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Si fa presto a dire firmamento

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Altro che stelle fisse e cielo invariabile: gli astri si spostano, eccome. E mentre le costellazioni si deformano, Proxima Centauri perde il suo primato di stella più vicina.

La conoscenza si presenta sotto forme strane. Per me è stata quella di un CD.

Correva l’anno 1999, l’inizio dell’anno Santo a Roma e quello in cui fu osservato il primo transito di un pianeta extrasolare davanti a una stella (HD 209458). Per me era l’ultimo anno di liceo a Bellinzona ed è anche quello in cui ho capito davvero che il cielo non è per nulla immutabile.

Salutate Barnard quando passata

Avevo scelto “Astronomia” come lavoro di maturità. A insegnarci le basi era Stefano Sposetti, allora già attivissimo nella SAT, che un giorno ci aveva consegnato – a me e a un compagno – un compact disc. Il cd conteneva una serie di foto della stella di Barnard e un software attraverso il quale elaborare le immagini e ricavare il moto proprio dell’astro.
Non ricordo quanto il risultato fosse effettivamente vicino al valore corretto di 10,3 secondi d’arco all’anno. Quello che ne ricavai fu di più: la constatazione che nulla è davvero fermo lassù. A cominciare da quella stella, che in tutto il cielo ha il moto proprio più alto di tutte, tanto che a osservarla oggi sarebbe chiaramente da un’altra parte rispetto a 22 anni fa. Di magnitudo 9,51, questa nana rossa descritta per la prima volta dall’astronomo Edward Emerson Barnard nel 1916 si sta avvicinando rapidamente a noi, oggi si trova a circa 6 anni luce e fra 10mila anni ci sfreccerà vicina (relativamente: a 4 anni luce), tanto da avere la stessa distanza dalla Terra rispetto ad Alpha Centauri. Andrà quindi a un niente dal diventare la stella più vicina a noi. Nel passaggio cambierà costellazione, passando dall’Ofiuco a Ercole.

Non è però la prima stella errante che transita nelle vicinanze. A saperlo bene sono, per esempio, l’astrofisico bulgaro Valentin Ivanov e l’americano Eric Mamajek. Nel 2013, era a novembre, Mamajek si trovava in visita a Ivanov al European Southern Observatory di Santiago in Cile. In quel momento Ivanov aveva davanti a sé i dati di una piccola nana rossa di 18esima magnitudo a circa 20 anni luce da noi nominata WISE 0720−0846. Un astro sino ad allora passato inosservato, appena scoperto dall’astronomo tedesco Ralf-Dieter Scholz . I numeri suggerivano che la stella (in realtà un sistema binario composto da una nana rossa e da una nana bruna) non avesse molto moto laterale. La cosa era strana e poteva voler dire che la debole nana si stava avvicinando o allontanando da noi, per giunta a una velocità sostenuta. Quella sera i due effettuarono alcune misure e in breve tempo si accorsero che, riavvolgendo il nastro della storia, la Stella di Sholz (così chiamata in onore del suo scopritore) 77 mila anni fa era passata a 0,82 anni luce dal sole, transitando così in pieno nella nube di Oort, il nugolo di comete che circonda il nostro sistema planetario. Si trattava del passaggio più ravvicinato di una stella al Sistema Solare mai scoperto, anche se gli abitanti della Terra di allora non se ne sarebbero comunque potuti accorgere, dal momento che anche a così poca distanza la stella di Sholz sarebbe apparsa di decima magnitudo, quindi 50 volte più debole di quanto possa scorgere l’occhio nudo.

Non si tratta però sicuramente dell’ultimo passaggio ravvicinato. Il prossimo noto è in programma tra 1,2 milioni di anni, quando la stella che porta il numero 710 nel catalogo Gliese – la nana arancione attualmente di nona magnitudine – arriverà a una distanza di 1,1 anni luce.

Più in generale, il moto del firmamento è talmente intenso che nei prossimi 80 mila anni la stella più vicina alla Terra cambierà per ben 6 volte, passando dapprima da Proxima ad Alpha Centauri, per poi diventare Ross 248 attorno al 40 mila dopo Cristo. Sarà poi il turno di Gliese 445, di nuovo di Alpha Centauri e poi di Ross 128.

Nati sotto un’altra stella

Rappresentazione grafica che descrive lo spostamento del polo celeste. Credit: Società Astronomica Ticinese.

Tutto si muove dunque. Compreso quello che riteniamo il punto fermo del cielo: la Stella Polare. L’uomo e le sue tante civiltà ne hanno avute almeno due. Gli antichi egizi, cui la storia attribuisce competenze da provetti astronomi, non guardavano all’alfa dell’Orsa minore, come facciamo noi, per sapere dove era il nord, ma a Thuban, l’alfa del Dragone. Una stella decisamente più debole dell’attuale Polaris, ma che attorno al 2800 avanti Cristo si trovava praticamente in mira all’asse terrestre. Ai tempi, Polaris doveva apparire come una delle tante stelle in cielo e neppure tra le più importanti. Romani e Babilonesi non hanno invece potuto contare su un astro “perno del cielo”, visto che allora la volta celeste sembrava ruotare attorno a un punto compreso tra Thuban e l’attuale Polare. Tra duemila anni l’emisfero boreale avrà, di nuovo, un’altra stella fare da perno, ovvero Alrai (gamma Cephei, di magnitudo 3,3).

A causare questo perenne cambiamento è la cosiddetta precessione degli equinozi, il fenomeno per cui l’asse terrestre – a causa delle interazioni gravitazionali con la Luna e il Sole – si sposta lentamente in cielo, descrivendo all’incirca un cerchio che si chiude ogni 25mila anni.

E così, tra dodicimila anni l’asse terrestre (inclinato di 23 gradi e 27 primi rispetto al piano su cui si “trova” l’orbita del nostro pianeta) punterà pressappoco verso la brillante Vega, nella Lira. Prima di lei toccherà – fra 5.500 anni – ad Alderamin (in Cefeo) e fra novemila anni a Fawaris/Rukh (nel Cigno). Dopo Vega sarà il turno di due stelle nella costellazione di Ercole, poi di Edasich, nel Dragone e, in seguito – di nuovo – di Thuban. Il cerchio si chiuderà 2.500 anni più tardi di nuovo su Polaris. La tabella seguente riporta le prossime stelle polari per l’emisfero boreale così come calcolate da Cartes du Ciel, tenendo conto anche dei moti propri delle stelle.

La seconda parte dell’articolo, su come sono mutati i miti legati alle costellazioni nel corso del tempo, online il 26/02. Restate collegati!

Approfondimento tratto dalla rivista “Meridiana” a cura di Luca Berti – Società Astronomica Ticinese