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Una mappa 3D di tutte le stelle calde entro 10.000 anni luce dal Sole

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Crediti: Galaxy Map / K. Jardine
Crediti: Galaxy Map / K. Jardine

Con la seconda versione del catalogo GAIA, rilasciata il 25 aprile 2018 e indicata con la sigla DR2, gli astronomi hanno fatto alcune importanti scoperte sulla nostra galassia. La più recente però non viene da un astronomo professionista: una mappa 3D della Via Lattea, che riguarda le stelle OB, le stelle più calde, luminose e massicce della nostra Galassia. Con questa ultima mappa 3D, Gaia ha fornito agli astronomi un altro strumento per esplorare la distribuzione e la composizione della nostra galassia, nonché la sua evoluzione passata e futura.

La missione Gaia ha avuto inizio nel dicembre del 2013 e ad oggi ha studiato un totale di 1 miliardo di oggetti – tra cui stelle lontane, pianeti, comete, asteroidi, quasar, ecc. – per creare il catalogo spaziale 3D più ampio e preciso mai fatto.

Dal nostro punto di vista “interno” (anche se alla periferia della nostra galassia) non è affatto semplice mappare la struttura della Via Lattea o ricostruire la distribuzione delle stelle nel suo disco. Senza contare che si tratta di una galassia “piatta” con bracci a spirale e noi la vediamo proprio di taglio, giacendo praticamente sul piano galattico.  Di conseguenza, gli astronomi hanno dovuto fare affidamento sulle osservazioni di altre galassie per capire a cosa somiglia la nostra.

Fino a quando non è stato possibile mappare le posizioni e i movimenti di oltre un miliardo di oggetti. In questo modo è stato possibile costruire un modello tridimensionale, e anche in evoluzione, dell’ambiente che ci circonda. Utilizzando i dati di 40.000 stelle OB situate a una distanza di circa 10.000 anni luce dal Sole (3000 parsec), Kevin Jardine – sviluppatore di software (galaxymap.org) e astronomo dilettante specializzato nell’uso di dati astronomici – è stato in grado di creare una mappa completa delle stelle più calde del nostro “quartiere”.

Poiché le stelle OB hanno una vita relativamente breve – fino a poche decine di milioni di anni – si concentrano per lo più vicino al loro sito di formazione nel Disco Galattico. Durante la loro vita, queste stelle emettono una quantità considerevole di radiazioni ultraviolette, che ionizzano rapidamente il gas interstellare circostante. In questo modo è stato possibile utilizzare la loro disposizione per tracciare la distribuzione complessiva di stelle giovani, i siti di formazione stellare e le braccia a spirale della galassia con un alto grado di precisione.

Scrive Jardin nel suo blog: «Ho sviluppato questa mappa con l’aiuto degli scienziati della missione Gaia dell’Agenzia spaziale europea e dei ricercatori delle università di Leiden e Heidelberg. Include isosfere di densità di stelle che mappano le principali concentrazioni delle stelle di classe O, B e A più calde nella release Gaia DR2, circa 5000 stelle ionizzanti estremamente calde, nuvole di polvere e regioni HII. Meglio ancora, è disponibile sia in forma frontale, vista dall’alto della Via Lattea, sia in una vera versione 3D nell’ultima versione di Gaia Sky».

Per elaborare l’enorme mole di dati del catalogo DR2, Kevin ha infatti utilizzato una tecnica che viene spesso impiegata in medicina per visualizzare il tessuto di organi e ossa nelle scansioni TC (tomografia computerizzata): le isosuperfici di densità, dove una superficie liscia rappresenta punti di valore costante all’interno di un volume di spazio tridimensionale, e consente di visualizzare regioni di diversa densità.

Mappa della Via Lattea, centrata sul Sole e entro i 3000 parsec. Crediti: Galaxy Map/Kevin Jardine.
Nel caso della sua mappa di stelle calde, le diverse regioni del disco galattico sono rappresentate da colori diversi in base alla densità di stelle ionizzanti. In rosa le regioni di densità più elevate per arrivare, passando per toni di viola, a quelle in blu, che indicano le regioni a più bassa densità. In verde vediamo indicate le concentrazioni di polvere interstellare (ricavate da altri indagini astronomiche) e come sfere rosse le nubi note di gas ionizzato.

La mappa assume così un aspetto insolito, in cui le concentrazioni di stelle sembrano essere disposte in raggi che si estendono dal centro, piuttosto che in bracci a spirale, ma è un effetto dovuto solo alle nubi di polvere più fredde che ostacolano la vista delle stelle che, in linea di vista, stanno dietro.

Nel suo blog, Jardine, orgoglioso del lavoro portato a termine, ha ringraziato tutti coloro che hanno contribuito a renderlo possibile. «A volte i sogni diventano realtà», ha scritto. «Oggi posso annunciare una mappa dettagliata della Via Lattea fino a 3000 parsec o circa 10 mila anni luce dal Sole … Gestisco questo sito da quasi 14 anni, ma oggi sembra un nuovo inizio».

Nel frattempo, un’estensione è già stata approvata per la missione Gaia, che rimarrà operativa fino alla fine del 2020. Una versione interattiva di questa mappa è disponibile anche come parte di Gaia Sky, un software di visualizzazione 3D di astronomia in tempo reale  sviluppato per la missione di Gaia presso l’Università di Heidelberg, l’Astronomisches Rechen-Institut.



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Osiris-REx: Bennu in vista!

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Montaggio dei 5 frames ripresi dalla PolyCam, con Bennu (cerchiato di verde) che si muove rispetto alle stelle fisse Credit: NASA/Goddard/University of Arizona - Processing: M. Di Lorenzo
Montaggio dei 5 frames ripresi dalla PolyCam, con Bennu (cerchiato di verde) che si muove rispetto alle stelle fisse. Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona - Processing: M. Di Lorenzo

Il 17 agosto, mentre entrava ufficialmente nella fase di approccio a Bennu, la sonda OSIRIS-REx (Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, Security-Regolith Explorer ) ha ottenuto le prime immagini del suo asteroide bersaglio da una distanza di 2,2 milioni di km, quasi sei volte la distanza Terra-Luna. I cinque fotogrammi sono stati registrati dalla fotocamera telescopica PolyCam nell’arco di un’ora, per fini di calibrazione e di navigazione ottica. Bennu è visibile come un oggetto in movimento davanti alle stelle della costellazione del Serpente.  A questa distanza, Bennu appare ancora puntiforme; infatti, secondo le misure radar, il suo diametro medio è intorno a 510 metri e quindi, alla distanza attuale, sottintende un angolo di 0,05 secondi d’arco, 20 volte più piccolo della risoluzione della PolyCam, che è un vero e proprio telescopio con apertura di 20 cm.

L'animazione ripresa dalla PolyCam, ridimensionata e leggermente ritagliata rispetto all'originale. Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona - Processing: M. Di Lorenzo

«Ora che OSIRIS-REx è abbastanza vicino da poter osservare Bennu, il team della missione passerà i prossimi mesi ad apprendere il più possibile sulle dimensioni, la forma, le caratteristiche della superficie e i dintorni dell’asteroide prima che la sonda arrivi a destinazione», ha detto Dante Lauretta, Investigatore principale di OSIRIS-REx presso l’Università dell’Arizona. «Dopo aver passato così tanto tempo a pianificare questo momento, non vedo l’ora di vedere cosa ci rivela Bennu».

Partita l’8 settembre 2016, un anno dopo Osiris Rex effettuò un “gravity assist” con la Terra. La sonda, che ha percorso 1,8 miliardi di km, ha effettuato l’ultima correzione di rotta (la Deep Space Maneuver o DSM-2) lo scorso 28 giugno; attualmente, si avvicina all’asteroide con una velocità di circa 0,55 km/s. Il payload scientifico del veicolo spaziale comprende l’insieme di fotocamere OCAMS (PolyCam, MapCam e SamCam), lo spettrometro termico OTES, lo spettrometro OVIRS visibile e infrarosso, l’altimetro laser OLA e lo spettrometro a raggi X REXIS.

Durante la fase di avvicinamento appena iniziata, OSIRIS-REx osserverà regolarmente la regione attorno all’asteroide per cercare eventuali pennacchi di polvere o satelliti naturali e studierà le proprietà fotometriche e spettrali di Bennu. Il 1 Ottobre, poi, eseguirà la prima di quattro manovre dette “Asteroid Approach Maneuver” per ridurre la sua velocità; questa prima manovra AAM-1 ridurrà il moto relativo a Bennu da 506 a 144 m/s.

A metà ottobre, poi, verrà espulsa la copertura protettiva del braccio destinato a raccogliere campioni dell’asteroide da riportare a Terra; successivamente esso verrà esteso e fotografato per la prima volta dopo il lancio. Giunta a meno di 100mila km da Bennu, OCAM comincerà a rivelare la forma generale dell’asteroide verso la fine di ottobre e a metà novembre inizierà a rilevarne le caratteristiche superficiali. Dopo l’arrivo, il veicolo spaziale trascorrerà il primo mese sorvolando rispettivamente il polo nord, l’equatore e il polo sud di Bennu, a distanze comprese tra 19 e 7 km. Analogamente a quanto ha appena fatto Hayabusa-2 con Ryugu, queste manovre consentiranno la prima misurazione diretta della massa dell’asteroide e permetteranno osservazioni ravvicinate della sua superficie.

Le tappe fondamentali della missione, dall'avvicinamento all'asteroide alla raccolta del campione da riportare a Terra. Crediti: University of Arizona

Il veicolo spaziale esaminerà estensivamente l’asteroide prima che il team di missione identifichi due possibili siti di raccolta. La raccolta dei campioni su uno di questi due siti è programmata per l’inizio di luglio 2020, dopo di che il veicolo spaziale tornerà verso la Terra; la capsula che conserva tali campioni si separerà dal veicolo principale e atterrerà nel deserto dello Utah nel settembre 2023.

Per i futuri aggiornamenti sullo stato della sonda e sulla manovra di avvicinamento, si veda il nuovo Mission Log dedicato.

Riferimenti: www.asteroidmission.org


Gruppo Astrofili Vicentini “G. Abetti”

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Tutti i martedì sera, dalle 21:00 alle 23:00, presso l’Osservatorio Astronomico “G. Beltrame” in Via S. Giustina 127 ad Arcugnano (VI): Osservazione pubblica del cielo.
L’osservatorio sarà aperto al pubblico. La partecipazione è gratuita e non è necessario prenotare. Durante le aperture al pubblico verranno effettuate anche delle mini conferenze e dei mini corsi i cui contenuti saranno pubblicati di volta in volta sui vari canali social del nostro gruppo e sul Giornale di Vicenza. L’apertura avrà luogo con qualsiasi tempo.

Astrorazzo all’Osservatorio Astrofisico di Asiago
28.08, dalle 9.30 alle 12:30 e dalle 14:40 alle 18:00. I ragazzi dai 6 ai 14 anni potranno costruire il proprio razzo dotato di endoreattore a propellente solido e lanciarlo in tutta sicurezza. I ragazzi devono essere accompagnati da un genitore. Prenotazione obbligatoria entro il 31 luglio, i posti sono limitati.
Info prenotazioni e costi: visite.asiago@oapd.inaf.it. SIT (sportello informazioni turstiche): 0424 462221. In caso di maltempo l’evento verrà rinviato a domenica 2 settembre.

www.astrofilivicentini.it

Hayabusa 2 si prepara all’arrembaggio

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Ryugu, in un “primo piano di tre quarti”, che mostra la superficie costellata di massa dell’asteroide, ripresa il 20 luglio da circa 6 km di distanza. Nessun minerale è predominante e gli scienziati ne stanno ancora analizzando la composizione. Crediti: JAXA/ University of Tokyo / Kochi University / Rikkyo University / Nagoya University / Chiba Institute of Technology / Meiji University / University of Aizu / AIST.
Ryugu, in un “primo piano di tre quarti”, che mostra la superficie costellata di massa dell’asteroide, ripresa il 20 luglio da circa 6 km di distanza. Nessun minerale è predominante e gli scienziati ne stanno ancora analizzando la composizione. Crediti: JAXA/ University of Tokyo / Kochi University / Rikkyo University / Nagoya University / Chiba Institute of Technology / Meiji University / University of Aizu / AIST.

Manca davvero poco! A ottobre la sonda Hayabusa 2, sviluppata dall’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), entrerà nel pieno della sua missione, tentando la raccolta di almeno un grammo di roccia dalla superficie dell’asteroide, da riportare poi a terra per le analisi, e rilasciando i suoi quattro passeggeri, che condurranno invece indagini direttamente sulla superficie: il lander europeo (da una collaborazione tra Germania e Francia) MASCOT da 10 kg e i tre piccoli rover Minerva di mezzo chilo ciascuno.

Hayabusa 2 è arrivata alla sua meta lo scorso 27 giugno, dopo un viaggio di tre anni e mezzo e 3,2 miliardi di km percorsi. Ha terminato la sua corsa posizionandosi in un’orbita a circa 20 km dalla superficie, regalandoci alcune immagini ravvicinate di questo curioso asteroide dalla forma inusuale simile a un diamante.

Non conoscendo in dettaglio la forma e la superficie dell’asteroide al momento della partenza, il lavoro del team di missione è stato per lo più quello di capire dove far lavorare, e atterrare, la sonda e i suoi passeggeri robotici, cercando un punto particolarmente “pulito” e incontaminato della superficie e meno esposto ai pericoli dell’ambiente spaziale attorno all’asteroide.

«L’ambiente spaziale non è cordiale, bombarda l’asteroide di micrometeoriti, vento solare e cicli termici» ci dice Deborah Domingue, del team scientifico di Hayabusa2 e scienziato senior presso il Planetary Science Institute in Arizona.

L’orbita di Ryugu lo porta più vicino e più lontano dal Sole, facendo contrarre e espandere la roccia di cui è composto, il che influenza non solo la composizione minerale della superficie ma anche l’elasticità della roccia. E la composizione minerale non è l’unica sfida, la sonda infatti, per poter raccogliere i campioni e poi ripartire in direzione verso casa, avrà bisogno di cadere verso la superficie dell’asteroide, raccogliere la regolite superficiale e rimbalzare verso la sua orbita (sono previsti tre di questi “touchdown” durante la missione). È chiaro che è necessaria una zona relativamente pulita senza grandi massi che possano essere da ostacolo.

Un dettaglio della superficie di Ryugu ripresa da soli 850 metri di altezza. Nell’immagine a grande campo a sinistra indicata la zona della ripresa ravvicinata sulla destra. Crediti: JAXA, University Tokyo, Koichi University, Rikkyo University, Nagoya University, Chiba Institute of Technology, Meiji University, University of Aizu, AIST. – Processing: M. Di Lorenzo

La navicella è ora impegnata in manovre di test in preparazione dell’atterraggio, avvicinandosi e allontanandosi dall’asteroide con distanze che variano tra i 20 chilometri dell’orbita iniziale fino anche a meno di un chilometro dalla superficie (circa 800 metri!), variazioni di altitudine utili anche a misurare la gravità di Ryugu.

Per quanto riguarda i passeggeri, i tre piccoli rover verranno rilasciati sull’emisfero nord dell’asteroide, mentre il più grosso MASCOT verrà fatto rotolare in un punto dell’emisfero sud, il che garantirà anche una maggiore copertura nello studio della superficie.

Ecco indicato il punto MA-9 dove probabilmente verrà rilasciato il lander francotedesco MASCOT. Credit: JAXA/DLR.

Dai 10 punti selezionati dagli esperti delle tre agenzie spaziali coinvolte, è da poco emerso quello che probabilmente sarà la zona di rilascio di MASCOT. Con un simpatico botta e risposta tra la sonda e il lander, che spiega anche a grandi a linee i motivi della scelta, il giorno e il luogo del rilascio sono stati comunicati dal profilo twitter di MASCOT: il 3 ottobre la data prescelta e il punto di atterraggio potete vederlo indicato con la sigla MA-9 nell’immagine a sinistra.

La scelta tiene conto, oltre che delle caratteristiche del suolo, dei possibili rimbalzi che il lander farà per coprire quanta più superficie possibile nelle 15 ore in cui sarà attivo, facendo in modo che in quel periodo la zona risulti illuminata dal Sole. MASCOT non è un rover, infatti, ma ha un meccanismo interno, una sorta di martello, che agevolerà i salti e i rimbalzi, sfruttando la bassa gravità sulla superficie, facendolo rotolare quasi come un… dado truccato.

In questa immagine invece alcuni altri siti previsti, tra i quali il punto L8, che potrebbe essere uno dei punti di discesa della sonda per la raccolta dei campioni. Credit: JAXA/DLR.

Allo stesso modo è stato indicato il punto in cui la sonda Hayabusa 2 potrebbe invece effettuare il primo prelievo, il punto L8 nella mappa qui a destra.

Se tutto andrà come previsto, Hayabusa 2 studierà il grande asteroide dall’orbita per altri 16 mesi e scenderà più volte per raccogliere campioni di materiale, mentre MASCOT e i tre piccoli rover raccoglieranno informazioni dalla superficie dell’asteroide.

«Siamo anche consapevoli [delle difficoltà]: sembra che ci siano grossi macigni sulla maggior parte della superficie di Ryugu e praticamente quasi nessuna superficie di regolite pianeggiante», ha aggiunto il project manager di MASCOT Tra-Mi Ho, del DLR Institute of Space Systems tedesco. «Sebbene scientificamente molto interessante, questa è anche una sfida per un piccolo lander e per la raccolta di campioni».

Il rientro della sonda è previsto per il dicembre del 2019, e arriverà sulla Terra con il suo prezioso carico un anno dopo, a dicembre 2020.

Una panoramica più ampia della superficie dell’asteroide in proiezione, con indicati alcuni dei punti selezionati da esperti delle tre agenzie coinvolte, Jaxa, Drl e Cnes. Credit: JAXA/DLR

 

Confermata la presenza di ghiaccio d’acqua in superficie ai poli della Luna

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L'immagine mostra la distribuzione del ghiaccio d'acqua sul polo sud (a sinistra) e nord (a destra) del nostro satellite naturale. Le macchie azzurre rappresentano il ghiaccio, e sono sovrapposte a un'immagine del suolo lunare in scala di grigi in cui le zone più scure rappresentano le regioni più fredde mentre quelle chiare quelle meno fredde. Si vede come il ghiaccio sia collocato dove le temperature risultano più basse (zone praticamente nere) nelle parti in ombra dei crateri. Crediti: NASA
L’immagine mostra la distribuzione del ghiaccio d’acqua sul polo sud (a sinistra) e nord (a destra) del nostro satellite naturale. Le macchie azzurre rappresentano il ghiaccio, e sono sovrapposte a un’immagine del suolo lunare in scala di grigi in cui le zone più scure rappresentano le regioni più fredde mentre quelle chiare quelle meno fredde. Si vede come il ghiaccio sia collocato dove le temperature risultano più basse (zone praticamente nere) nelle parti in ombra dei crateri. Crediti: NASA

Nelle zone più scure e fredde, ai poli della superficie lunare, un team di scienziati ha osservato in modo diretto prove definitive della presenza di ghiaccio d’acqua.  Depositi di ghiaccio distribuiti in modo irregolare e probabilmente molto antichi, maggiormanete concentrati nel polo su, ma con tracce sparse anche al polo nord.

Il team, guidato da Shuai Li dell’Università delle Hawaii e della Brown University ha utilizzato i dati dello strumento Moon Mineralogy Mapper (M3) della NASA per identificare tre firme specifiche che dimostrano definitivamente che c’è ghiaccio d’acqua sulla superficie della Luna.

Lo strumento M3 si trova a bordo della sonda Chandrayaan-1, lanciata nel 2008 dall’Indian Space Research Organization, ed è destinato unicamente alla rilevazioni di dati per confermare la presenza di ghiaccio d’acqua solido sulla superficie lunare. M3 può infatti non solo osservare e verificare le proprietà riflettive attese dalla superficie ghiacciata, ma anche misurare direttamente il modo distintivo con cui le molecole d’acqua assorbono i raggi infrarossi, potendo così differenziare la forma, solida, liquida o sotto forma di vapore, in cui l’acqua può presentarsi.

La maggior parte del ritrovato di ghiaccio d’acqua giace nell’ombra dei crateri vicino ai poli, dove le temperature più calde non raggiungono mai i -250 gradi Fahrenheit, a causa dell’inclinazione molto piccola dell’asse di rotazione della Luna che impedisce al Sole di raggiungere queste regioni.

Le prime osservazioni avevano trovato prove indirette di presenza di ghiaccio al polo sud lunare, ma potevano essere un fenomeno spiegabile in altri modi, ad esempio una inusuale riflettività del suolo lunare, ora invece la prova è definitiva… c’è ghiaccio d’acqua sulla Luna e potrebbe diventare una risorsa importante per una eventuale colonizzazione umana.

Il ghiaccio in superficie diventa infatti un bacino facilmente utilizzabile per una eventuale esplorazione umana ma anche per installare una postazione fissa, sicuramente più accessibile dell’acqua che si trova al di sotto della superficie.

Con queste premsse, la missione assume velocemente importanza e capire più di questo ghiaccio, come mai si trova lì, da dove proviene e come interagisce con l’ambiente lunare, diventa missione chiave per la NASA e i suoi partner commerciali, impegnati nella programmazione di nuove missioni per tornare ad esplorare di persona il mondo a noi più vicino, la Luna.

I risultati sono stati pubblicati negli Atti della National Academy of Sciences il 20 agosto 2018.


 

Ultime dal Pianeta Rosso. Buon anniversario Curiosity!

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Le due animazioni affiancate mostrano il pianeta Marte, sulla destra ricoperto dalla tempesta di sabbia tutt'ora in corso e a sinistra come invece viene visto nei normali periodi di "sereno" dal Mars Recoinnaisseance Orbiter (MRO). Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Le due animazioni affiancate mostrano il pianeta Marte, sulla destra ricoperto dalla tempesta di sabbia tutt’ora in corso e a sinistra come invece viene visto nei normali periodi di “sereno” dal Mars Recoinnaisseance Orbiter (MRO). Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Monitoraggio amatoriale di Marte con tempesta in corso, pazientemente effettuato dal nostro Francesco Badalotti (astronomicalangrenus.it). Alcune immagini singole le trovate anche nella sua gallery di Photocoelum: https://www.coelum.com/photo-coelum/astroimagers/langrenus 

Marte lo possiamo veder brillare ancora di luce rosso-arancio sull’orizzonte sudest per tutta la sera, reduce della sua Grande Opposizione 2018. Purtroppo osservandolo attraverso un telescopio non ha dato grande soddisfazione agli astrofotografi in attesa, per tutta l’estate è infatti stato quasi completamente coperto da una tempesta di sabbia che ha oscurato le sue principali formazioni, che tanti appassionati speravano di osservare e riprendere con un dettaglio possibile solo ogni 15/17 anni circa. C’è comunque chi continua a monitorarlo, per cogliere quel poco che emerge dalla foschia e magari essere pronto a testimoniare la fine di questa lunga tempesta, che dopo il picco massimo di metà luglio, sembra essere sulla via del diradamento…

Chi di voi si sta comunque divertendo nella ripresa e sta monitorando il fenomeno, è come sempre invitato a condividere anche con noi i suoi risultati su PhotoCoelum, la nostra community di astrofotografi!

Sul suolo e in orbita marziana sono numerose le sonde che monitorano il pianeta e la tempesta in corso, e tra questi c’è il grande rover della NASA Curiosity, che in questi giorni festeggia 6 anni di permanenza sul pianeta rosso!

Indice dei contenuti

Curiosity

 

Arrivato su suolo marziano il 6 agosto del 2012, nonostante i problemi incontrati che a una così grande distanza non sono sempre semplici da risolvere, ha ripreso le trivellazioni del suolo, per analizzare i materiali al di sotto della superficie, e da poco ha ottenuto un nuovo campione nell’area chiamata Vera Rubin Ridge, dedicata all’astronoma statunitense, pionera nella studio delle galassie a alla quale si deve la scoperta della materia oscura.

Le rocce in quest’area si sono dimostrate particolarmente dure, e con un video dedicato agli ultimi risultati della missione, la NASA annuncia nuovi risultati scientifici in arrivo. Ricordiamo che l’ultimo annuncio importante, dei primi di giugno, aveva portato a dimostrare che in quello che era il “l’antico lago Gale” esistevano tutti gli ingredienti necessari per la vita, sia i componenti chimici che le fonti di energia. Per ottenere significativi risultati che ci portino più vicino a capire se sul pianeta rosso ci sia mai stata la vita, dovremo aspettare le prossime missioni, come la russo europea ExoMars. Lo scopo di Curiosity infatti è sempre stato quello di capire invece se Marte avesse o avesse mai avuto un ambiente favorevole alla vita, non oltre, ma siamo sempre pronti a farci stupire!

Opportunity

Un selfie mosaico di Opportunity del 2007  (rilasciata però nel 2012) ci mostra l’ampio ventaglio dei pannelli solari del rover, che ne grantiscono la sopravvivenza e l’operatività, e che in questi mesi sono stati oscurati dalla polvere della tempesta. Crediti NASA

Su Marte però non c’è solo Curiosity, il rover Opportunity, ben più anziano ma ancora in piena attività,  per il momento, proprio a causa della tempesta di sabbia, è ancora silente. L’ultimo valore di tau misurato nella sua regione (l’opacità dell’atmosfera dovuta alla sabbia sollevata dalla tempesta) è di 2,5, ma è un valore molto altalenante, che scende e risale a tratti, anche se ci dice che la tempesta è in via di diradamento (al 10 giugno il valore era infatti di 10,8!). Per poter avere abbastanza luce da ricaricare le sue batterie è necessario che scenda sotto il 2,0, o almeno questa è la previsione degli ingengneri del team missione al JPL (normalmente il rover, per confronto, ha avuto a disposizione una trasparenza con un tau pari a 0,5).

Fortunatamente le temperature, mantenute anche da questa opacità dell’atmosfera, non sono state così basse come si temeva e il rover può ancora riuscire a riprendersi, anche se i danni potrebbero essere notevoli. Tra quando dovesse farsi sentire e quando gli ingegneri saranno davvero in grado di valutarne le condizioni potrebbero passare diverse settimane… in ogni caso quindi non resta che aspettare pazientemente.

Se le avventure di Oppy vi mancano, la NASA ha attivato una pagina in cui potete mandargli una cartolina con un messaggio…

InSight

Un “selfie” interno di Insight, che la navicella ha inviato per dare prova che tutto funziona alla perfezione. L’immagine è stata presa dalla Instrument Context Camera (ICC) del lander e mostra le strutture interne che lo incapsulano all’interno della navicella spaziale. LaBackshell è la struttura che contiene il paracadute e tutto ciò che servirà al lander durante le fasi di ingresso in atmosfera, discesa e atterraggio, proteggendolo dalle forti temperature dell’impatto con l’atmosfera e accompagnandolo fino al suolo. Crediti: NASA/JPL-Caltech

E sul suolo marziano è in arrivo un nuovo abitante, sempre dalla NASA anche se con una significativa partecipazione europea.  Si appresta ad arrivare infatti InSight, che si trova ora oltre la metà del suo viaggio. Ad oggi la navicella spaziale che la trasporta ha percorso 277 milioni di chilometri, e gliene mancano all’incirca 208 per toccare il suolo marziano sulla Elysium Planitia, dove iniziarà la sua missione sullo studio dell’interno del Pianeta Rosso. Il suo acronimo deriva infatti da Interior Exploration using Seismic Investigations, Geodesy and Heat Transport, ovvero studio dell’interno del pianeta attraverso analisi sismiche, di geodesia e del trasporto del calore.

Il suo arrivo è previsto per il prossimo 6 novembre, tutti gli strumenti sono stati testati  con successo e tutto procede nominalmente (ovvero come previsto).
Anche le telecamere del lander funzionano, e hanno ripreso un “selfie interno” della  backshell del lander. Tom Hoffman, project manager di InSight, spiega: «Se sei un ingegnere della missione InSight, il primo sguardo alla calotta di protezione termica, al cablaggio e ai bulloni di copertura è uno spettacolo davvero rassicurante in quanto ci dice che la nostra Instrument Context Camera sta funzionando perfettamente. La prossima foto in programma con questa camera sarà della superficie di Marte».
Se tutto va come previsto, infatti, la ICC scatterà la prima immagine della Elysium Planitia pochi minuti dopo l’atteraggio sul suolo marziano di InSight.

E poi dicono che non c’è vita su Marte! 🙂

Il video della NASA (in inlgese) sugli aggiornamenti riportati e approfonditi


 

Il bolide del sabato sera

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Le due immagini del bolide riprese dalle stazioni Prisma di Trieste (in alto) e di Capua (in basso). Crediti: Progetto Prisma
Le due immagini del bolide riprese dalle stazioni Prisma di Trieste (in alto) e di Capua (in basso). Crediti: Progetto Prisma

Era una lacrima di San Lorenzo di quelle memorabili, di quelle che un solo desiderio non basta, quella che ha solcato ieri sera i cieli sopra la Romagna e le Marche. Un bolide come raramente capita di vederne. Questa volta, invece, complici l’intensa luminosità, l’orario che più comodo non si potrebbe (attorno alle 21) e il fatto che fosse un sabato estivo, a vederlo sono stati in tantissimi, come si intuisce dalle numerose segnalazioni che stanno fioccando in rete. E c’è anche chi è riuscito a immortalarlo, malgrado fosse molto basso sull’orizzonte. Si tratta di due delle circa cinquanta stazioni della rete del progetto Prisma, la Prima rete per la sorveglianza sistematica di meteore e atmosfera: quella di Trieste e quella di Capua, dice a Media Inaf il coordinatore nazionale del progetto Prisma, Daniele Gardiol dell’Inaf di Torino.

Dove sono ospitate queste stazioni, su quali edifici?

«Quella di Trieste è collocata presso la sede Inaf di Basovizza del locale Osservatorio astronomico, mentre quella di Capua – entrata in funzione all’inizio di agosto – è situata sull’edificio del Cira, il Centro italiano ricerche aerospaziali, che ha aderito a Prisma di recente. Purtroppo la zona dell’evento non è ancora coperta dalle camere Prisma».

Siete già in grado di dire se si tratta di una “lacrima di San Lorenzo”, ovvero se è una stella cadente appartenente allo sciame meteorico delle Perseidi?

«Il gruppo di lavoro su astrometria e traiettorie è al lavoro e il project office di Prisma sta seguendo l’evoluzione. La posizione delle camere che hanno rilevato l’evento non è ottimale per determinare la traiettoria in modo preciso. Secondo le prime stime possiamo dire che la direzione della meteora, orientata da est verso ovest, è compatibile con un’origine dal radiante delle Perseidi».

Dall’intensità, si può pensare che qualche frammento sia arrivato a terra?

«Su questo non possiamo ancora essere conclusivi. Sembrerebbe comunque che eventuali frammenti siano destinati a cadere in mare. Per sicurezza, suggeriamo tuttavia agli abitanti della costa adriatica – e in particolare della Romagna e delle Marche – di dare un’occhiata in giardino per vedere se nella notte è comparso un sasso lucido e scuro! Per eventuali segnalazioni si può scrivere a prisma_po@inaf.it, inviando possibilmente una breve descrizione e delle fotografie da diverse angolazioni».

Ve ne stanno arrivando molte, di segnalazioni?

«Su questo specifico bolide abbiamo già ricevuto oltre 20 segnalazioni, e altre continuano a giungerci in queste ore, senza contare quelle che provengono da Croazia e Slovenia. Abbiamo da qualche tempo messo a disposizione sul sito internet del progetto Prisma la possibilità di fare segnalazioni visuali mediante una procedura guidata, in collaborazione con l’International Meteor Organization, sul cui sito c’è una pagina dedicata per seguire in tempo reale gli aggiornamenti sull’evento di ieri. Stiamo attualmente vagliando e inserendo tutte le segnalazioni, per cui rimanete sintonizzati!».


 

Unione Astrofili Senesi

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10.08, ore 21:30: Calici di stelle al castello di Montarrenti. Anche quest’anno l’associazione partecipa all’evento nazionale “Calici di stelle”.Osservatorio aperto al pubblico per una serata osservativa dedicata in particolare alle meteore dello sciame delle Perseidi, anche se sarà possibile osservare altri oggetti del cielo del periodo. Prenotazione obbligatoria.

Il Cielo del Mese. Ogni primo giovedì del mese, ritrovo a Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola ”Palmiero Capannoli”. In caso di tempo incerto verificare al numero 3388861549 (Davide Scutumella).
04.08, ore 21:30: Il Cielo di Agosto.

Il cielo al castello di Montarrenti. Serate osservative ogni secondo e quarto venerdì del mese. Prenotazione obbligatoria.
24.08, ore 21:30: Serata dedicata al cielo estivo: protagonisti gli ammassi stellari (sia globulari che aperti) e i pianeti Marte e Saturno.
Per le prenotazioni: tramite il sito oppure inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) o un sms al 3482650891 (Giorgio).

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Tre giorni con Giove, Zubenelgenubi e Luna

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Questa congiunzione ci riporta alla mente il recente incontro del re dei pianeti del Sistema Solare con la stella alfa della Bilancia, avvenuto a inizio giugno. I soggetti sono proprio gli stessi, Giove (mag. –2,0) e Zubenelgenubi (mag. +2,8).

Dopo il sorpasso del pianeta subito dalla stella, avvenuto a inizio giugno, Giove ha invertito il moto, passando da retrogrado a diretto, tornando ad avvicinare la stella. Il 15 agosto si troverà a circa 36’ a nord di Alfa Librae. Li vedremo emergere nel finire del crepuscolo della sera ancora alti in cielo e dovremo aspettare all’incirca le 22/22:30 per riprenderli nella cornice del paesaggio. Tramonteranno quindi intorno alle 23 dietro l’orizzonte ovest-sudovest.

Ricordiamo che lo stesso giorno, solo poco più di un’ora prima, sull’orizzonte ovest-sudovest si starà concludendo la danza di Luna, Venere e Spica, con Venere che tramonterà proprio attorno alle 22.

Il giorno 16 agosto invece potremo notare la Luna avvicinarsi alla coppia ma sarà il 17 il giorno della congiunzione vera e propria (comunque piuttosto larga), con il nostro satellite naturale che si posizionerà a poco meno di 5° a nord-nordovest di Giove.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Luglio 2018

➜ La LUNA di luglio e agosto.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione a nord del mare Crisium fino al cratere Mercurius

➜ Scopri le costellazioni del Cielo di luglio e agosto con la UAI, che questo mese ci porta “a Est di Deneb”

➜ Mentre questo mese Stefano Schirinzi ci racconta la costellazione del Drago (I parte)

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Parker Solar Probe: è partita la sonda che toccherà il Sole

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Una rappresentazione artistica della sonda Parker Solar Probe
Una rappresentazione artistica della sonda Parker Solar Probe. Crediti: NASA

Dopo 8 lunghi anni di duro lavoro, per ingegneri e scienziati della NASA il grande momento è finalmente arrivato: il lancio della Parker Solar Probe, la sonda che per i prossimi 7 anni promette di raccontarci il Sole come nessun’altra missione prima. La partenza, inizialmente fissata per sabato 11 agosto 2018 alle 9:33 ora italiana, è infine slittata di 24 ore circa, a causa di un problema tecnico che ha impedito le operazioni di lancio, bloccando il countodwn. La sonda è correttamente decollata il 12 agosto alle 9:31 ora italiana.

«Here we go», ci siamo! Alle 3:31 di domenica 12 agosto, ora locale, le parole di Eugene Parker risuonano chiare in mezzo al crepitio lontano dei razzi e alle grida di entusiasmo dei responsabili della missione Parker Solar Probe, mentre la fiammata potente della loro creatura rischiara la notte attorno allo Space Launch Complex-37 nella base aeronautica di Cape Canaveral, in Florida. Pesante poco più di 600 chilogrammi (più o meno quanto una piccola automobile), la Parker Solar Probe è partita a bordo di uno dei razzi più potenti mai creati, lo United Launch Alliance Delta IV Heavy, in grado di sprigionare al momento del decollo un’energia 55 volte superiore a quella necessaria per raggiungere il pianeta Marte.

Eugene Parker
Eugene Parker (seduto) guarda il lancio della missione Parker Solar Probe, a Cape Canaveral. Dietro di lui, Nicky Fox, project scientist di Parker Solar Probe al Johns Hopkins Applied Physics Laboratory. Crediti: Nasa/Glenn Benson

Classe 1927, Eugene Parker è il fisico che per primo teorizzò l’esistenza del vento solare nel 1958. Ora, a sessant’anni di distanza, è stato il primo a vedere partire una missione spaziale che porta il proprio nome.

Durante la prima settimana di crociera, la navicella spaziale dispiegherà l’antenna ad alto guadagno e l’asta del magnetometro. Inoltre eseguirà la prima parte del dispiegamento delle antenne per le misure di campo elettrico. La verifica degli strumenti inizierà ai primi di settembre e durerà circa quattro settimane, prima di entrare nella fase operativa scientifica vera e propria.

Nei prossimi due mesi la Parker Solar Probe volerà verso Venere, dove è previsto che esegua la prima manovra di spinta assistita dalla gravità all’inizio di ottobre: un giro attorno al pianeta che produrrà un effetto fionda sulla sonda, dirigendola in un’orbita più stretta intorno al Sole.
Questo primo flyby di Venere permetterà alla Parker Solar Probe di volare a circa 24 milioni di chilometri dal Sole (ai primi di novembre). Sembra lontano, ma in realtà è un punto già dentro l’ardente atmosfera solare, la corona, là dove nessuna sonda si è spinta finora.

Le orbite di Parker Solar Probe attorno al Sole – NASA
Le orbite di Parker Solar Probe attorno al Sole. Crediti: NASA

Parker Solar Probe è una sonda progettata per “toccare il Sole”… Ma cosa significa? Con le sue 24 orbite, si avvicinerà fino a 6,1 milioni di chilometri di distanza dalla fotosfera del Sole – davvero molto vicino, dunque – e studierà lo strato esterno dell’atmosfera solare, cioè la corona.
Arriverà a destinazione con un’orbita ellittica toccando i 692.000 chilometri orari: quanto basta per coprire la distanza Roma-Napoli in un secondo! E si tratta di un record: sarà la sonda più veloce ad aver mai viaggiato attraverso il Sistema Solare nella storia dell’esplorazione spaziale.

Ma come farà la sonda a rallentare in prossimità del Sole? Gli ingegneri hanno pensato a tutto: la gravità, come sempre, viene in aiuto e fungerà da “freno” per la sonda. Quando sarà vicina al pianeta Venere, la sonda sfrutterà l’attrazione gravitazionale del pianeta per frenare e raddrizzare la traiettoria finale, ma saranno necessarie ben 7 orbite per effettuare questa delicata manovra. Il rischio è di mandare “in cenere” la sonda… nel vero senso del termine!

Schema dello scudo termico con la sezione, in dettaglio, nel circoletto a detsra. Crediti: Greg Stanley/Johns Hopkins University

«La Nasa ha pensato per decenni all’invio di una missione per lo studio della corona solare, ma non c’era la tecnologia necessaria per proteggere la sonda e gli strumenti dal calore solare», spiega Adam Szabo, del team scientifico della missione per il Goddard Space Flight Center. Gli anni successivi hanno portato a ritrovati tecnologici in grado di garantire – si spera – la sopravvivenza della sonda per ben 7 anni a oltre 1.300 °C. Lo scudo termico da 2,4 metri di diametro, rivolto verso il Sole, proteggerà gli strumenti di bordo, mantenendoli sul lato “al fresco” della sonda a una temperatura attorno ai 30 °C. Le pareti esterne dello scudo termico sono realizzate in fogli di fibra di carbonio, un materiale leggero con proprietà meccaniche eccellenti, particolarmente adatte alle alte temperature (e “alte” qui è un eufemismo da terrestri). Spessi circa 2,5 millimetri, i due fogli sono separati da 11 centimetri di schiuma di carbonio, materiale in genere utilizzato nel settore medico per la sostituzione delle ossa. Questo design “a sandwich” rinforza la struttura e allo stesso tempo alleggerisce il peso dello scudo termico: solo 72 chilogrammi.

La sonda Parker Solar Probe fotografata il 6 luglio scorso presso il centro Astrotech Space Operations a Titusville, in Florida, dopo l’installazione del suo scudo termico. Crediti: NASA/Johns Hopkins APL/Ed Whitman

Insieme a tutti i suoi tecnologici strumenti scientifici, la sonda porterà attorno alla stella 1.137.202 nomi di persone e una placca dedicata proprio a Eugene Parker, a cui è dedicata la missione. Nella memory card ci sono anche alcune sue fotografie e una copia di un suo articolo scientifico sul vento solare risalente al 1958.

La sonda studierà il violento flusso di particelle cariche che dal Sole arriva sulla Terra, cioè il vento solare emesso dalla corona, dove vengono registrate temperature di quasi 2 milioni di gradi. Gli scienziati vogliono capire come avviene il riscaldamento della corona e l’accelerazione del vento solare, e sono interessati anche nell’identificazione delle regioni di origine dei differenti tipi di vento solare. Un altro obiettivo è capire come vengono accelerati i raggi cosmici di origine solare.

Con questa storica missione, fisici e astrofisici riusciranno a risolvere alcuni dei più grandi misteri sul nostro Sole. I dati potrebbero anche migliorare le previsioni delle principali eruzioni sul Sole e dei conseguenti eventi meteorologici spaziali che hanno un importante impatto sulla vita sulla Terra, così come sul funzionamento dei satelliti geostazionari e sul lavoro degli astronauti nello spazio.


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Gruppo Astrofili Vicentini “G. Abetti”

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Tutti i martedì sera, dalle 21:00 alle 23:00, presso l’Osservatorio Astronomico “G. Beltrame” in Via S. Giustina 127 ad Arcugnano (VI): Osservazione pubblica del cielo.
L’osservatorio sarà aperto al pubblico. La partecipazione è gratuita e non è necessario prenotare. Durante le aperture al pubblico verranno effettuate anche delle mini conferenze e dei mini corsi i cui contenuti saranno pubblicati di volta in volta sui vari canali social del nostro gruppo e sul Giornale di Vicenza. L’apertura avrà luogo con qualsiasi tempo.

11.08 dalle ore 21:00 alle 23:30: La notte delle stelle cadenti – Calici di stelle in Osservatorio
Osservazione del cielo dal piazzale del nostro Osservatorio, con i telescopi dei soci. Osserveremo in visuale le meteore, le cosiddette “stelle cadenti”. Durante la serata si potranno degustare ottimi calici di vino e spumante, gentilmente offerti dai soci.
Astrorazzo all’Osservatorio Astrofisico di Asiago
28.08, dalle 9.30 alle 12:30 e dalle 14:40 alle 18:00. I ragazzi dai 6 ai 14 anni potranno costruire il proprio razzo dotato di endoreattore a propellente solido e lanciarlo in tutta sicurezza. I ragazzi devono essere accompagnati da un genitore. Prenotazione obbligatoria entro il 31 luglio, i posti sono limitati.
Info prenotazioni e costi: visite.asiago@oapd.inaf.it. SIT (sportello informazioni turstiche): 0424 462221. In caso di maltempo l’evento verrà rinviato a domenica 2 settembre.

www.astrofilivicentini.it

Unione Astrofili Senesi

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10.08, ore 21:30: Calici di stelle al castello di Montarrenti. Anche quest’anno l’associazione partecipa all’evento nazionale “Calici di stelle”.Osservatorio aperto al pubblico per una serata osservativa dedicata in particolare alle meteore dello sciame delle Perseidi, anche se sarà possibile osservare altri oggetti del cielo del periodo. Prenotazione obbligatoria.

Il Cielo del Mese. Ogni primo giovedì del mese, ritrovo a Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola ”Palmiero Capannoli”. In caso di tempo incerto verificare al numero 3388861549 (Davide Scutumella).
04.08, ore 21:30: Il Cielo di Agosto.

Il cielo al castello di Montarrenti. Serate osservative ogni secondo e quarto venerdì del mese. Prenotazione obbligatoria.
24.08, ore 21:30: Serata dedicata al cielo estivo: protagonisti gli ammassi stellari (sia globulari che aperti) e i pianeti Marte e Saturno.
Per le prenotazioni: tramite il sito oppure inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) o un sms al 3482650891 (Giorgio).

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Unione Astrofili Italiani

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Tutti i primi lunedì del mese: UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
http://telescopioremoto.uai.it

Le campagne nazionali UAI

10-12 agosto Le Notti delle Stelle
Il più atteso appuntamento dell’estate astronomica durante il quale le associazioni astrofile proporranno una o più serate dedicate all’osservazione delle Perseidi. L’iniziativa è abbinata a “Calici di Stelle” manifestazione enogastronomica promossa il 10 agosto dal Movimento Turismo del Vino e dall’Associazione Nazionale Città del Vino.
http://divulgazione.uai.it

Astronomiamo

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astronomiamo

10.08, ore 22:30: Cielo in PIazza a Supino (FR)

Info: http://www.astronomiamo.it/

Transiti notevoli della ISS per il mese di agosto 2018

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ISS bianconi
Una ripresa a colori della Stazione Spaziale Internazionale. Crediti: Alessandro Bianconi.

La ISS – Stazione Spaziale Internazionale, per il mese di agosto, sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari serali, quindi senza l’obbligo della sveglia al mattino prima dell’alba, eccetto per l’ultimo passaggio. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.

Come sempre gli orari sono calcolati per una località in Centro Italia, e con notevole anticipo, possono quindi differire per qualche minuto. Si consiglia sempre di consultare uno dei tanti programmi online o app gratuiti, impostato per la propria località, in prossimità dell’evento.

Si inizierà il giorno 4 agosto, dalle 21:58 alle 22:05, osservando da NO a E. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3,6. Si inizia da subito con uno dei transiti migliori del mese.

Si replica il 6 agosto, dalle 21:50 verso ONO alle 21:57 verso SSE. Visibilità migliore dalle regioni occidentali del nostro Paese, con magnitudine di picco a -3,5.

Tragitto della Stazione Spaziale la notte del 7 agosto, vista da una località in Centro Italia, costa tirrenica. Generato da Heavens-Above.com. Cliccare per ingrandire.

Passiamo al giorno 7 agosto, dalle 20:58 in direzione NO alle 21:06 in direzione ESE. Osservabile nuovamente al meglio da tutto il Paese, con una magnitudine massima di -3,8. Sperando come sempre in cieli sereni per il miglior transito del mese.

Il penultimo si avrà il giorno 9 agosto, dalle 20:50 da ONO alle 20:59 a SE, con magnitudine massima a -3,0. Osservabile ancora una volta, al meglio, dall’occidente italiano.

L’ultimo transito del mese, il 30 agosto, sarà il preannunciato mattutino. Dalle 05:41 alle 05:50, da SSO a ENE. Magnitudine di picco a -3,0. Passaggio osservabile al meglio dal Centro-Sud, ma che se visto dal centro, transiterà nella costellazione di Orione, che ricompare nuovamente al mattino prima dell’alba.

Giorno

Ora Inizio

Direzione

Ora Fine

Direzione

Magnitudine

04

21:58

NO

22:05

E

-3.6

06

21:50

ONO

21:57

SSE

-3.5

07

20:57

NO

21:06

ESE

-3.8

09

20:51

ONO

20:59

SE

-3.0

30

05:41

SSO

05:50

ENE

-3.0

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel Centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.


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Niente superstiti per la supernova di Keplero

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Il 9 ottobre 1604, gli osservatori del cielo - incluso l'astronomo Johannes Kepler, avvistarono una "nuova stella" nel cielo occidentale, rivaleggiando per splendore con i pianeti vicini. Ora gli astronomi hanno utilizzato i telescopi spaziali Spitzer, Hubble e Chandra-X per analizzare il residuo di supernova nella luce infrarossa, ottica e ai raggi X. Crediti: NASA/ESA/JHU/R.Sankrit & W.Blair
Il 9 ottobre 1604, gli osservatori del cielo – incluso l’astronomo Johannes Kepler, avvistarono una “nuova stella” nel cielo occidentale, rivaleggiando per splendore con i pianeti vicini. Ora gli astronomi hanno utilizzato i telescopi spaziali Spitzer, Hubble e Chandra-X per analizzare il residuo di supernova nella luce infrarossa, ottica e ai raggi X. Crediti: NASA/ESA/JHU/R.Sankrit & W.Blair

La supernova di Keplero sembra non aver lasciato resti stellari attorno a sé oltre quelli che oggi possiamo ammirare, ovvero una struttura nebulosa di gas e polveri in direzione della costellazione di Ofiuco, a 16.300 anni luce dal Sole. Queste sono le conclusioni a cui è giunto un team internazionale di ricercatori, guidato da Pilar Ruiz-Lapuente dell’Università di Barcellona, che ha cercato di trovare le tracce del sistema stellare binario dal quale si è generata l’immane esplosione.

Nei sistemi stellari binari, una delle stelle della coppia, quando raggiunge la fine del suo ciclo evolutivo e diventa una nana bianca, può iniziare a catturare del materiale dalla compagna fino a raggiungere una certa massa limite (equivalente a 1,44 masse solari, il cosiddetto “limite di Chandrasekhar”). Questo processo porta alla fusione del carbonio nel nucleo della nana bianca, producendo un’esplosione che può moltiplicare 100 mila volte la luminosità iniziale della stella. Il fenomeno, tanto breve quanto violento, è noto come supernova. A volte un evento di supernova può essere addirittura visibile ad occhio nudo dalla Terra, proprio come nel caso della supernova osservata e identificata dall’astronomo tedesco Giovanni Keplero nel 1604.

Le attuali teorie suggeriscono che la supernova di Keplero venne prodotta dall’esplosione di una nana bianca in un sistema binario. Per questo nella ricerca pubblicata sulla rivista The Astrophysical Journal, il team ha cercato la possibile stella superstite del duo stellare che avrebbe trasferito massa alla nana bianca, portandola quindi ad esplodere. L’impatto di questa esplosione avrebbe aumentato la luminosità e la velocità dell’eventuale compagno superstite, che sarebbe stato scaraventato nello spazio circostante, ma potrebbe persino averne modificato la sua composizione chimica. I ricercatori sono quindi andati alla ricerca di stelle con qualche anomalia che avrebbe permesso loro di identificare il possibile compagno della nana bianca esplosa 414 anni fa.

Per svolgere questa indagine, sono state utilizzate le immagini riprese con il Telescopio Spaziale Hubble della NASA. «L’obiettivo era quello di determinare i moti di un gruppo di 32 stelle in tutta la regione del resto di supernova che tutt’oggi osserviamo», dice Luigi Bedin, astronomo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Padova e coautore dell’articolo. I ricercatori hanno anche utilizzato i dati dallo strumento Flames, installato al Very Large Telescope (VLT), dell’ESO in Cile.

«Abbiamo cercato – spiega Pilar Ruiz-Lapuente, ricercatrice presso l’Istituto di Scienze del Cosmo di Barcellona (Ub-Ieec) e il Consiglio Superiore per la Ricerca Scientifica (Csic) – una stella peculiare quale possibile compagna del progenitore della supernova di Keplero, e per questo abbiamo caratterizzato tutte le stelle in prossimità del resto della supernova Sn 1604. Ma non ne abbiamo trovato nessuna con le caratteristiche attese. Quindi tutto indica che l’esplosione stata è causata dalla fusione della nana bianca con un’altra nana bianca oppure con il nucleo stellare di una compagna già evoluta».


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Il passato irrequieto del Sole

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Illustrazione raffigurante il disco solare primordiale. Nell’inserto un cristallo di hibonite blu, uno dei primi minerali a formarsi nel Sistema solare. Crediti: Field Museum, University of Chicago, Nasa, Esa, and E. Feild (STScl)
Illustrazione raffigurante il disco solare primordiale. Nell’inserto un cristallo di hibonite blu, uno dei primi minerali a formarsi nel Sistema solare. Crediti: Field Museum, University of Chicago, Nasa, Esa, and E. Feild (STScl)

Il Sole è oggi una stella matura e calma ma cosa possiamo dire della sua prima gioventù? Nato 4,6 miliardi di anni fa in seguito al collasso di una densa nube di gas e polveri, i suoi primi anni rimangono un vero mistero per noi, considerando che la Terra si è formata circa 50 milioni di anni più tardi. Risulta quindi difficile trovare materiali che risalgono ai primi giorni di vita del Sole.

Un nuovo studio, pubblicato su Nature Astronomy, ha preso in considerazione l’analisi di microscopici cristalli blu intrappolati in antiche meteoriti, cristalli così vecchi da poter rivelare com’era il Sole primitivo. E l’immagine che ne esce è quella di un Sole piuttosto turbolento e irrequieto: «Il Sole era molto attivo durante i suoi primi anni di vita, con eruzioni frequenti, ed emetteva un flusso più intenso di particelle cariche» dice Philipp Heck, professore all’Università di Chicago e coautore dello studio. «Quasi nulla nel Sistema Solare è abbastanza vecchio da confermare realmente l’attività del Sole primordiale, ma questi minerali provenienti dalle meteoriti nelle collezioni del Field Museum sono sufficientemente antichi. Probabilmente sono i primi minerali che si sono formati nel Sistema Solare».

Un minuscolo cristallo di hibonite blu proveniente dal meteorite Murchison. Crediti: Andy Davis, University of Chicago

I minerali che Heck e i suoi colleghi hanno osservato sono microscopici cristalli blu chiamati hibonite: la loro composizione reca segni distintivi delle reazioni chimiche possibili solo in presenza di un Sole fortemente attivo per ciò che riguarda l’emissione di particelle energetiche.

«Questi cristalli si sono formati oltre 4,5 miliardi di anni fa e conservano la registrazione di alcuni dei primi eventi che hanno avuto luogo nel nostro Sistema Solare. E anche se sono così piccoli – molti hanno un diametro di meno di 100 micron – sono in grado di trattenere i gas nobili altamente volatili prodotti dall’irradiazione del giovane Sole», spiega l’autrice principale Levke Kööp, post-doc all’Università di Chicago e affiliata al Field Museum.

Nei suoi primi giorni, prima che si formassero i pianeti, il Sistema Solare era costituito da un enorme disco di gas e polvere che spiraleggiava attorno al Sole. La regione più vicina alla nostra stella era molto calda, con temperature che superavano i 1.500 °C. Quando il disco protoplanetario iniziò a raffreddarsi, si formarono i primi minerali, tra cui i cristalli di hibonite blu, che contengono calcio e l’alluminio. Proprio questi atomi, sottoposti al bombardamento di particelle energetiche provenienti dal giovane Sole, si sono divisi in atomi più piccoli, neon ed elio. Questi gas nobili sono rimasti intrappolati all’interno dei cristalli per miliardi di anni. I cristalli di hibonite sono poi stati incorporati in rocce spaziali che alla fine caddero sulla Terra come meteoriti.

Levke Kööp, l’autrice principale, in laboratorio. Crediti: Field Museum

I ricercatori, nel tempo, hanno esaminato più volte le meteoriti alla ricerca dei segni di un giovane Sole attivo, ma senza trovare nulla. Però Kööp osserva: «Se gli scienziati non li hanno visti in passato, non significa che non fossero lì! Potrebbe semplicemente indicare che non avessero strumenti abbastanza sensibili per trovarli». E infatti lo strumento utilizzato da Kööp, Heck e colleghi ha fatto la differenza: un enorme spettrometro di massa all’avanguardia, in grado di rilevare l’elio e il neon rilasciati da un grano di hibonite colpito da un laser. «Abbiamo ottenuto un segnale sorprendentemente chiaro, che mostra la presenza di elio e neon: è stato sorprendente» afferma Kööp.

Il rilevamento di elio e neon fornisce la prima prova concreta dell’attività precoce del Sole, ma non solo: diversamente da altri indizi della forte attività del giovane Sole rispetto a oggi, la composizione dei cristalli di hibonite non consente altre buone spiegazioni. «È sempre bello vedere un risultato che può essere interpretato chiaramente. Più semplice è una spiegazione, maggiore è la fiducia che abbiamo in essa», dichiara Heck, e conclude: «Ciò che ritengo eccitante è che questo ci parla delle condizioni nel Sistema Solare primitivo e, infine, conferma un sospetto di vecchia data. Se comprendiamo meglio il passato, acquisiremo una migliore comprensione della fisica e della chimica del nostro mondo».


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La Luna di Agosto e una guida alla regione del cratere Deslandres

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Le fasi della Luna in agosto, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

Dopo aver chiuso il mese di luglio in fase di 18,8 giorni, sarà in Ultimo Quarto alle 20:18 del 4 agosto, proseguendo poi la Fase Calante fino al Novilunio del giorno 11 alle 11:58. Ripresa la Fase Crescente, avremo il Primo Quarto alle 09:49 del giorno 18 mentre il Plenilunio verrà raggiunto alle 13:56 del 26 agosto col nostro satellite ancora abbondantemente sotto l’orizzonte, a –57°.

Infine agosto terminerà con la Luna che l’ultima sera del mese, in fase di 20 giorni, sorgerà alle 22:38 preceduta dal pianeta Urano (separazione di 8°) fra le stelle della Balena.

Indice dei contenuti

Continua su la Luna di Luglio e Agosto 2018

Ad agosto osserviamo

18 agosto. La Massima Librazione sul bordo sudest

Nella serata del 18 agosto, dopo le 21:00, col nostro satellite in fase di 7,38 giorni (Colong. 359,1°; frazione illuminata 54,9%), il punto di massima Librazione verrà a trovarsi nel settore sudest, lungo il bordo lunare in prossimità del margine settentrionale del mare Australe. Se le condizioni meteo saranno favorevoli, unitamente a un seeing almeno decente, dovrebbe essere possibile osservare una porzione della superficie lunare sul confine con l’altro emisfero, nella zona dei crateri Jenner (diametro 71 km) e Lamb (diametro 106 km).

19 e 20 agosto. Il Cratere Deslandres

La seconda proposta ci porterà nell’angolo sudest del mare Nubium dove nelle serate del 19 e 20 agosto andremo a osservare il notevole e variegato cratere Deslandres di circa 240 km di diametro. Anche in questo caso si è optato per le due serate consecutive, in quanto la visibilità delle strutture superficiali sarà in relazione al transito del terminatore lunare, con la possibilità di percepire anche i più fini dettagli al variare dell’illuminazione solare.

➜ Continua alla prossima pagina.

23 e 24 agosto. La Mons Rumker

L’appuntamento per l’ultima proposta estiva è per le serate del 23 e 24 agosto, nel settore nordoccidentale dell’oceanus Procellarum, dove il nostro target sarà il Mons Rumker, un notevole rilievo montuoso con diametro di 70 km di origine vulcanica isolato in questa sterminata pianura.

➜ Continua su La Mons Rumker

Effemeridi complete giornaliere della Luna sul Cielo di Agosto

Leggi anche

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna

➜  Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n. 211

E tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione basta attendere il momento giusto!

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E ancora, sempre su Coelum Astronomia n. 223

➜ Catch the Iridium! Un appello per tutti gli astrofotografi, riprendiamo gli iridium flare prima che… scompaiano!

Gobba a levante… Venere crescente!


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Perseidi: la Notte delle Stelle Cadenti – Cielo di Agosto 2018

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42° - Long. 12°E La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 31 Luglio > 00:00; 15 Agosto > 23:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Indice dei contenuti

EFFEMERIDI
(mar. – ott. 2018)

Luna

Sole e Pianeti

Da metà agosto, Andromeda e il quadrato di Pegaso saranno già molto alti verso sudest, mentre a ovest, sempre più basso, si preparerà a salutarci il Boote con la brillante Arturo. A fine agosto, già prima della mezzanotte, si potrà assistere al sorgere delle “sette sorelle”, le Pleiadi.

➜ Scopri le costellazioni del Cielo di luglio e agosto con la UAI, che questo mese ci porta a Est di Deneb

➜ Mentre questo mese Stefano Schirinzi ci racconta la costellazione del Drago (I parte)

IL SOLE

Negli ultimi giorni di agosto, la nostra stella nel passare al meridiano raggiungerà (alla latitudine di 42° N) un’altezza dall’orizzonte di poco superiore ai +56°, contro i +70° di metà luglio. Ciò si tradurrà in un sostanzioso aumento delle ore utili all’osservazione degli oggetti del cielo profondo, così che se a fine luglio la notte astronomica aveva una durata di sole 5 ore e tre quarti, a fine agosto si arriverà alle 7 ore e mezza.

COSA OFFRE IL CIELO

Prosegue anche in agosto la condizione di ottima osservabilità serale di Venere, nonostante la sua altezza stia visibilmente calando.

➜ Gobba a levante… Venere crescente!

Giove, invertito il moto, ricomincerà il suo avvicinamento a Zubenelgenubi, la stella alfa della Bilancia, dove lo troveremo nella prima parte della notte. Sarà come tornare ai primi di giugno… Saturno anche lui presente, seppure in diminuzione di luminosità. Ricordiamo che il campo stellare in cui si trova è davvero molto suggestivo e si potrebbero tentare delle riprese che abbraccino il pianeta e le vicine nebulose Laguna (M 8) e Trifida (M 20): Saturno si troverà a circa 2° a nordest di esse.

➜ Il Cielo di Luglio e Agosto su Coelum Astronomia 224

Il mese rimane comunque all’insegna di Marte, il pianeta che sta dominando questa nostra estate 2018, con una Grande Opposizione che ce lo mostra come lo rivedremo solo nel 2035. La tempesta di sabbia non è ancora passata ma non sta fermando chi si dedica all’alta risoluzione.  Dopo aver raggiunto l’opposizione lo scorso 27 luglio, continueremo a vederlo brillante di luce arancione, la sera ancora per tutto agosto, basso sull’orizzonte sudest.

Ma l’evento che riempirà le bacheche della prima metà del mese sarà, come ogni anno, il passaggio dello sciame delle Perseidi.

LE PERSEIDI: le “stelle cadenti” nel 2018

Come negli anni precedenti, nemmeno l’appuntamento con le Perseidi del 2018 promette uno spettacolo fuori dal comune: non c’è da aspettarsi una vera e propria “pioggia” di meteore (come è avvenuto altre volte in passato), ma lo sfuggente spettacolo offerto anche da poche “stelle cadenti”, magari brillanti e colorate, è di sicuro effetto e in grado di suscitare forti emozioni e di lasciare nella memoria ricordi indelebili.

Il picco di massima attività di quest’anno si avrà nella notte tra il 12 e il 13 agosto, a partire dalle ore 22:00, anche se occasionali meteore appartenenti allo sciame potranno essere avvistate in tutta la prima parte del mese.

Le attese sono per uno ZHR (Zenithal Hourly Rate, Tasso Orario Zenitale) pari a 110 (un po’ meglio rispetto all’anno scorso), ossia si prevede una quantità di meteore pari a 110 ogni ora. Alcune previsioni parlano della possibilità di incontrare un “filamento di Perseidi”, una concentrazione che potrebbe portare a un intensificarsi dell’attività proprio il 12 agosto: sarà tutto da verificare ma aspettiamo i vostri eventuali report osservativi!

➜ Continua a leggere su Le Perseidi: le “stelle cadenti” nel 2018

Per la ripresa e l’osservazione, e per approfondire il tema, consigliamo sempre una serie di articoli usciti nelle precedenti edizioni:

➜ Fotografiamo le Perseidi di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia 213

➜ Dopo 2000 anni… ancora le Perseidi di Remondino Chavez su Coelum Astronomia 202

➜ Ci vediamo tra un anno un racconto breve di Ugo Ercolani su Coelum Astronomia 202

➜ Come riprendere le Perseidi con uno smartphone! di Sebina Pulvirenti su Coelum Astronomia 202

➜ Come riprendere le Perseidi con la Reflex o il CCD di Daniele Gasparri su Coelum Astronomia 202

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E ancora…

ISS 2 bianconi

➜ Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS ad agosto

➜ Comete. La vecchia conoscenza e la giovane promessa

➜ La LUNA di luglio e agosto.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione a nord del mare Crisium fino al cratere Mercurius

e il Calendario di tutti gli eventi di maggio 2018, giorno per giorno

Da Coelum astronomia 223 non dimentichiamo invece Catch the Iridium! Un appello per tutti gli astrofotografi, riprendiamo gli iridium flare prima che… scompaiano!


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Luglio e Agosto su Coelum Astronomia 224

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27 luglio. La lunga Eclissi Totale di Luna con un Marte più bello che mai! Tutto quello che serve sapere

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27 luglio

 

Una Notte in Rosso

 

La notte della Luna Rossa accompagnata dal Pianeta Rosso al suo meglio!

Ormai lo sapete, venerdì sera, 27 luglio, la Luna sorgerà eclissata, in una lunghissima eclisse totale. Assumerà una colorazione rossastra per poco più di un’ora e quaranta minuti, prima di uscire lentamente dall’ombra della nostra Terra. Trovate tutti i dettagli per l’osservazione su:

27 luglio 2018 Eclisse Totale di Luna

E in tutto questo la Luna non sarà sola, ma accompagnata da Marte, in quella che sarà una delle migliori opposizioni come non vedevamo dal 2003 (e non vedremo fino al 2035!). E ce lo racconta bene, con tanti dettagli, Gabriele Marini su:

Marte La Grande Opposizione del 2018

E quindi? Cosa significa? Che, come vi sarete già accorti da soli vedendolo brillare sull’orizzonte sudest di luce inconfondibilmente arrossata, il Pianeta Rosso sta diventando sempre più luminoso e grande all’osservazione al telescopio ma anche a occhio nudo.

Il giorno 27 raggiungerà l’opposizione geometrica rispetto al Sole (e quindi il massimo dell’illuminazione), mentre il giorno 31 sarà nel punto della sua orbita più vicino alla Terra (e quindi con il diametro angolare più grande).

Insomma, non una qualsiasi congiunzione… il 27 sera vedremo Marte bello come non mai e a soli 4° dalla Luna Rossa!

Non mancheranno come sempre in queste sere, Saturno e Giove poco più in là, ancora alti in cielo.

Un’occasione da non perdere!

Dove osservarla?

Basta alzare gli occhi al cielo, ovviamente, anche dal centro città! A patto di avere l’orizzonte sudest libero, perchè i due non si alzeranno molto dall’orizzonte, sorgendo all’inizio dell’eclissi e raggiungendo al massimo i 15/20° verso la fine. Ma sono tanti gli eventi organizzati in tutta Italia da appassionati, associazioni e Osservatori, e trovare un buon posto suggestivo per osservarla e riprenderla, o con la possibilità di usare dei telescopi è senz’altro il modo migliore!

Trovate molti di questi eventi nelle nostre pagine dedicate agli appuntamenti di gruppi e associazioni, ma anche nella nostra pagina facebook e nei commenti ai post dedicati.

Su www.coelum.com potrete invece vedere in diretta web le immagini dell’Eclissi Totale di Luna ripresa dall’Osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese, organizzata dal GAMP, Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese

(Cliccando sull’immagine qui a destra il link diretto alla pagina Youtube).

Consigli per la ripresa!

Per chi invece si dedica all’astrofotografia, i consigli sono tanti! Dall’ultima rubrica di Giorgia Hofer, dedicata appunto all’evento (e le sue tante rubriche per riprendere la congiunzione nel paesaggio), a una serie di consigli di Daniele Gasparri pubblicati in occasione dell’Eclisse di Luna precedente:

E per concludere non poteva mancare un progetto didattico al quale chiunque abbia l’intenzione di riprendere l’eclisse può partecipare attivamente!

Progetto Longitudine 2018, un’esperienza didattica

 

E alla fine di tutto?

Vi abbiamo dato tanti spunti e tanti link per approfondire, conoscere e vivere al meglio i tre eventi (Eclisse totale di Luna, Grande Opposizione di Marte e congiunzione tra Luna e Marte) che per una più che rara coincidenza avverranno nello stesso giorno, tingendo di rosso-arancione la nostra serata.

Sull’ultimo numero di Coelum Astronomia (a lettura gratuita, basta cliccare sulla copertina qui sotto) trovate tanti altri articoli davvero interessanti sul sogno marziano, dalla storia del passato alle sfide del prossimo futuro.

Poi… toccherà a voi, se vorrete, raccontarci la vostra esperienza inviandola a:
segreteria[@]coelum.com

o condividere con noi e i nostri lettori le vostre immagini caricandole su:

www.coelum.com/Photo-coelum

Potreste ritrovarvi pubblicati sul prossimo numero di Coelum Astronomia!

Buona osservazione, cieli sereni e… vi aspettiamo!


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La prima verifica della relatività generale di Einstein nei pressi di un buco nero supermassiccio

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Questa rappresentazione artistica mostra il cammino della stella S2 nel suo passaggio ravvicinato intorno al buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea. Avvicinandosi al buco nero, il campo gravitazionale intensissimo provoca un cambiamento del colore della stella, che tende verso il rosso, un effetto previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein. In questo grafico l'effetto di colore e la dimensione dell'oggetto sono esagerati per miglior chiarezza. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Questa rappresentazione artistica mostra il cammino della stella S2 nel suo passaggio ravvicinato intorno al buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea. Avvicinandosi al buco nero, il campo gravitazionale intensissimo provoca un cambiamento del colore della stella, che tende verso il rosso, un effetto previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein. In questo grafico l’effetto di colore e la dimensione dell’oggetto sono esagerati per miglior chiarezza. Crediti: ESO/M. Kornmesser

Oscurato da spesse nubi di polvere opaca, il buco nero supermassiccio più vicino alla Terra si trova a circa 26 000 anni luce da noi, nel cuore della Via Lattea. Questo mostro gravitazionale, con una massa di quattro milioni di volte quella del Sole, è circondato da un piccolo gruppo di stelle che gli orbitano intorno ad alta velocità. Questo ambiente estremo – il campo gravitazionale più forte nella nostra Galassia – è il luogo ideale per esplorare la fisica gravitazionale e in particolare per verificare la teoria della relatività generale di Einstein.

Nuove osservazioni nella banda dell’infrarosso, ottenute con gli strumenti di squisita sensibilità GRAVITYSINFONINACO installati sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO hanno consentito finalmente di seguire una di queste stelle, nota come S2, mentre passava molto vicino al buco nero, nel maggio 2018. Nel punto piu vicino questa stella si trovava a una distanza di meno di 20 miliardi di chilometri dal buco nero e si muoveva a una velocità superiore ai 25 milioni di chilometri all’ora – quasi il tre percento della velocità della luce.

S2 infatti orbita attorno al buco nero ogni 16 anni, in un’orbita molto eccentrica che la porta entro venti miliardi di chilometri – 120 volte la distanza tra la Terra e il Sole, o circa quattro volte la distanza dal Sole a Nettuno – nel suo approccio più vicino al buco nero (questa distanza corrisponde a circa 1500 volte il raggio di Schwarzschild del buco nero stesso).

La stella impiega 16 anni per completare un’orbita ed è passata molto vicina al buco nero nel maggio 2018. Si noti che le dimensioni del buco nero e della stella non sono in scala. Crediti: ESO/MPE/GRAVITY Collaboration

L’equipe ha confrontato le misure di posizione e velocità ottenute rispettivamente da GRAVITY e da SINIFONI, insieme alla precedenti osservazioni di S2 ottenute da altri strumenti, con le previsioni della gravità newtoniana, della relatività generale e di altre teorie della gravità. I nuovi risultati sono inconsistenti con le previsioni della meccanica newtoniana, mentre sono in eccellente accordo con le previsioni della relatività generale.

Queste misure molto precise sono state realizzate da un’equipe internazionale con a capo Reinhard Genzel dell’MPE (Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics) di Garching (Germania) insieme a collaboratori sparsi nel mondo: dall’Osservatorio di Parigi – PSL, all’Università di Grenoble Alpes, al CNRS, al Max Planck Institute for Astronomy, all’Università di Colonia, all’istituto portoghese CENTRA – Centro de Astrofisica e Gravitação e infine all’ESO. Queste osservazioni sono il culmine di una serie di misure sempre più precise del centro della Via Lattea ottenute con gli strumenti dell’ESO. Le osservazioni del centro della Via Lattea, infatti, devono essere effettuate a lunghezze d’onda più lunghe (in questo caso in luce infrarossa) poiché le nubi di polvere tra la Terra e la regione centrale assorbono fortemente la luce visibile.

«È la seconda volta che osserviamo il passaggio ravvicinato di S2 intorno al buco nero al centro della nostra Galassia. Ma questa volta, grazie all’avanzamento tecnologico degli strumenti disponibili, siamo stati in grado di osservare la stella con una risoluzione senza precedenti,» spiega Genzel. «Ci siamo preparati intensamente a questo evento, per molti anni, poichè volevamo sfruttare al massimo questa opportunità unica di osservare gli effetti della relatività generale».

Le nuove misure rivelano chiaramente un effetto noto come redshift gravitazionale. La luce della stella viene allungata a lunghezze d’onda maggiori dal campo gravitazionale intensissimo del buco nero. E i cambiamenti osservati nella lunghezza d’onda della luce di S2 sono in perfetto accordo con quanto previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein. È la prima volta che questa deviazione dalle previsioni della teoria di gravità newtoniama, più semplice, è stata osservata nel moto di una stella intorno a un buco nero supermassiccio.

Lo strumento GRAVITY nell’Interferometro VLT ha tracciato il movimento della stella S2 quando ha effettuato un passaggio molto ravvicinato al buco nero al centro della Via Lattea.Questa immagine mostra la stella e il buco nero poco prima del loro approccio più vicino nel maggio 2018. Crediti: ESO/GALAXY Collaboration

L’equipe ha usato SINFONI per misurare la velocità di S2 in avvicinamento e in allontanamento dalla Terra, lo strumento GRAVITY sull’interferometro del VLT (VLTI) per misure estremamente precise della posizione continuamente mutevole di S2 per definire la forma esatta dell’orbita. GRAVITY crea immagini così nitide che si può evidenziare lo spostamento della stella da una notte all’altra, mentre passa vicino al buco nero – a 26 000 anni luce da Terra.

«La nostra prima osservazione di S2 con GRAVITY, circa due anni fa, ha mostrato subito che questo sarebbe stato un laboratorio ideale per i buchi neri,» aggiunge Frank Eisenhauer (MPE), Ricercatore Responsabile di GRAVITY e dello spettrografo SINFONI. «Durante il passaggio ravvicinato avremmo persino potuto rivelare il debole bagliore intorno al buco nero nella maggior parte delle immagini, il che ci avrebbe permesso di seguire con precisione il cammino della stella nella sua orbita, per giungere alla fine alla detezione del redshfit gravitazionale nello spettro di S2».

Questa simulazione mostra le orbite delle stelle molto vicine al buco nero supermassiccio nel cuore della Via Lattea.Una di queste stelle, denominata S2, orbita ogni 16 anni ed è passata molto vicino al buco nero nel maggio 2018. Questo è un laboratorio perfetto per testare la fisica gravitazionale e in particolare la teoria della relatività generale di Einstein. Crediti: ESO/L. Calçada/spaceengine.org

Più di un centinaio di anni dopo la pubblicazione dell’articolo che descrive le equazioni della relatività generale, Einstein ha di nuovo ragione – in un laboratorio estremo come mai avrebbe potuto immaginare!

Françoise Delplancke, a capo del Dipartimento di Ingegneria dei Sistemi dell’ESO, spiega l’importanza delle osservazioni: «Nel Sistema Solare possiamo mettere alla prova le leggi fisiche in questo momento e sotto particolari circostanze. È perciò fondamentale in astronomia verificare che queste leggi siano sempre valide laddove i campi gravitazionali sono molto più intensi».

Le osservazioni continuano e si prevede di rivelare presto un altro effetto relativistico – una piccola rotazione dell’orbita della stella, nota come precessione di Schwarzschild – a mano a mano che S2 si allontana dal buco nero.

Xavier Barcons, Direttore Generale dell’ESO, conclude: «L‘ESO ha lavorato in collaborazione con Reinhard Genzel e il suo gruppo e altri colleghi negli Stati Membri dell’ESO per più di un quarto di secolo. È stato un compito arduo sviluppare gli strumenti unici e potenti necessari per effettuare queste misure delicatissime e per installarli al VLT in Paranal. La scoperta annunciata oggi è il risultato entusiasmante di uno straordinario sodalizio».


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Marte, c’è un lago sotterrano di acqua liquida

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Impressione artistica del veicolo spaziale Mars Express che sonda l’emisfero sud di Marte, sovrapposto a una sezione radar dei depositi stratificati polari meridionali. La sezione del radar è stata inclinata di 90°. La linea bianca più a sinistra è l’eco del radar di superficie, mentre le macchie blu chiaro lungo l’eco radar basale evidenziano aree di riflettività molto alta, interpretate come dovute alla presenza di acqua. Crediti: Esa, Inaf. Elaborazione grafica di Davide Coero Borga – Media Inaf
Impressione artistica del veicolo spaziale Mars Express che sonda l’emisfero sud di Marte, sovrapposto a una sezione radar dei depositi stratificati polari meridionali. La sezione del radar è stata inclinata di 90°. La linea bianca più a sinistra è l’eco del radar di superficie, mentre le macchie blu chiaro lungo l’eco radar basale evidenziano aree di riflettività molto alta, interpretate come dovute alla presenza di acqua. Crediti: Esa, Inaf. Elaborazione grafica di Davide Coero Borga – Media Inaf

Acqua su Marte: liquida e salata. Sono queste le prime conclusioni delle indagini compiute con il radar italiano Marsis (da Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding), a bordo della sonda europea Mars Express, pubblicate oggi su Science. Allo studio, guidato da Roberto Orosei dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), hanno partecipato scienziati e scienziate appartenenti all’Inaf e ad altri centri di ricerca e università italiane: l’Agenzia spaziale italiana (Asi), l’Università degli studi Roma Tre, l’Università D’Annunzio Chieti-Pescara, il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e Sapienza Università di Roma. I risultati, per la prima volta, confermano che sotto la superficie di Marte c’è acqua allo stato liquido. Probabilmente acqua è salata, visto che Marsis ha individuato il bacino a 1.5 km di profondità, dove la temperatura è sicuramente ben al di sotto di 0 °C. I sali, probabilmente simili quelli che la sonda Nasa Phoenix ha trovato nel ghiaccio della zona circumpolare nord, agiscono da “antigelo”, aiutando a mantenere l’acqua allo stato liquido nonostante la temperatura. Acqua, sali, rocce e protezione dalla radiazione cosmica sono ingredienti che potrebbero far pensare anche a una nicchia biologica. I ricercatori sono convinti che potrebbero esserci altre zone con condizioni favorevoli alla presenza di acqua in profondità su Marte e ora, messo a punto il metodo di analisi, potranno continuare a investigare.

Grazie alla sonda Viking della Nasa, dal 1976 è diventato evidente il fatto che la superficie di Marte fosse un tempo coperta da mari, laghi e fiumi e le successive missioni hanno confermato sempre più tale presenza.

Roberto Orosei (Inaf), primo autore dello studio

«Il grande dilemma era quindi quello di stabilire dove fosse finita tutta quell’acqua», dice Orosei, primo autore dell’articolo. «Buona parte di questa è stata portata via dal vento solare, che spazzò quella che mano a mano si vaporizzava dalla superficie degli specchi d’acqua. Un’altra significativa porzione è depositata sotto forma di ghiaccio nelle calotte, soprattutto quella nord, e negli strati prossimi alla superficie o è legata al terreno nel permafrost. Ma una parte doveva essere rimasta intrappolata nelle profondità e potrebbe ancora trovarsi allo stato liquido». Questo era ciò che si ipotizzava a metà degli anni ’90, quando la missione Mars Express fu annunciata dall’Agenzia spaziale europea (Esa), e l’Asi propose di adottare un radar a bassa frequenza per investigare il sottosuolo a grande profondità. Il radar fu ideato e proposto da Giovanni Picardi di Sapienza Università di Roma, la sua realizzazione fu gestita dall’Asi e affidata alla Thales Alenia Space – Italia e il lancio avvenne il 2 giugno 2003.

Impressione artistica del veicolo spaziale Mars Express che sonda l’emisfero sud di Marte, sovrapposto a un mosaico di colori di una porzione di Planum Australe. L’area di studio è evidenziata utilizzando un mosaico di immagini THEMIS IR. La potenza del segnale dell’eco proveniente dal sottosuolo è codificata per colore e il blu intenso corrisponde ai riflessi più forti, che sono interpretati come causati dalla presenza di acqua. Crediti: USGS Astrogeology Science Center, Arizona State University, Esa, Inaf. Elaborazione grafica di Davide Coero Borga – Media Inaf

Marsis è un radar sounder, ovvero un radar che opera a frequenze tra 1.5 e 5 MHz in grado di penetrare nel terreno marziano fino a 4 o 5 km di profondità, a seconda delle caratteristiche geofisiche degli strati profondi, ma anche di misurare con accuratezza lo stato e le variazioni della ionosfera marziana. «Era uno strumento di concezione innovativa, completamente diverso dall’unico lontano precursore volato un quarto di secolo prima sull’ultima missione Apollo, estremamente promettente di cui si doveva non solo sviluppare l’elettronica, ma anche il modo di elaborarne i dati.  Un contributo importante venne dai colleghi del Jpl della Nasa e dell’Università dell’Iowa», ricorda Enrico Flaminichief scientist di Asi. Questi ultimi erano principalmente interessati alla misura della ionosfera marziana, mentre il Jpl curò lo sviluppo presso l’industria americana dell’antenna, due leggerissimi tubi di kevlar lunghi 20 metri ognuno che, per poter essere montati a bordo ed essere lanciati con il satellite, dovevano essere ripiegati in una scatola di poco più di un metro di lunghezza.

Marsis, grazie alla sua capacità di penetrare all’interno della crosta marziana, è l’unico strumento in grado di risolvere il dilemma e trovare l’acqua liquida in profondità. Per più di 12 anni il radar ha sondato le calotte polari del Pianeta rosso in cerca di indizi di acqua liquida. Qualche eco radar insolitamente forte era già stata osservata dai ricercatori del team di Marsis nel corso degli anni, ma senza ottenere mai una evidenza sperimentale certa della presenza di acqua allo stato liquido. Il gruppo di scienziati che firma l’articolo oggi in pubblicazione su Science, ha studiato per alcuni anni la regione del Planum Australe con Marsis. In particolare, i ricercatori hanno elaborato e analizzato i dati acquisiti su questa regione tra il maggio 2012 ed il dicembre 2015. I profili radar, ottenuti da orbite diverse, che talvolta si incrociavano tra di loro, ed acquisite in diversi periodi dell’anno marziano quando nelle regioni polari sud si depositano sottili strati di ghiaccio di anidride carbonica, hanno mostrato caratteristiche peculiari e hanno permesso di identificare una area di circa 20 km quadrati (centrata a 193°E e 81°S) nella quale la sottosuperficie è molto riflettente, al contrario delle aree circostanti.

La parte più complessa del lavoro è stata l’analisi quantitativa dei segnali radar per arrivare a determinare la costante dielettrica dello strato riflettente e identificarne, quindi, la natura. Questa parte del lavoro è durata quasi 4 anni, ma il gruppo è riuscito a determinare che la permittività dielettrica dell’area altamente riflettente è maggiore di 15, perfettamente in accordo con la presenza di materiali che contengono notevoli quantità di acqua liquida. «Questi risultati indicano che ci troviamo probabilmente in presenza di un lago subglaciale», conclude Elena Pettinelli dell’Università Roma Tre, «simile ai laghi presenti al di sotto dei ghiacci antartici, relativamente esteso e con una profondità certamente superiore alla possibilità di penetrazione delle frequenze usate da Marsis. In alternativa potrebbe trattarsi di un acquifero profondo nel quale l’acqua liquida riempie i pori e le fratture della roccia. Non siamo attualmente in grado di stimare con precisione la profondità del lago, ovvero dove si trova il fondo del lago o la base dell’acquifero, ma possiamo senza dubbio affermare che sia come minimo dell’ordine di qualche metro».

Per saperne di più:

Guarda su MediaInaf Tv l’intervista a Roberto Orosei:


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Il 27 luglio una Notte in Rosso: Eclisse Totale di Luna accompagnata da Marte in Grande Opposizione

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L’immagine mostra l’eclisse totale del 15 giugno 2011: una straordinaria interpretazione del fenomeno, in cui la Luna abbrunata si confonde con le nubi stellari della Via Lattea. Chi vuole provare a realizzare uno scatto simile anche quest’anno? Ricordiamo che lì vicino ci sarà anche Marte proprio durante la sua Grande Opposizione! Crediti fotografia: Amirreza Kamkar.

Prepariamoci quindi per la sera del 27 luglio quando osserveremo la colorazione rossa che assumerà la Luna, per effetto della rifrazione della luce solare che attraversa l’atmosfera della Terra, e col pianeta Marte separato dal nostro satellite da soli 4° con la sua consueta colorazione rossastra, ancora più accentuata dalle particolari condizioni osservative.

Pertanto assisteremo a un evento astronomico veramente eccezionale perfettamente visibile, oltre che in Italia, anche nel resto d’Europa, Sud America, Australia, Africa e nel Continente Asiatico, che non potrà non richiamare l’attenzione di molti appassionati ma anche di semplici osservatori del cielo.

Gli orari dell’evento

La Luna sorgerà alle 20:44 mentre l’eclissi avrà inizio alle 19:13 (ora legale), quando il nostro satellite si troverà ancora a -15° sotto l’orizzonte, con inizio della fase parziale alle 20:24 (Luna a -3°4′).

La totalità inizierà alle 21:29 (Luna a +6°) raggiungendo il massimo alle 22:21 (Luna a +12°45′) con fine dell’Eclisse Totale alle 23:13 (Luna +18°) con la notevole durata di 01:44 della fase massima, a cui seguirà il termine della fase di Penombra alle 01:30, quando il nostro satellite si appresterà a transitare sul meridiano a un’altezza di +25°.

Come sempre i dettagli sono per un’osservatore posto in Centro Italia (42°N – 12°E), gli orari delle varie fase dell’Eclisse non varieranno in maniera significativa, ma l’altezza della Luna si, al Nord (latitudine di Milano) la si vedrà circa 4° più bassa (e sorgerà quindi un po’ dopo) mentre al sud (latitudine Palermo) circa 4° più alta (sorgendo quindi un po’ prima). Per le circostanze esatte consultare un softare planetario o un sito per le effemeridi impostando la propria località di osservazione.

Continua con i consigli per l’osservazione di Francesco Badalotti su:

27 luglio 2018 Eclisse Totale di Luna

Mentre Giorgia Hofer ci da come sempre qualche spunto creativo e qualche consiglio tecnico per la ripresa:

Riprendiamo l’Eclissi di Luna Totale accompagnata da Marte

Altri suggerimenti utili li trovate anche in quanto pubblicato per le Eclissi di Luna del 2011, di Daniele Gasparri:

Riprendere le fasi parziali dell’Eclisse in HDR
Immagine profonda a largo campo della totalità
Riprendere il cono d’ombra della Terra

cono Luna

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Luglio 2018

Non dimenticate poi di consultare le pagine dedicare agli eventi di gruppi e associazioni astrofile, perché sono tante le serate osservative organizzate in tutta Italia! Ne troverete molte segnalate (nei prossimi giorni) tra i nostri eventi online e già adesso nelle pagine degli appuntamenti (da p. 238 a p. 249 con la locandina dell’evento della Società Astronomica Pugliese).

Marte in Grande Opposizione

Ma la Luna non sarà da sola durante questa Eclisse, a soli 4° a sudovest, potremo osservare brillantissimo di luce rossastra il pianeta Marte, che in queste settimane si mostra al suo meglio in una Grande Opposizione. All’evento abbiamo dato ampio spazio sia dal punto di vista osservativo che storico che… futuro, con un bell’articolo sulle sfide ancora da affrontare, e superare, per l’esplorazione umana del Pianeta Rosso, e del Sistema solare…

MARTE La Grande Opposizione 2018

Marte, testimone della Storia di Alessandro Vietti
La Grande Opposizione del 2018 di Gabriele Marini
Marte: cosa osservare? Una guida osservativa completa di Jeffrey D. Beish e Donald C. Parker – A.L.P.O.
Sognando Marte… La sfida di un viaggio interplanetario di Claudio Elidoro

La mappa mostra l’aspetto del cielo alle ore 22:30 del 31 luglio, giorno del massimo avvicinamento di Marte alla Terra. In quei giorni il Pianeta Rosso dimorerà tra le stelle del Capricorno, nella regione al confine con il Sagittario. Il 27 luglio, giorno dell’Opposizione geometrica, la Luna eclissata si troverà circa 4° in alto a sinistra (a nordest) rispetto al pianeta. Sarà un’occasione davvero speciale e imperdibile! Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
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Astronomiamo

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astronomiamo

27.07: Eclisse al Gilda on the Beach
10.08, ore 22:30: Cielo in PIazza a Supino (FR)

Info: http://www.astronomiamo.it/

Unione Astrofili Italiani

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Tutti i primi lunedì del mese: UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
http://telescopioremoto.uai.it

Le campagne nazionali UAI

27 luglio La notte della Luna & del Pianeta Rosso!
La notte più ricca di eventi astronomici dell’anno: in prima serata l’eclisse totale di Luna, in congiunzione con il pianeta Marte all’opposizione. La Luna Rossa incontra il Pianeta Rosso! Un evento che il pubblico potrà seguire in occasione delle innumerevoli serate osservative organizzate dalle associazioni di astrofili su tutto il territorio nazionale
http://divulgazione.uai.it

10-12 agosto Le Notti delle Stelle
Il più atteso appuntamento dell’estate astronomica durante il quale le associazioni astrofile proporranno una o più serate dedicate all’osservazione delle Perseidi. L’iniziativa è abbinata a “Calici di Stelle” manifestazione enogastronomica promossa il 10 agosto dal Movimento Turismo del Vino e dall’Associazione Nazionale Città del Vino.
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Gruppo Astrofili Vicentini “G. Abetti”

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Tutti i martedì sera, dalle 21:00 alle 23:00, presso l’Osservatorio Astronomico “G. Beltrame” in Via S. Giustina 127 ad Arcugnano (VI): Osservazione pubblica del cielo.
L’osservatorio sarà aperto al pubblico. La partecipazione è gratuita e non è necessario prenotare. Durante le aperture al pubblico verranno effettuate anche delle mini conferenze e dei mini corsi i cui contenuti saranno pubblicati di volta in volta sui vari canali social del nostro gruppo e sul Giornale di Vicenza. L’apertura avrà luogo con qualsiasi tempo.

27.07, dalle ore 21:00: La notte della luna rossa – Star Party del Gruppo Astrofili Vicentini “G. Abetti”
Osserveremo l’ECLISSI TOTALE DI LUNA e il tramonto e il sorgere dei pianeti. Per tutta la notte sarà disponibile un buffet gentilmente offerto dai soci.
11.08 dalle ore 21:00 alle 23:30: La notte delle stelle cadenti – Calici di stelle in Osservatorio
Osservazione del cielo dal piazzale del nostro Osservatorio, con i telescopi dei soci. Osserveremo in visuale le meteore, le cosiddette “stelle cadenti”. Durante la serata si potranno degustare ottimi calici di vino e spumante, gentilmente offerti dai soci.
Astrorazzo all’Osservatorio Astrofisico di Asiago
28.08, dalle 9.30 alle 12:30 e dalle 14:40 alle 18:00. I ragazzi dai 6 ai 14 anni potranno costruire il proprio razzo dotato di endoreattore a propellente solido e lanciarlo in tutta sicurezza. I ragazzi devono essere accompagnati da un genitore. Prenotazione obbligatoria entro il 31 luglio, i posti sono limitati.
Info prenotazioni e costi: visite.asiago@oapd.inaf.it. SIT (sportello informazioni turstiche): 0424 462221. In caso di maltempo l’evento verrà rinviato a domenica 2 settembre.

www.astrofilivicentini.it

Due serate con Luna e Saturno, in attesa della Notte in Rosso!

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La sera del 24 luglio, alle ore 22:00, guardando verso sud-sudest, vedremo l’incontro tra la Luna (fase del 92%) e il pianeta Saturno (mag. +0,3). La congiunzione, con una separazione di circa 3,2°, avverrà tra le stelle del Sagittario, che risulteranno però annegate nel forte bagliore lunare.

Sarà possibile seguire la congiunzione per tutta la notte. Il giorno seguente, il 25 luglio, potremo continuare ad ammirare la stessa congiunzione, con la Luna (fase 97%) che però avrà già sorpassato il pianeta e sarà posta a circa 7° e mezzo a est di esso.

Poco più in là, basso sull’orizzonte sudest, sarà da poco sorto Marte, ormai al suo meglio vicino al giorno della sua Grande Opposizione, che lo vedrà in congiunzione con la Luna Rossa, la Luna in Eclisse Totale!

➜  Marte, la Grande Opposizione 2018

➜ 27 luglio Marte in congiunzione con una magnifica Eclissi di Luna Totale

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Luglio 2018

➜ La LUNA di luglio e agosto.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione a nord del mare Crisium fino al cratere Mercurius

➜ Scopri le costellazioni del Cielo di luglio e agosto con la UAI, che questo mese ci porta “a Est di Deneb”

➜ Mentre questo mese Stefano Schirinzi ci racconta la costellazione del Drago (I parte)

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Eclissi Totale di Luna 2018. Progetto Longitudine, un’esperienza didattica.

Il 27 luglio prossimo vedremo un’eclissi totale di Luna, la più lunga del secolo: a partire dalle 21:30 circa di quella serata, essa sarà totalmente immersa nel cono d’ombra della terra per ben 103 minuti.

La Luna Rossa

Durante la totalità, una parte dei raggi solari sfiora la superficie terrestre e, attraversando l’atmosfera, viene deviata fino a toccare la Luna, dandole un riflesso rossastro. Il colore è appunto dovuto al “filtraggio” dell’atmosfera: per un fenomeno legato alla rifrazione, la luce solare cede alcune componenti azzurre all’aria e resta quindi più ricca di rosso.

Il vero colore della Luna durante l’eclissi non è però predeterminabile (ad esempio, grandi o frequenti eruzioni vulcaniche che scaricano enormi quantità di cenere nell’atmosfera sono spesso seguite da eclissi molto scure e rosse per diversi anni), così, per poter dare un’idea qualitativa della colorazione, adotteremo una scala di luminosità L dell’eclissi a cinque gradini, detta scala di Danjon, dove L = 0 è un’eclissi molto scura, con Luna quasi invisibile, mentre L = 4 è un’eclissi rosso brillante o con sfumatura arancione, molto luminosa.

L’assegnazione di un valore “L” alle eclissi lunari si può fare a occhio nudo, con un binocolo o con un piccolo telescopio nei pressi della metà della totalità. È anche utile esaminare l’aspetto della Luna subito dopo l’inizio (anche se per l’Italia non sarà possibile) e prima della fine della totalità. Le Eclissi di Luna sono osservabili da qualunque punto della superficie terrestre dove la Luna sia sopra l’orizzonte ed interessano una vasta fascia del pianeta e quindi ci saranno zone dove l’Eclisse non sarà visibile (in questo caso, tutto il nord America e metà dell’Oceano Pacifico) e zone dove invece la totalità dell’eclissi sarà totalmente visibile, centrata in prossimità dell’isola de la Réunion.

La ripresa delle immagini dell’eclissi

L’obiettivo del “progetto Longitudine e parallasse” è di ottenere immagini dell’eclissi nei seguenti intervalli del fenomeno, da U1 (inizio della fase parziale secondo il grafico di Espenak) a U4  (fine della fase parziale).

L’inizio della fase parziale è ai minuti 24:29, partiamo quindi dal primo minuto tondo successivo:

Da U1 = 18h 25m TU (Tempo Universale, 20:25 ora italiana)

fino a U4 = 22h 19m TU (00:19 ora italiana)

Uno scatto ogni 2 minuti: 18h 25m; 18h 27m; ….; fino alle 22h 19m UT, variando il tempo di esposizione in modo opportuno.

Se si ha la possibilità di seguire l’intero fenomeno, da U1 a U4, il numero totale di immagini è 117, poiché però in Italia la Luna sorgerà poco dopo l’inizio della fase parziale:

NOTA IMPORTANTE (anche se ovvia…): Qualora la Luna, dalla propria postazione osservativa, risultasse troppo bassa, se non ancora sorta, per essere fotografata con successo, si dovrà attendere che essa salga opportunamente. Ciò che conta è che l’istante di ogni ripresa fotografica corrisponda all’inizio esatto del minuto indicato. Anche una ripresa parziale dell’eclissi (sempre che i tempi dello scatto siano quelli indicati sopra, minuti dispari) va bene per i nostri scopi!

I file immagini possono essere JPG, PNG e anche parzialmente elaborati (indicare se lo sono), e vanno inviati a

INVIATE LE VOSTRE IMMAGINI DELL’ECLISSI A:
eanweb.astronomia.nova@gmail.com, tramite il servizio gratuito wetransfer

Ecco alcuni video che possono aiutare a comprendere il fenomeno:

youtu.be/5AyNFrOXCPM

youtu.be/fWNKQ9jGmiM

youtu.be/wmCK2Pfsh0Y

Tecnica di ripresa delle immagini

Se non si dispone di un telescopio, si potrà utilizzare un teleobiettivo applicato a una reflex. Al limite, può andar bene anche un 200 mm: la Luna occuperà però solo poco più di un ventesimo della larghezza del formato 35mm (o del sensore di una reflex full frame). È senz’altro meglio un teleobiettivo 300 mm o più lungo, si riempirà una porzione maggiore del fotogramma. Il disco lunare riempirà interamente un fotogramma 35 mm solamente con un teleobiettivo (o un telescopio!) di 2000 mm di focale.

Ricordiamo che un tele 200 mm montato su una reflex con sensore APS-C ( tutte le reflex digitali di fascia bassa ) equivale a un 300 mm. Lo stesso 200 mm su una 4/3 (ad esempio, tutte le reflex Olympus) equivale a un 400 mm.

Una semplice formula ci dice che la dimensione I(mm) dell’immagine della Luna in funzione della lunghezza focale F(mm) del sistema ottico, è data da:

I(mm)= F(mm)/109

Vediamo ora come procedere per le riprese:

Fondamentale: sincronizzare con estrema cura l’ora dell’orologio del sistema di ripresa (reflex, camera CCD, o altro) sul Tempo medio locale (quello indicato dal nostro orologio da polso, tolta l’eventuale ora legale, se si usa il TU deve essere segnalato!). Questa sarà l’ora di riferimento per i semplici calcoli necessari per il “progetto Longitudine”.

Impostare l’esposizione sulla modalità spot o, meglio ancora, impostare manualmente i parametri.

Se la reflex digitale dispone di modalità Live View, possiamo utilizzarla con la messa a fuoco manuale sul display LCD, sfruttando tutto l’ingrandimento possibile.

I tempi di esposizione corretti variano notevolmente nel corso delle diverse fasi dell’eclissi, essenzialmente in base allo stato del cielo, ma anche in relazione all’apertura e alla sensibilità ISO che abbiamo impostato. Sarà opportuno variare i parametri per trovare la combinazione migliore.

• Un utile punto di partenza per la Luna piena, con cielo sereno, senza velature, può essere un’impostazione di questo tipo: 1/250 f/16 a ISO 200, oppure 1/500 f/16 a ISO 400.

• Nelle fasi iniziali dell’eclissi possiamo provare 1/60 f/8 a ISO 200, oppure 1/125 f/8 a ISO 400

• Nelle fase di totalità: 4 secondi f/5,6 a ISO 200, oppure 2 secondi f/5,6 a ISO 400. Superare la soglia dei 4 secondi senza disporre di un sistema di inseguimento motorizzato in grado di sincronizzarsi sul moto luna (la Luna si sposta in cielo assai velocemente! ) porta a immagini mosse, quindi inaccettabili. Se invece la reflex è in parallelo ad un telescopio equatoriale, con inseguimento equatoriale motorizzato, possiamo anche allungare i tempi fino a 20 secondi ed oltre, se necessario.

INVIATE LE VOSTRE IMMAGINI DELL’ECLISSI A:
eanweb.astronomia.nova@gmail.com, tramite il servizio gratuito wetransfer

Per ulteriori suggerimenti vedere anche:

www.landscapeastrophotography.com/tips-for-photographing-the-blood-red-moon-during-a-total-lunar-eclipse/

www.mreclipse.com/LEphoto/LEphoto.html

Sull’eclissi vedi anche

Il 27 luglio una Notte in Rosso: Eclisse Totale di Luna accompagnata da Marte in Grande Opposizione

Riprendiamo l’Eclissi Totale di Luna accompagnata da Marte in Grande Opposizione

Tutte le indicazioni sull’Eclisse Totale di Luna su Coelum Astronomia di Luglio e Agosto

Come utilizzeremo le immagini

“PROGETTO LONGITUDINE”: un’esperienza didattica

Ripeteremo il procedimento di Peiresc e Gassendi, che descriviamo in un altro paragrafo. Una volta che si siano acquisite le immagini dell’eclissi, si procederà a un confronto dell’ombra dell’eclissi su mari e crateri, tra immagini ottenute da una località di riferimento nota, e gruppi di immagini che provengono da località ignote (agli studenti). Ogni immagine riporterà il tempo locale dello scatto, che trasformeremo in tempo siderale locale (sia per la località nota che per quelle ignote).

Si determina la posizione dell'ombra su di un cratere, in due immagni ottenute da località diverse. La differenza dei tempi sideralidarà la differenza di longitudine.

Quando l’ombra sarà esattamente su di uno stesso cratere o sul bordo di un mare, in entrambe le immagini in esame, allora per conoscere la differenza di longitudine tra le due località basterà fare la differenza dei tempi siderali locali, che trasformeremo in misura angolare: questa è la differenza di longitudine tra i due luoghi.

Il progetto prevede lezioni specifiche da impartire agli studenti :

  • – Meccanismi di formazione delle eclissi
  • – La longitudine geografica: un problema millenario
  • – Analisi delle immagini delle eclissi di Luna e determinazione delle differenze di longitudine.

Calcolo del tempo siderale locale (link ad alcuni siti utili):

www.wwu.edu/skywise/skymobile/skywatch.html

www.jgiesen.de/astro/astroJS/siderealClock/

Il progetto è stato elaborato da:

Rodolfo Calanca, rodolfo.calanca@gmail.com ; www.eanweb.com
Enrico Bonfante, enrico.bonfante@gmail.com ; www.planetariodiverona.it

Titano senza veli

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Tre mosaici composti con i dati delle camere in luce visibile e infrarossa a bordo della Cassini, riprese durante tre flyby: nell'ottobre 2005, a sinistra; dicembre 2005, al centro; e gennaio 2006, a destra. Crediti: NASA/JPL/University of Arizona


Sei immagini a infrarossi della luna di Saturno, Titano, ci mostrano la sua superficie ghiacciata come mai l’avevamo vista, chiara, dettagliata e “globale”.
Le immagini sono state create utilizzando 13 anni di dati acquisiti dallo strumento Visual and Infrared Mapping Spectrometer (VIMS) a bordo della sonda Cassini, una missione che non smette di stupire nonostante l’attività della sonda si sia conclusa ormai da tempo.

Le precedenti mappe VIMS di Titano hanno sempre mostrato un’apia varietà di risoluzioni, diverse condizioni di illuminazione, dando quindi un’immagine non omogenea alle mappe globali, in cui si vedono le “cuciture” tra i vari pezzi assemblati per ottenere l’immagine intera della Luna, come possiamo vedere nell’immagine qui sotto.

Tre mosaici composti con i dati delle camere in luce visibile e infrarossa a bordo della Cassini, riprese durante tre flyby: nell’ottobre 2005, a sinistra; dicembre 2005, al centro; e gennaio 2006, a destra. Crediti: NASA/JPL/University of Arizona

Questa nuova raccolta di immagini invece ha combinato in modo fluido i dati provenienti da una moltitudine di osservazioni divrese realizzare da VIMS, con le più diverse condizioni di illuminazione e risoluzione, prese in tutto l’arco del corso della missione. Si è ottenuto così un risultato di gran lunga migliore alle precedendenti e ci permette di vedere come il globo di Titano potrebbe apparire a un’osservatore se non fosse presente la sua atmosfera nebbiosa. Difficilmente vedremo qualcosa di meglio nei prossimi anni.

Osservare la superficie di Titano nella regione visibile dello spettro non è possibile, proprio a causa della foschia che lo avvolge: piccole particelle, chiamate aerosol, nell’atmosfera superiore che diffondono fortemente la luce visibile.

Ma la superficie di Titan può essere più facilmente spiata grazie ad alcune “finestre” (chiamate proprio finestre atmosferiche) a infrarossi – lunghezze d’onda in cui lo scattering e l’assorbimento della luce sono molto più deboli. È qui che lo strumento VIMS ha permesso di superare la foschia per ottenere immagini nitide della superficie di Titan. Nella composizione qui sotto vediamo la differenza, tra un Titano ripreso in luce visibile e i nuovi mosaici VIMS.

I nuovi mosaci di Titano attorno alla luna ripresa in luce visibile. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Stéphane Le Mouélic, University of Nantes, Virginia Pasek, University of Arizona

Come si può immaginare, comporre una così grande mole di dati diversi non è stato semplice. Per ottenere questi nuovi mosaici è stato necessario un lavoro certosino per combinare dati con diverse geometrie di osservazione e condizioni atmosferiche. Ma attraverso analisi laboriose e dettagliate, insieme a una lunga lavorazione manuale dei mosaici, le cuciture sono state praticamente tutte rimosse.

La tecnica utilizzata viene chiamata “band-ratio” (rapporto di banda), ed è una tecnica utilizzata spesso nelle immagini telemetriche per enfatizzare i colori ad esempio della vegetazione. Qualsiasi immagine a colori è composta da tre canali di colore: rosso, verde e blu. Combinando poi le riprese nelle varie lunghezze d’onda si ottiene l’immagine finale a colori. In questo caso, per ottenere ciascun canale, è stato considerato il rapporto tra la luminosità della superficie di Titano a due diverse lunghezze d’onda: 1,59/1,27 micron per il rosso, 2,03/1,27 micron per il verde e 1,27/1,08 micron per il blu. Questa tecnica aiuta a ridurre la visibilità delle cuciture, oltre a enfatizzare le sottili differenze spettrali dei diversi materiali che vediamo sulla superficie di Titano. Ad esempio, i campi di dune equatoriali della luna appaiono qui in un consistente color marrone, mentre aree bluastre e violace potrebbero essere aree arricchite di acqua ghiacciata (per una mappa con indicate le diverse zone di Titano vedere qui).

Che la superficie di Titano fosse complessa e con una miriade di caratteristiche geologiche e unità compositive lo sapevamo, ma lo strumento VIMS ha aperto la strada a futuri strumenti a infrarossi in grado di visualizzare la luna di Saturno a una risoluzione molto più elevata, rivelando caratteristiche non rilevabili da nessuno degli strumenti di Cassini.

Per ripercorrere la missione attraverso le straodinarie immagini, comprese quelle di Titano, che nei suoi 13 anni Cassini ci ha inviato, rileggi lo speciale dedicato su Coelum Astronomia 214

Risorse online

La missione Cassini-Huygens sul sito del JPL e su quello della NASA

Il sito del team di imaging Cassini

Tutte le immagini della missione


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L’eclisse totale di Sole del 2017 osservata dagli USA

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CorradoLamberti_2018

CorradoLamberti_2018

Il 29 luglio 2018 alle ore 18:00, presso il Centro Astronomico GAL Hassin, Isnello si terrà una conferenza di Corrado Lamberti: “L’eclisse totale di Sole del 2017 osservata dagli USA“. Ingresso gratuito

Unione Astrofili Senesi

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10.08, ore 21:30: Calici di stelle al castello di Montarrenti. Anche quest’anno l’associazione partecipa all’evento nazionale “Calici di stelle”.Osservatorio aperto al pubblico per una serata osservativa dedicata in particolare alle meteore dello sciame delle Perseidi, anche se sarà possibile osservare altri oggetti del cielo del periodo. Prenotazione obbligatoria.

Il Cielo del Mese. Ogni primo giovedì del mese, ritrovo a Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola ”Palmiero Capannoli”. In caso di tempo incerto verificare al numero 3388861549 (Davide Scutumella).
04.08, ore 21:30: Il Cielo di Agosto.

Il cielo al castello di Montarrenti. Serate osservative ogni secondo e quarto venerdì del mese. Prenotazione obbligatoria.
13.07 e 27.07, ore 22:00: Serata dedicata al cielo estivo: protagonisti gli ammassi stellari (sia globulari che aperti) e i pianeti Giove, Saturno e Marte.
24.08, ore 21:30: Serata dedicata al cielo estivo: protagonisti gli ammassi stellari (sia globulari che aperti) e i pianeti Marte e Saturno.
Per le prenotazioni: tramite il sito oppure inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) o un sms al 3482650891 (Giorgio).

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Immagini extra-nitide con la nuova ottica adattiva del VLT

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Questa  straordinaria immagine del pianeta Nettuno è stata ottenuta durante la fase di verifica dell’ottica adattiva a campo stretto dello strumento MUSE/GALACSI installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO. Crediti: ESO/P. Weilbacher (AIP)

Il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO ha visto la prima luce con una nuova modalità di ottica adattiva chiamata Tomografia LaserÈ e con questa ha ottenuto delle immagini di prova straordinariamente nitide del pianeta Nettuno, di alcuni ammassi di stelle e di altri oggetti. Il pionieristico strumento MUSE usato nella modalità a Campo Stretto, con il modulo di ottica adattiva GALACSI, può ora sfruttare questa nuova tecnica per correggere gli effetti della turbolenza a diverse altitudini nell’atmosfera. È possibile ora catturare, a lunghezze d’onda visibili, immagini da terra più nitide di quelle del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. L’unione di squisita nitidezza e di capacità spettroscopiche di MUSE permetteranno agli astronomi di studiare le proprietà degli oggetti astronomici in dettaglio maggiore di quanto sia stato mai possibile finora.

Lo strumento MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer) installato sul VLT (Very Large Telescopee) dell’ESO funziona con un modulo di ottica adattiva chiamato GALACSI, che sfrutta lo strumento 4LGSF (Laser Guide Stars Facility), un sosttosistema dell’AOF (Adaptive Optics Facility). AOF fornisce l’ottica adattiva agli strumenti montati sull’UT4, il quarto telescopio del VLT. MUSE è stato il primo strumento a usufruire di questa ottica e ora ha due diverse modalità di ottica adattiva: a campo largo (Wide Field Mode) o a campo stretto (Narrow Field Mode).

L’immagine a destra è ottenuta senza il modulo di ottica adattiva, mentre quella a sinistra dopo che il modulo è stato messo in funzione. Crediti: ESO/P. Weilbacher (AIP)

La modalità di MUSE a Campo Largo accoppiata con GALACSI in modalità “strato-al-suolo” (ground-layer in inglese) corregge gli effetti introdotti dalla turbolenza atmosferica fino a un chilometro sopra il telescopio per un campo di vista relativamente ampio. La nuova modalità a Campo Stretto, che usa la tomografia laser, corregge quasi tutta la turbolenza atmosferica sopra il telescopio per creare immagini molto più nitide, ma su una zona più piccola di cielo.

La turbolenza atmosferica, infatti, varia con l’altitudine: alcuni strati producono una maggior degradazione del fascio di luce proveniente dalla stella rispetto ad altri. La tecnica complessa di ottica adattiva nota come Tomografia Laser si prefigge di correggere soprattutto la turbolenza di questi strati più problematici. Vengono selezionati alcuni strati pre-definiti per la modalità Campo Stretto con MUSE/GALACSI: a 0 km (strato più vicino a terra, sempre un contributo importante), a 3, 9 e 14 km. L’algoritmo di correzione viene quindi ottimizzato su questri strati per permettere di ottenere una qualità dell’immagine quasi identica a quella di una stella guida naturale e che corrisponda ai limiti teorici del telescopio.

Sfruttando questa nuova tecnica, il telescopio da 8 metri UT4 raggiunge il limite teorico della risoluzione delle immagini e non è più limitato dalla sfocatura dell’atmosfera.

È difficilissimo raggiungere questo limite nella banda della luce visibile: si ottengono così immagini di nitidezza paragonabile a quelle del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Ciò permetterà agli astronomi di studiare con un dettaglio mai raggiunto prima oggetti affascinanti come i buchi neri supermassicci al centro delle galassie, i getti delle giovani stelle, gli ammassi globulari, le supernove, i pianeti e i lori satelliti nel Sistema Solare e molto altro ancora.

A confronto Nettuno, sulla sinistra, ripreso con il nuovo strumento dal VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, a destra  un’immagine  ottenuta dal telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Si noti che le due immagini non sono contemporanee e perciò non mostrano strutture superficiali identiche. Crediti: ESO/P. Weilbacher (AIP)/NASA, ESA, and M.H. Wong and J. Tollefson (UC Berkeley)

L’ottica adattiva è una tecnica che serve per compensare l’effetto di sfocatura dovuto all’atmosfera terrestre, noto anche come “seeing” astronomico, un problema rilevante per tutti i telescopi da terra. La stessa turbolenza dell’atmosfera che fa scintillare le stelle quando le si guarda a occhio nudo produce immagini un pò sfocate dell’Universo, soprattutto con i telescopi più grandi. La luce delle stelle e delle galassie viene distorta passando attraverso gli strati della nostra atmosfera, che ci protegge, e gli astronomi devono usare delle tecniche ingegnose per migliorare artificialmente la qualità dell’immagine.

L’ammasso globulare NGC 6388. L’immagine a sinistra è ottenuta da MUSE in modalità Campo Largo, senza il sistema di ottica adattiva in funzione, mentre il pannello centrale mostra un ingrandimento di una piccola parte della stessa immagine. L’immagine a destra invece mostra la  stessa porione dell’immagine centrale, ma nella veduta di MUSE in Campo Stretto quando viene accesa l’ottica adattiva. Crediti: ESO/S. Kammann (LJMU)

Per raggiungere questo scopo, sono stati installati quattro laser molto luminosi sull’UT4: proiettano nel cielo colonne di luce intensa di colore arancione, di circa 30 centimetri di diametro, per stimolare gli atomi di sodio che si trovano in uno strato nell’alta atmosfera in modo da creare stelle guida artificiali (Laser Guide Star, in inglese). I sistemi di ottica adattiva usano la luce di queste “stelle” per determinare la turbolenza dell’atmosfera e calcolare le correzioni necessarie circa mille volte al secondo, e di conseguenza inviano istruzioni allo specchio secondario di UT4, sottile e deformabile, per modificarne costantemente la forma in modo da correggere le distorsioni nella luce che arriva.

MUSE non è il solo strumento che sfrutti il modulo di Ottica Adattiva AOF. Un diverso sistema di ottica adattivaGRAAL, è già in funzione con la camera infrarossa HAWK-I. Tra qualche anno arriverà il nuovo, potente, ERIS. Tutti questi importanti sviluppi dell’ottica adattiva rendono ancora più potente la compagine dei telescopi dell’ESO, mettendo sempre più a fuoco l’Universo.

La nuova modalità, inoltre, è un passo avanti significativo per l’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, su cui sarà necessaria la Tomografia Laser per raggiungere gli scopi scientifici previsti. Questi risultati con AOF su UT4 aiuteranno tecnici e scienziati dell’ELT a installare una simile tecnologia per l’ottica adattiva sul gigantesco telescopio da 39 metri.


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L’eredità di Planck

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L’immagine mostra la mappa delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo a microonde (Cmb) osservate dalla missione Planck dell’Esa. La Cmb rappresenta il più antico segnale elettromagnetico che possiamo captare nel nostro universo, prodotto quando l’universo stesso aveva appena 380mila anni. Questa immagine è stata realizzata con i dati della Planck Legacy release, ovvero quelli finali della missione, pubblicati a luglio del 2018. Crediti: Esa/Planck Collaboration
L’immagine mostra la mappa delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo a microonde (Cmb) osservate dalla missione Planck dell’Esa. La Cmb rappresenta il più antico segnale elettromagnetico che possiamo captare nel nostro universo, prodotto quando l’universo stesso aveva appena 380mila anni. Questa immagine è stata realizzata con i dati della Planck Legacy release, ovvero quelli finali della missione, pubblicati a luglio del 2018. Crediti: Esa/Planck Collaboration

Era il 21 marzo 2013. Scienziati e giornalisti scientifici da tutto il mondo si erano riuniti nella sede parigina dell’Agenzia spaziale europea (Esa) – o si erano collegati online – per assistere al momento in cui la missione Planck dell’Esa avrebbe svelato la sua “immagine” del cosmo. Un’immagine ottenuta non con la luce visibile ma con le microonde. A differenza della luce visibile ai nostri occhi, la cui lunghezza d’onda è inferiore al millesimo di millimetro, la radiazione che Planck stava rilevando misurava onde più lunghe, da pochi decimi di millimetro a pochi millimetri. Ed era una radiazione emessa quando l’universo ebbe inizio.

L’espressione che si usa per indicare questa radiazione nel suo complesso è fondo cosmico a microonde, o Cmb (dall’inglese cosmic microwave background). Misurando le differenze quasi impercettibili che questa radiazione presenta da una regione all’altra del cielo, era possibile leggere nell’immagine ottenuta da Planck l’età, l’espansione, la storia e il contenuto dell’universo. Niente di meno che il progetto del cosmo.

Le attese degli astronomi erano ben note. Già due missioni della Nasa, Cobe nei primi anni Novanta e Wmap nel decennio successivo, avevano effettuato analoghe ricognizioni del cielo, ottenendo come risultato immagini simili. Immagini, però, che non avevano la precisione e la nitidezza di quelle prodotte da Planck. Grazie alla sua visione avremmo potuto cogliere l’impronta dell’universo primordiale a un livello di dettaglio mai ottenuto prima.

Tutto dipendeva da quello. Se il nostro modello dell’universo fosse risultato corretto, Planck lo avrebbe confermato con un’accuratezza senza precedenti. Se invece fosse risultato sbagliato, gli scienziati sarebbero dovuti ripartire da zero.

Un universo quasi perfetto: le release del 2013 e del 2015

Quando l’immagine venne rivelata, i dati confermarono il modello. Combaciavano così bene con le nostre attese da non lasciarci che una sola conclusione possibile: quello che Planck ci aveva mostrato era “un universo quasi perfetto”. Perché quasi perfetto? Perché rimanevano comunque alcune anomalie, sulle quali si sarebbero concentrate le ricerche successive.

Trascorsi cinque anni, il consorzio di Planck ha oggi reso pubblica la cosiddetta legacy data release: l’ultima – definitiva – versione dei dati. Il messaggio rimane lo stesso di allora, ed è ancora più forte.

«È questo il principale lascito di Planck», dice Jan Tauber, Planck project scientist dell’Esa. «Il modello standard della cosmologia ha superato, a oggi, tutti i test. E le misurazioni che lo dimostrano le ha compiute Planck».

Alla base di tutti i modelli cosmologici c’è la teoria della relatività generale di Albert Einstein. Per riconciliare le equazioni relativistiche generali con un’ampia gamma di osservazioni, fra le quali il fondo cosmico a microonde, il modello standard della cosmologia include l’intervento di due componenti sconosciute. Primo, una materia che attrae, nota come materia oscura fredda (cold dark matter): a differenza della materia ordinaria, non interagisce con la luce. Secondo, una forma di energia che respinge, nota come energia oscura (dark energy): è la responsabile dell’espansione attualmente accelerata dell’universo. Insieme alla materia ordinaria che conosciamo, queste due componenti sono risultate essenziali per spiegare il cosmo. Ma si tratta di componenti esotiche: ancora non sappiamo cosa siano veramente

Lanciato nel 2009, Planck ha raccolto dati fino al 2013. La sua prima release – quella all’origine dell’universo quasi perfetto – risale alla primavera di quell’anno. Si basava esclusivamente sulla temperatura della radiazione cosmica di fondo a microonde, e utilizzava solo le prime due survey a tutto cielo della missione. Erano dati che fornivano anche un’ulteriore prova dell’inflazione, la primissima fase di espansione accelerata del cosmo, avvenuta nelle frazioni di secondo iniziali della storia dell’universo, durante le quali vennero sparsi i semi di tutte le future strutture cosmiche. Offrendo una misura quantitativa della distribuzione relativa di queste fluttuazioni primordiali, Planck ha fornito la migliore conferma mai ottenuta dello scenario inflazionistico.

Oltre a produrre la mappa in temperatura del fondo cosmico a microonde con un’accuratezza senza precedenti, Planck ha misurato la polarizzazione di quella radiazione: una caratteristica che indica se le onde di luce vibrano in una direzione preferenziale. La polarizzazione del fondo cosmico a microonde contiene l’impronta dell’ultima interazione avvenuta tra la radiazione e le particelle di materia presenti nell’universo primordiale: porta dunque con sé informazioni aggiuntive e cruciali sulla storia del cosmo. Ma potrebbe anche contenere informazioni sui primissimi istanti del nostro universo, offrendoci dunque indizi per comprenderne la nascita.

La seconda releaseprodotta nel 2015, raccoglieva tutti i dati raccolti durante l’intera durata della missione, dunque in totale otto survey dell’intero cielo. Oltre ai dati in temperatura, conteneva anche i dati in polarizzazione, ma erano accompagnati da un’avvertenza. «Sentivamo che la qualità di alcuni dei dati di polarizzazione non era buona al punto da poterli impiegare per la cosmologia», ricorda Tauber. Ovviamente ciò non ha impedito di usarli anche per la cosmologia, aggiunge, ma alcune delle conclusioni alle quali si poteva giungere all’epoca avrebbero richiesto ulteriori conferme, ed erano dunque da maneggiare con cautela.

Proprio in questo consiste la grande novità della release finale, questa del 2018. Ora che il consorzio di Planck ha completato una nuova elaborazione dei dati, la maggior parte delle avvertenze è scomparsa: gli scienziati hanno adesso la certezza che sia la temperatura sia la polarizzazione sono determinate in modo accurato. «Finalmente possiamo elaborare un modello cosmologico basato esclusivamente sulla temperatura, o esclusivamente sulla polarizzazione, o infine sia sulla temperatura che sulla polarizzazione. E tutti e tre corrispondono», afferma Reno Mandolesidell’Università di Ferrara e associato Inaf, principal investigator dello strumento Lfi (Low Frequency Instrument di Planck.

Sequenza di mappe a tutto cielo prodotte dalla missione Planck dell’Esa a frequenze crescenti, da 30 a 857 GHz. Per ogni frequenza, l’animazione mostra la mappa delle fluttuazioni di temperatura nello sfondo a microonde cosmico, o Cmb, e tre misure della polarizzazione della Cmb. Nel caso dei due canali con la più alta frequenza (545 e 857 GHz), non sensibili alla polarizzazione, vengono mostrate solo le fluttuazioni della temperatura. Crediti: Esa/Planck Collaboration

«Dal 2015 a oggi, altri esperimenti hanno raccolto ulteriori dati astrofisici, e nuove analisi cosmologiche sono state condotte, combinando le osservazioni della Cmb a piccole scale con quelle di galassie, ammassi di galassie e supernove. Nella maggior parte dei casi hanno rafforzato i risultati di Planck e il modello cosmologico sostenuto da Planck», spiega Jean-Loup Puget dell’Istituto di astrofisica spaziale di Orsay (Francia), principal investigator dello strumento Hfi (High Frequency Instrument) di Planck.

«Si conclude una missione di grande successo, che, fra i tanti obiettivi raggiunti, ha principalmente contribuito alla validazione del modello standard della cosmologia», commenta Barbara Negri, responsabile dell’Unità esplorazione e osservazione dell’universo dell’Asi. «L’Italia ha partecipato in maniera significativa alla missione Planck con la progettazione e realizzazione dello strumento Lfi e con lo sviluppo del sottosistema di pre-amplificazione criogenica per il secondo strumento Hfi. L’Asi ha fornito un importante supporto alla comunità scientifica coinvolta guidata dal principal investigatoritaliano dello strumento Lfi, Reno Mandolesi, e da Paolo de Bernardis per la partecipazione allo strumento Hfi, e ha finanziato l’industria italiana per lo sviluppo della strumentazione scientifica».

Un enigma irrisolto: il valore della costante di Hubble

È un risultato impressionante: significa che i cosmologi possono essere certi che la loro descrizione dell’universo come un luogo fatto di materia ordinaria, materia oscura fredda ed energia oscura, popolato da strutture il cui seme è stato gettato durante una fase iniziale d’espansione inflazionaria, è in gran parte corretta. Rimangono però alcune stranezze che richiedono una spiegazione. Una in particolare è legato all’espansione dell’universo. Un’espansione il cui il tasso è dato dalla cosiddetta costante di Hubble.

➜ Leggi anche Legge di Hubble o Legge di Lemaître?

Per calcolare la costante di Hubble, gli astronomi hanno tradizionalmente fatto affidamento a distanze calibrate presenti nel cosmo. Una tecnica possibile solo per l’universo relativamente locale: si misura la luminosità apparente di particolari tipi di stelle variabili a noi vicine e di particolari stelle che esplodono, la cui luminosità effettiva può essere stimata in modo indipendente. È una tecnica ben collaudata, sviluppata nel corso del secolo scorso a partire dal lavoro pionieristico di Henrietta Leavitte successivamente applicata, alla fine degli anni Venti, da Edwin Hubble e dai suoi collaboratori, che avvalendosi di stelle variabili in galassie distanti e altre osservazioni riuscirono a dimostrare come l’universo stesse espandendosi.

Il pomo della discordia: in questo grafico, la cronologia delle principali stime della costante di Hubble, comprensive di barre d’errore. Come si può osservare, da qualche anno i valori ottenuti da misurazioni astrofisiche (in blu) e quelli derivati dalle misure cosmologiche di Planck (in rosso) non presentano più zone di sovrapposizione

Il valore per la costante di Hubble ottenuto dagli astronomi –  facendo ricorso a un’ampia varietà di osservazioni all’avanguardia, fra le quali anche quelle dell’osservatorio che proprio da Hubble ha preso il nome, il telescopio spaziale Hubble della Nasa e dell’Esa – è 73,5 km/s/Mpc, con un’incertezza di appena il due per cento. L’esoterica unità di misura esprime la velocità dell’espansione in km/s per ogni milione di parsec (Mpc) di separazione nello spazio, dove un parsec equivale a 3,26 anni luce.

Un secondo metodo per ottenere una stima della costante di Hubble si avvale invece del modello cosmologico che meglio si adatta all’immagine del fondo cosmico a microonde cosmica – dunque a una rappresentazione dell’universo quand’era molto giovane – per fornire una previsione del valore che la costante di Hubble dovrebbe avere oggi. Ebbene, applicato ai dati di Planck questo metodo fornisce un valore più basso: 67,4 km/s/Mpc. E con un margine d’incertezza assai ridotto, inferiore all’uno per cento. Ora, se da una parte è straordinario che due metodi radicalmente diversi per derivare la costante di Hubble – uno che si basa sull’universo locale e già maturo, l’altro sull’universo distante e ancora in fasce – arrivino a valori così simili, occorre d’altra parte ricordare che, in linea di principio, questi due valori, tenendo conto dei rispettivi margini d’errore, dovrebbero corrispondere. Ma così non sembra essere. Da qui la “tensione”, l’anomalia. E la domanda diventa: come conciliare questi due risultati?

Leggi anche L’universo in espansione e la legge di Hubble

Entrambe le parti in causa sono convinte che eventuali errori residui presenti nei loro metodi di misurazione siano ormai troppo ridotti per spiegare la discrepanza. È dunque possibile che ci sia qualcosa di un po’ particolare nel nostro ambiente cosmico locale, qualcosa che renda la misurazione nell’ambiente vicino in qualche modo anomala? Per esempio, sappiamo che la nostra galassia si trova in una regione dell’universo la cui densità è lievemente inferiore alla media, e questo potrebbe avere qualche effetto sul valore locale della costante di Hubble. Ma sfortunatamente la maggior parte degli astronomi ritiene che simili peculiarità non siano grandi a sufficienza per risolvere il problema.

«Non esiste un’unica soluzione astrofisica soddisfacente in grado di spiegare la discrepanza. Dunque c’è forse una nuova fisica ancora da scoprire», dice Marco Bersanelli dell’Università di Milano, deputy principal investigator dello strumento Lfi. Per “Nuova fisica” s’intende che particelle o forze esotiche potrebbero influenzare i risultati.

Tuttavia, per quanto si tratti di una prospettiva emozionante, gli stessi risultati di Planck pongono forti vincoli a questa linea di pensiero, proprio perché si adattano così bene alla maggior parte delle osservazioni. «È molto difficile includere una nuova fisica che allevi la tensione riuscendo, al tempo stesso, a mantenere la descrizione precisa offerta dal modello standard per tutto il resto, che già corrisponde», spiega François Bouchet dell’Istituto di astrofisica spaziale di Orsay, deputy principal investigator dello strumento Hfi.

Di conseguenza, nessuno è al momento in grado di fornire una spiegazione soddisfacente per le differenze tra le due misurazioni, e il punto interrogativo rimane.

«Meglio, per ora, non entusiasmarci troppo alla possibilità di nuova fisica: potrebbe benissimo essere che la discrepanza, relativamente piccola, possa essere spiegata da una combinazione di piccoli errori ed effetti locali. Dobbiamo comunque continuare a migliorare le nostre misurazioni e pensare a modi migliori per spiegarla», conclude Tauber.

Questa è dunque l’eredità di Planck: con il suo universo quasi perfetto, la missione ha offerto ai ricercatori una conferma dei loro modelli, lasciando al tempo stesso alcuni dettagli irrisolti sui quali cimentarsi. In altre parole: il meglio di entrambi i mondi.

Per saperne di più:


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Accedemia delle Stelle

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accademiadellestelle5-8 luglio: Vacanze astronomiche in Umbria. In un favoloso B&B (con piscina) e basso inquinamento luminoso; ogni pomeriggio conferenza ogni sera guida al cielo e ossevazioni con un potente telescopio.

20-22 luglio: Scuola di Archeoastronomia. I metodi dell’archeoastronomia. Corso riconosciuto dal MIUR.

A settembre riprendono i Corsi di Astronomia: Astronomia insolita e curiosa. Corso base di astronomia pratica.

Eventi in tutta italia: animeremo serate osservative in tutta Italia. Scopri i nostri appuntamenti alla pagina https://www.accademiadellestelle.org/eventi/

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Unione Astrofili Italiani

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Tutti i primi lunedì del mese: UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
http://telescopioremoto.uai.it

Le campagne nazionali UAI

20-21 Luglio La notte bianca dell’Apollo 11
Quarta edizione dell’evento promosso dalla Sezione di Ricerca Astronautica UAI, in occasione dell’anniversario del primo allunaggio e del “gigantesco balzo per l’umanità” di Neil Armstrong
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27 luglio La notte della Luna & del Pianeta Rosso!
La notte più ricca di eventi astronomici dell’anno: in prima serata l’eclisse totale di Luna, in congiunzione con il pianeta Marte all’opposizione. La Luna Rossa incontra il Pianeta Rosso! Un evento che il pubblico potrà seguire in occasione delle innumerevoli serate osservative organizzate dalle associazioni di astrofili su tutto il territorio nazionale
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10-12 agosto Le Notti delle Stelle
Il più atteso appuntamento dell’estate astronomica durante il quale le associazioni astrofile proporranno una o più serate dedicate all’osservazione delle Perseidi. L’iniziativa è abbinata a “Calici di Stelle” manifestazione enogastronomica promossa il 10 agosto dal Movimento Turismo del Vino e dall’Associazione Nazionale Città del Vino.
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Il tramonto dell’Alba. Dawn la missione delle tante “prime volte”.

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Questa immagine, di cui l’immagine in apertura è un ritaglio, mostra le Vinalia Faculae nel cratere Occator a distanza davvero ravvicinata. È stata ottenuta da Dawn durante la sua seconda missione estesa, da un’altitudine di soli 34 chilometri. Crediti: NASA / JPL-Caltech / UCLA / MPS / DLR / IDA

Mentre la sonda spaziale Dawn della NASA si prepara a concludere la sua rivoluzionaria missione durata 11 anni, incluse le due estensioni di missione entrambe di successo, ma continua imperterrita la sua esplorazione del pianeta nano Cerere, con la raccolta di dati e altre immagini.

Entro pochi mesi però Dawn finirà il suo carburante principale, l’idrazina, che alimenta i propulsori che controllano il suo orientamento e la mantiene in comunicazione con la Terra. Quando accadrà, si prevede tra agosto e ottobre, la sonda smetterà di funzionare, ma rimarrà in orbita attorno al pianeta nano.

Dawn è stata l’unico veicolo spaziale ad entrare in orbita attorno a due diverse destinazioni dello spazio profondo. Ci ha dato nuove vedute ravvicinate di Cerere e Vesta, i corpi più grandi che abitano la fascia degli asteroidi tra Marte e Giove.

Tutto questo è stato possibile grazie all’enorme efficienza della propulsione ionica. Dawn non è stata la prima astronave a utilizzare la propulsione ionica, familiare ai fan di fantascienza e agli appassionati dello spazio, ma ha sicuramente testato e spinto ai limiti questa avanzata capacità di propulsione.

«La missione Dawn, l’unica che è stata capace di orbitare ed esplorare due nuovi strani mondi, sarebbe stata impossibile senza la propulsione ionica», dichiara Marc Rayman del Jet Propulsion Laboratory della NASA, che è stato direttore della missione, capo ingegnere e capo progetto della sonda. «Dawn è davvero un’astronave interplanetaria, ed è stata straordinariamente produttiva quando ha presentato questi affascinanti e misteriosi mondi alla Terra».

Durante 14 mesi in orbita, dal 2011 al 2012, Dawn ha studiato Vesta dalla sua superficie al suo nucleo. Ha quindi effettuato una manovra senza precedenti lasciando l’orbita e viaggiando attraverso la fascia principale degli asteroidi per più di due anni, per poi raggiungere e entrare in orbita attorno a Cerere, che sta studiando dal 2015.

Di Cerere, la navicella spaziale ha scoperto i brillanti depositi salati, che decorano il pianeta nano come intarsi di diamanti in contrasto con il resto della superficie scura e a bassa albedo. La scienza alla base delle famose macchie bianche è altrettanto avvincente: sono principalmente formate da carbonato di sodio e cloruro di ammonio, che in qualche modo si sono fatti strada verso la superficie sottoforma di salamoia fangosa dall’interno della crosta o da sotto di essa.

In questi giorni, quando ormai siamo verso la fine della seconda missione estesa della sonda su Cerere, Dawn continua a stupirci settimana dopo settimana, con foto molto ravvicinate scattate da 35 chilometri dalla superficie – circa tre volte l’altitudine a cui viaggia un aereo passeggeri. Solo pochi giorni fa vi abbiamo segnalato un articolo di Alive Universe, che mostra alcune immagini ad alta definizione di questi depositi, anche con immagini a 3 dimensioni.

Un’immagine ravvicinata delle Vinalia Faculae nel cratere Occator. Cliccare per ingrandire. Crediti: NASA / JPL-Caltech / UCLA / MPS / DLR / IDA

Ma anche se la missione è alla sua conclusione, come ormai abbiamo imparato dalla conclusione di altre storiche missioni, la scienza che ne viene prodotta continua. Oltre alle immagini ad alta risoluzione, la sonda raccoglie spettri di raggi gamma e neutroni, spettri infrarossi e nel visibile e dati gravitazionali che daranno lavoro ai ricercatori per gli anni a venire.

Queste ultime osservazioni si concentrano sull’area attorno ai crateri Occator e Urvara, con l’obiettivo principale di comprendere l’evoluzione di Cerere e dimostrare la possibile geologia in corso.

«Le nuove immagini del cratere Occator e delle aree circostanti hanno superato ogni aspettativa, rivelando paesaggi bellissimi e alieni», racconta Carol Raymond del JPL, investigatore principale della missione Dawn. «La straordinariamente unica superficie di Cerere sembra essere plasmata da impatti contro la sua crosta ricca di sostanze volatili, con una conseguente intrigante e complessa geologia, come possiamo vedere nei nuovi mosaici ad alta risoluzione di Cerealia Facula e Vinalia Faculae».

I primi risultati di questa fase della missione, iniziata i primi di giugno, verranno presentati questa settimana alla riunione  del Committee on SPAce Research (COSPAR) a Pasadena. Raymond e Jennifer Scully (JPL) presenteranno nuove informazioni sulla relazione tra i materiali più brillanti e quelli scuri all’interno del cratere Occator, che mostrano vari processi di impatto, frane e criovulcanismo.

Nuovi dati ad alta risoluzione vengon utilizzati per dimostrare e perfezionare le ipotesi sulla formazione e l’evoluzione del cratere. «Osservazioni, modellistica e studi di laboratorio ci hanno aiutato a concludere che le macchie bianche di Cerere sono nate a seguito o a impatti che hanno interagito con la crosta esponendo riserve d’acqua salata e ricca di minerali in profondità, oppure a un serbatoio  di questa melma salata superficiale che ha contribuito, sciogliendosi a seguito dell’impatto, alla loro formazione» spiega Jenniifer Scully.

Le nuove immagini supportano finora l’ipotesi che sia in corso un’esposizione di materiale subsuperficiale e che la regione sia geologicamente attiva, alimentata da un serbatoio di acqua salmastra in profondità. Eleonora Ammannito dell’Agenzia Spaziale Italiana, vicedirettrice dello spettrometro italiano VIR, presenterà delle mappe aggiornate per mostrare la distribuzione dell’acqua salata attraverso la superficie di Cerere.

«Particolare attenzione è stata dedicata alle faculae presenti nel cratere Occator poiché i minerali identificati dallo spettrometro sembrano indicare la presenza di acqua liquida almeno in una fase iniziale» commenta in una intervista Media INAF la Ammannito.

Inoltre, le osservazioni a bassa quota che verranno ottenute con gli altri strumenti di Dawn, tra cui un rivelatore di raggi gamma e neutroni (il Gamma Ray and Neutron Detector – GRaND), riveleranno la composizione di Cerere su scala più piccola e precisa, gettando nuova luce sull’origine dei materiali trovati sulla superficie di questo pianeta nano.

Sempre durante la conferenza a Pasadena, Dawn Dan Grebow (JPL) del team di volo descriverà l’orbita finale di Dawn, progettata per rispettare i protocolli di protezione planetaria della NASA.

Le immagini a bassa quota raccolte da Dawn sono pubblicate regolarmente nella pagina web della missione.

Leggi anche Missione Dawn. Tutta l’attenzione su Cerere.

Ulteriori informazioni sulla missione sono disponibili su:

https://www.nasa.gov/dawn

https://dawn.jpl.nasa.gov


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Juno: un nuovo vulcano su Io… and counting

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Qui sopra evidenziata la posizione della nuova fonte di calore vicino al polo sud di Io. La scala sulla destra dell'immagine mostra l'intervallo di temperature visualizzate nell'immagine ripresa negli infrarossi. Le temperature registrate più elevate sono caratterizzate dai colori più brillanti, mentre i colori più scuri indicano le zone più fredde. L'immagine è stata ricostruita da dati raccolti il ​​16 dicembre 2017 dallo strumento JIRAM a bordo della sonda quando Juno si trovava a circa 470.000 chilometri dalla luna di Giove. Crediti: NASA / JPL-Caltech / SwRI / ASI / INAF / JIRAM
Questa immagine in infrarosso dell’emisfero sud della luna di Giove Io è stata ottenuta dai dati raccolti dallo strumento Jovian Auronic Mapper (JIRAM) a bordo della sonda Juno, e ci mostra un probabile nuovo vulcano sulla superfice della luna di Giove, il corpo vulcanicamente più attivo di tutto il Sistema solare. Crediti: NASA / JPL-Caltech / SwRI / ASI / INAF / JIRAM

Io è senz’altro la luna più vulcanicamente attiva dell’intero Sistema solare, ed è uno dei motivi per cui è anche uno dei mondi su cui è maggiormente puntata l’attenzione dei ricercatori. L’attività geologica è stata per la prima volta rivelata dalle due sonde Voyager, nel 1979, che individuarono al

Nel 1979, le due sonde Voyager rivelarono l’attività geologica di Io, poi ci pensò la sonda Galileo ad effettuare diversi passaggi ravvicinati, raccogliendo dati sulla struttura interna e sulla sua composizione, rivelando il rapporto tra Io e la magnetosfera di Giove. Infine la sonda Cassini-Huygens nel 2000 e la New Horizons nel 2007, di passaggio verso le loro destinazioni finali, e ulteriori osservazioni da telescopi a Terra e dal telescopio spaziale Hubble, hanno portato a individuare fino a 150 vulcani sulla superficie della piccola luna, ma si pensa ce ne siano almeno il doppio se non di più ancora da individuare e mappare.

E Juno, con il suo strumento Jovian InfraRed Auroral Mapper (JIRAM) – finanziato dall’Agenzia spaziale italiana, realizzato da Leonardo-Finmeccanica, e con la responsabilità scientifica dell’Istituto nazionale di astrofisica – si appresta ad aumentare il conteggio dei vulcani individuati.

Il punto di partenza sono i dati raccolti il 16 dicembre 2017 dalla sonda Juno della NASA, grazie  proprio allo strumento JIRAM, che indicano la presenza di una nuova fonte di calore (un hot spot) vicino al polo sud di Io e che potrebbe essere la traccia di un vulcano ancora sconosciuto.

Qui sopra evidenziata la posizione della nuova fonte di calore vicino al polo sud di Io. La scala sulla destra dell’immagine mostra l’intervallo di temperature visualizzate nell’immagine ripresa negli infrarossi. Le temperature registrate più elevate sono caratterizzate dai colori più brillanti, mentre i colori più scuri indicano le zone più fredde. L’immagine è stata ricostruita da dati raccolti il ​​16 dicembre 2017 dallo strumento JIRAM a bordo della sonda quando Juno si trovava a circa 470.000 chilometri dalla luna di Giove. Crediti: NASA / JPL-Caltech / SwRI / ASI / INAF / JIRAM

«Il nuovo hotspot individuato da JIRAM si trova a circa 300 chilometri da quello più vicino precedentemente mappato», spiega Alessandro Mura, vice responsabile dello strumento Jiram dell’Istituto Nazionale di Astrofisica a Roma. «Non escludiamo movimenti o modifiche di un hot spot scoperto in precedenza, ma è difficile immaginare che possa aver percorso una tale distanza e di poter continuare a considerarlo la stessa formazione».

In una intervista a media INAF Mura spiega anche che «altri hot spot presenti nell’immagine di Jiram, seppure forse già identificati in precedenza, mostrano dei significativi mutamenti. I dati mostrano la complessità e dinamicità della superficie di Io. Il team di Jiram è attualmente impegnato nello studio di questi nuovi dati, che verranno sottomessi a breve per una pubblicazione su rivista scientifica».

«Il motivo di questa attività è legato alla sua vicinanza con il gigante gassoso e con le sue compagne Europa e Ganimede. Essi inducono una fortissima attività mareale che, da un lato blocca l’orbita di Io (che è infatti in risonanza con quella degli altri satelliti Europa e Ganimede), dall’altro dissipa energia sotto forma di attività geologica. Questa sfocia nella formazione di vulcani e patere, che rilasciano zolfo e biossido di zolfo nell’atmosfera e le cui emissioni si elevano fino a 500 chilometri di altezza».

Il team di Juno continuerà ad analizzare i dati raccolti nel flyby del 16 dicembre, così come i dati JIRAM che verranno raccolti durante i futuri (e anche più vicini) passaggi nei pressi di Io, per confermare e individuare nuovi hot spot e quindi i tanti vulcani attivi che i ricercatori si aspettano di trovare.

La sonda sta effettuando proprio oggi, 16 luglio, il suo 13° passaggio scientifico ravvicinato all’atmosfera del gigante gassoso, ma è il 14°  passaggio (PJ14) per quel che riguarda invece la raccolta delle immagini dalla JunoCam, la camera di imaging dedicata al pubblico a bordo della sonda, e noi siamo in attesa delle prossime meravigliose immagini che la comunità di appassionati e ricercatori riuscirà a produrre.

Ulteriori informazioni sulla missione Juno sono disponibili su:

https://www.nasa.gov/juno

https://www.missionjuno.swri.edu


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Serata con Luna e Giove e il miglior passaggio del mese della ISS

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La sera del 20 luglio, alle ore 22:00 il cielo sarà già sufficientemente scuro da poter ammirare una bella congiunzione tra la Luna crescente (fase del 61%), il pianeta Giove, molto brillante (mag. –2,2) e le più deboli stelle della costellazione della Bilancia, dove avviene l’incontro. La separazione tra la Luna e Giove sarà di circa 4,4°.

In particolare, potremo vedere Zubenelgenubi (la stella alfa della Bilancia, mag. +2,8) a circa 6,2° gradi da Giove.

Ad arricchire il quadro sarà la Stazione Spaziale Internazionale che, se osservata dal Centro Italia, passerà, nel suo miglior transito del mese, proprio tra Giove e la Luna, offrendo un interessante spunto fotografico (si consiglia di verificare gli orari e le condizioni osservative per la propria località con uno dei tanti software gratuiti).

➜ Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS a luglio

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Luglio 2018

➜ La LUNA di luglio e agosto.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione a nord del mare Crisium fino al cratere Mercurius

➜ 27 luglio: Marte, la Grande Opposizione 2018

➜ Scopri le costellazioni del Cielo di luglio e agosto con la UAI, che questo mese ci porta “a Est di Deneb”

➜ Mentre questo mese Stefano Schirinzi ci racconta la costellazione del Drago (I parte)


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La Luna di Luglio e una guida alla regione lunare a nord del mare Crisium

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Le fasi della Luna in luglio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Le fasi della Luna in luglio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

Nel procedere della Fase Calante la Luna sarà in Ultimo Quarto alle 09:51 del 6 luglio raggiungendo successivamente il Novilunio alle 04:48 del giorno 13. Da qui ripartirà un nuovo ciclo di Luna Crescente con la fase di Primo Quarto del 19 luglio alle 21:52 a un’altezza di +28° con transito in meridiano alle 19:13 a +39° fino al 27 luglio quando, dopo essere sorta alle 20:44, la Luna raggiungerà alle 22:20 la fase di Plenilunio a un’altezza di +12°30′. Infine luglio si concluderà col nostro satellite in Fase Calante.

Indice dei contenuti

Eclisse Totale di Luna con Marte in Grande Opposizione

Un appuntamento da non perdere assolutamente sarà quello del 27 luglio quando la Luna Piena, in congiunzione col Pianeta Rosso (a sua volta in opposizione rispetto al Sole), sarà anche in Eclisse Totale con le varie fasi fino al transito in meridiano (vedi Una Notte in Rosso).

È sicuramente un’imperdibile occasione per interessanti osservazioni e fotografie, pertanto PhotoCoelum attende i vostri lavori!

Continua su la Luna di Luglio e Agosto 2018

A luglio osserviamo

Il Mare Crisium

16 e 17 luglio. La regione lunare a nord del mare Crisium

La prima e principale proposta per il mese di luglio viene dedicata alla regione lunare situata a nord del mare Crisium nelle due serate del 16 e 17 luglio, a partire dalle 21:30 circa, quando orienteremo i nostri strumenti in prossimità del bordo orientale del nostro satellite, partendo dalle pareti settentrionali del mare Crisium (già visto in dettaglio in un precedente articolo) spostandoci poi in direzione nord fino al cratere Mercurius.

➜ Per i dettagli vedi la regione lunare a nord del mare Crisium

21 luglio. La “Catena Davy”

Per l’osservazione della “Catena Davy” l’appuntamento è per la serata del 21 luglio quando dalle 21:00/21:30 in poi, con la Luna in fase di 8,70 giorni a +31°, si renderà necessario spostare le nostra attenzione sul margine orientale del mare Nubium, dove fra questo vastissimo bacino da impatto e i crateri Ptolemaeus e Alphonsus concentreremo l’attenzione su questa particolare struttura geologica.

Osserviamo la Catena Davy

22 e 23 luglio. La Palus Epidemiarum

La terza proposta di luglio è per le serate del 22 e 23 luglio quando nel settore sudovest del nostro satellite è prevista l’osservazione della Palus Epidemiarum. Proposta suddivisa in due serate consecutive, in quanto il terminatore lunare nel suo lento e inarrestabile scorrere sulla superficie lunare transiterà proprio sulla struttura che il 22 e il 23 luglio sarà oggetto delle nostre osservazioni condizionandone la visibilità in relazione al suo passaggio.

➜  Nei prossimi giorni, a questo link: Osserviamo  la Palus Epidemiarum

Effemeridi complete giornaliere della Luna sul Cielo di Luglio

Leggi anche

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna

➜  Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n. 211

E tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione basta attendere il momento giusto!

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E ancora, sempre su Coelum Astronomia n. 223

➜ Catch the Iridium! Un appello per tutti gli astrofotografi, riprendiamo gli iridium flare prima che… scompaiano!

➜ Comete. La C/2016 M1 PanSTARRS ai saluti

➜ Supernovae. Una nuova scoperta italiana su PGC 60339, controllate le vostre foto, per una possibile prediscovery!


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Giugno su Coelum Astronomia 223

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