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Ryugu, pubblicati su Science i primi risultati

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Nell'immagine l'ombra di Hayabusa 2 proiettata sulla superficie di Ryugu, nel punto in cui è stato effettuato il primo touch down. La macchia scura al centro è il segno della piccola esplosione che è servita alla sonda per raccogliere i campioni da riportare a Terra. Crediti: Jaxa, University of Tokyo, Kochi University, Rikkyo University, Nagoya University, Chiba Institute of Technology, Meiji University, University of Aizu, Aist
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Nell’immagine l’ombra di Hayabusa 2 proiettata sulla superficie di Ryugu, nel punto in cui è stato effettuato il primo touch down. La macchia scura al centro è il segno della piccola esplosione che è servita alla sonda per raccogliere i campioni da riportare a Terra. Crediti: Jaxa, University of Tokyo, Kochi University, Rikkyo University, Nagoya University, Chiba Institute of Technology, Meiji University, University of Aizu, Aist

I primi risultati dell’analisi dei dati ottenuti dal “falco pellegrino” Hayabusa2 dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa sull’asteroide Ryugu – anticipati martedì scorso in Texas durante la 50esima Lunar Planetary Science Conference – vengono pubblicati sul numero di Science di questa settimana. Un piccolo “speciale” di tre articoli, due dei quali firmati anche dai due ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica direttamente coinvolti nella missione, Ernesto Palomba e Davide Perna.

Tre articoli, guidati da altrettanti team di ricerca internazionali, che descrivono massa, dimensioni, forma, densità, spin e proprietà geologiche del corpo celeste. Caratteristiche volte a definire il contesto geologico necessario per comprendere al meglio le analisi dei campioni che la sonda sta ancora raccogliendo, destinati a giungere sulla Terra alla fine del 2020.

La prima cosa che colpisce, pensando all’asteroide tanto amato dal chitarrista dei Queen Brain May, è senza dubbio la forma: a spinning-top shape, una “trottola”, la definisce il primo dei tre studi pubblicati Science, guidato da SeiIchiro Watanabe della Nagoya University. Ma la forma non è l’unica caratteristica che ha colpito i ricercatori. Tra i risultati, dicevamo, c’è anche la sua densità: 1.19 grammi per centimetro cubo. Una densità bassa, che suggerisce per questa trottola spaziale un cuore molto poroso. Quanto alla la massa, si parla di 450 milioni di tonnellate, con un’incertezza di appena l’1.3 per cento. Ma non è finita, grazie alle analisi da remoto, gli autori hanno identificato un potenziale sito di atterraggio per una ulteriore raccolta di campioni, l’analisi dei quali – alla luce di quelli già ottenuti – può meglio chiarire come Ryugu abbia acquisito una forma così bizzarra.

Nel secondo articolo, il team di ricerca guidato da Seiji Sugita, dell’università di Tokyo, ha invece cercato di ricostruire l’albero genealogico dell’asteroide, le sue origini. Piccoli asteroidi come Ryugu – dicono i ricercatori – potrebbero essersi formati nel corso dell’evoluzione del Sistema solare a seguito della distruzione catastrofica di corpi assai più vecchi e al successivo riaccumulo dei cocci. La preponderanza di materia con scarsissime tracce di acqua porta poi i ricercatori a ipotizzare che il progenitore di Ryugu fosse anch’esso un corpo estremamente arido, ma non è l’unico scenario possibile.

«Sia la morfologia che l’uniformità delle caratteristiche spettrali dell’asteroide Ryugu», dice a questo proposito Davide Perna, dell’Inaf osservatorio astronomico di Roma, fra i coautori dell’articolo, co-investigator dello spettrometro infrarosso Nirs3 a bordo della sonda, «fanno pensare che questo corpo celeste si sia formato a seguito di un impatto primordiale subìto da un corpo celeste “genitore”, i cui frammenti si siano riaggregati per costituire l’asteroide come oggi lo osserviamo. L’energia termica sviluppatasi in questo impatto potrebbe aver causato una parziale disidratazione del materiale, giustificando così la debole intensità osservata per la banda di assorbimento dell’OH».

risultati delle analisi spettroscopiche a infrarossi sulla composizione della superficie di Ryugu ottenuti dal terzo team – quello guidato da Kohei Kitazato dell’università di Aizu, sempre in Giappone, e che vede fra gli autori anche i due ricercatori dell’Inaf – offrono un quadro ancora più completo. Quest’ultimo studio, in particolare, ha messo in luce la presenza di minerali idrati nella superficie scura dell’asteroide. Una presenza che fa supporre ai ricercatori di trovarsi davanti a qualcosa di affine alle condriti carbonacee, visto che i dati spettrali sono simili a quelli di queste meteoriti.

«Dall’analisi dei dati dello strumento Nirs3 a bordo della sonda Hayabusa 2», spiega infattiErnesto Palomba dell’Inaf Iaps di Roma, fra i coautori dell’articolo, membro del team Hayabusa2,co-investigator della camera Onc e dello spettrometro infrarosso Nirs3, «si evince che Ryugu ha una superficie molto scura e possiede una struttura spettrale che è indicativa della presenza in superficie di materiale contenente ossidrile, lo ione dell’acqua costituito da un atomo di ossigeno e uno di idrogeno (OH). Questo materiale risulta presente sulla superficie dell’asteroide in modo omogeneo, ma in lieve abbondanza».

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Coelum Astronomia di Marzo 2019
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