Gruppo Amici del Cielo di Barzago
23.11: “I colori dell’astronomia” a cura di Davide Trezzi.
Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it
23.11: “I colori dell’astronomia” a cura di Davide Trezzi.
Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
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Ne siamo assolutamente certi, così come siamo certi che nessuna mediazione (e internet ne offre veramente tante) può sostituire l’osservazione diretta della Luna al telescopio: entrare in contatto con i mari e i crateri del nostro satellite, con quella “certezza data dagli occhi” tanto cara a Galileo Galilei, è un’esperienza davvero unica.
Per condividere con tutti questa emozione, il Planetario di Ravenna e l’Unione Astrofili Italiani invitano tutte le associazioni e gli appassionati a organizzare un’osservazione pubblica della Luna la sera di sabato 22 dicembre 2012. Il nostro satellite, nella fase fra il primo quarto e la Luna piena, sarà alto sull’orizzonte dalle 17 alle 23, e il pianeta Giove sarà nelle vicinanze della Luna, ancora più alto, e
quasi per l’occasione ci mostrerà tutti e quattro gli Astri Medicei, o Lune Galileiane: Io, Europa, Ganimede e Callisto. L’osservazione può essere organizzata nel miglior stile della Sidewalk Astronomy da qualunque sito: parcheggi, centri commerciali, piazze, feste, la Luna non teme le luci e si fa ammirare in qualsiasi condizione! http://divulgazione.uai.it/index.php/Sidewalk_Astronomy
A Ravenna l’osservazione si terrà nei pressi della tomba di Dante, che attorno alla Luna ha scritto uno dei canti più belli della Divina Commedia.
www.arar.it
Contatti:
http://divulgazione.uai.it/index.php/Pagina_principale
Per registrare le proprie iniziative:
http://divulgazione.uai.it/index.php/AstroIniziative
www.uai.it
Il telescopio spaziale HUBBLE augura a tutti un Buon Natale con una straordinaria immagine della nebulosa planetaria NGC 5189 la cui struttura ricorda un gigante e colorato fiocco, quasi una decorazione natalizia.

Hubble, nel corso della sua carriera nello spazio, ha più e più volte fotografato le nebulose planetarie, che altro non sono che lo stadio finale di stelle di luminosità simile a quella del Sole. Al termine della loro vita, queste stelle si disgregano formando strutture intricate che gli astronomi stanno ancora in parte cercando di capire, come quella di NGC 5189.
Studiando questi oggetti celesti, soprattutto grazie a Hubble, i ricercatori possono prevedere il futuro del Sole, il quale si trasformerà in una nebulosa quando esaurirà la sua energia, ma questo solo fra circa 5 miliardi di anni.
Indice dei contenuti
La particolare forma a S della nebulosa presenta una serie di nodi, dense nuvole di gas caldo che fluttua attorno al centro creando delle onde a forma di fiocco. La stella al centro della nebulosa è una nana bianca, troppo piccola da analizzare nel dettaglio, e grande più o meno come la Terra.
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Prossimi appuntamenti:
21.12: “La notte più corta dell’anno: il solstizio d’inverno”. Al telescopio: Luna e Giove.
Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it
Le lezioni, tenute dagli esperti del Gruppo Divulgatori della Società Astronomica Italiana Sezione Puglia, si svolgeranno presso il:
Punto vendita Salmoiraghi & Viganò di Bari – Via Piccinni 92 – ogni mercoledì alle ore 20,00 a partire dal 14 novembre 2012
22.12: Lezione di orientamento astronomico e riconoscimento delle costellazioni di astrofotografia teorica e pratica.
*La data del 22 dicembre potrebbe variare a causa delle condizione metereologiche poichè comprometterebbero l’osservazione del cielo.
Le iscrizioni saranno raccolte direttamente nel negozio di Via Piccinni, versando una quota individuale pari a 60,00 euro che comprende l’abbonamento alla rivista Coelum
Astronomia (semestrale cartacea o annuale on line), materiale didattico e gadget. Il limite massimo è di 20 partecipanti per corso, al termine del quale verrà rilasciato un diploma
di partecipazione e la possibilità di accedere in via esclusiva a sconti.
Per informazioni e prenotazioni:
www.saitpuglia.it – www.thelunarsociety.it – www.salmoiraghievigano.it
21.12: Osservazione della volta stellata (cielo permettendo,
giardini pubblici).
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it
21.12: “A che ora è la fine del mondo?” Serata speciale: programma in fase di preparazione.
Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it
Il venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 17:30 e 21:00, la domenica alle ore 16:00 e 17:30. Per il programma di ottobre consultare il sito del Planetario.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it
Studiare il Sole in 3D. Questo il target dichiarato dal team della NASA che gestisce STEREO (Solar Terrestrial Relations Observatory). Per raggiungere l’obiettivo, la missione ha adottato una tecnica osservativa della nostra stella originale e di tutto rispetto, che permette risultati sorprendenti. I ritratti della nostra stella realizzati in occasione di una recente eruzione solare, e per alcuni versi simili alle foto segnaletiche di un vero “ricercato speciale”, ne sono una chiara dimostrazione.

A prima vista potrebbero sembrare due immagini del Sole ottenute in momenti diversi della sua attività. In realtà le due immagini sono state scattate quasi contemporaneamente, dai due spacecraft che compongono la missione STEREO e da due punti di vista diversi, il 14 ottobre scorso, nel momento di una eruzione solare. Come in una stazione di polizia spaziale, STEREO ha “schedato” la nostra stella con una foto segnaletica composta da due ritratti complementari, uno di fronte e uno di profilo, scattati in contemporanea allo stesso, irrequieto, soggetto: il Sole.
Questo permette di spiegare l’apparente diversità delle due immagini realizzate in contemporanea. A prima vista, la prominenza solare che dirompe dall’atmosfera, visibile nell’immagine a destra realizzata da STEREO-A, sembra del tutto assente dall’immagine a sinistra. In realtà, questo secondo scatto, opera di STEREO-B, è stato realizzato da una posizione “di fronte”. E guardando meglio, è chiaramente identificabile una linea verticale piu scura, appena a sinistra del centro del disco, che corrisponde all’eruzione ripresa dal primo spacecraft.
L’idea è semplice ma, come dimostrano queste immagini, molto efficace.
Le due sonde tracciano due orbite progettate per studiare al meglio il Sole: i percorsi dei due spacecraft sono molto simili a quello compiuto dalla Terra intorno alla sua stella. L’unica differenza è che STEREO A si trova su un’orbita di raggio leggermente più piccolo del nostro pianeta, compiendo dunque un giro più veloce (in un’orbita, raggio e periodo sono legati dalla terza Legge di Keplero). STEREO B percorre invece un’orbita leggermente piu grande di quella terrestre e quindi più lenta.
La geometria osservativa creata da queste due orbite è di assoluto interesse. Approssimando, si potrebbe dire che i due STEREO e la Terra percorrono la stessa orbita intorno al Sole (visto che le differenze di raggio sono trascurabili rispetto alla distanza terra-sole) ma con velocità diverse, potendosi disporre contemporaneamente in punti diversi dell’orbita terrestre. Come dire che per la prima volta, STEREO permette di vedere simultaneamente tutte le facce del sole. Questa capacita è fondamentale per fenomeni per loro natura tridimensionali, come le eruzioni solari che sparano materia nello spazio, fenomeni del tutto invisibili per un osservatore situato nel punto di visuale sbagliato.
La speciale strategia di missione permette inoltre delle configurazioni osservative speciali. Come quella assunta nel febbraio del 2011, quando i due STEREO si sono ritrovati ad osservare il Sole da estremità opposte dell’orbita (in opposizione, cioè con una separazione di 180°), permettendo così di realizzare il primo ritratto a 360° della nostra Stella. O a settembre 2012 quando i due STEREO e SDO, il telescopio terrestre puntato sul sole, si sono trovati nella giusta posizione per formare un triangolo equilatero, fornendo immagini in parte sovrapponibili del Sole.
E se, come si dice, nel prossimo futuro l’attività solare continuerà ad intensificarsi dopo i minimi degli ultimi anni, STEREO è solo uno dei tanti progetti che la ricerca mondiale sta mettendo in campo per studiare la nostra stella in molti modi diversi. Buone notizie quindi, per tutti gli appassionati che possono aspettare con fiducia un futuro con molto di nuovo, sotto al Sole.
Per sapere di più sulla missione STEREO:
http://www.nasa.gov/mission_pages/stereo/news/6th-anniversary.html
21.12: “La notte più corta dell’anno: il solstizio d’inverno”.
Al telescopio: Luna e Giove.
Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it
21.12: “Le stelle di Natale… in attesa della fine del mondo” di Marco Zambianchi.
Dopo le conferenze serali, meteo permettendo, si potranno osservare gli oggetti del cielo con i telescopi del Gruppo.
Per info: Tel. 0341 367 584
www.deepspace.it
Parco del DopoLavoro Ferroviario, ore 21
Da ottobre 2012 a marzo 2013 sei appuntamenti in città, ogni serata un argomento-guida con conferenza e, meteo permettendo, vi guideremo alla conoscenza del firmamento con l’aiuto dei telescopi.
E’ gradito un contributo volontario di 5 euro dai visitatori adulti
Per info:
Associazione Astrofili Bolognesi
Via Serlio 25/2 – Parco DLF – Bologna
Parcheggio interno e gratuito da Via Stalingrado 12
Autobus n. 21
www.associazioneastrofilibolognesi.it – telefono: 348 2554552
info@associazioneastrofilibolognesi.it
18.12: “Il Sole, le aurore, le stelle, l’Orsa Maggiore:
leggende degli indiani d’America” di C. Balella.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

La Ocean Spirit, il nostro battello, viaggia veloce saltando sulle onde di un mare forza 5, abbiamo appena lasciato il porto di Cairns nel nord del Queensland in Australia, per percorrere i 27 km che ci separano da Green Island, la nostra meta per l’osservazione dell’eclisse totale australiana. Il cielo è nero, pesantemente coperto e ogni tanto siamo bersagliati da scrosci di pioggia che certo non inducono all’ottimismo, nonostante le previsioni meteo confortanti controllate anche la sera prima dall’hotel. Al largo di Cairns, infatti ci sono più probabilità di sereno che sulla costa, in cui la condensazione dell’umidità dell’oceano crea frequenti annuvolamenti e piovaschi, situazione che si è verificata con regolarità negli ultimi 3 giorni, costituendo un vero incubo per i numerosissimi astrofili accorsi da tutto il mondo per assistere all’ evento.
Barcollo in precario equilibrio cercando di consumare la colazione e osservo i 14 compagni di avventura avvolti nelle giacche a vento e oltremodo assonnati, sono le 4 del mattino del 14 Novembre 2012, fra poco capiremo se la scelta di osservare l’eclisse da Green Island è stata azzeccata, ormai ci siamo, non si può più tornare indietro. Guardando la schiuma bianca delle onde che si infrangono contro la prua, riavvolgo il nastro dei ricordi di questi ultimi intensissimi 13 giorni in terra australiana e rivedo uno a uno gli splendidi panorami, le città e le tappe di questo incredibile viaggio organizzato ancora una volta con la rivista Coelum in collaborazione con Coop Camelot, CTM Robintur e Sait Puglia.
Tutto inizia l’1 Novembre quando ci ritroviamo in 12 all’aeroporto di Malpensa per la lunga odissea, oltre al sottoscritto e al collega Ferruccio Zanotti, il gradito ritorno di Davide Andreani, con noi in Austria, Norvegia, Cile ed Egitto e di Vanna Civolani ( Marocco, Algeria e Armenia ), poi tutta gente nuova, Sara Vatrella, Stefania Montaldo, Adelina Friedmann, Elisabetta Ionna, Mirco Girotti, Maurizio Ferri, Maura Dodi e Maria Giovanna Martelletta. Come in tutti i viaggi astronomici che si rispettino, arriva il momento di affrontare l’addetto al check in, sperando che chiuda un occhio sugli eccessi di peso e sul mio bagaglio supplementare contenente il Dobson, ma questa volta al banco della British Airwais troviamo un personaggio inflessibile, che non vuole assolutamente saperne di conteggiare un bagaglio cumulativo suddividendo il peso totale del nostro gruppo, in modo da compensare le eccedenze di chi ha più peso.
Niente da fare, dovrò sobbarcarmi 100 euro di extra baggage… Voglio sperare che quelli della Quantas siano più comprensivi ( abbiamo 13 voli! ) e mestamente mi preparo per affrontare un altro classico aeroportuale, ovvero il passaggio sotto il metal detector dei bagagli a mano contenenti telescopi e quant’altro e conseguenti e approfonditi controlli degli addetti alla sicurezza con infinite domande sulla natura della strana strumentazione che ci portiamo appresso. A Londra traslochiamo sull’immenso Airbus 380 della Quantas che dopo 12 ore ci deposita a Singapore per uno scalo tecnico, solo un’ora di pausa, prima di procedere con altre 8 ore di volo e arrivare a Sydney, un viaggio infinito all’altro capo del mondo!
Al nostro arrivo, il 3 Novembre, sono passati 2 giorni dalla partenza, anche a causa delle 10 ore in più di fuso orario e all’aeroporto troviamo un’addetta della Naar World Wide Tours, tour operator che ci seguirà in Australia e un pullman che ci conduce al nostro Grace Hotel in centro città, il cielo è molto nuvoloso e tira un vento freddo. Un po’ stralunati andiamo a fare un’ottima colazione e ci riposiamo qualche ora prima di fare nel pomeriggio un giro per la città con una sosta all’Acquario, che si trova nella zona portuale di Darling Harbour, ricca di locali e ristoranti.
Qui abbiamo il primo impatto con la straordinaria fauna ittica australiana, con pesci multicolori della barriera corallina, squali, granchi giganti e addirittura strani mammiferi come dugonghi e ornitorinchi, poi, con una camminata di una mezzoretta ci trasferiamo al quartiere detto The Rocks, il quartiere più antico, in stile Vittoriano, in cui visitiamo l’osservatorio astronomico di Sydney, eretto nel 1850 e oggi adibito a museo. Conserva alcuni tra i primi strumenti astronomici portati in Australia, come un antico rifrattore del 1874 ancora in uso per scolaresche e visitatori, che ci viene mostrato dall’astronoma Katrina Sealey, coadiuvata da Davide nell’apertura e chiusura a manovella della cupola.
Passeggiamo un po’ tra le pittoresche vie dei Rocks, con le sue birrerie con musica dal vivo e mercatini con spezie profumate e quindi ritorniamo di nuovo per la cena a Darling Harbour, con una breve sosta in hotel in cui facciamo conoscenza con gli ultimi componenti della nostra spedizione, Enzo Pincini, Gaetano Mensitieri e Dora Lodi di Ancona, partiti prima di noi per visitare anche Melbourn e la Great Ocean Road con i faraglioni chiamati “12 apostoli”, di cui ci riportano entusiastici commenti.
Sydney è una città di 4 milioni di abitanti, una città cosmopolita e multirazziale, ricca sopratutto di giovani asiatici, che vediamo perfettamente integrati con i coetanei europei e americani nella passeggiata serale a Darling Harbour.
Il giorno dopo, 4 Novembre, esce finalmente il sole e facciamo conoscenza con Willya la nostra allegra e simpatica guida che ci accompagnerà alla scoperta di Sydney. La prima tappa la facciamo nelle vicinanze del gigantesco Harbour Bridge, capolavoro d’ingegneria ultimato nel 1932, da cui scorgiamo in lontananza l’inconfondibile sagoma dell’Opera House, che avremo modo di apprezzare anche dopo aver attraversato il Giardino Botanico, alla Woolloomollo bay e al Lady Macquaire Point, con una magnifica vista sulla baia. Poi attraversiamo la periferia orientale della città, con le sue esclusive abitazioni, da King Kross a Vaucluse, ammirando le splendide Walsh Bay e Double Bay, il Municipio, il Queen Victoria Building, la Sydney Tower, la cattedrale cattolica di St Mary, fino alla famosa spiaggia di Bondy Beach e alla storica Paddington ricca di villette con caratteristiche ringhiere in ferro e giardini con alberi lilla di Jacaranda, Ficus giganteschi e cespugli di Gelsomino.
Poi è il momento di salire sulla nave, la Magistic Cruises, dal porto di King Street Wharf, per la mini crociera nella baia di Sydney con incluso ottimo pranzo, devo dire il modo migliore per vedere Sydney e la sua skyline di moderni grattacieli e l’occasione per festeggiare a dovere i compleanni di Maurizio e Davide con tanto di torta con candeline preparata dallo staff.
Passiamo vicino all’Opera House, ammirando il suo avveniristico design da diverse angolazioni e stupendoci di un’opera concepita nel lontano 1956 dall’architaetto danese Jorn Utzon e ancora oggi attuale, anzi futuristica, con le sue enormi conchiglie bianche che racchiudono imponenti e spettacolari sale da concerto che visiteremo nel pomeriggio, dopo una breve passeggiata a Circular Quay, il luogo di nascita di Sydney.
Qui nel lontano 1778 sbarcò il capitano James Cook, con un carico di deportati, soldati e ufficiali, proclamando la nascita della colonia britannica del Nuovo Galles del Sud e qui un gruppo di aborigeni, quasi a rivendicare la legittima proprietà di questa terra, si esibisce in balli tribali al suono lugubre del Didgeridoo.
A cena siamo di nuovo nelle vicinanze dell’Opera House e cominciamo ad imbatterci nelle stranezze della cucina australiana, io in particolare mi confronterò nel corso del viaggio con piatti veramente discutibili, a cominciare da questa sera con un improbabile pollo al crème caramel! All’uscita, qualche squarcio nelle nubi ci permette di dare se pur in mezzo alle luci,la prima occhiata al cielo australe con Fomalhaut del Pesce Australe allo zenit, e Achernar dell’Eridano altissima, a precedere il sorgere di Canopo, Sirio ed Orione.
5 Novembre, Willya ci conduce all’aeroporto al primo dei numerosi voli interni, la destinazione è Adelaide, questa volta il Dobson passa senza problemi, sarà così anche per tutti i voli successivi, meno male! Una volta ad Adelaide, incontriamo Paolo, un compassato siciliano non troppo entusiasta di essere emigrato in Australia, dove, ci dice, tutto è efficiente, ma dove si cena alle 18.30 e dove molti giovani sono preda dell’alcool.
Fra una lamentela e l’altra ci conduce con il pullman ad una visita veloce della città, con le sue aree residenziali, il Festival Centre e i Giardini Botanici in cui un forte vento e qualche pioggerella ci consigliano di tornare rapidamente all’aeroporto per il successivo volo per Kangaroo Island. Paolo ci aiuta nel trasferimento dello stretto necessario dal bagaglio principale a quello a mano, per ragioni di spazio, sul piccolo aereo bimotore per Kangaroo, ricordandoci di ricuperare i bagagli più voluminosi al nostro ritorno ad Adelaide.
Una volta sull’aereo assisteremo sorridendo ai ripetuti rimproveri della severa hostess nei confronti di Ferruccio seduto di fianco all’uscita di sicurezza e non del tutto pronto in caso di emergenza, fuori il vento sta crescendo e si teme uno Storm, una tempesta. Fortunatamente, a parte qualche scossone e qualche vuoto d’aria, arriviamo sani e salvi dopo una mezz’ora di volo a Kangaroo Island, la terza isola per dimensioni d’Australia ( 155km X 55 ).
All’aeroporto di Kingscote ad accoglierci troviamo un’altra guida, Lio, che vestito da ranger, ci fa immediatamente salire su un mezzo tecnico adatto a tutti i tipi di strade, guidato dall’esperto Mark, per la prima tappa sull’isola: Pennington bay.
Il mare azzurro- verde smeraldo dell’oceano contrasta incredibilmente con i nuvoloni grigi e bianchi di una perturbazione che ci sta seguendo dalla terraferma e l’isola rivela il suo lato più selvaggio con grosse onde che si infrangono sulla spiaggia. Poco dopo avviene il nostro primo incontro con l’animale simbolo dell’Australia, il canguro, in un’area protetta chiamata Conservation park. All’inizio ne vediamo alcuni dietro i cespugli, poi in una radura questi animali spuntano come funghi a decine, ci sono anche famigliole con i piccoli e alcuni si lasciano avvicinare fino a breve distanza. Siamo fortunati, ci dice Lio, la temperatura fresca li ha fatti uscire, di solito stanno al riparo della vegetazione.
Ammiriamo così in tutto il loro splendore questi famosi marsupiali, il loro strano modo di camminare a quattro zampe e i loro incredibili lunghi balzi, quando dopo l’ennesima foto e ripresa cominciamo a diventare troppo invadenti. Riprendiamo il pullmino mentre sopra di noi svolazzano svariati cacatua dal petto rosa e arriviamo alla foce dell’ American River in cui se ne stanno tranquillamente a mollo svariate specie di uccelli, come spatole, egrette, pellicani, cigni neri e ibis, qui Mark ci prepara un buon te’ al riparo di una tettoia in legno, fuori infatti sta iniziando a piovere.
Nel viaggio di ritorno verso Kingscote, si scatena un temporale con potenti fulmini che, ci dice Lio, sono frequentissimi in Australia e la principale causa di incendi sull’isola. Arriviamo al nostro Aurora Ozone hotel, un vecchio edificio in stile coloniale in cui a causa del temporale manca per qualche ora la corrente.
Poco dopo andiamo a cena di fronte, dall’altra parte della strada nel buon ristorante dell’hotel. Fuori il cielo sta un po’ migliorando e uno strano tramonto crea una luminosità rosata sull’oceano al di là della bella vetrata panoramica. Cominciamo a pensare all’eclisse, certo l’Australia è grande, ma queste perturbazioni ci mettono un po’ di apprensione, speriamo…Dopo cena siamo stanchi e nessuno di noi compie l’escursione notturna alla ricerca dei timidi pinguini minori blu, solo Adelina e Stefania li vedranno la mattina dopo nella zona del porto. Usciamo comunque a fare due passi, la cittadina è buia e deserta, il cielo cupo, il vento freddo che fa cigolare le porte di isolati capannoni, ci ricordano i film dell’orrore di John Carpenter. Meglio andare a dormire.
L’indomani , 6 Novembre, la situazione meteo è migliorata, il cielo è variabile e a folate gelide si alterna un sole caldo, qui in Australia sta infatti iniziando l’estate. Il nostro mezzo ci porta verso sud alla Seal bay, famosa per ospitare numerose colonie di Leoni marini, che vediamo placidamente distesi a prendere il sole sulla riva, i maschi più grossi si stiracchiano, guardando in cagnesco i loro rivali, mentre svariate femmine sono intente ad allattare i propri piccoli.
Tra i cespugli notiamo anche un Wallaby, un piccolo canguro. Poi, passando per la splendida Vivonne bay, entriamo in un’altra riserva naturale ricca questa volta di Koala, buffi e sonnolenti marsupiali aggrappati ai numerosi alberi di Eucalipto e ghiotti delle loro foglie.
Dopo il pranzo, preparatoci direttamente nella foresta di eucalipti e casuarina, arriviamo a Cape de Couedic, sulla punta sud est dell’isola, altra zona in cui è possibile avvistare le otarie. Si tratta questa volta di otarie Orsine della Nuova Zelanda, che ammiriamo dall’alto promontorio, prima di scendere al suggestivo Admirals Arch, un arco di roccia scavato dalle onde nel corso dei millenni ai piedi di un faro costruito nel 1909.
Da qui l’Antartide dista poco più di 4000 km e i suoi venti gelidi spazzano la costa indisturbati non trovando ostacoli nel loro percorso. Ne abbiamo una prova anche alle Remarkable Rocks, nel grande Fliders Chase National Park ,un affioramento roccioso di granito molto simile all’”Orso” di Palau in Sardegna, costituito da rocce arrotondate dall’erosione del vento in bilico su una scogliera a 75 m dall’oceano.
Successivamente, mentre ci rechiamo al Kelly Hill Conservation Park, un velenosissimo serpente black tiger ci attraversa la strada, ricordandoci che in Australia sono presenti tantissime specie di rettili ed insetti velenosi, tra cui ben 2000 specie di ragni. La riserva ricorda molto un parco africano e ci gustiamo il tè con dolcetti preparato come al solito da Mark, sul far del tramonto, in totale relax, tra i colori vividi della vegetazione in cui pascolano svariati canguri. Magnifico!
Lio ci saluta e ci ricorda l’appuntamento di domani all’alba con il pullman, mentre ci conduce al nostro lodge in mezzo alla natura, il Kangaroo Island Wilderness Retreat, assolutamente isolato l’ideale per osservazioni astronomiche se non fosse che il cielo si è di nuovo coperto e che il Dobson è rimasto ad Adelaide. Dopo una cena sempre prematura, proviamo comunque a osservare qualcosa ed in mezzo alle nubi scorgiamo Achernar e un’inedita e altissima Grande Nube di Magellano ( ci troviamo a -36° di latitudine! ), mai vista così alta, è infatti la prima volta che vedo il cielo australe in questo periodo e alcuni del gruppo, come Sara, vedono queta galassia per la prima volta in assoluto, entusiasmandosi. Ma è solo un piccolo aperitivo rispetto a quello che ci attenderà più avanti nel viaggio, quando saremo nel deserto!
All’alba del 7 Novembre siamo svegliati dai versi di numerosi uccelli e da un piccolo Wallaby che famigliarizza con il nostro gruppo. A est Venere e a Ovest Giove salutano l’arrivo di un nuovo autista che ci porta a Kingstone ove riprendiamo il piccolo bimotore per Adelaide per ricuperare i nostri bagagli in attesa del volo successivo per Alice Springs, cittadina del cosiddetto Red Center, il Centro Rosso australiano.
Quando l’aereo sta per decollare avviene però un imprevisto, uno dei due motori si ferma e costringe il pilota a farci scendere in attesa di risolvere il guasto. Caspita! Davide segue con attenzione il movimento dei tecnici affaccendati alla turbina dal finestrone del gate e quando vede tornare i piloti e le hostess tira un sospiro di sollievo. “L’hanno riparato!”. Questa volta ci siamo, l’aereo decolla senza problemi e per far perdonare il disagio ai passeggeri, le hostess si prodigano a portare snack e bevande. Decido di concedermi un Muffin, ho voglia di qualcosa di dolce. Addento il presunto dolcetto ma con orrore mi accorgo che me ne hanno servito uno al peperone! No comment.
Dopo 3 ore di volo circa siamo ad Alice Springs e veniamo accolti dalla nostra nuova guida Marcel, di origine svizzera, con forte accento tedesco. Il clima è molto caldo e umido, ieri ha piovuto abbondantemente ci dice Marcel, erano mesi che non pioveva, un bene per questa zona, un male per le osservazioni astronomiche, il cielo è infatti ancora una volta coperto.
Marcel ci porta a visitare il Royal Flying Doctors Service, i cosiddetti medici volanti, realizzato dal reverendo John Flynn con un servizio continuativamente attivo, dalla fine degli anni ’20, per raggiungere persone in difficoltà e risolvere emergenze mediche nelle aree più remote dell’Australia, mediante l’utilizzo di comunicazioni radio e aerei. Qui assistiamo ad’una proiezione video sul lavoro svolto dai medici e visitiamo l’annesso museo con la radio a pedali e uno dei primi aerei impiegati.
Poi è la volta dell’Alice Springs Desert Park, con esibizioni di uccelli rapaci organizzata dai rangers e con diversi punti in cui osservare esemplari di fauna di questa parte di Australia, in particolare molto bella risulterà la sezione dedicata ai rettili e agli animali notturni.
Al termine della visita veniamo depositati al nostro Hotel Lasseters con annesso Casinò in cui sperimentiamo un curioso modo di ordinare la cena, con un dischetto in plastica che viene consegnato ai clienti e che si illumina quando il piatto è pronto per il take away, questa volta sperimenteremo il canguro, una carne rossa non male. Ancora una volta sfumano però per maltempo le osservazioni notturne e ne approfittiamo allora per riposare e dosare le forze per le prossime serate.
L’8 Novembre ci svegliamo con il caratteristico fischio delle gazze australiane simile alla suoneria di un cellulare e dopo una colazione sotto un cielo nuvoloso, il meteo finalmente ci viene incontro e un deciso vento sgombra la coltre di nubi rivelando un cielo blu limpidissimo. La terra rossa ora risalta prepotentemente tra la rada vegetazione arbustiva: il nostro pullman ci sta portando nel cuore dell’Outback australiano e quando ci fermiamo per una sosta pranzo notiamo che il sole a picco rivela un’ombra quasi inesistente attorno alle persone, siamo infatti quasi esattamente al Tropico del Capricorno.
La nostra meta è il Kings Canyon, che raggiungiamo nel primo pomeriggio e che esploriamo in un’impegnativa escursione, sotto la guida dell’agile Marcel, che zompetta sicuro sul ripido sentiero. Ci troviamo nel parco nazionale di Watarrka, un luogo sorprendente per i panorami spettacolari che ci offre, gole, crepacci e pareti di arenaria alte più di 300 m di un colore ocra intenso, il tutto incorniciato da un cielo blu, solcato da cumuletti bianchi.
Arriviamo in cima al cosiddetto Giardino dell’Eden, un’oasi sfumata di felci, acacie, eucalipti e antiche palme da cui abbiamo una vista spettacolare sul canyon.
Ma il cammino è ancora lungo e seguiamo Marcel in canaloni, passaggi impegnativi e pianure di sabbia, passando tra pinnacoli di roccia ( la cosiddetta lost city), pozze d’acqua e tracce fossili di increspature di un antico mare, molti, ci dice Marcel, sono i luoghi che hanno un forte significato spirituale per gli aborigeni locali.
Il sole è basso all’orizzonte quando torniamo al pullman, che ci conduce poco dopo al nostro bellissimo Kings Canyon Resort in cui sistemiamo i bagagli. Ci si ritrova poco dopo per ammirare un giallo tramonto da una collinetta in un bel punto panoramico, che dovremo purtroppo scartare per le osservazioni notturne: troppo lontano logisticamente dal nostro bungalow per il trasporto a mano della strumentazione e troppo vicino alla parte più illuminata del Resort.
Il nostro alloggio si trova invece alla periferia del complesso, e possiede un bel giardino con ampia visibilità verso sud, ci posizioneremo lì dopo cena, così è deciso. Andiamo intanto a mangiare qualcosa. Dobbiamo camminare parecchio per raggiungere il ristorante e qui mi imbatto in un nuovo bizzarro piatto australiano, la pizza con carne di dromedario, condita con tartufo e ketchup!
Sono il primo ad essere servito e consumo velocemente lo strano pasto per correre a montare il Dobson, gli altri mi raggiungeranno.
Si è fatto buio e valuto le condizioni del cielo sul retro del nostro bungalow e non appena i miei occhi si abituano all’oscurità, mi appare una visione incantevole: da ovest si alza una vistosa luce zodiacale che si incrocia con la Via Lattea, che sta tramontando parallela all’orizzonte, assieme a Sagittario, Scorpione, Croce del Sud e ad Alfa e Beta Centauri, ad est sono invece già alte le due Nubi di Magellano, evidentissime. Ma anche il resto del cielo è uno spettacolo, uno dei più bui mai visti, a riprova di ciò alcune nubi che transitano velocemente e si frappongono alla volta stellata appaiono nerissime, vellutate, era dal viaggio in Mongolia che non assistevo ad uno spettacolo simile.
D’altronde oggi abbiamo attraversato centinaia di km senza trovare traccia di insediamenti urbani, a testimonianza che l’Australia, pur essendo un continente enorme, grande due volte l’Europa, ha la densità di popolazione più bassa al mondo, 2 abitanti per kmq! In lontananza dalle rocce del Canyon inizia a sorgere Orione ribaltato a testa in giù. Mi devo affrettare, l’operazione di montaggio del Dobson è sempre lunga e laboriosa, devo cercare di fare presto. Vite dopo vite, le varie placche di legno e i lunghi sostegni in alluminio prendono forma, posiziono il prezioso specchio principale, il secondario, il cannocchiale di puntamento e ancora una volta mi stupisco della robustezza del vecchio Dobson, sottoposto da ormai 15 anni a sballotamenti e sforzi ai 4 angoli del globo: dai salti sulle jeep in Cile e Mongolia, all’ascesa a dorso di mulo sul Tassili algerino, dalla sabbia del deserto libico, alla salsedine del mare delle Maldive…E ora l’Australia! Mentre procedo con la delicata collimazione entrano in stanza Ferruccio e Davide, vittime al ristorante di incredibili lungaggini nella consegna del pasto, quasi un matrimonio! Pure loro iniziano a preparare la strumentazione visuale e fotografica.
Siamo raggiunti nel nostro giardino anche da Gaetano, Adelina, Sara e Giovanna, che subito sbigottiscono di fronte alla visione di un cielo super.
Decido tanto per incominciare di puntare col Dobson l’ammasso globulare 47 Tucanae, di fianco alla Piccola Nube, un’ esplosione di stelle con un centro densissimo. Lo mostro soddisfatto al resto del gruppo e subito iniziano le urla di meraviglia. Poi passo alla Grande Nube e alla nebulosa Tarantola, un vero e proprio ragno cosmico che risalta quasi tridimensionale su una quantità inverosimile di piccoli ammassi e nebulose in questa galassia satellite della Via Lattea. A proposito di ragni ogni tanto controllo il terreno, non si sa mai, tra l’altro siamo posizionati tra cespugli di piante spinose che spesso si impigliano nei vestiti e negli strumenti. Proseguiamo con l’ammasso aperto nella Carena IC 2602 ( le Pleiadi Australi ), visibile anche ad occhio nudo, così come le più famose colleghe boreali, basse a nord ovest e naturalmente rovesciate.
E’ sorta anche la nebulosa di Orione, perchè non darle un’occhiata? Sara, che fino ad allora si era mostrata scettica sulle potenzialità del Dobson si deve ricredere, dichiarando di non aver mai visto M 42 così bene in Italia, anche con strumenti più grossi. In efetti con l’oculare da 40 mm sembra una foto in bianco e nero, con tenui e delicate nebulosità che si estendono ben oltre i confini della nebulosa principale coinvolgendo anche le altre stelle della “spada”. A quel punto la stanchezza prende il sopravvento sulla stragrande maggioranza del gruppo osservativo, le fatiche della scarpinata pomeridiana con Marcel si fanno sentire, pure Ferruccio si ritira nelle sue stanze, rimaniamo solo io e Davide. Decido allora di andare a caccia di oggetti elusivi e mai visti in precedenza come un gruppetto di galassie nella costellazione del Dorado a nord della stella alfa.
Trattasi nella fattispecie di NGC 1553-1549-1566-1533 e 1617. La prima è una spirale di magnitudine 9,6 e dimensioni 3′X2′, appare piccola e leggermente allungata, la seconda è invece più debole e tondeggiante ( mag. 10,2 e dimensioni analoghe alla precedente. Poi la NGC 1566 decisamente più bella delle compagne, le dimensioni sono infatti di 8′ e la luminosità è di 9,6, appare decisamente allungata e sfumata ai bordi. Fra un’osservazione e l’altra mi metto a contemplare il cielo, qualche luminosa Tauride si fa strada dal nostro Toro fino alle strane e inedite costellazioni australi come il Pittore o la Mensa, oggi infatti è il giorno del massimo di questo sciame di meteore.
A quel punto la nostra attenzione viene attirata da una strana luce azzurrina che filtra dalla grande vetrata del nostro bungalow. E’ Ferruccio, che in quel momento decide di fare un bagno nella vasca con idromassaggio che si affaccia direttamente sul nostro giardino, indossando purtroppo solo una torcia legata attorno alla testa. La visione del nostro compare rischia di rovinare la poesia di questa incredibile notte osservativa, ma fortunatamente egli ha il buon gusto di spegnere la torcia e di proseguire il bagno nel buio più assoluto(NDR:illuminato solo dalla luce della spettacolare via lattea australe e di fronte al sorgere della nebulosa Eta Carinae visibile ad occhio, un idromassaggio astronomico non capita tutti i giorni ).
Riprendo le osservazioni mostrando anche a Davide le tenui galassiette, che proseguono con la NGC 1533, allungata, sottile e con qualche chiaroscuro e la 1617, proprio sopra la Alfa, la più debole della serata, ( mag.11,5) piccola e ovale. Sorge Eta Carinae, è ormai l’una e trenta, ma è ancora troppo bassa per puntarla col telescopio, Davide , che si è cimentato con svariate foto a grande campo getta la spugna, comincia a far freddo, lo seguo pure io a malincuore aiutandolo a riporre la strumentazione sul balcone della stanza, proseguiremo domani. In lontananza si odono i dingo. Le stelle brillano luminosissime quando entriamo nella nostra camera tripla dove troviamo Ferruccio in pigiama ancora entusiasta dell’idromassaggio con lo sfondo del cielo stellato.
9 Novembre, facciamo una buona colazione prima di caricare di nuovo sul pullman i nostri bagagli e il Dobson che ripongo in piedi tra i sedili posteriori, la nostra prossima tappa è una comoda passeggiata chiamata Kings Kreek walk , nei pressi dell’omonimo ruscello. Seguiamo Marcel, che ci porta in una nuova zona sacra agli aborigeni ed inizia a raccontarci alcune leggende relative al “Tjukurpa”, la creazione del mondo. Le storie del “Tempo dei Sogni” narrano di grandi spiriti che, assumendo forme animali ed umane, modellarono con il loro passaggio e con l’uso dei “canti” la Terra allora sterile.
Montagne, fiumi, pozze d’acqua, esseri animali e vegetali, deriverebbero dai viaggi nel tempo del sogno di queste esseri creatori. Ci fermiamo davanti ad un oscuro laghetto alimentato da una sorgente, un luogo particolarmente sacro agli aborigeni ,qui secondo la leggenda dimora il Serpente Arcobaleno, che lega il cielo con la terra. Esseri ancestrali, ci dice Marcel, hanno indicato la legge secondo cui l’universo è stato creato, il serpente arcobaleno lega lo spirito con la materia, rappresenta la discesa dello spirito in quest’ultima, da quel momento uno non può esistere senza l’altra. Con un po’ di azzardo e di fantasia trovo un’analogia con il bosone di Higgs, prima del suo intervento la materia non esisteva…Adelina annuisce, state dicendo la stessa cosa con parole diverse…Maurizio invece è perplesso.
Torniamo sui nostri passi riflettendo sulla saggezza degli antichi aborigeni, che ancora oggi non si definiscono padroni, ma custodi di questa terra che è stata affidata loro dagli antenati per essere preservata.
Una volta sul pullman, puntiamo dritti verso il mitico Ayers Rock! La vegetazione ora si fa più rada, il sole è cocente ma l’aria non troppo calda, sui 28 -30 gradi, il cielo anche oggi limpidissimo. In lontananza notiamo numerosi dust devils, turbini di sabbia, Marcel ci racconta che poco tempo fa in questa zona si è formato un turbine proprio sopra un incendio generando il rarissimo fenomeno del tornado di fuoco, che è durato svariati minuti e che è stato ripreso dalle tv di tutto il mondo.
Verso l’ora di pranzo prendiamo possesso delle nostre stanze al gigantesco Desert Gardens Hotel, con tanto di piscina, centro commerciale e ristoranti vari. Dalla nostra stanza abbiamo il primo impatto con l’Ayers Rock o Uluru, che nella lingua aborigena significa “strano”, il gigantesco monolito simbolo dell’Australia è visibile in lontananza dietro una fila di alberi. Siamo ancora una volta nella parte periferica del Resort, speriamo che le luci anche questa sera non disturbino le osservazioni.
Nel pomeriggio ci avviciniamo all’impressionante monolito e ci fermiamo per una breve sosta al centro Culturale Aborigeno, in cui svariati pannelli e filmati introducono il visitatore sulle leggi, la religione , la filosofia, l’arte ed il modo di vita locali. E’ assolutamente vietato fare foto. Poi ecco uno dei momenti più emozionanti del viaggio: siamo condotti alla base di Uluru, il monolito di arenaria rossa ( Arkose) più grande del mondo che si staglia sulla pianura desertica, è lungo 3,6 km , largo 2,4 e alto 348 m , ha un diametro di 8 km, e si estende addirittura per 5km sotto la superficie.
La cosa che più impressiona sono gli strati di sedimentazione verticali, disposizione che hanno assunto 100 milioni di anni fa dopo violente scosse sismiche contrapposte, che ne hanno causato la fuoriuscita in verticale dal terreno. Avvicinandoci all’immensa roccia si notano scanalature, concavità gole e grotte che visitiamo assieme a Marcel, alla scoperta di altre leggende tramandate dagli Anangu, gli aborigeni locali, che gestiscono l’accesso ad Uluru e al resto del parco nazionale che comprende anche i monti Olgas.
Secondo gli Anangu a Uluru è nata la donna- serpente Kuniya, la cui impronta si può notare in una scanalatura scura della roccia e qui ha avuto luogo una feroce battaglia fra Kuniya e l’uomo- serpente Liru, reo di averne ucciso il nipote, testimoniata da fenditure e spaccature nelle rocce dovute alla violenza dello scontro.
Al di sotto di una roccia che rappresenta Kuniya arrotolata su se stessa, mentre guarda Liru appena ucciso, si apre una cavità sulle cui pareti gli aborigeni hanno inciso petroglifi e dipinto pitture rupestri, che raccontano antiche storie e racconti interpretabili però solo dagli anziani Anangu, molto infatti è tenuto segreto ai non iniziati.
Chiedo a Marcel a quel punto il rapporto degli aborigeni con l’universo ed eventuali storie legate alle costellazioni ed egli risponde che come in tutte le antiche culture il cielo notturno era molto importante per gli aborigeni, al punto che lo stesso Serpente Arcobaleno, doveva la sua nascita ad un’altra entità molto più grande rappresentata dalla lunga nube scura di polveri che taglia a metà la Via Lattea. Marcel racconta poi una leggenda curiosa che riguarda le Pleiadi ( Makara), incredibilmente simile a quella tramandata dalla mitologia greca: anche per gli aborigeni erano sette sorelle che scappavano dalle mire di un personaggio ( Kidili o uomo della Luna ), identificabile con la costellazione di Orione! Icredibile!
Proseguiamo quindi la nostra escursione tra anfratti e caverne, accompagnati dal racconto di altre leggende come quelle dei Mala ( piccoli wallaby) o dei Panpanpalala, nome con cui vengono chiamati gli uccelli Campanari crestati, dal caratteristico verso e particolarmente suggestiva risulterà una grande roccia a forma di onda.
Siamo quasi al tramonto, è giunto il momento di recarci in un punto panoramico per ammirare Uluru ed i suoi cambiamenti cromatici al calar del sole. Qui vi troviamo una folla in attesa, sembra quasi il Kennedy Space Center il giorno del lancio dello Shuttle, gente di tutte le nazionalità che armeggia con cavalletti e macchine fotografiche, per immortalare al meglio il fantastico monolito che sta già assumendo un colore rosso acceso.
Guardandolo da qui , Uluru incute un senso di timore e rispetto, dovuto forse al suo troneggiare antico sulla pianura, ci ricorda come tutta l’Australia sia un territorio geologicamente molto antico, un luogo in cui si trovano le rocce più antiche del pianeta 3,8 miliardi di anni fa ed anche i fossili dei primi esseri viventi, le stromatoliti, alghe azzurre risalenti a 3 miliardi di anni fa.
Ci viene offerto un aperitivo con stuzzichini presso alcuni tavoli imbanditi e mentre il colore del monolito dal rosso scuro vira al violetto sento una pacca sulla spalla accompagnata da una voce familiare: è Deni, nostro vecchio compagno di viaggio in compagnia della mitica Esther in piedi su un tavolo con un bicchire di prosecco in mano.
Ci si saluta affettuosamente e si festeggia l’avvenuto incontro, loro mi dice Esther fanno un giro un po’ più lungo del nostro osservando infine l’eclisse dalla terraferma vicino a Cairns. Ci facciamo reciprocamente gli in bocca al lupo e visto che anche loro si fermeranno due sere presso l’Ayers Rock, in un Resort vicino al nostro, li invito alle osservazioni col Dobson presso la nostra stanza.
Verremo domani sera promette Deni.
Dopo cena, Sara ci raggiunge sul retro della stanza e ci aiuta a rendere innocui alcuni faretti di cortesia, in modo da poter disporre alla fine un cielo analogo a quello della sera precdente e poter quindi iniziare le osservazioni.
Questa volta prendo di mira l’anonima costellazione del Reticolo, in cui individuo la galassia irregolare NGC 1313, piuttosto evidente e dalla forma a stella con 4 punte, le dimensioni sono 3′ e la mag 9,5 e sempre nella stessa costellazione, la debole galassia NGC 1543 tondeggiante e di undicesima. Torno nel Dorado, dove mi era rimasta una galassia in sospeso, la NGC 1672 ( mag 10,7 dim 4′), un ovale pronunciato con i bordi frastagliati e mi sposto infine nell’Orologio, con il bel globulare NGC 1261 di ottava magnitudine, piccolo ma ben risaltabile sul fondo del cielo nerissimo e ricco di stelle.
Ferruccio e Davide si sono cimentati in diverse foto spettacolari e saremmo rimasti volentieri tutta notte sotto questo cielo meraviglioso, ma Sara ci ricorda la sveglia delle 4.30, ovvero fra poche ore visto che andremo a vedere l’alba sui monti Olgas, con successiva scarpinata. Il nostro è un programma veramente densissimo, un’ultima occhiata alla nebulosa Eta Carinae, sempre bellissima e poi dormiamo quelle poche ore che ci separano dalla partenza.
!0 Novembre, come degli zombie arriviamo nella hall in cui si sono radunati già gli altri compagni di viaggio, raccogliamo il cestino con la colazione che consumeremo più tardi e saliamo sul pullman salutando un Marcel già fresco e vispo.
I monti Olgas o Kata Tjuta, nome che in aborigeno significa molte teste, sono 36 cupole rocciose situate a 45 km a Ovest di Uluru, sono anche queste un luogo sacro, qui in passato erano ammessi solo gli uomini anziani, una specie di senato in cui venivano prese importanti decisioni per i clan.
Arriviamo ad un punto panoramico per ammirare l’alba che tinge di rosa questi rilievi, immersi nell’ombra della Terra, mentre un limpido sole sorge accanto all’inconfondibile sagoma di Uluru. Rimaniamo un po’ in questo incantevole luogo mentre consumiamo la nostra colazione per poi seguire Marcel nella successiva e impegnativa escursione sui monti Olgas, alla “Valle dei venti”. A dir la verità ci dividiamo in due gruppi, al primo e più tosto trekking parteciperanno oltre al sottoscritto, Ferruccio, Davide, Sara, Adelina, Stefania, Giovanna, Vanna ed Enzo mentre i rimanenti percorreranno un altro sentiero meno faticoso chiamato ” Gola dei Venti”.
Saliamo e scendiamo per più di 3 ore i giganteschi macigni, in un percorso spettacolare, ma rigorosamente stabilito dagli aborigeni per i visitatori. Il vento fresco soffia impetuoso tra queste gole mentre ci arrampichiamo sulle rocce rosse di conglomerato, che presenta strati di sedimentazione orizzontali, la vegetazione è scarsa, notevoli alcuni alberi del “legno di ferro”, da cui si ricava come dice il nome un legno dalla consistenza incredibilmente dura e compatta.
Scarpinando Marcel pone ancora una volta l’accento sulla filosofia e lo stile di vita aborigeno. L’aborigeno dice, ritiene se stesso, la natura e la terra come qualcosa di inscindibile, è grazie a questa concezione di unità che ha raggiunto un perfetto equilibrio con l’ambiente, cosa purtoppo ben lontana a noi occidentali.
Scendiamo su un sentiero pianeggiante e Marcel si adombra, ha visto una serie di montagnole di sassi fatte dai turisti e inizia a demolirle con decisione. Questo è un atto di offesa verso gli aborigeni, che danno tutt’altro significato ai cumuli di sassi, lo dirò ai ranger! Prontamente lo aiutiamo nella sua opera di demolizione chiedendogli come mai non si vedono aborigeni in giro.
Ci risponde che sono una comunità molto chiusa e non hanno molto piacere di condividere la vita dei loro clan con gli stranieri, alcuni dei loro riti sono severamente vietati agli occidentali.
Proseuiamo il giro e rivediamo qualche canguro che si nasconde nel folto del bush.
Ci ricongiungiamo quindi col resto del gruppo che era stato guidato dal nostro barbuto autista e torniamo al Resort salutando Marcel e ringraziandolo per tutto quello che ci ha raccontato su questa incredibile terra e sul suo popolo.
Oggi pomeriggio e domattina avremo tempo libero per rilassarci, con la possibilità di fare un tuffo in piscina o di dedicarci all’acquisto di souvenir negli appositi market, molto gettonati risulteranno i boomerang in legno dipinto e i gioielli di opale, la pietra preziosa più diffusa in Australia dal caratteristico colore verde-azzurro.
Al tramonto, mentre consulto lo Sky Atlas sul nostro balcone sgranocchiando qualche biscotto e un po’ di frutta come cena, Ferruccio imbraccia cavalletto e montatura e si dirige a piedi verso l’Ayers Rock, vuole provare qualche foto coreografica del cielo che ritragga anche il monolito.
Io con il peso del Dobson non posso purtroppo seguirlo e attendo che faccia buio e che il cielo stellato esploda come nelle due sere precedenti rivelando i suoi fulgidi tesori australi.
Appena la Grande Nube diventa evidente, mi perdo letteralmente girovagando con il Dobson al suo interno fra le decine di condensazioni stellari e nebulari.
Poi riordino le idee e punto la nebulosa planetaria NGC 1360 nella Fornace, quasi allo zenit, anche questo un oggetto che vedo per la prima volta. E’ molto vasta, addirittura 6′ e luminosa, appare di forma ovale e vi si possono notare due cerchi concentrici dai bordi più luminosi e la stella centrale, che diventa visibile con l’oculare da 16mm.
Arriva Davide a cui mostro l’oggetto e di seguito, una nutrita delegazione del nostro gruppo, Adelina, Stefania, Vanna, Maurizio, Maura e Sara, tutti desiderosi di mettere l’occhio all’oculare. Poco dopo sento bussare alla porta : sono Deni ed Esther, che hanno mantenuto la parola, entrano scavalcando le valigie e il perenne disordine della nostra stanza e si mettono pure loro in coda allo strumento.
Torna Ferruccio, attirato dall’atmosfera di festa e dagli schiamazzi e inizia a mostrare un po’ di costellazioni con il laser. Ci racconta che dal luogo in cui era stato a fare foto, si vedeva nettamente la luce zodiacale ed il Gegenshein, la contro luce zodiacale, collegata alla precedente dalla sottile e debolissima fascia zodiacale attraverso tutto il cielo. Ha pure fatto una foto al Gegenshein.
Guardo il cielo e pur essendo le 23, c’è ancora traccia di quanto ha detto il collega. Si sentono altre voci in avvicinamento in cui emerge quella inconfondibile di Elisabetta, è appena stata assieme al marito Mirco e gli altri compagni Gaetano, Dora ed Enzo al Sound of Silence Experience, la cena nel deserto, prenotata già dall’Italia a cui la maggior parte del gruppo ha rinunciato, ritenendola una cosa un po’ troppo turistica. Ci racconta ridendo la loro lotta con numerosi insetti che svolazzavano sul cibo attirati dalle luci e i brindisi sonori di un gruppo di allegri astrofili veneti.
Quando sto per mostrare anche a loro qualcosa col Dobson si accende la luce del bungalow di fianco al nostro che si riempie di ragazzi inglesi ben forniti di birre e decisi a far baldoria fino a tardi. Fine delle osservazioni. Tutto il gruppo alla spicciolata prende la via delle proprie stanze salutandoci e ringraziandoci per le spiegazioni, ma non Sara che poco prima si è allontanata dal villaggio in un punto osservativo eccezionale, occorre però camminare per 20 minuti per raggiungerlo. Io Ferruccio e Davide decidiamo di seguirla, loro con la strumentazione, io no per ovvi motivi. Non appena siamo sufficientemente lontani dal villaggio imboccando una strada laterale il cielo diventa stupefacente, ci eravamo “accontentati”del cielo accanto al bungalow, ben al di sopra degli standard italiani, ma qui il discorso si fa impressionante.
La volta celeste sembra pioverti addosso tanto le stelle sono luminose e vicine e salendo su una collinetta, lì di fronte a noi, ci appare la sagoma inconfondibile ed inquietante di Uluru, con appoggiata sopra Eta Carinae!
Rimaniamo diversi minuti in silenzio in contemplazione, come per imprimerci bene nella memoria un cielo che chissà quando rivedremo. Nuove Tauridi si fanno strada tra le costellazioni, ma…è un’impressione o attorno a noi si vede l’Airglow? Chiedo conferma ai compari che sottoscrivono questa difficilissima osservazione che nessuno di noi aveva mai fatto prima. Ci appare come una debole fascia lattea parallela a tutto l’orizzonte, in pratica un breve tratto in cui il cielo diventa più luminoso, prima di scurirsi di nuovo, dovuto alla ricombinazione degli atomi di ossigeno con quelli di azoto della nostra atmosfera, processo che produce monossido di azoto e fotoni, in pratica l’inquinamento luminoso naturale del cielo!
Per un attimo mi viene l’insana idea di andare a prendere il Dobson, ma me la faccio subito passare pensando al peso da trasportare e ai diversi viaggi per portare tutto il materiale, e poi rifare tutto il procedimento al contrario al termine delle osservazioni. No meglio di no, penso imprecando un po’. Chissà, forse gli inglesi si sono decisi ad andare a dormire e posso proseguire con qualche altro oggetto deep sky. Abbandono i tre temerari che rimarranno lì mi dicono fino a quando le forze lo consentiranno e mi avvio solitario sulla strada del ritorno, una situzione in cui un non astrofilo si sentirebbe a disagio, probabilmente impaurito. Ma gli astrofili non hanno paura del buio, anzi, lo cercano. Trovo conforto e compagnia del cielo stellato, della Via Lattea e delle splendenti Nubi di Magellano, che in questa landa desolata illuminano i miei passi, non ho nemmeno bisogno di usare la torcia, tanto le pupille sono dilatate e perfettamente adattate al buio.
Urla sguaiate rompono l’incantesimo, sono ormai nei pressi del nostro bungalow e gli inglesi non hanno nessuna intenzione di concedermi un ultima decente osservazione. Mi ritiro in camera, sopraffatto dalla stanchezza. Sentirò come in un sogno il ritorno degli altri che mi racconteranno di aver visto un luminosissimo bolide verde-azzurro e di aver fatto foto memorabili fin quasi all’alba, fino al sorgere della Croce del Sud sopra al monolito!
11 Novembre, una mattina sonnolenta precede la nostra partenza nel pomeriggio dall’aeroporto di Ayers Rock con destinazione Cairns, sulla costa nord occidentale, l’ultima importante tappa della nostra epopea in terra australiana. Arriviamo a Cairns al tramonto e dall’aria secca del deserto dobbiamo confrontarci col caldo umido di queste zone, siamo più a nord e quindi più vicini all’equatore e la differenza climatica si sente. Un pullman ci preleva e ci porta al nostro Novotel Cairns Oasis Resort sul quale svolazzano una quantità incredibile di volpi volanti, enormi pipistrelli che si cibano di insetti, ma fortunatamente di zanzare neanche l’ombra.
Facciamo conoscenza con il simpatico Sergio la nostra ultima guida, un italiano da 15 anni in Australia e ben integrato, che ci aiuta nella prenotazione delle escursioni facoltative dei prossimi due giorni, una nella foresta pluviale ed una alla famosa barriera corallina, la Great Barrier Reef.
Nella notte piove abbondantemente e al mattino il cielo è grigiastro, con una decisa cappa di umidità; arriva Sergio che preleva una parte del nostro gruppo, oltre me e Ferruccio, Sara, Vanna, Adelina e Stefania,( gli altri faranno altre escursioni ), per condurci al Wooroonooran National Park, in cui ci immergeremo nella natura selvaggia del Queensland.
La prima tappa è la foresta di Eubenangee Swamp, che attraversiamo lungo un sentiero che si fa strada tra liane, palme, felci e rampicanti di tutti i tipi, sotto la guida di Sergio che ci spiega di volta in volta il tipo di piante incontrate e i loro strani frutti, sempre molto tossici. Ci fa osservare una fila di formiche verdi che transitano su un ramo, ne prende una e la assaggia ” Sono buone, dice, sanno di limone! Ne volete una?” Ferruccio si ferma ad annusare il profumo di limone ma non cede alla tentazione di assaggiarle, così faranno anche gli altri. Usciamo dalla foresta in un’ampia radura costellata di specchi d’acqua, l’habitat ideale per i coccodrilli ci dice Sergio, ma purtroppo non ne vedremo nemmeno uno, solo qualche uccello acquatico come spatole, cormorani e Martin Pescatori.
Abbandoniamo la zona e arriva il momento sicuramente più emozionante della giornata, il bagno nel ruscello delle Josephine Falls, nel bel mezzo della foresta, un’esperienza mai provata. Una volta in costume Sergio ci spiega come affrontare i macigni scivolosi, come mettere i piedi e dove passare per affrontare la forte corrente del ruscello, che davanti a noi spumeggia dopo due salti fragorosi giu’ dalle rocce levigate.
Osserviamo Sergio, si dà una decisa spinta e con poche bracciate arriva sull’altra sponda, ma lui ha il fisico e chissà quante volte ha fatto questa operazione. Parto io, l’acqua gelida mi sveglia rapidamente ed inizio a nuotare come ha detto Sergio senza mai fermarmi, altrimenti la corrente potrebbe prendere il sopravvento e trascinarmi a valle, operazione riuscita.
Seguono Ferruccio e Stefania chi più chi meno con stile, le altre 3 non ci pensano minimamente a seguirci. “Ora, dice Sergio, non ci resta che scendere a mo’ di scivolo da questa alta roccia, proprio sotto alla cascata e mi raccomando quando arrivate in acqua non date una capocciata sulle rocce sottostanti, iniziate a nuotare e non fermatevi fino all’altra riva, un gioco da ragazzi!”
Sergio si lascia andare sulla roccia levigata, prende velocità e atterra sull’acqua col sedere facendo due rimbalzi prima di nuotare in bello stile fino alla salvezza. Mah, sono un po’ perplesso. Vinco gli indugi e mi lascio scivolare aprendo le braccia come suggerito per mantenere l’equilibrio e non rotolare rovinosamente e penosamente contro le rocce. Vado sott’acqua, annaspo qualche attimo vinto dalla corrente, poi mi concentro e trovo la mano di Sergio che mi issa al sicuro sulla riva. Anche Ferruccio e Stefania vengono tratti in salvo.
Sulla strada del ritorno Sergio ed Adelina sono oggetto dell’attenzione di sanguisughe, tenacemente ancorate alle dita dei piedi. “Può succedere dice Sergio, siamo nella foresta!” Tolte le sanguisughe veniamo condotti per il pranzo in un ottimo ristorante italiano, il Roscoe’s Restaurant, in cui ci ritempriamo dal nostro primo impatto con la foresta tropicale, prima di proseguire verso l’estuario del fiume Johnstone e verso una zona pianeggiante ricca di bananeti in cui avvistiamo un Casuario, un raro uccello simile allo struzzo con una vistosa cresta azzurra.
Poi è la volta delle Millaa Millaa falls, cascate più imponenenti delle precedenti, in cui però decidiamo di non tuffarci e infine arriviamo sulla sommità delle Tablelands , in un’area in cui crescono giganteschi alberi ( qui non arrivano i cicloni a demolirli ), tra cui Pini millenari e una vera e propria meraviglia della natura, un gigantesco Fico, ricoperto di radici, liane e felci arboree, con una circonferenza di 60 m ed un’altezza analoga, che pare abbia ispirato James Cameron, per il ciclopico albero del film Avatar sul pianeta Pandora. Trascorriamo un bel po’ di tempo presso questa vera e propria cattedrale vegetale, arrampicandoci anche tra le sue impressionanti radici aeree.
Il tour termina e ringraziamo Sergio per averci fatto trascorrere una splendida giornata e ci ritroviamo con gli altri per la cena, alcuni hanno già sperimentato con grande soddisfazione la barriera corallina, altri hanno visitato il giardino botanico di Cairns. A cena assaggeremo un tris di carni tipiche: canguro, Emù e Coccodrillo!
Si ragiona un po’ sul meteo, al largo sulla barriera il clima era sereno al contrario di Cairns e anche dell’interno in cui ci trovavamo noi, caratterizzato da molte nuvole e da qualche pioggerella, le previsioni via internet indicano un aumento dell’alta pressione, sarà sufficiente per consentirci tra due giorni di vedere l’eclisse?
Il 13 Novembre, la vigilia dell’eclisse partiamo sotto un cielo piovoso e con un mare decisamente mosso diretti alla barriera corallina, siamo solo io Ferruccio e Sara, gli altri ancora una volta si sono divisi su vari tour. La Grande barriera corallina australiana è la più grande del mondo, oltre 2300 km, l’unico elemento vivente visibile dallo spazio, c’è grande attesa per andare ad esplorare le meraviglie sottomarine, lo staff della nave fornisce infatti, maschere con boccaglio e pinne per lo snorkeling e attrezzatura subacquea per i più esperti.
Dopo un’oretta dalla partenza ci fermiamo ed il cielo inizia ad aprirsi, facendo uscire un sole che và ad illuminare i magnifici colori della barriera.
Sara si tuffa, seguita a ruota da Ferruccio e dal sottoscritto, ma il mare è mosso ed è complicato nuotare, ciò non ci impedisce comunque di avvistare tantissimi pesci colorati, un barracuda con sguardo inquietante, enormi coralli blu e una conchiglia Tridacna gigante.
Torniamo nel tardo pomeriggio a Cairns rimasta sotto le nuvole e bersaglio di frequenti acquazzoni, convincendoci se ce ne fosse ancora bisogno, che Green Island, al largo, lontano dalla costa, sia la meta ideale per l’osservazione dell’importante fenomeno celeste.
La speranza e l’apprensione si mescolano, manca solo l’ultimo tassello, la ciliegina sulla torta per rendere questo viaggio memorabile.
Andiamo a letto presto, anche perchè ci aspetta un’alzataccia, alle 2.45 e in quell’orario disumano scendiamo nella hall dove ci aspetta Glenn Sweet, il corrispondente della Naar, che ci fa salire su un pullmann assieme a svariati americani e ci conduce al porto ad attendere la nostra nave, la Ocean Freedom. Piove.
Ci riagganciamo a questo punto al racconto iniziale, ovvero al momento in cui stiamo navigando al largo di Cairns, basculando sul mare agitato e con mille dubbi meteorologici.
La sorte sta però per volgere a nostro favore…
Sara scende la scaletta del ponte superiore in cui sfidando le intemperie ha monitorato il cielo e ci porta la notizia di svariati squarci: si vedono le stelle, ci dice e anche Venere basso a est! Pure i numerosi americani presenti sul nostro battello si sono accorti del miglioramento climatico e un velato ottimismo comincia a farsi strada, i volti diventano più sorridenti e fiduciosi. Albeggia quando attracchiamo al pontile di Green Island, recuperiamo telescopi e attrezzatura fotografica e di corsa cerchiamo una spiaggia che faccia al caso nostro, abbiamo mezz’ora prima che inizi l’eclisse, ci guardiamo attorno, il cielo è miracolosamente quasi tutto sgombro, rimane una densa nuvolaglia verso ovest in direzione di Cairns e qualche piccola nuvoletta che transita veloce sull’orizzonte est, dai che ce la facciamo!
Troviamo un posto incantevole lontano dalla calca del popolo astrofilo, Davide e Ferruccio montano velocissimi la strumentazione ( un rifrattore da 105 mm F 500 mm e un 200 mm con duplicatore ) e io, dopo aver montato il fedele Tansutzu ( 114/1000) vado a ricuperare il resto del gruppo, che si era aggregato agli americani e ai giapponesi.
Sono le 5.25 ora locale, il sole sorge a Green Island, fra poco più di un’ora ci sarà la totalità, speriamo che in quei due importantissimi minuti che valgono un viaggio, una delle innocue nuvolette non decida di piazzarsi proprio sopra il sole.
La tensione è alta quando alle 5.44 abbiamo il primo contatto parzialmente nascosto da una di queste nuvole, ma è solo un attimo e osserviamo l’avanzare del disco lunare sopra le numerose macchie solari senza troppi patemi. Il nostro gruppo si alterna agli strumenti osservando con sempre maggior entusiasmo lo spicchio di sole che via via si assottiglia ed ecco che puntualmente i colori del paesaggio iniziano a cambiare, un fenomeno che si ripete regolarmente ad ogni eclisse, ma che coglie sempre di sorpresa. Gli occhi non sono abituati a questa strana luce polarizzata, che ti fa sembrare su un altro pianeta e lo splendore del sole appena sorto lascia di nuovo il posto ad un prematuro crepuscolo.
Ormai manca pochissimo e osserviamo con orrore l’approssimarsi al sole di una delle famigerate nuvolette, tutto il gruppo è in trepidazione… Ma la fortuna è dalla nostra e la nuvoletta, forse per le particolari condizioni climatiche indotte dall’eclisse, rallenta e si sfrangia passando un po’ sopra e un po’ sotto al sole che in un colpo da teatro proprio in quel momento si eclissa totalmente riducendosi ad un puntino luminoso e rivelando infine un enorme disco nero circondato da una corona stellata dal colore leggermente rosato, un incredibile fiore cosmico che si schiude per poco agli occhi di noi miseri mortali . Splendido!
Sono le 6.38 ed il sole è alto 14° sull’orizzonte. Vinco la paralisi che inchioda davanti ad uno spettacolo così sublime e metto l’occhio al Tansutzu: ecco una gran quantità di protuberanze rosse e viola luminosissime e la corona madreperlacea che rivela la sua struttura filamentosa.
foto di Sara Vatrella
Chiamo gli altri che rapidamente si alternano all’oculare. Enzo è commosso, alcuni urlano, altri sono semplicemente senza parole. Vado da Adelina facendole notare la colorazione giallastra che ha assunto l’orizzonte nord, quando ecco che il sole esce di nuovo, illuminando la spiaggia e l’Oceano Pacifico. Ancora una volta è sembrato un attimo, anche se sono passati 2 minuti e 6 secondi.
Ce l’abbiamo fatta! E’ la mia settima eclisse totale e considerate le statistiche meteo del periodo e la criticità del sole basso sull’orizzonte , non era un risultato così scontato, ma ancora una volta Coelum viaggi ha trionfato sul meteo!
Mentre si festeggia l’avvenuta osservazione, solo Davide continua a fare foto completando il fenomeno fino all’uscita del sole dal disco lunare che avviene alle 7.40, con la marea che nel frattempo si è alzata a lambire i nostri cavalletti. Trascorriamo alcune ore sull’isola, chi come Ferruccio, Adelina e Vanna tuffandosi nelle acque azzurre e invitanti (solo in seguito scopriremo essere infestate da velenosissime cubo-meduse ), chi andando alla ricerca di testuggini marine e coccodrilli, chi semplicemente rilassandosi in un caffè all’aperto, ricordando con incredulità i meravigliosi istanti appena vissuti.
Mangiamo qualcosa mentre rapidamente l’adrenalina lascia il posto alla spossatezza di questo lungo ed impegnativo viaggio, condito di lunghissime trasvolate e numerosi voli interni e cominciamo a ragionare sul prossimo obiettivo, l’eclisse totale del 2013 in Uganda. Ma arriva il momento del ritorno e una volta a Cairns l’equipaggio del battello si mette in fila salutandoci rispettosamente uno per uno, il nostro aspetto stanco, i volti in parte bruciati dal sole e coperti di sabbia corallina, i cavalletti in spalla e gli strumenti provati dai numerosi viaggi in giro per il mondo ci fanno assomigliare più a reduci dal fronte che a una spedizione astronomica.
Stringo la mano al capitano, che sorridendo ci congeda: “Lucky Eclipse!” Guardo i compagni di viaggio e le nuvole sopra Cairns. “Yes…Lucky Eclipse!”
Di certo se ne vanno con stile. Meno di due settimane dopo essersi guadagnate le prime pagine dei giornali grazie alle loro analisi della gravità e composizione lunare, le due sonde gemelle che compongono la missione GRAIL della NASA si preparano a chiudere la loro avventura. Oggi iniziano infatti la manovra che le porterà, lunedì 17 dicembre, a schiantarsi sulla superficie della Luna. L’impatto è previsto su una formazione montagnosa nei pressi del Polo Nord lunare, attorno alle 23:30 del 17 (ora italiana).
Ebb e Flow (così si chiamano le due sonde) hanno infatti quasi esaurito il loro carburante, e la loro orbita si è ormai abbassata troppo per consentire misure scientifiche significative. “Sarà difficile dirgli addio” commenta Maria Zeuber, responsabile scientifica della missione GRAIL e prima autrice degli studi pubblicati proprio la scorsa settimana su Science, che hanno disegnato la più accurata mappa gravitazionale della Luna mai ottenuta, permettendo di migliorare molto la conoscenza della crosta del nostro satellite. “Queste due piccole gemelle robotiche si sono comportate in modo esemplare, e la scienza planetaria è avanzata molto grazie ai loro contributi”.

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Ebb, la prima a raggiungere l’orbita lunare nel gennaio 2012, sarà anche la prima a cadere. Flow la seguirà di circa 20 secondi. Al momento dell’impatto viaggeranno a circa 1,7 km al secondo, e dell’evento non vi saranno immagini, perché in quel momento quella regione della Luna si troverà in ombra.
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Prima del botto, Ebb e Flow daranno ancora un contributo alla NASA: accenderanno i loro motori fino a svuotare del tutto le riserve di carburante, permettendo ai tecnici di missione di convalidare con maggiore precisione i modelli informatici che stimano il consumo del carburante, usati dalle missioni spaziali.
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Congiunzione difficile quella tra Marte e Luna la sera del 15 dicembre. La falce di Luna sarà probabilmente osservabile senza alcuna difficoltà a sudovest, mentre solo condizioni del cielo ottimali permetteranno di cogliere nel cielo del crepuscolo il puntino luminoso di Marte. Alle 17:30 il Sole sarà infatti sotto l’orizzonte di –9°, e il cielo sarà quindi già abbastanza scuro, ma l’altezza del pianeta sarà di soli +10° (e la sua magnitudine non elevatissima non ne garantirà l’osservabilità).

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Un’intera cucciolata di galassie giovanissime, la cui luce arriva a noi dalla notte dei tempi, da quando l’Universo aveva appena 600 milioni di anni. Per scovarle, Richard Ellis e RossMcLure (rispettivamente del California Institute of Technology e dell’Università di Edinburgo) hanno usato la Wide Field Camera 3 dello Hubble Space Telescope, “addestrata” a concentrarsi su una limitata porzione di cielo chiamata Hubble Ultra Deep Field. Hanno così ottenuto una visione straordinariamente profonda dell’Universo nella banda di frequenza del vicino infrarosso. Lì hanno fatto un vero e proprio censimento delle galassie nell’Universo primordiale, confermando e al contrario escludendo dal conto alcuni oggetti che in passato altri ricercatori avevano indicato come possibili galassie distanti. E soprattutto, hanno trovato sei galassie in precedenza sconosciute, tutte con un redshift (uno spostamento verso il rosso delle righe spettrali causato dall’effetto Doppler) superiore a 8, che significa che si sono formate più di 13 miliardi di anni fa.
A queste si aggiunge una galassia già intravista in passato dai ricercatori, ma ora confermata definitivamente da Hubble, e che potrebbe meritarsi (o meglio riprendersi) il titolo di galassia più antica e distante mai osservata. Si tratta di UDFj-39546284. Finora le veniva attribuito un redshift di 10, ed era stata per un certo tempo considerata la nonna della galassie finché un’altra più distante non le aveva soffiato il record. Ora però i nuovi calcoli le attribuiscono un redshift di 11,9, che corrisponde a una distanza di 13,9 miliardi di anni luce e che la riporta decisamente in testa.
Uno dei principali obbiettivi di questo tipo di osservazioni è capire quanto rapidamente il numero di galassie esistenti sia aumentato durante le prime fasi di vita dell’Universo. Misura che a sua volta dipende da quanto rapidamente quelle galassie formavano le stelle che le compongono. “La scoperta di una popolazione significativa di galassie a redshift superiore a 8, abbinata alla nuova analisi del numero e proprietà di altre a redshift tra 7 e 8, avvalora l’idea che le galassie si siano formate in modo regolare nel corso del tempo” spiega McLure. Man mano che si va indietro nel tempo e ci si avvicina al Big Bang cioè, il numero di galassie scende, ma in modo regolare e senza scalini bruschi.
Lo studio, presentato ieri presso la NASA, sarà presto pubblicato su Astrophysical Journal Letters.
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L’immagine HST è disponibile anche a piena risoluzione (13,6 MB) o nella versione zoomabile
La release HST “Hubble census finds galaxies at redshifts 9 to 12″
Un’emissione luminosissima di raggi X proveniente da un buco nero nella galassia Andromeda. È quello che ha registrato un team internazionale di astronomi, tra cui due ricercatori dell’INAF, monitorando, con il satellite XMM dell’ESA la più grande galassia del nostro “Gruppo Locale” che comprende, oltre la Via Lattea, le Nubi di Magellano e un’altra quarantina di galassie meno note.

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È la prima volta che viene registrato una così intensa luminosità da un buco nero di un’altra galassia. Cosa questo implichi lo spiega Massimo Della Valle, Direttore dell’Osservatorio Astronomico Di Capodimonte dell’INAFe tra gli autori della ricerca pubblicata da Nature.
“A Gennaio di quest’anno – dice Della Valle — abbiamo scoperto una sorgente luminosissima che non era presente nei nostri archivi. Nel breve volgere di poche settimane la sorgente raggiunse una luminosità X straordinaria, simile a quella delle cosiddette sorgenti ULX (UltraLuminous sources X). Gli astronomi per anni hanno dibattuto se questa luminosità fosse dovuta dall’accrescimento di materiale, ad un tasso elevatissimo, di un buco nero “stellare”, cioè inferiore alle 10 masse solari, o piuttosto dall’accrescimento, ad un tasso più basso di un buco nero di massa intermedia (100-1000 masse solari). Le nostre osservazioni – conclude il direttore dell’osservatorio di Napoli — supportano il primo scenario e tendono a ridimensionare il ruolo dei buchi neri di massa intermedia se non addirittura ad escludere la loro esistenza. Questi oggetti saranno i “banchi di prova” ideali per studiare l’accrescimento vicino al limite di Eddington, che è ben lungi dall’essere compreso”.
E di limite di Eddington parla il principale autore della ricerca, Matt Middleton del Dipartimento di Fisica dell’Università di Durham, in questi giorni a Napoli per una conferenza all’osservatorio e che abbiamo per l’occasione raggiunto: “Queste osservazioni, per la prima volta, hanno offerto l’opportunità di studiare l’accrescimento in condizioni limite e straordinarie, vicino al limite di Eddington per l’appunto. Se comprendiamo appieno questo fenomeno sarà possibile capire come alcuni dei primi oggetti formatisi nell’Universo, circa 13 miliardi di anni fa immediatamente dopo il Big Bang, come i quasars abbiano potuto accrescere materia tanto rapidamente, per poi ridistribuirla nell’Universo “giovane”. Materia dalla quale si sono successivamente formate stelle e galassie”.
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Del perché della scelta di Andromeda quale galassia da tenere sotto osservazione, risponde Marina Orio dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova: “La relativa vicinanza di Andromeda, a soli due milioni e mezzo di anni luce di distanza, offre un’occasione unica di studiare un intero sistema di popolazioni stellari a diverse lunghezze d’onda. Abbiamo – continua la ricercatrice italiana — iniziato questo programma con il principale obiettivo di seguire, nella banda X, le esplosioni di stelle novae, cioè di stelle binarie formate da una nana bianca e una stella, di norma più piccola del Sole, che viene “cannibalizzata” poco alla volta. In particolare seguiamo le fasi immediatamente successive all’outburst, spesso caratterizzate da un’emissione X “soft” (meno di 10keV) dovuta al bruciamento residuo dello strato di idrogeno trasferito dalla stella di piccolo massa alla nana bianca”.
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15.12, ore 16:00: “LUOGHI DA FAVOLA…Le stelle
di Natale” Festival del lettore e lettrice volontari
al termine merenda offerta dallo “Chalet”
(attività adatta ai più piccoli).
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it
15.12: “MAYA – Archeoastronomia: il cielo degli antichi” e Osservazione notturna (aspettando il 21-12-2012).
Info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it
Il prossimo 15 dicembre, inaugurazione del nuovo Osservatorio del gruppo Astrofili Agordini – Cieli Dolomitici presso il rifugio Scarpa, ai piedi del monte Agner.
Info su: www.rifugioscarpa.it


Lo sciame delle Geminidi, forse il più attivo e costante negli ultimi anni, si manifesta in genere nel periodo che va dal 7 al 17 dicembre, ed è l’unico (tra quelli conosciuti) che sembra essersi generato da un asteroide (3200 Phaethon, che è probabilmente il residuo di una cometa estinta) e non da una cometa. Sembra inoltre che abbia cominciato a manifestarsi solo dopo l’anno 1750 e che già dalla fine di questo decennio la Terra potrebbe non attraversare la parte più densa della nube di detriti. Il radiante è situato circa 2° a nordovest di Castore, la stella alfa della costellazione dei Gemelli. L’attività di quest’anno, con un massimo previsto verso le 23:30 TU del 13 dicembre (le 0:30 del 14 in Italia) sarà favorita dalla completa assenza del disturbo lunare. Le stime più recenti parlano di un picco di attività di circa 120 meteore osservabili in un’ora.
Escursioni in montagna, a Pian dell’armà (PV), per l’osservazione degli astri i venerdì e sabato: 07/08, 14/15 e 30/31 dicembre.
I Martedì della scienza. Sala conferenze-Cascina Grande, Biblioteca Civica, Via Togliatti, Rozzano.
Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it
14.12: I Venerdì dell’A.R.A.R. “La biblioteca di Babele”,
recensioni di libri di astronomia e scienza.
Ingresso libero.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it
14.12: Notte dello sciame delle Geminidi.
Per informazioni e per osservazioni in altre date
scrivere a: info@astronomicalcentre.org
www.astronomicalcentre.org
14.12: Osservazione del cielo invernale e dello
sciame meteorico delle Geminidi.
Per informazioni e per osservazioni in altre date
scrivere a: info@astronomicalcentre.org
www.astronomicalcentre.org
14.12: “Racconti di stelle sotto il cielo d’inverno (miti e costellazioni)” e osservazione notturna (apice delle Geminidi).
Info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it
14.12: “Pan Starrs, la grande cometa in arrivo” di Loris Lazzati.
Per info: Tel. 0341 367 584
www.deepspace.it
Il venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 17:30 e 21:00, la domenica alle ore 16:00 e 17:30. Per il programma di ottobre consultare il sito del Planetario.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it


Va bene, forse 37 chilometri di altitudine non possono definirsi propriamente “spazio”. Ma l’immagine, o per meglio dire la storia di oggi, hanno il sapore delle migliori avventure scientifiche del secolo scorso. Gli ingredienti potrebbero essere gli stessi: un pallone atmosferico, una piccola telecamera ad alta risoluzione, un team misto di ricercatori, tecnici, astrofili e altri entusiasti pronti a rincorrere l’avventura. E un’eclissi totale di sole, quella del novembre scorso, ripresa per intero e in tutta la sua bellezza, nel filmato “autoprodotto” e realizzato da un pallone lanciato dall’Australia. Un filmato che racconta una bella avventura ma che ha anche il merito di riprendere un interessante fenomeno scientifico da un insolito e privilegiato punto di vista.
Iniziamo dal risultato finale, il video, e dagli uomini (e donne) che hanno fatto l’impresa.
La missione è stata chiamata Eclipser 1, e dietro a questa sigla si cela un team misto australiano e rumeno, messo insieme dalla rivista Stiinta&Tehnica. Hanno fatto parte del team associazioni di astrofili e di radioamatori ma anche enti istituzionali come l’Agenzia Spaziale Rumena (ROSA). A capo del team, Catalin Beldea, un astrofilo che ama definirsi “eclipse chaser”, cacciatore di eclissi. Infine, come in ogni iniziativa che oltre ad essere tecnologica e scientifica, è anche avventura allo stato puro, è necessario uno sponsor tecnico, che Eclipser 1 trova nella Duracell, azienda che ha fornito la benzina necessaria alla realizzazione delle riprese.
Il filmato racconta bene l’atmosfera a partire dai primi momenti coincitati del lancio.
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A 25000 metri di altitudine iniziano le riprese altalenanti e poco stabilizzate dell’orizzonte terrestre sul quale si proietta l’ombra dell’eclisse che cresce da ovest, viaggiando alla velocità di circa 1 km/s, fino a diventare totale. Il cono d’ombra creato dalla Luna si vede poi allontanarsi sull’oceano. Le inquadrature continuano a susseguirsi, con la telecamera che ruota e sobbalza nel suo silenzioso viaggio verso lo spazio. La telecamera si alza nell’atmosfera fino ad arrivare ad un’altezza massima di 36 800 metri, la terza altitudine mai raggiunta da pallone nei cieli australiani.
A questa altitudine, il pallone esplode per le condizioni di temperatura e pressione (temperatura di circa -80°C e pressione inferiore all’1% della pressione a livello del mare). Al minuto 7:06, è chiaramente visibile l’esplosione e i pezzi del pallone che volano molto velocemente in tutte le direzioni, incontrando un’atmosfera molto rarefatta a rallentare il loro percorso. Da qui, inizia una caduta libera che continua per 19 000 metri, fino al dispiegamento del paracadute che accompagna a terra, in un atterraggio poco delicato sopra la cima di un albero, quello che rimane dell’Eclipser 1. Si immagina facilmente l’avventuroso recupero che verrà effettuato nelle ore seguenti dal team della missione.
A livello tecnico, tutto è stato realizzato in casa e immaginiamo con costi molto molto limitati (anche se una pagina con informazioni dettagliate sulla missione non è disponibile). L’antenna di bordo necessaria per trasmettere la posizione dell’Eclipser è un progetto realizzato dal club YO3KSR di Bucarest. La posizione del pallone è stata monitorata e pubblicata in tempo reale su web grazie al GPS di bordo e al sistema APRS, un sistema gratuito di radiolocalizzazione usato dai radioamatori per seguire postazioni mobili e misurarne in tempo reale posizione, velocità, direzione, status operativo (la mappa della traiettoria del pallone pubblicata online in tempo reale).
Insomma, forse è vero, l’Eclipser 1 non ha il contenuto scientifico né l’azzardo tecnologico delle missioni istituzionali. Ma certamente è bello raccontare un’avventura in cui l’amore per lo spazio e per la scienza ha messo insieme popoli lontani e persone con competenze e ruoli diversi. Tutti, con l’unico (e molto umano) scopo di andare oltre.
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Il periodo di rivoluzione di Toutatis intorno al Sole è in risonanza 1:3 con quello di Giove e 1:4 con quello della Terra, il che significa che una volta ogni quattro anni, puntuale proprio come le olimpiadi (con le quali sembra essersi sincronizzato), l’asteroide si presenta alla minima distanza con il nostro pianeta. Quest’anno il 12 dicembre, alle 03:20, Toutatis passerà a 6,93 milioni di chilometri (0,0464 UA), raggiungendo la magnitudine +10,5.

Ci limitiamo però a fornire la mappa di una bella regione in cui brillerà quasi al suo massimo, e cioè quella in cui si troverà le sere del 18-19 (le Corna del Toro). Infatti, per effetto della grande eccentricità dell’orbita c’è per Toutatis una forte differenza temporale tra la data del massimo avvicinamento, il 12 dicembre, e quella dell’opposizione geometrica in cui si raggiungerà la massima luminosità.
Sarà davvero divertente inseguire un oggetto che nel suo momento migliore raggiungerà un moto angolare di quasi 25′ l’ora…
Leggi tutti i dettagli, la storia della scoperta e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 64 di Coelum n.165.
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Un nuovo piccolo asteroide appena scoperto di nome 2012 XE54, e (4179) Toutatis (un NEA – Near-Earth Asteroid – del diametro medio di circa 5,4 km, continuamente monitorato, e studiato con attenzione da tempo a causa della sua potenziale pericolosità), “sfioreranno” la Terra nelle prossime 24 ore (leggi anche l’articolo “Le olimpiadi di Toutatis” con le effemeridi per seguire il passaggio dell’asteroide). Non c’è ovviamente nessun pericolo che colpiscano il nostro pianeta, ma è partita ovviamente la campagna osservativa di professionisti e dilettanti.

L’asteroide 2012 XE54, scoperto solo lo scorso fine settimana, il 9 dicembre (vedi i parametri nel sito dell’MPC), passerà tra la Terra e l’orbita della Luna ad una distanza di circa 226 000 km, l’equivalente di 0,6 distanze lunari medie. Il minimo avvicinamento avverà nelle prossime ore (pomeriggio/sera). Ma sarà comunque interessante seguire anche successivamente l’evento per capire cosa accadrà a questo sasso di 28 metri di diametro, appena uscito dall’ombra della Terra, evento questo abbastanza raro e per questo seguito con attenzione dagli astronomi. Pasquale Tricarico dell’Institute of Planetology aveva infatti previsto che l’asteroide sarebbe passato questa scorsa notte nel cono d’ombra della Terra creando una sorta di eclisse d’asteroide (vedi animazione in basso che mostra l’eclisse come si sarebbe osservata dall’asteroide).

L’eclisse è inziata alle 02:22 (ora italiana) dell’11 dicembre per terminare circa un’ora più tardi. Chi ha seguito l’evento ha potuto osservare la traccia dell’asteroide sparire per poi ricomparire alla fine dell’eclisse. In un post pubblicato sul forum Mpml asteroid research group message board, Elia Cozzi, del New Millennium Observatory, ha commentato: “In due immagini riprese alle 01:30:16 e 01:31:18 (TU) con una posa di 60 secondi 2012 XE54 appariva come una debole e lunga traccia; nelle immagini successive invece… era sparito. Meraviglioso!” La traiettoria dell’asteroide è stata seguita questa notte anche dall’AFAM di Remanzacco che ha realizzato l’animazione in alto.
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4179 Toutatis invece, con la sua forma simile a una patata bitorzoluta, passerà a una distanza maggiore, pari a circa 6,9 milioni di chilometri dalla Terra, ovvero circa 18 volte la distanza media Terra Luna. Un approfondimento con le effemeridi per seguirlo in questi giorni è disponibile nell’articolo del cielo del mese: “le olimpiadi di Toutatis“.
DALLA RETE… Il prossimo 21 dicembre la Terra passera’ per un anello chiamato cintura fotonica; alle 01:00 su Uruguay, Argentina, Cile 00:00, 22:00 Perù, Colombia, Messico 21:00. Quando si spegne completamente sul nostro pianeta ci saranno tre giorni di buio. La NASA ha confermato l’evento il 4 Dicembre. Si dice che quando sara’ completamente buio, si sentirà un flash freddo. “Nulla accadrà, è solo un fenomeno straordinario che si ripete ogni 11 mila anni. Si consiglia di soggiornare nelle case in quanto l’energia non funziona ne’ tanto meno i dispositivi elettronici. I tre giorni di buio passeranno, perché questo era quello a cui si riferiva il calendario Maya.
SE COPI QUESTO NELLA TUA BACHECA SARAI SALVO E AVRAI ENERGIA ELETTRICA E INTERNET PER 3 GIORNI, INFINITI AVOCADO, 3 UNICORNI DI PROTEZIONE E UN ESERCITO DI ELFI PER COMBATTERE L’APOCALISSE ZOMBIE, UN ANGELO PER RESPINGERE I DEMONI… E PARTECIPERAI ALLA LOTTERIA PER L’ARMATURA D’ORO DEL SAGITTARIO. COPIA E INCOLLA NEI PROSSIMI 60 SECONDI PER PARTECIPARE ALLA PROMOZIONE.
Il 13 e 14 dicembre prossimi il prof. Jean-Pierre Luminet terrà due conferenze a Venezia e Mestre.
La conferenza di Venezia, il 13 alle ore 17:30, all'”Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti”, è di carattere tecnico sull’astrofisica dei Buchi-Neri.
Quella a Mestre, il 14 alle ore 18:00, organizzata dal Circolo degli Astrofili di Mestre “G. Ruggieri” in collaborazione con il Comune di Venezia, al Municipio in via Palazzo 1, è di tipo storico divulgativo sulla vita di Galileo e Keplero: “L’Occhio di Galileo”.
Il prof. Jean-Pierre Luminet è astrofisico, scrittore, artista e musicista di fama internazionale.
Direttore di ricerca presso il CNRS francese e membro del “Laboratoire Univers et Théories (LUTH)”.
Lavora presso l’Osservatorio di Parigi-Meudon.
Nel 2007 ha vinto il “Prix européen de la communication scientifique\” e a lui la comunità scientifica ha intitolato l\’asteroide 5523-Luminet.
Nel 2003 le sue ricerche sulla cosmologia e la forma dell\’Universo gli hanno valso la copertina di “Nature”.
Ha scritto molti libri:
“L’Occhio di Galileo” (La Lepre edizioni, 2012), “La parrucca di Newton” (La Lepre Edizioni, 2011), “Finito o infinito?” (Raffaello Cortina Editore, 2006), “L’invenzione del big bang” (Dedalo, 2006), “La segreta geometria del cosmo” (Raffaello Cortina Editore, 2004) e “Buchi Neri” (Marco Nardi Editore, 1992).
Sir Patrick Moore si è “spento serenamente” – come dichiarato in un comunicato rilasciato dagli amici intimi che l’hanno assistito – alle 12.25 di oggi 9 dicembre 2012″ a Farthings, la sua casa di Selsey nel West Sussex, all’età di 89 anni. “Dopo aver trascorso un breve periodo in ospedale la scorsa settimana, compreso che nessun altro trattamento medico avrebbe potuto più giovargli, ha espresso il desiderio di trascorrere i suoi ultimi giorni nella propria casa, in compagnia degli amici più stretti e del suo gatto Tolomeo”.
“Nel corso degli ultimi anni, Patrick, fonte di ispirazione per generazioni di astronomi, ha combattuto molte battaglie contro le gravi malattie che l’hanno afflitto, continuando sempre però a lavorare e a scrivere con grande stile; questa volta però il suo fisico era troppo debole e non è riuscito a superare l’infezione contratta qualche settimana fa.”
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Astronomo britannico e giornalista “eccentrico e senza paura”(come l’ha definito il suo più caro amico), Sir Patrick è noto in tutto il mondo per la sua attività di divulgazione. Ha presentato il programma della BBC “The Sky At Night” per oltre 50 anni, potendo così vantare il record della più lunga partecipazione allo stesso programma televisivo: ha infatti presentato la prima edizione di The Sky at Night il 24 aprile 1957, e la sua ultima apparizione è stata quella all’episodio trasmesso lunedì scorso!
Ha scritto decine e decine di libri tra saggi e manuali di astronomia (il primo “Guide to the Moon,” nel 1953, l’ultimo “Un anno intero sotto il cielo” nel 2007), e racconti di fantascienza, che sono stati tradotti e pubblicati in tutto il mondo.
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Patrick Alfred Caldwell-Moore è nato a Pinner, Middlesex il 4 marzo 1923. A causa di problemi al cuore che ne hanno segnato la salute per tutta la vita, ha trascorso gran parte della sua infanzia a casa, educato da un tutore privato. Nella sua autobiografia (Patrick Moore: The Autobiography, 2003) Sir Patrick racconta che la sua passione per l’astronomia gli nacque allora, grazie a un libro di G.F. Chambers, “La storia del Sistema Solare”, regalatogli dalla madre Gertrude.
Dopo la guerra, si è dedicato all’insegnamento, prima a Woking e poi a Holmewood, per poi iniziare la carriera di divulgatore con i suoi primi libri.
Nel 1965, è stato nominato Direttore del Planetario di nuova costruzione Armagh in Irlanda del Nord, incarico che ha ricoperto fino al 1968. Dopo il suo ritorno in Inghilterra ed essersi stabilito a Selsey nel West Sussex, si è occupato della riqualificazione del Grande Telescopio di Lord Rosse a Birr Castle e dello sviluppo del Museo Herschel of Astronomy a Bath.
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Ha fatto la sua prima apparizione televisiva nel 1950 in un dibattito sull’esistenza di dischi volanti a seguito di una ondata di avvistamenti. In seguito, è stato invitato a presentare un programma di astronomia dal vivo “The Sky at Night” il cui primo episodio, andato in onda alle 22:30 del 26 aprile 1957, era dedicato alla Cometa Arend-Roland. Da allora Moore ha presentato ogni episodio di ogni mese fino al luglio 2004, data dalla quale il programma è stato presentato dalla casa di Moore, in quanto non era più in grado di viaggiare a causa dell’artrite.

Nel 1966 è stato eletto membro della Unione Internazionale Astronomica, unico astronomo dilettante a far parte della IAU. E’ stato anche presidente della British Astronomical Association, e co-fondatore della Society for Popular Astronomy (SPA). Nel 1982 ha compilato il Caldwell catalogue, un catalogo di 109 oggetti celesti (ammassi stellari, nebulose e galassie) alla portata degli astronomi dilettanti, in seguito al quale gli è stato dedicato l’asteroide 2602 Moore.
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Come da lui stesso richiesto, i suoi esecutori e amici intimi intenzione stanno predisponendo una tranquilla cerimonia di sepoltura. Mentre, il prossimo marzo, in occasione di quello che avrebbe dovuto essere il suo 90° compleanno, si celebrerà un Evento Pubblico di addio al grande divulgatore.
Le lezioni, tenute dagli esperti del Gruppo Divulgatori della Società Astronomica Italiana Sezione Puglia, si svolgeranno presso il:
Punto vendita Salmoiraghi & Viganò di Bari – Via Piccinni 92 – ogni mercoledì alle ore 20,00 a partire dal 14 novembre 2012
12.12: Gli strumenti astronomici e accessori. Guida all’acquisto di telescopi e accessori.
Le iscrizioni saranno raccolte direttamente nel negozio di Via Piccinni, versando una quota individuale pari a 60,00 euro che comprende l’abbonamento alla rivista Coelum
Astronomia (semestrale cartacea o annuale on line), materiale didattico e gadget. Il limite massimo è di 20 partecipanti per corso, al termine del quale verrà rilasciato un diploma
di partecipazione e la possibilità di accedere in via esclusiva a sconti.
Per informazioni e prenotazioni:
www.saitpuglia.it – www.thelunarsociety.it – www.salmoiraghievigano.it
11.12: “La stella di natale” di Massimo Berretti.
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Una nuova classe di galassie è stata identificata grazie alle osservazioni del Very Large Telescope, del telescopio Gemini Sud e del CFHT (Canada-France-Hawaii Telescope). Soprannominate galassie “green bean” (fagiolino) a causa del loro aspetto insolito, risplendono della luce intensa emessa da un enorme buco nero centrale supermassiccio e sono tra gli oggetti più rari dell’Universo.
Molte sono le galassie che possiedono un buco nero centrale che illumina il gas circostante; nel caso delle galassie “fagiolino”, invece, è l’intera galassia a risplendere, non solo il nucleo. Queste nuove osservazioni hanno perciò rivelato le regioni più grandi e brillanti mai trovate finora, che si pensa risplendano sotto l’influsso di un buco nero centrale, molto attivo nel passato ma che ora si sta spegnendo.
La scoperta è stata realizzata da Mischa Schirmer (in forze all’Osservatorio Gemini Sud – Cile) che, mentre esaminava immagini del lontano universo alla ricerca di ammassi di galassie, si è imbattuto in uno di questi oggetti in una delle riprese deep-field effettuate con lo strumento MegaCam CFHT(nell’ambito della Survey CFHT Legacyrecentemente conclusasi), rimanendo stupefatto: sembrava una galassia, ma era di un verde brillante e diversa da qualsiasi altra galassia che avesse mai visto prima… insomma, qualcosa di totalmente inaspettato.
“Ho subito inviato una proposta di osservazione al VLT dell’ESO per scoprire che cosa stava producendo quella strana luce verde [1] e L’ESO, molto rapidamente, mi ha concesso tempo speciale di osservazione e pochi giorni dopo la sottomissione della proposta questo oggetto bizzarro era stato osservato con il VLT”, dice Schirmer. “Dieci minuti dopo l’osservazione in Cile, avevo i dati nel mio computer in Germania. Ben presto ho ri-orientato tutta la mia attività di ricerca, poichè sembrava chiaro che mi ero imbattuto in qualcosa di veramente nuovo”.

Il nuovo oggetto è stato chiamato J224024.1−092748 o J2240, si trova nella costellazione dell’Acquario e la sua luce ha impiegato circa 3,7 miliardi di anni per raggiungere la Terra. Dopo la scoperta, l’equipe di Schirmer ha esaminato una lista di quasi un miliardo di galassie [2] trovandone altre 16 con proprietà simili, confermate poi da osservazioni effettuate al telescopio Gemini Sud.
Queste galassie sono così rare che in media se ne trova solo una per ogni cubo di 1,3 miliardi di anni luce di lato. Questa nuova classe di galassie è stata soprannominata “green bean” (galassie “fagiolino”) a causa del loro colore e al fatto che assomigliano – ma in grande – alle galassie “green pea” (galassie “pisello verde”) [3]. In molte galassie, la materia che circonda il buco nero supermassiccio centrale emana un’intensa radiazione e ionizza il gas circostante in modo da farlo brillare. Queste brillanti regioni sono però di solito di piccole dimensioni, fino al 10% del diametro della galassia. Invece, le osservazioni di J2240 hanno mostrato che in questo caso (come anche nelle altre galassie “fagiolino” finora individuate), questa regione è veramente enorme, grande come l’intera galassia: l’ossigeno ionizzato si illumina di verde brillante, il che spiega il colore strano che ha attirato fin dal principio l’attenzione di Schirmer.
“Queste regioni incandescenti sono delle fantastiche sonde che ci possono permettere di capire meglio la fisica della galassie, è come infilare un termometro in una galassia lontanissima” dice Schirmer. “Di solito, infatti, non sono molto grandi nè molto luminose e possono essere individuate solo in alcune galassie vicine. Invece le galassie appena scoperte contengono regioni incandescenti così grandi e brillanti che possono essere osservate in gran dettaglio, anche se molto lontane”.
Ma le stranezze non sono finite qui. La successiva analisi dei dati da parte dell’equipe ha rivelato infatti un altro rompicapo. J2240 sembrava avere un buco nero non molto attivo al centro, sicuramente meno di quanto ci si attendesse dalla dimensione e dall’intensità della regione illuminata. L’equipe pensa che le regioni incandescenti siano un’eco del passato, di quando cioè il buco nero centrale era molto più attivo, e che diventeranno sempre meno brillanti a mano a mano che le ultime radiazioni dal buco nero attraversando la galassia si perderanno nello spazio [4].
Queste galassie perciò potrebbero essere anche degli evidenziatori di una fase fugace nella vita della galassia.
Credit: CFHT/ESO/M. Schirmer. Music: movetwo
Nell’Universo primordiale le galassie erano mediamente più attive, gli enormi buchi neri al centro crescevano inghiottendo il gas e le stelle circostanti producendo così fino a 100 volte più luce di tutte le stelle della galassia messe insieme. Eco luminose come quella vista in J2240 permettono agli astronomi di studiare il processo di spegnimento dei nuclei attivi e di comprendere meglio la loro storia: di quando, come e perchè smettono, e perchè ora vediamo solo una piccola frazione attiva nelle galassie più giovani. Questo è il prossimo obiettivo dell’equipe, che verrà perseguito con ulteriori indagini spettroscopiche e con i raggi X. “Scoprire qualcosa di veramente nuovo è il sogno fatto di un astronomo che diviene realtà, un evento unico nella vita”, conclude Schirmer. “È molto stimolante!”
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Questo lavoro è stato presentato nell’articolo “A sample of Seyfert-2 galaxies with ultra-luminous galaxy-wide NLRs – Quasar light echos?”, che verrà pubblicato sulla rivista “The Astrophysical Journal”.
L’equipe è composta da M. Schirmer (Gemini Observatory, Cile; Argelander-Institut für Astronomie, Universität Bonn, Germania), R. Diaz (Gemini Observatory, Cile), K. Holhjem (SOAR Telescope, Cile), N. A. Levenson (Gemini Observatory, Cile) e C. Winge (Gemini Observatory, Cile).
Cara, vecchia, familiare – ma ancora sorprendente – Luna. Il nostro satellite naturale, il più vicino e per certi versi più studiato dei corpi celesti, ha ancora molte storie da raccontarci. La sua geologia superficiale viene studiata da secoli da Terra, e da decenni per mezzo di missioni spaziali, e rivela tracce di grandi impatti ed eruzioni vulcaniche nel passato. Ma nel corso del tempo il bombardamento di meteoriti ha cancellato la maggior parte delle tracce delle prime fasi della vita della Luna. E gli astronomi hanno ancora relativamente pochi dati su quello che c’è sotto la superficie della Luna, là dove restano i segni della sua storia.
Un grande salto di qualità nella conoscenza della crosta lunare arriva con i primi risultati della missione GRAIL (Gravity Recovery and Interior Laboratory) della NASA, pubblicati in tre diversi articoli sul numero di questa settimana di Science.
GRAIL, lanciata nel settembre 2011, ha il compito di studiare il campo gravitazionale lunare e, in base a questo, dedurre dettagli della topografia e composizione della crosta sottostante. Si basa su due sonde che orbitano attorno alla Luna in formazione, a una distanza prefissata l’una dall’altra. Quando una delle due passa su qualcosa (un rilievo, o una zona di diversa composizione geologica) che altera il campo gravitazionale, la distanza dalla sonda gemella varia leggermente. Messe assieme, queste variazioni permettono di costruire una mappa estremamente dettagliata della gravità della Luna.

Lo stesso concetto era stato usato con grande successo sulla Terra dalla missione GRACE. Sulla Luna, questa scelta serviva ad aggirare il problema creato dal fatto che la Luna rivolge sempre la stessa faccia alla Terra, rendendo impossibile una misura fatta, per esempio, con una singola sonda che invii a terra un segnale radio: dalla faccia nascosta non arriverebbe nessun segnale. Ecco quindi l’idea di usare due satelliti che misurano la loro posizione relativa, anziché quella rispetto alla Terra. Se la missione GRACE, sulla Terra, usava il GPS per misurare le posizioni dei due satelliti, qui si è usato invece un “classico” tracking basato su segnali radio.
“I primi risultati dalla missione GRAIL appaiono estremamente importanti, e in linea con le aspettative createsi attorno alla missione stessa” commenta Roberto Peron, che fa parte del gruppo di gravitazione sperimentale dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell’INAF , gruppo diretto da Valerio Iafolla. “I due satelliti della missione GRAIL hanno prodotto i dati che sono stati utilizzati dagli autori dell’articolo per sviluppare un modello del campo gravitazionale lunare con una risoluzione mai raggiunta in precedenza.”
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Un buon esempio del livello di dettaglio raggiunto da GRAIL sono le macchie bianche visibili nelle mappe, corrispondenti ai cosiddetti masconi, forti anomalie gravitazionali dovute a particolari concentrazioni di massa al di sotto della superficie. In particolare, sono dovuti a una forte concentrazione di massa basaltica di origine vulcanica. “I risultati della missione contribuiranno a porre vincoli sulla struttura e composizione interna della Luna, e a chiarire gli aspetti ancora sconosciuti sulla sua formazione ed evoluzione” commenta Peron.
In particolare, il “leit motif” della missione GRAIL, spiega Maria Zuber del Massachusetts Institute of Technology che guida il team scientifico della missione, è lo studio del ruolo degli impatti nella formazione della crosta lunare. E i dati di GRAIL parlano chiaramente di una crosta che è stata letteralmente bersagliata dai meteoriti: la crosta è infatti percorsa da fratture che vanno da sottilissime fessure a vere e proprie faglie che raggiungono decine di chilometri di profondità. Oltre a frammentare profondamente la crosta, gli impatti hanno avuto l’effetto di renderla più omogenea in densità. Un altro dato che emerge dalla missione è che la crosta lunare sembra più sottile di quanto si credesse: fra i 34 e i 43 chilometri, e non tra i 50 e i 60 come si credeva.
“Lo studio si concentra soprattutto sulla crosta” nota Peron. “A questo punto quello su cui mancano ancora informazioni definitive è il nucleo”. Peron ricorda a questo proposito che una proposta di missione tutta italiana, basata sullo stesso concetto della doppia sonda, era stata presentata qualche anno fa e portata fino alla conclusione della Fase A da un gruppo di ricerca guidato dalla scomparsa Angioletta Coradini. La proposta comprendeva anche l’uso di un accelerometro simile allo strumento ISA, sviluppato per la missione Bepi Colombo e di cui Valerio Iafolla è Principal Investigator. “Pur se la proposta MAGIA non ha avuto seguito nelle fasi successive, l’idea di utilizzo di un accelerometro ad elevata sensibilità per l’esplorazione lunare è stata portata avanti nel contesto di un rinnovato interesse di un’esplorazione diretta – con lander automatici – della superficie lunare. Infatti un accelerometro come ISA funziona allo stesso modo sia a bordo di una sonda che a terra, lavorando in quest’ultimo caso come sismometro. Una sua eventuale presenza contribuirebbe ad un monitoraggio pressoché continuo del sito di allunaggio, producendo al tempo stesso osservazioni scientifiche utili a caratterizzare meglio lo stato fisico del nucleo lunare, cosa che non sembra rientrare tra gli obiettivi scientifici prioritari di GRAIL”.
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