Trovare soluzioni realistiche tra inquinamento luminoso e illuminazione del patrimonio culturale.
Gruppo nutrito, età variabile, assortimento umano in età scolare. In mezzo, una ragazzina sugli 8 o 9 anni: salopette, treccine, e occhioni, completo d’ordinanza della fanciullezza.
Allora: abbiamo visto quali sono i rover sbarcati su Marte nel corso degli anni. Adesso è il momento di costruire! Che cosa servirà al nostro rover per andarsene in giro sul pianeta rosso?
Silenzio.
Forza. Nessuna timidezza. Non ci sono risposte sbagliate, solo soluzione da valutare insieme. Tu, per esempio: prova a fare un’ipotesi.
Io? Boh. Non so. Le ruote?
Benissimo. Mi sembra un’ottima idea. E cosa serve per muovere le ruote?
Il motore?
Eccellente. Questo è il cacciavite, là ci sono i pezzi che servono. Comincia a montare.
Ma… io?
Certamente. Chi, se no? Ora sei tu l’ingegnera. Al lavoro.
Oh. Ok!
Lo so, lo so: troppo bello per essere vero. Eppure, sotto un sottile strato di vernice editoriale necessaria alla trascrizione della conversazione, questa è la rappresentazione fedele di una delle tante esperienze che mi sono capitate negli anni come divulgatore ed educatore scientifico. Ho scelto proprio questa esperienza personale per inaugurare questa rubrica dedicata alla didattica dell’astronomia perché credo che racchiuda molte delle chiavi di lettura per una vera educazione alla scienza: a partire dal metodo socratico, fino al superamento degli stereotipi di genere, tutti aspetti imprescindibili per una didattica efficace e inclusiva. Ci sono molti modi per insegnare la scienza: dalla lezione tradizionale al laboratorio didattico, dalla classe ribaltata all’apprendimento collaborativo. Io non credo che esista un metodo migliore o peggiore; l’insegnamento, come un abito su misura, deve soddisfare due condizioni: calzare alle necessità di chi lo utilizza, ed essere adeguato alla situazione nella quale si usa. Sia che indossiamo una toga accademica o una tuta da lavoro, quando queste due condizioni sono allineate, allora stiamo facendo della buona didattica. In questa rubrica parlerò quindi di numerose modalità di insegnamento, senza alcuna velleità di completezza, ma limitandomi a presentare esperienze di apprendimento per facilitare lo scambio di buone pratiche necessarie al conseguimento degli obiettivi didattici dell’educazione alla scienza.
In questa prospettiva, voglio quindi cominciare con un aspetto che mi è particolarmente caro, quello dell’apprendimento laboratoriale. Nella didattica delle scienze, infatti, mi sono sempre avvalso di un approccio pratico: montare, provare, riprovare, sbagliare, ricominciare. Non sempre è possibile, ma l’attività di laboratorio rende più chiaro e più solido il senso di quello che viene spiegato durante le ore di scienze: la scienza, mi piace ricordare, si fa soprattutto, e prima di tutto, con le mani. Vale la pena ricordare altresì che il laboratorio di scienze non è necessariamente solo cavi e brugole, ma esiste tutta una categoria di attività pratiche che si estende all’informatica e alla programmazione: la competenza digitale è ormai infatti un capacità che non può essere ignorata in nessun laboratorio.
Quando si parla di didattica dell’astronomia, l’immagine che abbiamo è spesso quella del laboratorio di ottica geometrica. Vale invece la pena ricordare che esiste tutto l’ambito della tecnologia spaziale, e in particolare quella legate all’esplorazione robotica. Questa rappresenta, per il secondo ciclo della scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, l’opportunità di sperimentare modalità di apprendimento pratiche e interattive: in questo contesto, l’immagine che più di tutte si presta alla curiosità e al coinvolgimento è certamente quella dei rover marziani. Dal 1997 con la missione Pathfinder, attraverso l’epopea dei rover gemelli Spirit e Opportunity, il successo enorme di Curiosity, fino ad arrivare al nostro 2021 con Perseverance e Zhurong, i piccoli (o non tanto piccoli) robot semoventi sulla superficie di Marte hanno sempre creato empatia e partecipazione, specialmente nei giovani e giovanissimi. Risulta quindi naturale utilizzare proprio questi protagonisti per le attività didattiche, per ricostruire la progettazione e la pianificazione delle missioni, dal loro aspetto ingegneristico a quello informatico, per acquisire le competenze scientifiche e tecnologiche.
Ma come trasformare un’idea in una attività didattica strutturata? L’approccio orientato alla risoluzione dei problemi può darci un mappa per orientarci in questa transizione. La prima fase, quindi, non può che essere quella di ricerca, utilizzando, in autonomia o in maniera guidata, semplici motori di ricerca o wiki/ipertesti realizzati appositamente e di cui non è difficile trovare esempi in rete. La comprensione delle soluzioni adottate fornisce la base delle azioni successive, costituite da “missioni” di difficoltà crescente, che costituiscono il cuore delle attività.
Per la loro realizzazione, esistono da tempo in commercio piattaforme robotiche modulari ad uso educativo, veri e propri piccoli robot programmabili, che possono essere utilizzati come strumenti per varie attività di costruzione e programmazione. Ce ne sono diversi, ognuno con le proprie caratteristiche, ma certamente quelli più adatti alle attività relative alla didattica dell’esplorazione spaziale sono quelli che è possibile modificare in modo da rispondere alle necessità delle “missioni marziane”. Se da una parte infatti l’utilizzo di robot didattici in kit permette di concentrarsi sulla qualità della programmazione che, a causa delle distanze letteralmente siderali, costituisce una parte imprescindibile dell’esplorazione spaziale, la possibilità di unire anche una parte di meccanica rende l’aspetto laboratoriale più pratico e creativo, capace di adattarsi a gruppi differenti. Uno degli aspetti più arricchenti di queste attività, infatti, è la possibilità di utilizzare metodologie di apprendimento collaborativo, con le quali dare ad ogni elemento del gruppo classe un ruolo all’interno dei gruppi di lavoro, rispettando abilità e inclinazioni di ciascuno, affiancando alle attività tecnologiche anche lo studio e la realizzazione degli aspetti “divulgativi”, come il disegno di loghi o storyboard della “missione marziana”.
Partendo quindi da una attività didattica di astronomia, è possibile alla fine progettare laboratori pratici orientati all’acquisizione di competenze scientifiche, tecnologiche, digitali, ma anche sociali e comunicative, in una visione organica e integrata dell’apprendimento. Perché la “scienza delle stelle” non può e non deve essere solo una curiosità per appassionati e cultori della materia, ma un patrimonio comune di tutti i cittadini di oggi, e soprattutto di domani.
L’articolo è pubblicato in Coelum 254