), questo è quello che raccontava l’astronauta italiana durante l’addestamento nel suo diario:
“Più che un incendio e la depressurizzazione, lo scenario che richiede una risposta immediata senza scherzi è una perdita di ammoniaca in cabina. Se vi state chiedendo da dove quell’ammoniaca potrebbe venire, ecco un po’ di informazioni di base sulla progettazione della ISS. Tutto l’equipaggiamento che abbiamo a bordo genera molto calore, di cui dobbiamo liberarci in qualche modo. Ecco perché abbiamo condutture di raffreddamento che corrono lungo tutta la Stazione: attraverso delle piastre fredde e gli scambiatori di calore della cabina, l’acqua in quelle condutture raccoglie il calore. Nelle condutture abbiamo scambiatori di calore di interfaccia, in cui il calore viene trasferito dalle condutture di raffreddamento interne a quelle esterne. E in queste ultime, avete indovinato, abbiamo l’ammoniaca. Due pompe esterne si assicurano che quell’ammoniaca scorra dagli scambiatori di calore, dove raccoglie il carico di calore, ai grandi radiatori della Stazione, dove il calore viene respinto nello spazio.
Così, ora sapete che c’è un’interfaccia fra le condutture esterne dell’ammoniaca e le condutture interne dell’acqua. Cosa accade se c’è una rottura in quell’interfaccia, lo scambiatore di calore? Beh, visto che le condutture esterne sono a una pressione più alta, è probabile che l’ammoniaca fluirebbe nella cabina.
L’ammoniaca è estremamente tossica e ha un odore molto caratteristico. Tuttavia, se la perdita è abbastanza piccola, il sistema di autorilevamento del veicolo o il controllo a terra potrebbero notarla per primi, osservando un aumento nella quantità di fluido negli accumulatori del sistema di raffreddamento: visto che non stiamo aggiungendo alcuna acqua, un aumento nella quantità deve venire dall’ammoniaca.”Dalla nota del diario L-142
“Visto che l’ammoniaca è altamente tossica, la prima azione è indossare una maschera a ossigeno. Lungo tutta la ISS abbiamo almeno una maschera, spesso due, in ogni modulo, pronta per essere utilizzata. Le maschere del segmento USA hanno un piccolo serbatoio contenente una riserva di 7 minuti di ossigeno. Potrebbe non sembrare molto, ma queste maschere vengono usate solo per la risposta iniziale, come vedrete.
Con le maschere indossate, quelli di noi che erano nel segmento USOS (moduli USA più Columbus e JEM) si sono spostati rapidamente a poppa verso il segmento russo—non solo perché i nostri veicoli Soyuz sono agganciati lì, ma anche per una importante differenza di progettazione: non ci sono condutture dell’ammoniaca nel segmento russo.
Assicurandoci di sapere dove si trovano tutti e sei i membri dell’equipaggio, chiudiamo il portello del Nodo 1, isolandoci così dal segmento USOS e dalla fonte della perdita. A quel punto ci liberiamo dello strato esterno di indumenti, potenzialmente contaminati, e li lasciamo nel PMA, il piccolo elemento adattatore fra il segmento USOS e quello russo, chiudendo il portello di poppa del PMA mentre ci ritiriamo verso il modulo russo FGB.
È il momento di recuperare le nostre maschere con respiratore e montarci sopra le cartucce rosa con i filtri per l’ammoniaca. Il passaggio dalle maschere O2 ai respiratori per l’ammoniaca deve essere fatto molto velocemente e attentamente, visto che non sappiamo quale sia la concentrazione dell’ammoniaca nell’atmosfera del segmento russo. Presupponendo che l’atmosfera contaminata, teniamo gli occhi chiusi e tratteniamo il respiro mentre togliamo le maschere O2. Una volta indossati i respiratori, facciamo un certo numero di respiri di purificazione per liberarci dell’eventuale ammoniaca all’interno del cappuccio. Solo allora riapriamo gli occhi.
Dopo che ciascuno è passato in sicurezza al respiratore, è tempo di capire quanta ammoniaca abbiamo nell’atmosfera del segmento russo. Per quello disponiamo di un sistema di misura con chip dedicato. Nello scenario peggiore, il segmento russo è contaminato a un livello tale che dobbiamo evacuare la stazione. Se la concentrazione dell’ammoniaca non è così alta, possiamo filtrare l’aria attraverso le nostre cartucce respiratore attraverso la respirazione. Poi rimaniamo per diverse ore, fino a quando le misure mostrano un’atmosfera sicura. Nel caso fortunato in cui l’aria nel segmento russo non fosse stata contaminata, potremmo togliere le maschere e respirare normalmente. Sicura, di certo, ma con il segmento USOS perduto, almeno per il momento.”Dalla nota del diario L-140
Manterremo aggiornato questo articolo con gli sviluppi principali della situazione nelle prossime ore. Per tutti gli aggiornamenti vedi anche la notizia originale.


Il 2015 sarà l’anno dei pianeti nani? Non pensate però a previsioni con implicazioni simil-astrologiche, noi stiamo parlando di prospettive concrete e scientificamente documentate. Con una accoppiata storica, ovvero l’arrivo a marzo all’asteroide Cerere della sonda Dawn, e la missione New Horizons praticamente alla porte di Plutone e della sua luna Caronte, che raggiungerà a luglio, per astronomi e appassionati c’è davvero da aspettarsi grandissimi risultati.
Ma la caccia agli elusivi oggetti celesti che si annidano alle propaggini del Sistema solare prosegue anche da Terra: un lavoro lungo e difficile. Ad analizzare in modo collettivo i dati degli ultimi sette anni di osservazioni continuative condotte dal Catalina Sky Survey (CSS) e dalla Siding Spring Survey (SSS), due campagne osservative il cui obiettivo principale è quello di individuare asteroidi prossimi alla Terra, ci ha pensato il team di astronomi guidati da Michael Brown, del Caltech, il California Institute of Technology di Pasadena, negli Stati Uniti. I ricercatori hanno passato al setaccio l’enorme archivio di riprese prodotte dai due programmi di ricerca. Dando però la caccia a oggetti molto più lontani degli asteroidi della fascia principale (approssimativamente tra le orbite di Marte e Giove), ovvero quelli che potrebbero trovarsi nella fascia di Kuiper, oltre Nettuno. Poiché questi oggetti possiedono moti apparenti assai piccoli, l’indagine è stata portata avanti confrontando, grazie a software dedicati, le riprese di una stessa zona celeste fatte a parecchi giorni o addirittura mesi di distanza. I risultati parlano piuttosto chiaro: almeno entro il limite di magnitudine apparente degli oggetti ripresi dalle due survey, ovvero fino al valore di 19,4 per CSS e di 18,9 per SSS, tutto quello che c’era da scoprire è stato già scoperto. In realtà rimane ancora una zona che potenzialmente potrebbe riservare sorprese: il nastro di cielo che si stende lungo il piano della Galassia, ovvero la Via Lattea. Tuttavia, anche se i calcoli di Brown e colleghi danno un incoraggiante 32 per cento di probabilità che là si possa scoprire almeno un altro pianeta nano della taglia di Plutone nella Fascia di Kuiper (un KBO, Kuiper Belt Object), quindi non certo un piccolo ‘sasso’ spaziale, il problema rimane quello di riuscirlo a identificare tra la selva di stelle che affollano quella regione.
Per Brown, che di pianeti nani se ne intende – è stato infatti lui, insieme a Chad Trujillo e David Rabinowitz, a scoprire Eris, il più grande KBO finora noto, praticamente uguale per dimensioni a Plutone – meglio cercare oggetti simili a distanze ancora più grandi: verso cioè la nube di Oort, che si estende fino a decine di migliaia di unità astronomiche dal Sole. Lo scienziato ribadisce questa idea in un post sul suo blog proprio in occasione del decimo anniversario della scoperta di Eris, avvenuta l’8 gennaio del 2005. È dunque questa per Brown l’ultima frontiera per i cacciatori di “quasi pianeti” ai confini estremi del Sistema solare (e oltre), dove potremmo trovare corpi celesti della taglia di Marte o, addirittura, della Terra. Compito comunque assai arduo, che richiederà tutta la potenza osservativa dei telescopi, da terra e dallo spazio, di nuova generazione, come il James Webb o magari l’E-ELT. Per quelli dovremmo aspettare ancora un po’ di anni, ma siamo pronti a scommettere che, con New Horizons e Dawn pronti a entrare in azione, il 2015 sarà davvero l’anno dei pianeti nani.
Per saperne di più:
16.01: “SpaceX e Orion: i lanciatori privati nel mercato USA” di Fabio Quarato.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it
16.01: “«Bagnàa o sutt, per San Luca somenna tutt»: i lavori autunnali e il riposo invernale” di Elio Antonello.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it
Il 16 gennaio alle 6:30 una falce di Luna calante avvicinerà Saturno fino a una distanza angolare di 3,3°, proprio mentre il pianeta (mag. –0,6) sarà a 1,5° da Graffias (beta Scorpii; mag. +2,5). se la trasparenza dell’aria sarà buona, come spesso avviene in gennaio, anche questa “normale” congiunzione tra Luna e Saturno potrà regalare qualche piccola emozione all’osservatore mattiniero.
Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di gennaio
Il 20 Febbraio 2015 a partire dalle ore 9.00, presso la sala dell’Auditorium del Centro Culturale Altinate/San Gaetano a Padova si svolgerà la prima selezione in Veneto della manifestazione internazionale FameLab. Si tratta di un vero e proprio talent-show della divulgazione scientifica che quest’anno per la prima volta vedrà in Veneto il casting per la finale nazionale.
Giovani scienziati, ricercatori, studenti possono mettere alla prova il proprio talento di comunicatori, partecipando a FameLab, dove si sfideranno sul terreno della comunicazione. In soli tre minuti i partecipanti al casting dovranno far comprendere in modo chiaro e corretto al pubblico l’argomento della loro ricerca scientifica.
La competizione è riservata agli under 40!
La manifestazione (www.famelab.org, www.famelab-italy.it) è stata ideata dal Cheltenham Science Festival nel 2005 e promossa dal British Council in diversi Paesi in tutto il mondo. Al momento coinvolge 27 Paesi tra Europa, Asia, America, Africa e Oceania. In Italia il concorso viene promosso e coordinato dal 2012 dal British Council e da Psiquadro.
FameLab Italia prevede una prima fase di selezioni locali in sette città, le altre sedi oltre a Padova sono Ancona, Bologna, Genova, Napoli, Perugia e Trieste.
I concorrenti che si iscriveranno alla selezione padovana avranno anche la possibilità di partecipare gratuitamente a un seminario intensivo di public speaking a cura di un attore professionista.
I candidati saranno giudicati da una giuria di cinque esperti: scienziati, ingegneri, sociologi, giornalisti scientifici e attori,rappresentando le diverse aree del mondo della scienza e della comunicazione. Il successo dei candidati dipenderà quindi dal voto della Giuria e dall’approvazione della platea di spettatori presenti all’evento.
Attraverso le selezioni locali saranno scelti due finalisti per ogni città che parteciperanno alla FameLab Masterclass – un workshop di formazione in comunicazione della scienza – e avranno accesso alla finale nazionale del concorso, che si terrà a Milano il 9 maggio prossimo, nell’ambito dell’Expo 2015.
Il vincitore di FameLab Italia parteciperà alla finale internazionale di FameLab International, gareggiando con 27 concorrenti di altrettanti paesi del mondo. La gara si svolgerà nel mese di giugno 2015 a Cheltenham in Inghilterra, durante il Cheltenham Science Festival.
Famelab Padova è promosso e organizzato da Gruppo Pleiadi per la divulgazione scientifica, Università degli Studi di Padova e Istituto Nazionale di Astrofisica – Osservatorio Astronomico di Padova.
Le iscrizioni per la selezione di Padova scadono il 13 febbraio 2015. Per iscriversi è necessario scaricare l’apposito modulo disponibile sul sito www.famelab-italy.it cliccando sul tasto blu in altro “Come partecipare nel 2015”, da compilare e inviare a padova@famelab-italy.it.
Per informazioni e iscrizioni
13.01: “Il cielo della merla” di Giuliano Deserti.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

|
Indice dei contenuti EFFEMERIDI |
Regina del mese, invece, sarà la C/2014 Q2 Lovejoy, che in dicembre si è “attivata” mostrando oltre a una larga chioma verde anche una bella coda di ioni. In gennaio, con le due magnitudini guadagnate, potrebbe regalare proprio un bello spettacolo.
La sua luminosità dovrebbe mantenersi infatti sempre intorno alla mag. +5/+6 (n.d.R. le ultime segnalazioni la danno attorno alla 5) con un picco tra il 7 e 15 gennaio, in corrispondenza del suo
massimo avvicinamento alla Terra (0,469 UA il 7 gennaio).

Dal 15 al 20 si troverà a transitare tra Toro e Ariete, circa 8° a sudovest delle Pleiadi. È da tenere però presente che la cometa attraversa una regione di cielo estremamente densa di oggetti peculiari, prestandosi quindi a svariate composizioni scenografiche.
Per la posizione della cometa giorno per giorno vedere le effemeridi nel box qui in alto e le seguenti mappe:
La cometa, caratterizzata da un moto molto rapido, si sposterà infatti nel corso del mese attraverso ben 6 costellazioni, dalla Lepre al Triangolo, passando per Eridano, Toro e Ariete, per finire al 31 gennaio in Andromeda.
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nella Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 70 di Coelum n.188
Indice dei contenuti
I solidi platoniciNel numero 184 di Coelum ho parlato di solidi platonici. I solidi che portano il nome del celebre discepolo di Socrate sono dei poliedri: in altre parole, appartengono alla grande famiglia dei solidi delimitati da un numero finito di facce piane poligonali. Non sono però dei poliedri qualsiasi: hanno la caratteristica di avere come facce poligoni regolari, tutti uguali tra di loro, e inoltre hanno tutti i vertici e gli spigoli equivalenti.
Sono, per così dire, l’analogo dei poligoni regolari in versione 3D (non a caso vengono spesso denominati poliedri regolari, o solidi regolari). Ma c’è una differenza sostanziale, e, per così dire, affascinante: mentre i poligoni regolari sono infiniti (per ogni numero intero N esiste un poligono regolare con N lati), i solidi platonici sono solo cinque.
Questi cinque poliedri portano nomi suggestivi, che derivano dal greco: tetraedro, esaedro (o cubo), ottaedro, dodecaedro e icosaedro.
Dato che in greco έδρα significa “base”, è facile comprendere l’etimologia di questi nomi: un tetraedro è un poliedro con 4 facce, un esaedro ne ha 6, un ottaedro 8, un dodecaedro 12 e un icosaedro 20.
.

Osservate che ognuno dei solidi regolari può essere convertito nel suo duale: basta trasformare le facce in vertici e i vertici in facce. Sottoposto a questa metamorfosi, il tetraedro resta invariato, avendo 4 facce e 4 vertici. Il cubo, invece, diventa un ottaedro, e viceversa. Il dodecaedro si tramuta in un icosaedro, e così anche all’inverso.
Perché i solidi platonici sono soltanto cinque? Davvero non ne esistono altri?
Ai tempi di Platone, cioè nel IV secolo a.C., si intuiva già che i solidi regolari fossero cinque, ma nessuno lo aveva ancora dimostrato rigorosamente. Nel suo dialogo “Timeo”, il filosofo ateniese descrisse i solidi regolari, e ne associò quattro agli elementi fondamentali dell’universo: il tetraedro al fuoco, il cubo alla terra, l’ottaedro all’aria, l’icosaedro all’acqua. Il quinto solido, il dodecaedro, venne fatto corrispondere alla forma dell’universo nella sua totalità.
Circa un secolo e mezzo dopo, il grande matematico Euclide riuscì a provare che i solidi regolari sono soltanto i cinque descritti da Platone, e che non ce ne sono altri.

Una dimostrazione intuitiva può essere compresa senza grande sforzo.
Prima di tutto, osserviamo che in un qualsiasi poliedro, ogni vertice è il punto di incontro di almeno tre facce: infatti due facce si possono incontrare su uno spigolo, ma non possono formare un vertice.
Inoltre, queste tre o più facce devono essere poste su piani diversi, perché se giacessero sullo stesso piano formerebbero in realtà una faccia sola, e non tre. Di conseguenza, la somma dei tre o più angoli che si incontrano in un vertice deve essere inferiore a 360°. Infatti, se fosse esattamente 360°, le facce sarebbero sullo stesso piano, mentre una somma angolare più bassa consente al punto di incontro di “alzarsi”, creando un vertice.
Ricordando che le facce del solido devono essere poligoni regolari, vediamo quali possono essere questi poligoni.
Certamente potrebbero essere triangoli equilateri. Ogni angolo di un triangolo equilatero è ampio 60°: quindi in un vertice del solido potrebbero incontrarsi 3 facce triangolari formando un angolo di 3 × 60° = 180° < 360°, oppure 4 facce triangolari formando un angolo di 4 × 60° = 240° < 360°, oppure 5 facce triangolari formando un angolo di 5 × 60° = 300° < 360°. Con 6 facce saremmo invece fuori, perché uscirebbe un angolo di 6 × 60° = 360°: troppo perché il vertice possa “alzarsi”.
Le facce potrebbero anche essere quadrati, in cui ogni angolo è di 90°. In ogni vertice del solido potrebbero infatti convergere 3 facce quadrate, a creare un angolo di 3 × 90° = 270° < 360°: già con 4 facce l’angolo sarebbe di 4 × 90° = 360°, quindi da escludere.
Infine, potremmo utilizzare come facce pentagoni regolari, nei quali ogni angolo è di 108°. Ogni vertice del solido potrebbe essere allora punto di incontro di 3 facce pentagonali, formando un angolo di 3 × 108° = 324° < 360°: con 4 facce saremmo invece oltre i limiti consentiti (4 × 108° = 432° > 360°).
Non potremmo invece utilizzare facce esagonali, perché in un esagono ogni angolo è di 120°, e già 3 facce formerebbero un angolo di 360°, che contribuirebbe a tassellare il piano, senza poter elevare un vertice del solido. Poligoni con più lati sono ancora peggiori, perché con sole 3 facce creerebbero angoli più grandi dell’angolo giro.
Le possibilità che abbiamo individuato sono quindi soltanto cinque:
I solidi platonici forniscono lo spunto per comprendere e approfondire molti argomenti di interesse matematico, ma sono anche modelli straordinariamente utili per la realizzazione di oggetti per giocare: in particolare dadi e palloni.
Ciascuna di queste due tipologie di manufatto richiede attenzioni particolari nel processo di costruzione: a meno che non vogliamo fregare qualcuno, un dado deve innanzitutto essere equo, cioè tutte le sue facce devono avere la stessa probabilità di uscire durante un lancio, mentre un pallone deve essere il più possibile simile a una sfera.
Cominciamo dai dadi. I solidi platonici, evidentemente, grazie alla loro forma simmetrica, caratterizzata da facce regolari e uguali, e da vertici e spigoli equivalenti, costituiscono ottimi modelli di dadi equi.
Per gli appassionati di Dungeons and Dragons ciò non rappresenta una sorpresa: per questo gioco vengono infatti utilizzati dadi la cui forma riflette quella dei cinque dadi platonici.
Ma l’uso di dadi platonici non è certo un fatto recente. Negli anni Venti del secolo scorso, l’archeologo inglese Leonard Wooley fece un curioso ritrovamento all’interno delle tombe reali dell’antica città sumera di Ur: alcune tavole da gioco anticamente utilizzate per il cosiddetto Gioco Reale di Ur, l’antenato del moderno backgammon.

Come è visibile nella figura, la particolare scacchiera era formata da un rettangolo 8 × 3 privato di due caselle esterne su ciascuno dei lati lunghi. Ciascuno dei due giocatori utilizzava 7 pedine e 3 dadi a forma di tetraedro con le punte smussate. In ciascun dado, due dei quattro vertici erano marcati, affiché ogni lancio potesse produrre due possibili esiti, a seconda che il vertice rivolto verso l’alto fosse marcato o no. In pratica gettare un dado era come lanciare una moneta e vedere se è uscita testa oppure croce.
Il regolamento del gioco non è stato del tutto chiarito. Pare comunque che ogni giocatore dovesse partire da una delle caselle e arrivare a una casella terminale, determinando il numero di caselle percorse a ogni turno mediante il lancio dei dadi. La collisione con un pezzo avversario costringeva l’altro giocatore a ripartire dall’inizio. I simboli speciali disegnati su alcune caselle provocavano eventi particolari, come il pagamento o il ritiro di una posta.
Ma, oltre ai cinque platonici, ci sono altri solidi che possono essere sfruttati per costruire dadi equi? Ebbene sì: i matematici hanno scoperto che ne esistono in particolare altri venti, oltre a cinque famiglie formate ciascuna da un numero infinito di dadi equi.
E i palloni? Concentriamoci sui palloni da calcio (anche se si potrebbe scrivere forse un libro intero considerando la geometria di tutti i tipi di palle utilizzate nei vari sport).
Il problema della costruzione un pallone di cuoio per giocare a calcio è il seguente: non è possibile costruire una sfera perfetta (come invece si deve fare per le palline da ping pong), ma si deve cercare di approssimare una sfera cucendo insieme pezzi di cuoio. Inoltre, è comodo che i pezzi di cuoio siano tutti uguali, ed è ancora più comodo se questi pezzi vengono prodotti come poligoni regolari. Ecco quindi che i solidi platonici tornano utili anche in questo caso: preparando, per esempio, pezzi di cuoio a forma di triangolo equilatero si possono poi cucire tra di loro per realizzare una palla tetraedrica oppure ottaedrica oppure icosaedrica. Una volta il pallone viene gonfiato d’aria, le spigolosità si smussano, ottenendo qualcosa di vagamente simile a una sfera. È chiaro però che più sono le facce del solido più il pallone risulterà vicino a una forma sferica.
Ecco perché l’icosaedro è il modello platonico storicamente preferito dai costruttori di palloni da calcio. Ai mondiali messicani del 1970 l’Adidas presentò il suo mitico pallone Telstar, ottenuto da un icosaedro spianando i vertici: la forma risultante, il familiare pallone a esagoni bianchi e pentagoni neri, è ciò che i matematici chiamano icosaedro troncato, e che i chimici hanno ritrovato in una molecola di carbonio chiamata buckminsterfullerene, appartenente alla vasta famiglia dei fullereni. Il nome Telstar fu scelto per la somiglianza con l’omonimo satellite artificiale posto in orbita geocentrica e utilizzato nelle telecomunicazioni a partire dagli anni Sessanta.
Anche alcuni modelli più recenti di palloni da calcio si rifanno ai solidi platonici: il Brazuca dei Mondiali 2014 in Brasile è topologicamente un cubo, così come lo era il pallone dei primi Mondiali, quelli del 1930, mentre il Teamgeist, pallone ufficiale dei Mondiali tedeschi del 2006 vinti dall’Italia, era un ottaedro troncato.
I solidi platonici sono sempre stati fonte di ispirazione per molti artisti. Piero della Francesca, che non fu soltanto un pittore, ma anche un matematico, era ossessionato dai solidi regolari: uno dei suoi trattati, il “De quinque corporibus regularibus”, era dedicato escludivamente a questi suggestivi poliedri, che all’artista interessavano ovviamente anche per il loro rapporto con il disegno e con le arti figurative.
Nell’articolo del numero 184 ricordavo come anche Leonardo Da Vinci realizzò moltissime illustrazioni inerenti ai solidi platonici, che furono pubblicate nel libro “De divina proportione” del frate matematico Luca Pacioli.
Nel 1955, il grande pittore surrealista Salvador Dalì realizzò una “Ultima cena” che stravolge i canoni dell’iconografia tradizionale. La scena è inserita all’interno di un grande dodecaedro, il solido regolare che Platone aveva associato alla perfezione dell’universo nel suo complesso. Nel descrivere il dipinto, Dalì parlò di una “cosmologia aritmetica e filosofica basata sulla sublime paranoia del numero dodici”. Sicuramente non è un caso che il numero delle facce del dodecaedro, 12, sia uguale al numero degli apostoli.

.

Un altro artista del Novecento che ha sfruttato a fini figurativi il fascino dei solidi platonici è stato l’olandese Maurits Cornelis Escher, autore di celebri costruzioni impossibili e di disegni geometrici di grande fascino. La sua famosa litografia “Cascata” mostra un piccolo villaggio caratterizzato da costruzioni paradossali, in cui dell’acqua sembra scorrere in salita. Sulla sommità delle due torri poggiano due grandi solidi, oggi noti come poliedri di Escher, la cui forma si può ottenere intrecciando tra di loro tre ottaedri.
L’enigma di settembre descriveva un particolare dado tetraedrico, sulle cui facce sono indicati quattro numeri interi, che godono di alcune proprietà:
I lettori erano invitati a determinare i numeri interi riportati sulle quattro facce del tetraedro.
La soluzione dell’enigma non era unica: anzi, ce n’erano ben cinque. Alcuni lettori sono stati bravi a indicarle tutte, anche se per considerare vinta la sfida era sufficiente individuarne una.
Le soluzioni erano le seguenti:
Non vi era un metodo particolare per individuare le soluzioni del problema: un approccio praticabile era quello per “forza bruta”, cioè per enumerazione e verifica delle possibili quaterne, da attuare a mano oppure con l’ausilio della potenza di calcolo di un computer (molti lettori, per esempio, si sono serviti di un foglio elettronico, strumento molto servizievole in casi come questo).
Il lettore che per primo ha inviato una risposta esatta è stato Mattia Caligiana, che si è aggiudicato l’abbonamento premio.
Gli altri lettori che hanno risolto correttamente l’enigma sono stati Davide Messina, Giorgia Hofer, Daniele Tosalli, Iacopo Longo, Alessio Aurigemma, Dario Broggi, Alberto Masini, Fabio Nevola, Michele D’Errico e Maurizio Carlino.
Complimenti al vincitore e a tutti i lettori che hanno saputo trovare la soluzione al problema!
Indice dei contenuti
Carl Friedrich GaussIl protagonista della rubrica Moebius del numero 185 di Coelum era uno dei più grandi matematici della storia: Carl Friedrich Gauss (1777-1855).
Nato da una famiglia di umile estrazione sociale, dimostrò fin dalla più tenera età la sua straordinaria propensione per la matematica e per le scienze in genere. A scuola, raccontano le cronache, si annoiava perché sapeva già tutto, avendo imparato da solo formule e regole matematiche, e non di rado arrivava a correggere il maestro.

È famoso l’aneddoto secondo il quale, all’età di nove anni, riuscì a risolvere in pochi secondi un problema che il maestro aveva assegnato alla classe allo scopo di tenere occupati i ragazzi per buona parte dell’ora di lezione. L’esercizio consisteva nel sommare tutti i numeri interi da 1 a 100. Probabilmente la maggior parte delle persone, di fronte a questo compito, non troverebbe niente di meglio da fare che eseguire pazientemente tutte le 99 addizioni, una dopo l’altra, arrivando infine al risultato richiesto.
Ma fare matematica, come dico sempre, non è fare conti, ma trovare regolarità e strutture. Il giovanissimo Gauss trovò nel problema una regolarità comodissima per arrivare alla soluzione senza impazzire con i calcoli: si accorse che la somma del primo numero, 1, e dell’ultimo numero, 100, era uguale alla somma del secondo numero, 2, e del penultimo, 99, e anche a tutte le altre somme costruibili in modo analogo spostandosi verso la somma centrale (50+51) arrivando contemporaneamente da sinistra e da destra. La somma complessiva, comprese Gauss, si ottiene quindi sommando 50 volte la somma parziale 101, ed è quindi pari a 5050.
L’insegnante di Gauss, resosi conto del genio precoce del ragazzo, lo segnalò al duca di Brunswick, il quale finanziò i suoi studi al Collegium Carolinum tra il 1792 e il 1795. Successivamente Gauss frequentò l’università di Gottinga, dove ottenne una serie di importanti risultati, tra i quali spiccano quelli inerenti alla geometria e all’invenzione dell’arimetica modulare.
Nel 1796 formulò, senza dimostrarla, la congettura nota come teorema dei numeri primi, sulla quale tornerò più avanti. Tre anni dopo, nella sua tesi di dottorato, dimostrò il teorema fondamentale dell’algebra, secondo il quale un qualsiasi polinomio di grado maggiore o uguale a 1, con coefficienti reali o complessi, ammette almeno una radice reale o complessa. Quest’ultimo risultato, anche se Gauss lo dovette precisare e perfezionare negli anni successivi, fu particolarmente rilevante, anche perché molti brillanti matematici del passato, tra cui il grande Eulero, avevano tentato di dimostrare il teorema senza mai riuscirci.
Nel 1801 pubblicò il famoso trattato Disquisitiones Arithmeticae, che raccoglieva molte delle fondamentali innovazioni ottenute negli anni precedenti nel campo della teoria dei numeri (cioè dell’aritmetica): una di queste fu l’introduzione dei numeri immaginari e complessi, che qualche lettore ricorderà di avere studiato a scuola o all’università.
Il geniale matematico tedesco soffriva di una strana malattia: il perfezionismo. Quando trovava una dimostrazione, non la pubblicava se non arrivava ad essere assolutamente certo della sua perfezione. Inoltre era ossessionato dalla possibilità che altri potessero rubargli le scoperte, e per questo appuntava le sue idee in modo criptico, così che nessuno potesse comprenderne il reale significato.
Cerere, l’asteroide più grande della fascia principale del Sistema solare, oggi considerato pianeta nano, fu scoperto casualmente il 1° gennaio 1801 (il primo giorno del XIX secolo) dall’astronomo italiano Giuseppe Piazzi, presso l’Osservatorio Nazionale del Regno delle Due Sicilie a Palermo.

Piazzi non riuscì a seguire a lungo il moto di Cerere, perché l’11 febbraio l’asteroide entrò in congiuzione diventando invisibile dalla Terra. L’astro andò così perduto, e lo stesso Piazzi, non del tutto convinto di avere scoperto un nuovo pianeta, minimizzò annunciando di avere trovato semplicemente una cometa. Le osservazioni di Piazzi furono comunque pubblicate nel settembre 1801, e il ventiquattrenne Gauss entrò subito in possesso di questi dati.
Il matematico tedesco sviluppò un nuovo metodo, basato sui minimi quadrati, per determinare la traiettoria completa di un astro utilizzando tre sole osservazioni. Applicando questa tecnica al caso dell’asteroide perduto, Gauss riuscì a predire l’orbita di Cerere e i suoi calcoli condussero alla riscoperta dell’astro il 31 dicembre 1801, ad opera di Franz Xaver von Zach e Heinrich Olbers.
L’anno che si era aperto con la scoperta casuale di Piazzi si concludeva con il felice ritrovamento dell’asteroide, grazie al genio di Gauss.
Che cos’è un numero primo? Semplicemente un numero naturale che non può essere diviso per nessun altro numero naturale se non per 1 e per se stesso. Per esempio, 5 è un numero primo, perché non ammette divisori che non siano 1 o 5, mentre 6 non lo è, perché può essere diviso per 2 e per 3, oltre che per 1 e 6.
Il grande matematico greco Euclide dimostrò che i numeri primi sono infiniti, cioè scelto un certo numero naturale N si può sempre trovare un numero primo più grande di N.
I numeri primi sembrano collocati in modo disordinato lungo la linea dei numeri naturali. Non è per nulla facile individuare una regolarità, una legge semplice che governi la loro distribuzione.

Il teorema dei numeri primi, congetturato per la prima volta da Gauss nel 1796, descrive in modo approssimato come i numeri primi siano distribuiti tra i numeri naturali. In particolare, afferma che, scelto un numero reale positivo x, la quantità di numeri primi minori o uguali a x può essere stimata approssimativamente come x diviso il logaritmo naturale di x.
Man mano che ci spinge verso valori di x più grandi, l’approssimazione fornita dal teorema risulta sempre più accurata.
Gauss intuì che il teorema era veritiero, ma non trovò il modo di dimostrarlo rigorosamente, cosa che invece riuscì cent’anni dopo la prima formulazione, grazie ai due matematici Hadamard e de la Vallée Poussin.

Nelle “Disquisitiones Arithmeticae” del 1798, Gauss dimostrò per la prima volta il teorema fondamentale dell’aritmetica, secondo il quale:
Ogni numero naturale maggiore di 1 o è un numero primo o si può esprimere come prodotto di numeri primi. Tale rappresentazione è unica, se si prescinde dall’ordine in cui compaiono i fattori.
Che cosa significa questa affermazione? Prendiamo un numero come 5. Si tratta di un numero primo, e quindi ci troviamo nel primo caso. Prendiamo invece 6. Dato che questo non è un numero primo, il teorema ci assicura che possiamo esprimerlo come prodotto di numeri primi. In effetti possiamo scrivere 6 = 2 × 3, e i numeri 2 e 3 sono primi. Ma il teorema ci dice un’altra cosa ancora più importante: che non possiamo trovare un’altra fattorizzazione di 6 in numeri primi, prescindendo dall’ordine dei fattori. In altre parole, è vero che possiamo anche scrivere 6 = 3 × 2, ma questa non è una diversa fattorizzazione: è un modo diverso di scrivere quella di prima, con i fattori riportati in ordine diverso.
Il solito Euclide, negli “Elementi”, aveva dimostrato che ogni numero è primo oppure fattorizzabile in numero primi, ma non era arrivato rigorosamente a provare l’unicità della fattorizzazione. Vi si era avvicinato molto, ma fu Gauss a dimostrare per primo questa verità fondamentale della matematica.
Per evitare il “fastidio” derivante dai diversi ordini in cui i fattori primi possono essere elencati, i matematici hanno stabilito una convenzione, semplice quanto ovvia: i fattori devono essere scritti in ordine crescente, dal più piccolo al più grande, eventualmente ripetendo quelli che compaiono più volte.
I seguenti sono quindi esempi di fattorizzazioni scritte bene: 6 = 2 × 3, 60 = 2 × 2 × 3 × 5, 100 = 2 × 2 × 5 × 5.
Si pone a questo punto una vecchia e spinosa questione: anche 1 è un numero primo?
Teoricamente, se dovessimo attenerci unicamente alla definizione che ho dato sopra, dovremmo dire di sì. Ma considerare 1 come primo comporterebbe un grosso guaio: ogni fattorizzazione non sarebbe più unica, perché potremmo sempre aggiungere una quantità indefinita di uni all’inizio della fattorizzazione stessa. Avremmo cioè 60 = 2 × 2 × 3 × 5, ma anche 60 = 1 × 2 × 2 × 3 × 5, 60 = 1 × 1 × 2 × 2 × 3 × 5, 60 = 1 × 1 × 1 × 2 × 2 × 3 × 5, e così via all’infinito.
Per evitare questo fastidio, e per restituire validità al teorema fondamentale dell’aritmetica, i matematici hanno stabilito per convenzione che 1 non è primo.
L’enigma di ottobre proponeva di sfruttare il teorema fondamentale dell’aritmetica per costruire una specie di codice segreto utile per cifrare un messaggio. Se ciascun numero intero può essere fattorizzato in uno e in un solo modo, perché non usare questa “firma” unica per trasformare un numero in un messaggio cifrato? Per esempio, il numero 42042 viene fattorizzato come 2 × 3 × 7 × 7 × 11 × 13, e quindi la sua firma è costituita dai fattori 2, 3, 7, 7, 11, 13.
Se, a questo punto, ci inventiamo liberamente una tabella di corrispondenza che associ ogni numero primo a una lettera dell’alfabeto, la fattorizzazione si tramuta in una successione di lettere.
Immaginiamo che i numeri primi siano associati alle lettere secondo l’ordine alfabetico: il 2 corrisponderà alla lettera A, il 3 alla B, il 5 alla C, il 7 alla D, l’11 alla E, e così via.
Secondo questa chiave, il nostro numero 42042 viene codificato come ABDDEF.
Naturalmente non è necessario che scorrendo la tabella di corrispondenza in modo che i numeri primi crescano, le lettere vengano assegnate in ordine alfabetico. In altre parole, andrebbe benissimo anche una tabella in cui al 2 corrisponda la lettera M, al 3 la lettera F, al 5 la lettera Q, eccetera, così come qualunque altra tabella di corrispondenza che ci venga in mente.
L’unico (grave) inconveniente di questo metodo di crittazione è che le lettere sono soltanto 26 (considerando l’alfabeto inglese), e quindi possiamo arrivare al massimo al numero primo 101. Un numero come 2884, che si fattorizza come 2 × 2 × 7 × 103, non potrebbe essere codificato perché ci mancherebbe la lettera corrispondente al fattore 103.
L’enigma proposto, comunque, non incorreva in questo problema.
Vediamo i termini del problema. Una certa tabella di corrispondenza è stata stabilita, ma noi non la conosciamo a priori. Sappiamo solo che:
Quale numero viene codificato con la parola “STELLA”?
Per risolvere il quesito, basta trovare le fattorizzazioni dei tre numeri proposti.
Il numero 575795 è sicuramente divisibile per 5 (lo riconosciamo dalla sua ultima cifra, 5): dividendolo per 5 otteniamo 115159. Come procedere ora? Abbiamo in mano un numero dispari, quindi il 2 non è tra i divisori. Nemmeno 3, 5 o 7 vanno bene, e lo possiamo verificare provando le rispettive divisioni, e osservando che escono risultati non interi. Il numero 11, invece, va bene: dividendo 115159 per 11 otteniamo il numero intero 10469. Continuando così, scopriamo che i successivi fattori primi sono 19, ancora 19, e infine 29. La fattorizzazione completa di 575795 è quindi 5 × 11 × 19 × 19 × 29.
Guardiamo la parola corrispondente: “TERRA”. La lettera T è dunque associata al numero 5, la lettera E all’11, la lettera R al 19, e la lettera A al 29.
Fattorizzare 18 è molto più facile: si trova subito che è uguale a 2 × 3 × 3: dato che la codifica letterale è “ISS”, ecco che la lettera I è associata al 2, e la lettera S al 3.
Ci rimane il numero 147407: utilizzando ancora il solito algoritmo di fattorizzazione, scopriamo che esso equivale a 13 × 17 × 23 × 29. La parola corrispondente è “LUNA”: ritroviamo correttamente la A associata al numero primo 29, e inoltre arricchiamo la nostra tabella con le corrispondenze L = 13, U = 17, N = 23.
Abbiamo ora tutti gli ingredienti necessari per risolvere il problema, cioè per decodificare la parola “STELLA”. Conosciamo già i numeri correlati alle lettere di queste parola: la S corrisponde al 3, la T al 5, la E all’11, la L al 13, e la A al 29.
Il prodotto 3 × 5 × 11 × 13 × 13 × 29 dà come risultato 808665, che quindi è il numero cercato.
Il vincitore dell’abbonamento è stato Fabio Nevola, che ha fornito per primo la risposta esatta.
Numerosi sono stati gli altri lettori che hanno saputo risolvere il problema correttamente: Mattia Caligiana, Andrea Alessandrini, Andrea Console, Andrea Rocchi, Daniele Tosalli, Fabio Marioni, Andrea Chiaramonte, Giovanni Casati, Giovanni Tassi, Alberto Masini, Stefano Zella e Bruno Alves. A tutti loro vanno i nostri più sentiti complimenti!
Pubblicità: ads@coelum.com
Copyright © 1997 - 2024 vietata la riproduzione.
There was an error while trying to send your request. Please try again.







