Una buona occasione, quella del pomeriggio tardo della Vigilia di Natale, per tentare l’osservazione di Nettuno (mag. +7,9), approfittando di una Luna in fase del 33%.
Lo potremo infatti trovare a circa 2,5° a ovest del nostro satellite naturale, alto sull’orizzonte sud-sudovest. I due astri diminuiranno man mano la loro altezza fino a tramontare dietro l’orizzonte ovest poco dopo le 22.
Servirà ovviamente almeno un piccolo strumento per individuare il lontano pianeta azzurro, troppo debole per l’osservazione a occhio nudo.
E già che ci siamo, diamo un occhio al resto del cielo, per imparare a conoscere quella costellazione che ci manca, o osserviamo la Luna per distinguere qualcuna delle sue affascinanti formazioni. Di seguito trovte i link per qualche consiglio in più!
Indice dei contenuti
Le effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre
Lo strumento OmegaCAM, installato sul telescopio VST (VLT Survey Telescope) dell'ESO ha catturato questa veduta scintillante del vivaio stellare noto come Sharpless 29. Si vedono, in questa gigantesca immagine, molti fenomeni astronomici, tra cui la polvere cosmica e le nubi di gas che riflettono, assorbono e riemettono la luce delle giovani stelle, caldissime, all'interno della nebulosa. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Eccola Sharpless 29. un vivaio stellare che brilla dei colori dati dall'assorbimento e la riflessione della luce delle giovani e caldissime stelle al suo interno, che si scontra con le nubi di gas e polveri interstellari che le circondano. Crediti: ESO/M. Kornmesser
La regione di cielo mostrata è inclusa nel catalogo Sharpless di regioni di tipo HII: nubi interstellari di gas ionizzato, rigogliose di formazione stellare. Nota anche come Sh 2-29, Sharpless 29 si trova a circa 5500 anni luce da noi, nella costellazione del Sagittario, vicina alla più grande Nebulosa Laguna. Contiene molte meraviglie astronomiche, tra cui la regione di formazione stellare molto attiva NGC 6559, la nebulosa al centro dell’immagine.
La nebulosa centrale è la caratteristica più appariscente di Sharpless 29. Nonostante la sua modesta dimensione, di soli pochi anni luce, il suo aspetto mostra il disastro che le stelle all’interno delle nebulose interstellari posso produrre. Le stelle giovani e calde dell’immagine non hanno più di due milioni di anni e lanciano fiotti di radiazione ad alta energia, che a sua volta riscalda la polvere e il gas circostanti, mentre i venti stellari erodono e scolpiscono in modo spettacolare la loro “culla”. Infatti, la nebulosa contiene una cavità estesa scavata da un sistema binario di stelle molto energetico. La cavità si sta espandendo, causando così un accumulo di materiale interstellare che forma un bordo rossastro a forma d’arco.
Quando la polvere e il gas interstellari sono bombardati dalla luce ultravioletta emessa da stelle calde e giovani, l’energia le fa brillare luminose. La luce diffusa e rossastra che permea l’immagine proviene dall’emissione di idrogeno gassoso, mentre la luce blu scintillante è causata dalla riflessione e diffusione prodotta da piccole particelle di polvere. Oltre a emissione e riflessione, vediamo anche zone di assorbimento in questa regione. Brandelli di polvere bloccano la luce nel suo cammino verso di noi, impedendoci di vedere le stelle dietro di essi, mentre tentacoli sottili di polvere creano le strutture filamentose scure all’interno delle nubi.
Questa ricchissima regione della Via Lattea nella costellazione del Sagittario include un enorme numero di stelle e varie spettacolari regioni di formazione stellare. Al centro si trova Sharpless 29, che comprende NGC 6559. A destra si vede la brillantissima e famosa nebulosa Laguna (Messier 8) e sopra la nebulosa Trifida (Messier 20). Questa immagine è stata creata a partire da immagini della Digitized Sky Survey 2. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2 Acknowledgement: Davide De Martin
L’ambiente ricco e vario di Sharpless 29 offre agli astronomi un vasto assortimento di proprietà fisiche da studiare. L’avvio della formazione stellare, l’influenza delle giovani stelle sulla polvere e sul gas, il disturbo dei campi magnetici: tutto ciò può essere osservato ed esaminato in questa singola, piccola area.
Ma le stelle giovani e massicce vivono velocemente e muoiono giovani. Infine, porranno termine in modo esplosivo alla loro vita come supernove, lasciandosi dietro ricchi detriti di gas e polvere. Nel giro di qualche decina di milioni di anni, tutto verrà spazzato via e rimarrà solo un ammasso stellare aperto.
Sharpless 29 è stata osservata dallo strumento OmegaCAM dell’ESO montato sul VST (VLT Survey Telescope) al Cerro Paranal in Cile. OmegaCAM produce immagini che coprono un’area di cielo più di 300 volte maggiore del campo di vista più grande di uno strumento del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA e può osservare anche su un più grande spettro di lunghezze d’onda, dall’ultravioletto all’infrarosso. La sua caratteristica distintiva è la capacità di catturare la riga spettrale dell’H-alfa, molto rossa, che viene prodotta dagli elettroni all’interno del’atomo di idrogeno quando perdono energia, un evento molto frequente in una nebulosa come Sharpless 29.
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Ecco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per Dicembre 2017; dove non indicato, le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.
La mostra, che il 16 dicembre apre i battenti a Bondeno (Ferrara), nella locale Pinacoteca Civica ha, tra l’altro, l’intento di celebrare le figure dei gesuiti Giovanni Battista Riccioli (1598-1671) e Francesco Maria Grimaldi (1618-1663).
Ma non solo, essa vuol essere un excursus storico e scientifico sul radicale mutamento dell’iconografia lunare avvenuto nel corso del secolo della Rivoluzione scientifica, il Seicento, grazie all’introduzione del telescopio quale strumento principe per l’indagine astronomica. Ed è quindi un fiorire, per tutto il secolo, di carte e selenografie, più o meno realistiche, realizzate da una consistente pletora di studiosi, tra i quali spiccano molti religiosi di grande cultura.
La mostra spazia dalle prime rappresentazioni grafiche pre-telescopiche del nostro satellite fino alla grande carta di Cassini, passando per il Sidereus Nuncius di Galileo e attraversando i due primi periodi della selenografia.
La sezione conclusiva della mostra vuole illustrare la nascita della fantascienza, così come la conosciamo, attraverso i viaggi immaginari sulla Luna o sui pianeti del Sistema solare, che cominciano ad apparire man mano che il telescopio di Galileo svela i misteri del cielo.
Ve la racconta più in dettaglio Rodolfo Calanca, uno degli ideatori e curatore dei testi, su Coelum Astronomia 217, e il consiglio è, dopo averlo letto… di andarla a vedere di persona! 😉
Ippogrifi e Carte lunari La selenografia ai tempi di Galileo Galilei
Bondeno (Ferrara) Pinacoteca Civica dal 16 al 28 gennaio 2018.
La mostra nasce da un’idea di Rodolfo Calanca (che ha curato anche i testi), Daniele Biancardi e Claudio Gavioli, mentre l’ideazione grafica è di Giulia Osti.
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Rappresentazione artistica degli otto pianeti del sistema della stella (si intravede a sinistra) Kepler-90. L’ultimo scoperto, Kepler-90i, è il terzo più vicino alla stella. Crediti: Nasa/Wendy Stenzel
Rappresentazione artistica degli otto pianeti del sistema della stella (si intravede a sinistra) Kepler-90. L’ultimo scoperto, Kepler-90i, è il terzo più vicino alla stella. Crediti: Nasa/Wendy Stenzel
Alle 19, puntuale come sempre, l’ormai abituale annuncio della Nasa è arrivato come promesso. Ci sono notizie buone e notizie forse meno buone – per queste ultime, dipende dai punti di vista. Partiamo dunque da quelle buone.
Grazie all’instancabile telescopio spaziale Kepler sono stati scoperti due nuovi pianeti extrasolari. Pianeti piccoli, dunque quanto a dimensioni simili alla Terra, e probabilmente rocciosi. Ma sono le notizie “cattive” quelle più gustose. La prima è che uno dei nuovi pianeti porta il totale di quelli attorno alla stella che lo ospita a quota otto. Otto come quelli attorno al Sole. In altre parole, da oggi sappiamo con certezza – il sospetto già c’era… – che il nostro Sistema solare non detiene più da solo il record del numero di mondi. È un primato che ci tocca condividere con Kepler-90, questo il nome del “sole” attorno al quale è stato visto orbitare il nuovo arrivato, Kepler-90i, insieme ai sette pianeti di cui già si conosceva l’esistenza.
C’è però di peggio: oltre al primato, rischiamo pure di perdere il lavoro. O meglio, questo è il rischio che corrono gli astronomi. Già, perché a distillare i due nuovi arrivati dall’immenso archivio di Kepler non è stato un tenace e cocciuto postdoc: è stata una rete neurale artificiale. Un algoritmo di machine learning.
Magari è presto per allarmarsi: almeno l’astro-algoritmo non s’è ancora fatto furbo a sufficienza da firmare l’articolo scientifico. Però leggere che l’affiliazione del primo autore è “Google Brain, Mountain View, California” un po’ dà da pensare. Intendiamoci, il postdoc non manca: uno dei due autori dello studio è Andrew Vanderburg, astronomo in carne e ossa della Nasa e dell’Università del Texas a Austin. Ma la sua firma è la seconda. La prima è quella di Christopher Shallue, ingegnere informatico di Google.
È lui, Shallue, che ha avuto l’idea di fare ricorso a una rete neurale, attratto dai pianeti extrasolari dopo aver scoperto che anche l’astronomia, mano a mano che progrediscono le tecniche d’acquisizione, sta venendo rapidamente sommersa dai dati. «Così nel tempo libero ho iniziato a googlare “trovare pianeti extrasolari con grandi set di dati”. E sono venuto conoscenza», racconta sornione, «della missione Kepler e dell’enorme set di dati di cui dispone. Se c’è un ambito nel quale l’apprendimento automatico dà il meglio di sé, è dove ci sono così tanti dati che gli esseri umani non riescono a setacciarli da soli».
Analizzati fino a oggi con test automatici standard, se non addirittura direttamente a occhio, di dati in effetti ce ne sono davvero tanti, nell’archivio di Kepler. In quattro anni ha acquisito segnali relativi a circa 35mila potenziali transiti planetari. Per consentire alla rete neurale, sviluppata da Google, di farsi le ossa, Shallue e Vanderburg le hanno dato in pasto 15mila segnali – già controllati e validati – presi dal catalogo di esopianeti della sonda Nasa. E le hanno chiesto d’individuare quali erano veri pianeti e quali, invece, falsi positivi. Vediamo un po’ come se la cava, si devono essere detti… Ebbene, ci ha azzeccato il 96 per cento delle volte.
Ritenuta la rete neurale ormai sufficientemente addestrata per affrontare il lavoro vero, i due ricercatori le hanno affidato l’analisi dei segnali più ambigui relativi a 670 sistemi planetari, ritenendo che il posto migliore per cercare un pianeta fosse dove già ne erano stati trovati altri in precedenza. Risultato? «Abbiamo ottenuto un sacco di falsi positivi, ma anche molti pianeti potenzialmente reali. È un po’ come setacciare le rocce per trovare pietre preziose», spiega Vanderburg. «Se usi un setaccio più fine, raccoglierai altre rocce, ma potresti anche raccogliere nuove pietre preziose».
Il sistema di Kepler-90 (a sx) e il sistema solare interno (a dx) a confronto. Crediti: Wikimedia Commons
Vediamole, dunque, le due “pietre preziose” trovate con il setaccio made in Google. Uno, Kepler-90i, è appunto l’ottavo pianeta del sistema di Kepler-i90, una stella simile a Sole a 2545 anni luce da noi. Ottavo solo in ordine di scoperta, perché come distanza dalla sua stella è il terzo pianeta (clicca sull’immagine qui a fianco per ingrandirla). È la “Terra” di quel sistema, insomma, ma dalle caratteristiche molto più simili a Mercurio: vicinissimo al suo sole, compie una rivoluzione ogni 14.4 giorni e ha una temperatura in superficie di quasi 430 gradi. L’altro pianeta rimasto intrappolato nella rete neurale, anch’esso grande più o meno come la Terra, è Kepler-80g: il sesto membro della famiglia di Kepler-80, i cui pianeti danno luogo a una catena di risonanze orbitali, come quelli del celebre Trappist-1.
Tornando al metodo usato, vale la pena osservare che questo non è certo il primo esempio di scoperta astronomica “firmata” da un algoritmo. Per esempio, nemmeno due mesi fa, su Media Inaf, abbiamo dato conto d’una rete neurale convoluzionale usata per individuare lenti gravitazionali.
«L’intelligenza artificiale, e in particolare il deep learning, sta acquistando un ruolo primario in diversi settori dell’astronomia, a causa della complessità e dimensione dei dati che acquisiremo con le campagne osservative di prossima generazione, come quella del Large Synoptic Survey Telescope (Lsst), in cui Inaf ha recentemente preso parte e che entrerà in funzione nel 2021», conferma Nicola Napolitano, astrofisico all’Inaf-Osservatorio astronomico di Capodimonte, al quale ci siamo rivolti per un commento. «Si pensi che una delle nostre ricerche più difficili riguarda l’individuazione di deboli archi gravitazionali intorno a galassie ellittiche, e di queste ne troviamo una ogni circa 50mila galassie osservate. Sarebbe impensabile effettuare questa ricerca a occhio in survey di milioni se non miliardi di galassie, come faremo con Lsst, mentre stiamo già sviluppando tecniche che trovano questi archi in maniera automatica in immagini astronomiche».
«Per prepararsi a questi appuntamenti», prosegue Napolitano, «l’Inaf, con l’Osservatorio astronomico di Capodimonte, ha formato con altri otto istituti e università europee (di Belgio Germania, Regno Unito, Olanda e Spagna) un Marie Curie Innovative Training Network denominato Sundial, finanziato dalla Comunità europea proprio con lo scopo di far incontrare astronomi e computer scientists per lo sviluppo di tecniche innovative, da utilizzare sia per l’astronomia che per altre applicazioni utili alla società».
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La mostra “Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza” promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e allestita a Palazzo del Monte di Pietà nella centralissima Piazza Duomo a Padova, è il
racconto di un uomo poliedrico, dalle molteplici sfaccettature: scienziato, padre del metodo sperimentale, letterato, esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti per la sua scrittura capace di risvegliare
l’immaginazione, musicista e virtuoso esecutore ed imprenditore, con il cannocchiale, il microscopio e il compasso. Ma anche un uomo che nella sua quotidianità cede a piccoli vizi e debolezze, come la passione per il vino. Attraverso un ampio numero di opere d’arte, la mostra ripercorre sette secoli di arte occidentale che, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana.
Alla mostra sono affiancate una serie di iniziative, tra conferenze, laboratori per ragazzi, spettacoli teatrali e musicali (consultare i vari programmi sul sito dedicato).
Gli incontri saranno introdotti da Giovanna Valenzano, prorettrice al Patrimonio artistico, musei e biblioteche. Tutte le conferenze si terranno alle ore 18.00 presso la sala conferenze di Palazzo del Monte di Pietà, piazza Duomo 14, Padova.
5 dicembre: Galileo, la fisica del suono e la “moderna musica” – Antonio Lovato 19 dicembre: Galileo Galilei e la medicina – Maurizio Rippa Bonati
Concerto: Apollo 5 | Antico futuro 17 dicembre presso la Chiesa di San Teonisto, Treviso
Il quintetto vocale, osannato dalla critica inglese, attraversa i secoli con l’occhio di chi osserva lo sviluppo delle trame musicali da un cannocchiale, in un viaggio suggestivo tra musica popolare e colta.
Bentornato Paolo ...e finalmente un sorriso! Per Paolo il rientro non è mai stato facile, il sistema cardiocircolatorio e vestibolare abituati per lungo tempo alle condizioni della Stazione Spaziale hanno bisogno di tempo per adattarsi alla gravità e all'atmosfera terrestre, probabilmente ancor di più se si è uno degli astronauti più alti in assoluto. Paolo con i suoi 188 cm è infatti il più alto astronauta italiano, e il secondo in assoluto dopo l'americano Jim Wetherbee (193 cm).
Si conclude con successo, e con un sorriso, laMissione Vita dell’Agenzia Spaziale Italiana dell’astronauta dell’ESA Paolo Nespoli. È rientrato dopo una missione durata 139 giorni trascorsi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, denominata dalla NASA Expedition 52/53 e sua terza missione a bordo della ISS.
La Soyuz MS-05, con a bordo oltre il nostro Paolo anche il comandante Soyuz russo Sergei Ryazansky e il comandante della ISS americano Randy Bresnik, è atterrata, come sempre senza imprevisti, alle 9:37 ora italiana nella regione centrale del Kazakhstan.
«Bentornato Paolo! Grazie per aver portato a termine con successo la tua missione e per tutto quello che hai fatto per la scienza e per lo spazio in questi cinque mesi sulla Stazione spaziale internazionale», questo è il messaggio per l’astronauta da parte del presidente dell’Asi Roberto Battiston. «Sei un esempio dell’eccellenza che può esprimere l’Italia quando mette a sistema le sue qualità, i suoi uomini e donne migliori, le sue aziende altamente specializzate. L’Italia che fa ricerca scientifica e sperimenta nuove tecnologie è un investimento sul futuro per tutto il nostro Paese. Io e tutti i colleghi dell’Agenzia spaziale italiana non vediamo l’ora di riabbracciarti. Voglio anche ringraziare i colleghi e amici di Esa, Nasa e Roscosmos con i quali da tanti anni raggiungiamo traguardi fondamentali».
I nostri amici di Astronautinews hanno seguito il rientro della Soyuz con una lunga cronaca (cominciata già dai primi preparativi di ieri) aggiornata passo passo.
Vi riportiamo di seguito i momenti salienti, cominciando con questo twit di Paolo che si avvia a lasciare la Stazione. Ricordiamo anche che con questa sua terza missione, iniziata il 28 luglio scorso, Paolo arriva a 313 giorni di permanenza nello spazio portandosi a casa il record tra gli astronauti italiani.
14/12 06:12 –Buongiorno a tutti i lettori, riprendiamo la cronaca diretta. Nel corso della notte Paolo e i suoi compagni hanno ultimato i preparativi e sono entrati nella capsula Soyuz MS-05 che li riporterà a terra. Il portello tra ISS e Soyuz è chiuso e il distacco è previsto entro 5 minuti circa, alle 06:16.
14/12 06:14 –Comando di distacco impartito! Ecco i due veicoli che si separano mentre la ISS vola al di sopra della Mongolia…
14/12 06:45 –Le condizioni meteo al punto di previsto di atterraggio sono buone, ma come anticipavamo ieri a salutare il ritorno di Paolo Nespoli ci sarà un bel freddo, con temperature nell’ordine dei -20 gradi centigradi. In questo momento Paolo, Randy Bresnik e Sergey Ryazansky si trovano dentro la Soyuz dove stanno infilandosi faticosamente dentro le loro tute Sokol. Completata la vestizione daranno il via alla procedura di preparazione alla manovra finale di rientro prevista tra circa un paio d’ore, alle 08:44 italiane. Ecco intanto un replay del commovente momento dei saluti.
14/12 09:10 –La Soyuz MS-05 si trova in questo momento a 140 km di quota, e siamo arrivati al momento critico della separazione dei tre elementi della capsula. Grazie al design del veicolo spaziale e con l’aiuto di piccoli razzi di manovra, il modulo di rientro si orienterà presentando lo scudo termico verso la direzione del moto, e nel giro di 4-5 minuti, via via che l’atmosfera si farà più densa, sarà letteralmente ingolfato dal plasma incandescente. In questa fase, che durerà circa 5 minuti, le comunicazioni radio con Paolo Nespoli, Randy Bresnik e Sergey Ryazansky saranno difficoltose e intermittenti.
In questa immagine di NASA vediamo una Soyuz in rientro fotografata da terra, e sono chiaramente distinguibili i frammenti dello scudo termico che (come da design) bruciando creano una scia incandescente dietro al corpo principale del modulo.
14/12 09:14 – Rientro in corso, tutto procede per il meglio. Intanto gustiamoci la separazione della Soyuz nei suoi tre moduli vista dalla prospettiva russa…
14/12 09:16 – Inizia il blackout, previsto, delle comunicazioni. La Soyuz è alla quota di 80 km ed è avvolta da plasma incandescente. Tra 7 minuti l’apertura dei paracadute…
14/12 09:23 – Apertura del paracadute confermata! La Soyuz si trova a 10 km circa di quota e stiamo avvicinandoci davvero alle battute finali della missione VITA. I paracadute che si aprono in sequenza sono due, il primo, il cosiddetto pilota, rallenterà la capsula fino a 7,2 m/s, quando il grande paracadute principale sarà estratto e frenerà la Soyuz fino a terra. Abbiamo anche la conferma visuale (e sì, quel fumo è normale)!
14/12 09:30 – Le squadre di soccorso hanno stabilito il contatto radio con la Soyuz. L’impatto “morbido” della capsula con il suolo è stato paragonato da Paolo alla “confortevole” situazione di un incidente stradale. Ad aiutare i cosmonauti ci saranno dei retrorazzi “esplosivi”, che creano un cuscino d’aria sotto la capsula, e gli speciali seggiolini in cui siedono Paolo e i suoi compagni, che si estenderanno per assorbire parte della forza dell’urto.
14/12 09:38 – ATTERRATI! – Paolo Nespoli, Randy Bresnik e Sergey Ryazansky sono rientrati sani e salvi! Ora si attende che il trio venga letteralmente estratto a forza dalla capsula.
14/12 09:52 – I membri delle forze di soccorso monteranno una sorta di “scivolo” che agevolerà l’estrazione dei cosmonauti dalla capsula. Dopo 6 mesi trascorsi in orbita e in seguito alle forze g subite durante il rientro, il trio di viaggiatori spaziali non sono in grado di muoversi da soli e rischiano anche di svenire mentre il sistema cardiocircolatorio e vestibolare stanno lavorando per riadattarsi alla gravità terrestre.
09:57 – Ecco il “primo estratto”, il comandante Sergey Riazansky.
10:00 – Ecco Paolo! Ad accoglierlo per ESA Charles Romain, uno dei partecipanti europei all’esperimento MARS500. E come anticipavamo, Paolo è abbastanza provato.
10:05 – Ecco anche Randy Bresnik, a completare il trio degli astronauti.
Bresnik e Ryazansky sono apparsi subito sorridenti e pronti a interagire con i fotografi, mentre Paolo sta impiegando un pò più tempo a ripendere le forze, come sempre è successo in occasione dei suoi voli precedenti. Prossima tappa l’aeorporto di Karaganda, dove i tre cosmonauti si separeranno per tornare nei loro paesi.
La cronaca completa, a cura di Marco Zambianchi, a partire dalle 11:30 del giorno 13, con immagini, video, tante notizie tecniche e curiosità la potete leggere direttamente sul sito di Astronautinews, cliccando qui!
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Un altro asteroide sta per avvicinarsi alla Terra: gli scienziati annunciano che raggiungerà il suo punto di minima distanza dal nostro pianeta il 16 dicembre prossimo. Fetonte – questo il suo nome – sarà davvero un pericolo per noi? Quanto è grande? E cosa c’entra con il massimo dello sciame meteorico delle Geminidi, che per frequenza di eventi rivaleggia con quello estivo delle Perseidi? Per fare chiarezza e avere qualche informazione in più su questo oggetto celeste abbiamo rivolto alcune domande a Daria Guidetti, dell’Istituto di radioastronomia dell’Inaf.
Quanto ci passerà vicino questo asteroide? Possiamo stare tranquilli qui sulla Terra?
«Il prossimo 16 dicembre Fetonte si avvicinerà a “soli” 10 milioni di chilometri dalla Terra. Praticamente una distanza pari a 27 volte quella che ci separa dalla Luna. Intersecando l’orbita della Terra, Fetonte è potenzialmente pericoloso, infatti gli astronomi lo hanno messo nella lista dei Pha (potentially hazardous asteroid). Ma possiamo continuare tranquilli i preparativi per le feste: benché 10 milioni di chilometri siano briciole per gli astronomi, la distanza è di totale sicurezza: l’asteroide non ci impatterà e la sua orbita è ben conosciuta. Nessuna sorpresa all’ultimo momento, nessun pericolo, quindi. In base ai calcoli attuali, si prevede che nel dicembre 2093 Fetonte passerà ancora più vicino, ad appena 3 milioni di km. Ma l’umanità potrà stare tranquilla anche in quel caso».
Può darci qualche informazione in più su questo oggetto celeste?
«Ha un bel diametro: circa 5 km, più o meno la metà di quello che dovrebbe aver causato l’estinzione dei dinosauri 66 milioni di anni fa. Tra gli asteroidi della classe Pha è il terzo per grandezza: si piazza tra Jm8, di circa 7 km, e Cuno, di circa 5,7 km. È fatto di rocce carboniose che gli conferiscono un colore piuttosto scuro. È un sasso schiacciato ai suoi poli e rigonfiato all’equatore, per via della rotazione attorno al suo asse: compie un giro completo su sé stesso in circa 3 ore e mezzo. Fetonte gira intorno al Sole in un anno e mezzo su un’orbita ellittica, molto allungata (eccentricità 0.89) che interseca ben 4 pianeti: non solo la nostra Terra, ma anche Mercurio, Venere e Marte. È quindi potenzialmente pericoloso per ben 4 pianeti! Si avvicina molto al Sole, arriva fino a soli 20 milioni di Km da esso, più vicino di Mercurio».
E il suo nome? C’è una ragione per la quale è stato scelto quello del figlio di Apollo nella mitologia greca?
«Proprio perché la sua orbita si spinge cosi vicino al Sole, è stato chiamato Fetonte (da Phaethon, in greco “piccolo sole”): il personaggio mitologico greco che ottenne dal padre Apollo il permesso di poter guidare il suo carro del Sole, combinando però dei disastri: bruciando città, campagne, nazioni intere, per poi cadere nel fiume Eridano (il nostro Po), bruciando probabilmente a causa del fulmine scagliatogli da Zeus, nel tentativo di fermarlo. Fetonte è caduto sulla Terra, bruciando come una meteora».
E parlando di meteore, il suo avvicinamento alla Terra coinciderà proprio con il massimo di uno sciame meteorico alquanto appariscente, le Geminidi. È solo un caso?
«Affatto. Fetonte dovrebbe essere il “padre” delle Geminidi, in quanto la sua orbita ben spiega quella di queste meteore. Lo scenario dovrebbe essere questo: a ogni passaggio ravvicinato al Sole, il calore di quest’ultimo sublima le rocce carboniose dell’asteroide creando una struttura simile alla coda di una cometa: in pratica Fetonte lascia dietro di sé una scia di particelle, impolverando la sua orbita. È proprio nel mese di dicembre che la Terra si tuffa in questo polverone, e le particelle entrando nella nostra atmosfera danno vita a delle stelle cadenti, che sembrano provenire dalla costellazione invernale dei Gemelli: le Geminidi, appunto. Va detto che gli sciami di meteore periodici sono tipicamente associati a comete, non asteroidi, come ha scoperto il grande Giovanni Schiaparelli a fine ‘800. Può darsi che Fetonte un tempo fosse una cometa ricoperta di ghiaccio, andato perduto ad ogni transito vicino al Sole, di cui poi è rimasto il nudo nucleo carbonioso che oggi osserviamo. Osservazioni dettagliate dell’asteroide in prossimità del Sole sono molto importanti per rivelare segni di attività del suo nucleo».
Potremo vedere Fetonte a occhio nudo o servirà qualche strumento? Quali suggerimenti può dare per osservarlo?
«Non sarà possibile vederlo ad occhio nudo, nonostante in questi giorni sia nella fase “piena”. Infatti, nei giorni 12-15 dicembre Fetonte è ben illuminato dal Sole, raggiungendo Il massimo della sua luminosità con una magnitudine apparente pari a 11, ma rimane comunque fuori dalla portata del nostro occhio. Però si potrà osservare con piccoli telescopi o binocoli di medie dimensioni, recandosi in luoghi bui, lontani dalle luci artificiali. Inoltre, la Luna ci dà un bell’assist sorgendo nella seconda parte della notte e in fase calante, facilitando le osservazioni di Fetonte ma anche delle Geminidi. Ovviamente, cielo sereno permettendo».
E se volete un aiutino su dove cercarlo nel cielo, potete dare uno sguardo all’animazione che abbiamo preparato sul passaggio di Fetonte alla minima distanza dalla Terra nella notte del 16 dicembre (l’asteroide è indicato dalla crocetta in rosso):
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Il tragitto di 3200 Phaethon nel cielo di dicembre, nel momento di massimo avvicinamento alla Terra tra le stelle del Pegaso. Non sarà comunque osservabile a occhio nudo, a causa della sua bassa luminosità, vicina alla undicesima magnitudine. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Il tragitto di 3200 Phaethon nel cielo di dicembre, nel momento di massimo avvicinamento alla Terra tra le stelle di Andromeda . Non sarà comunque osservabile a occhio nudo, a causa della sua bassa luminosità, vicina alla undicesima magnitudine. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Il protagonista, come si usa dire “delle cronache”, in questi giorni è sicuramente un asteroide “particolare”: 3200 Phaeton. Il 16 dicembre, attorno alla mezzanotte locale,passerà a “soli” 10,3 milioni di chilometri dalla Terra, e brillerà di una magnitudine attorno alla +11. Non certo particolarmente brillante, servirà uno strumento per poterlo osservare (a questa pagina le effemeridi orarie per una località del Centro Italia, che potete affinare inserendo la vostra posizione corretta), ma si tratta di un corpo decisamente interessante poiché, probabilmente, costituisce il residuo di una cometa estinta e… probabilmente il padre dello sciame meteorico delle Geminidi che si manifesta in genere nel periodo che va dal 7 al 17 dicembre.
Un'immagine radar da Arecibo, del dicembre 2007, è la miglior immagine dell'asteroide che abbiamo al momento... Crediti: Arecibo / CornellAll’osservazione esso si mostra puntiforme, anche se, in passato, sembra abbia accennato una timida coda. Ne facciamo un breve accenno qui, ma rimandiamo alla rubrica comete di Coelum Astronomia 216 di dicembre per leggere qualche altra curiosità.
Se non avete un telescopio e volete comunque dargli un occhio mentre passa, Gialuca Masi e il suo Virtual Telscope seguiranno l’avvicinamento apartire dalle 21:00 del 16 dicembre. Per approfondire leggete anche:
La “star” di dicembre, per quanto riguarda l’osservazione degli asteroidi, è però senza alcun dubbio (20) Massalia, che raggiungerà l’opposizione il giorno 17 e potremo rintracciarla tra le stelle del Toro.
Un’altra curiosità di (20) Massalia è di essere un asteroide la cui orbita è praticamente identica a quella di (44) Nysa (di cui abbiamo parlato il mese scorso), tanto simile che uno strettissimo avvicinamento tra i due oggetti (avvenuto l’11 aprile 1988 di sole 0,037 UA) fu sfruttato nel 1989 dal satellite Hipparcos per determinarne la massa. Rispetto a (44) Nysa, le dimensioni di (20) Massalia sono quasi doppie (162x143x130 km) ma, nonostante ciò, il contenuto valore dell’albedo lo rende di pochissimo più luminoso durante le sue opposizioni più profonde (1,0 UA, mag. +8,3). Questa del 2017 sarà proprio un’opposizione profonda che porterà l’asteroide a una distanza di 1,094 UA dalla Terra e a una magnitudine di +8,4.
Rappresentazione artistica del quasar più distante mai osservato, un buco nero supermassiccio circondato dal suo disco di accrescimento. Gli astronomi hanno utilizzato questa scoperta per ottenere informazioni importanti sui primi stadi della vita dell’Universo. Crediti: Carnegie Institution for Science
Rappresentazione artistica del quasar più distante mai osservato, un buco nero supermassiccio circondato dal suo disco di accrescimento. Gli astronomi hanno utilizzato questa scoperta per ottenere informazioni importanti sui primi stadi della vita dell’Universo. Crediti: Carnegie Institution for Science
Due gruppi di astronomi guidati dall’Università Carnegie in California e dal Max Planck Institute for Astronomy in Germania hanno scoperto il buco nero più distante finora osservato: per arrivare sulla Terra, la luce del quasar Ulas J134208.10+092838.61 – alimentato dal buco nero supermassiccio – ha impiegato 13 miliardi di anni.
Ciò significa che potrebbe essersi formato 690 milioni di anni dopo il Big Bang, quando l’universo stava uscendo dalla cosiddetta “Era Oscura”. I ricercatori, tra cui anche Roberto Decarli dell’Istituto nazionale di astrofisica di Bologna, hanno effettuato la scoperta utilizzando diversi strumenti e telescopi: itelescopi Magellano in Cile, le antenne delNoema Array (dell’Iram) in Francia e il radiotelescopio Very Large Array in New Mexico.
Durante l’intensa campagna osservativa, i due gruppi – uno guidato da Eduardo Bañados del Carnegie Institution for Science, l’altro da Fabian Walter e Bram Venemans del Max Planck – hanno catturato la luce proveniente da questo quasar estremamente potente imparando qualcosa di nuovo sull’universo primordiale.
Immagine della galassia che ospita il quasar recentemente scoperto, scattata nella caratteristica luce del carbonio ionizzato (CII). Osservazioni come questa hanno dimostrato che la galassia ospite contiene quantità sorprendenti di elementi pesanti e polvere. Crediti: Mpia / Venemans et al.
I quasar sono delle sorgenti energetiche che risiedono nel cuore delle galassie e sono generati dai buchi neri più massicci – in questo caso 800 milioni di volte la massa del Sole. La loro luce viene prodotta quando del materiale galattico, come gas o anche intere stelle, collassa all’interno del buco nero supermassiccio al centro di una galassia. Tale materia si raccoglie in un disco di accrescimento intorno al buco nero, raggiungendo temperature fino a qualche centinaia di migliaia di gradi centigradi prima di cadere infine nel buco nero stesso.
Il quasar appena scoperto è talmente luminoso che brilla come 40mila miliardi di stelle simili al Sole, e aggiunge dati cruciali per lo studio delle prime fasi della storia dell’universo: la sua luce mostra che, 690 milioni di anni dopo il Big Bang, una frazione significativa del gas era ancora costituita da idrogeno neutro, e questo porta gli esperti ad avvalorare modelli che prevedono che la reionizzazione (il passaggio dal periodo durante il quale l’universo era buio, composto solamente da nubi di elementi chimici elementari in balia delle forze gravitazionali, all’universo strutturato in complesse reti di galassie e nebulose di gas ionizzato intergalattico che possiamo osservare oggi) sia avvenuta relativamente tardi.
Roberto Decarli, Inaf di Bologna
«La scoperta di un quasar così distante nel tempo», osserva Decarli, «offre una prospettiva inedita sull’universo giovane. Questo oggetto da solo ci regala importanti informazioni sulla formazione ed evoluzione dei primi buchi neri supermassicci, delle prime galassie di grande massa, sull’arricchimento chimico del gas nelle galassie e sull’evoluzione del mezzo intergalattico verso la fine della reionizzazione».
La distanza del quasar è determinata da quello che viene chiamato redshift, (letteralmente “spostamento verso il rosso”), vale a dire l’allungamento della lunghezza d’onda della luce associata all’espansione dell’universo: più alto è il redshift, maggiore è la distanza, e più indietro gli astronomi guardano nel tempo quando osservano l’oggetto. Questo quasar ha un redshift di 7,54 (il record precedente, per i quasar, era 7,09). Di quasar così distanti ne sono previsti solo in un numero molto ridotto (da 20 a 100 esemplari).
Quasar giovani come Ulas J134208.10+092838.61 possono fornire preziose informazioni anche sull’evoluzione della galassia ospite. Registrando una massa di quasi un miliardo di masse solari, il buco nero che ha generato il quasar è relativamente massiccio. Spiegare come un buco nero di questo tipo si sia formato in così poco tempo è un rompicapo per i ricercatori.
«Raccogliere tutta questa materia in meno di 690 milioni di anni è una sfida, se ci basiamo sulle attuali teorie di accrescimento dei buchi neri supermassicci», spiega Bañados. «I quasar sono tra gli oggetti celesti più luminosi e lontani conosciuti e sono quindi cruciali per comprendere l’universo primordiale», conclude Venemans.
Raprresentazione schematica del viaggio nel tempo che è possibile effettuare grazie alla scoperta del quasar più distante mai visto. L’osservazione grazie a uno dei telescopi Magellano (in basso a sinistra) permette agli astronomi di ricostruire informazioni in merito all’epoca della reionizzazione (le bolle a metà dell’immagine) in seguito al Big Bang (in alto a destra). Crediti: Carnegie Institution for Science
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Eccoli i quattro astri in formazione, alti in cielo sull’orizzonte sudest, in un orario in cui sono ancora inquadrabili con elementi del paesaggio. La falce di Luna, il giorno 13, si troverà a 6,9° a nordovest di Marte e 6,6° a nordest di Spica, mentre Giove si troverà a sudest della formazione a poco più di 10° da Marte. Il giorno 14, vedremo invece la falce di Luna a 6,2° a nord di Giove, e a circa 6,5° a est di Marte. Questa volta sarà Spica a vedersi in distanza poco meno di 10° a nordovest di Marte. Il giorno 15, invece, la Luna si avvicinerà all’orizzonte allineandosi agli altri astri. Sarà possibile poi seguire gli astri ancora per un paio d’ore, quando il paesaggio sarà forse più lontano, ma la luminosità del crepuscolo, in aumento verso est, potrà dare un tocco suggestivo a una ripresa a grande campo.
Eccoli i quattro astri in formazione, alti in cielo sull’orizzonte sudest, in un orario in cui sono ancora inquadrabili con elementi del paesaggio. La falce di Luna, il giorno 13, si troverà a 6,9° a nordovest di Marte e 6,6° a nordest di Spica, mentre Giove si troverà a sudest della formazione a poco più di 10° da Marte. Il giorno 14, vedremo invece la falce di Luna a 6,2° a nord di Giove, e a circa 6,5° a est di Marte. Questa volta sarà Spica a vedersi in distanza poco meno di 10° a nordovest di Marte. Il giorno 15, invece, la Luna si avvicinerà all’orizzonte allineandosi agli altri astri. Sarà possibile poi seguire gli astri ancora per un paio d’ore, quando il paesaggio sarà forse più lontano, ma la luminosità del crepuscolo, in aumento verso est, potrà dare un tocco suggestivo a una ripresa a grande campo. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
In un mese piuttosto avaro di facili congiunzioni, tre giorni assolutamente da non perdere… Il 13 dicembre mattina potremo finalmente assistere a una bella e ampia configurazione celeste, con una sottile falce di Luna (fase del 22%) che sorge dall’orizzonte est–sudest a circa 6,5° da Spica (alfa Virginis; m = +1,1), seguita, attorno alle 4:00, da Marte (mag. +1,8) 8° più in basso a formare un triangolo. Le distanze si accorceranno lentamente via via fino all’ora, decisamente più comoda, delle 6:40, quando i tre astri saranno alti in cielo, e Marte e Spica si troveranno entrambi distanti attorno ai 6° e mezzo dalla Luna. Nel frattempo Giove (mag. – 1,7) sarà apparso in cielo, anche se decisamente più distante.
Il mattino successivo, la falce di Luna si avvicinerà invece a Giove (sempre a una distanza di poco più di 6°). Il 14 dicembre, infatti, Marte si troverà a nordovest della Luna, ancora a circa 6° e mezzo; mentre Spica, ancor più a nordovest, li osserverà a meno di dieci gradi di distanza.
Ancora un giorno e li troveremo, la mattina del 15 dicembre allineati, sempre sull’orizzonte est-sudest, a coprire un arco di cielo di quasi 30° ma non per questo meno affascinante all’osservazione e alla ripresa.
Per chi alzerà gli occhi al cielo, uscendo di casa la mattina presto, sarà uno spettacolo a occhio nudo da non perdere, mentre lasciamo a voi decidere il momento migliore per la ripresa: se una sveglia presto per averli ancora bassi sull’orizzonte nella cornice del paesaggio (all’orario indicato in cartina, se non ancor prima nel caso del giorno 13), o se attendere un orario più comodo per un’ampia e suggestiva inquadratura, magari con la luce del crepuscolo in arrivo e un cielo con qualche fortuita nuvola al punto giusto o… il passaggio di una meteora!
Con la falce di Luna di primo mattino si potrà anche tentare di riprendere la sempre affascinante Luce Cinerea ➜ Come Fotografare la Luce Cinerea della Luna
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Le effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre
Ecco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per Dicembre 2017; dove non indicato, le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.
11.12: I vulcani di Io, satellite infernale di Giove. Relatore: Giovanni Chelleri 18.12: Il caso Galileo. Relatore: Aldo Strati
Per informazioni: http://www.astrofilitrieste.it
Anche quest’anno, nel periodo che va dal 4 al 16 dicembre, dirigendo lo sguardo verso la costellazione dei Gemelli, potremo assistere a un magnifico pettacolo, quello offerto dallo sciame meteorico delle Geminidi.
Queste “stelle cadenti” invernali (proprio come per le Perseidi, in agosto), permettono i godere delle scie luminose lasciate in cielo dai frammenti rocciosi e metallici che, entrando nell’atmosfera, si disintegrano illuminandosi.
Lo sciame elle Geminidi, anche se meno famoso di quello estivo per via delle basse temperature che non invogliano all’osservazione, è uno dei più attivi oggi noti: quest’anno il suo picco di attività è atteso per le ore 7:00 del 14 dicembre, con uno ZHR di circa 120 meteore all’ora, anche se già il giorno prima e quello successivo si attende una discreta attività.
Ovviamente, per le 7:00 il cielo sarà già luminoso, pertanto si consiglia l’osservazione durante la nottata tra il 13 e il 14 dicembre. Bisogna aggiungere che quest’anno l’osservazione delle Geminidi non sarà disturbata nemmeno dalla Luna, sempre distante e che sorgerà attorno alle 3:30 nella giornata del massimo.
Un'illustrazione di come potrebbe essere stato l'impatto su Pallas che ha creato Phaeton, con una quantità di detriti per spiegare una delle ipotesi di provenienza delle Geminidi. Un'ipotesi che non ha però trovato concordanza con i dati. Crediti: B. E. Schmidt and S. C. Radcliffe of UCLA.
Curiosità:A differenza degli altri sciami meteorici, la particolarità delle Geminidi è quella di non essere originate da una cometa, ma da un asteroide della Fascia Principale, 3200 Phaeton, di diametro 5 km, scoperto l’11 ottobre 1983 attraverso l’Infrared Astronomical Satellite, e di passaggio a soli 10milioni di chilometri dalla Terra la notte del 16 dicembre (continuate a seguirci per maggiori informazioni!).
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Risorse utili
Si tratta di consigli dati in occasione delle Perseidi, ma sempre validi per qualsiasi sciame meteorico… congiliamo quindi la lettura di:
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La teoria di Einstein prevede che due buchi neri in collisione emettano onde gravitazionali, ma queste onde non sono ancora state rivelate direttamente. Nell’immagine, la rappresentazione artistica delle onde gravitazionali che si muovono attraverso lo spazio-tempo. Crediti: Nasa
Se fino a qualche anno fa le onde gravitazionalierano ancora avvolte da un alone di teoria e mistero, dalla loro prima rilevazione (il 14 settembre 2015) a oggi i ricercatori hanno fatto molta strada, fino ad arrivare alla cosiddetta era dell’astronomia gravitazionale e multimessaggero. Ma a cosa servono davvero queste increspature del “tessuto” dello spaziotempo predette da Einstein? Ce lo chiediamo tutti, e di recente una coppia di scienziati ha provato a rispondere: è possibile confermare l’esistenza (o meno) di un certo tipo di buchi nerianalizzando il comportamento delle onde gravitazionali.
Secondo quanto riportato nel loro studio pubblicato su Physical Review Letters, i due esperti teorizzano di poter sfruttare i diversi esperimenti che si occupano di onde gravitazionali per testare l’esistenza di buchi neri primordiali, cioè oggetti talmente antichi che si sarebbero formati pochissimi attimi dopo il Big Bang. Lo scopo di tutto ciò sarebbe quello di dare un’ulteriore spiegazione a un altro mistero, quello dalla materia oscura.
Clicca sull'immagine per leggere l'articolo di Alvise Raccanelli su Materia Oscura, Onde Gravitazionali e Buchi Neri Primordiali, su Coelum Astronomia 210, in formato digitale e gratuito.
Secondo la teoria più acclarata, i buchi neri si sarebbero formati dalle supernove, ma se questo fosse vero i buchi neri non potrebbero essere nati prima della formazione delle stelle. Savvas Koushiappas (Brown University) e Abraham Loeb (Harvard University) hanno trovato un modo, però, per mettere la loro idea alla prova calcolando la prima epoca in cui i buchi neri barionici – quelli fatti della materia che vediamo nelle stelle e nei pianeti – possano essersi formati.
Immagine simulata di due buchi neri che si scontrano producendo onde gravitazionali. Crediti: The Sxs (Simulating eXtreme Spacetimes) Project – Ligo/Nasa)
«Sappiamo molto bene che i buchi neri possono essersi formati dal crollo di grandi stelle, o come abbiamo visto di recente, dalla fusione di due stelle di neutroni», ha detto Koushiappas, «ma è stato ipotizzato che potessero esserci buchi neri anche prima che le stelle si formassero». Secondo i due ricercatori, poco dopo il Big Bang le fluttuazioni quantistiche portarono alla distribuzione della materia che oggi osserviamo nell’Universo in espansione. I due suggeriscono che alcune di queste fluttuazioni di densità potrebbero essere state abbastanza importanti da provocare la nascita dei buchi neri in tutto l’Universo. La teoria dei cosiddetti buchi neri primordiali è stata avanzata per la prima volta all’inizio degli anni Settanta da Stephen Hawking e dai suoi collaboratori, ma non sono mai stati rilevati (in realtà non è affatto chiaro se esistano).
Onde gravitazionali e Astronomia Multimessaggero su Coelum astronomia 216. Sempre in formato digitale a lettura gratuita.
Allora a cosa servono le onde gravitazionali? Strumenti futuri (o già esistenti come Ligo e Virgo) che indagano sulle “onde di Einstein” saranno in grado di “guardare” indietro nel tempo fino a epoche precedenti la formazione delle prima stelle: se fosse possibile assistere alla fusione di due buchi neri già a quei tempi, allora verrebbe confermata la teoria secondo la quale questi oggetti primordiali non sono di origine stellare.
Koushiappas e Loeb hanno calcolato la distanza spaziotemporale alla quale le fusioni tra i buchi neri non dovrebbero più essere rilevate assumendo solo l’origine stellare. Questo “distanza” si chiama in gergo tecnico redshift(letteralmente “spostamento verso il rosso”) e non è altro che l’allungamento della lunghezza d’onda della luce associata all’espansione dell’Universo. Più un evento è lontano nel tempo, più è grande il redshift. I due scienziati hanno dimostrato nel loro studio che a un redshift di 40 (cioè 65 milioni di anni dopo il Big Bang) gli eventi di fusione dovrebbero essere rilevati con un tasso non superiore a uno all’anno, ipotizzando l’origine stellare dei buchi neri. Con redshift superiori a 40, gli eventi dovrebbero scomparire del tutto. Osservare a una distanza pari a un redshift di 40 dovrebbe essere alla portata di diversi esperimenti gravitazionali attualmente in fase di progettazione: se questi strumenti dovessero rilevare eventi di fusione tra due buchi neri oltre quella distanza, allora la teoria sui buchi neri primordiali sarebbe confermata.
L’unica spiegazione alternativa rimarrebbe l’ipotesi di un Universo non-gaussiano, notano gli autori, ma questo implicherebbe il ricorso a un a nuova fisica per rendere contro delle fluttuazioni primordiali.
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Ecco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per Dicembre 2017; dove non indicato, le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.
09.12, ore 15:00: Uomini e Astronavi alla conquista della Luna. Presso sala incontri Museo Civico di Storia Naturale di Trieste. Relatore Giovanni Chelleri 11.12: I vulcani di Io, satellite infernale di Giove. Relatore: Giovanni Chelleri 18.12: Il caso Galileo. Relatore: Aldo Strati
Per informazioni: http://www.astrofilitrieste.it
La zona del Campo Ultra-profondo di Hubble (Hubble Ultra Deep Field), un regione piccolissima ma molto studiata nella costellazione della Fornace, osservata dallo strumento MUSE installato sul VLT dell'ESO. La figura dà solo un'idea parziale della ricchezza dei dati MUSE, che forniscono anche un spettro per ogni pixel. Questo insieme di dati ha permesso agli astronomi non solo di misurare la distanza di un numero molto maggiore di galassie che in precedenza – per un totale di 1600 – ma anche di trovarne di nuove. Sono state infatti inaspettatamente trovate 72 galassie che erano sfuggite alle immagini profonde del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Crediti: ESO/MUSE HUDF collaboration
È stata portata a termine la più profonda survey spettroscopica di sempre con lo strumento MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer) installato sul VLT dell’ESO in Cile. Gli astronomi si sono focalizzati sul Campo Ultra-profondo di Hubble, misurando distanze e proprietà di 1600 galassie molto deboli, trovando tra l’altro 72 nuove galassie che non erano mai state viste prima, neppure dal telescopio Hubble.
Questa base dati rivoluzionaria ha già portato a 10 articoli scientifici pubblicati in un numero speciale di Astronomy & Astrophysics. Una tale abbondanza di informazioni permette ora agli astronomi di dare uno sguardo nuovo alla formazione stellare nell’Universo primordiale, consentendo di studiare i moti e altre proprietà delle prime galassie, grazie alle capacità spettroscopiche uniche di MUSE.
Il gruppo che si occupa della survey dell’Hubble Ultra Deep Field (il Campo Ultra-profondo di Hubble o HUDF), sotto la guida di Roland Bacon dell’Università di Lione (CRAL, CNRS) Francia, ha usato MUSE per osservare appunto il Campo Ultra-Profondo di Hubble (heic0406), una zona molto studiata nella costellazione australe della Fornace. Lo sforzo ha prodotto le osservazioni spettroscopiche più profonde mai realizzate finora: sono state misurate informazioni spettroscopiche accurate per 1600 galassie, dieci volte più di quanto fosse stato ottenuto a gran fatica nel precedente decennio da vari telescopi da terra.
In questa immagine il Campo Ultra-profondo di Hubble 2012, una versione aggiornata del Campo Ultra-profondo di Hubble con un maggior tempo di osservazione. I nuovi dati hanno mostrato per la prima volta una popolazione di galassie lontane a redshift tra 9 e 12, tra cui l'oggetto più lontano osservato finora. Queste galassie richiedono conferma spettroscopica che arriverà grazie al prossimo telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA. Crediti: NASA, ESA, R. Ellis (Caltech), and the HUDF 2012 Team
Le immagini originali dell’HUDF erano osservazioni pionierstiche realizzate dal telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA e pubblicate nel 2004: sono le osservazioni più profonde di sempre e hanno rivelato uno zoo di galassie che risalgono a meno di miliardo di anni dopo il Big Bang. L’area è stata successivamente osservata molte volte da Hubble e da altri telescopi – si tratta di una delle zone più studiate del cielo, ben 13 strumenti montati su otto telescopi, tra cui ALMA, l’hanno osservata dai raggi X alle onde radio – producendo la veduta più profonda dell’Universo fino a oggi.
Roland Bacon continua il racconto: «MUSE può fare qualcosa che Hubble non può fare: suddivide la luce di ogni punto dell’immagine nei suoi colori componenti per creare uno spettro. Questo ci permette di misurare la distanza, il colore e altre proprietà di tutte le galassie che possiamo vedere, tra cui alcune invisibili anche a Hubble».
I dati di MUSE forniscono una nuova visione di galassie fioche e molto distanti, osservate com’erano poco dopo l’inizio dell’Universo, circa 13 miliardi di anni fa. Hanno rivelato galassie 100 volte più deboli che nelle survey precedenti, aggiungendole a un campo già riccamente osservato e approfondendo la nostra comprensione delle galassie nelle epoche cosmiche. E nonostante la profondità delle precedenti osservazioni di Hubble, MUSE ha – tra gli altri numerosi risultati – rivelato anche 72 galassie che non erano mai state viste prima in questa minuscola area di cielo.
Le 72 candidate galassie sono emettitrici di Lyman-alfa, la cui luce cioè è concentrata nella riga Lyman-alfa, prodotta quando gli elettroni dell’atomo di idrogeno cadono dal penultimo livello al più basso. Questa luce ha una lunghezza d’onda particolare nella zona ultravioletta dello spettro, ma nel caso di oggetti spostati molto verso il rosso (redshift) viene a trovarsi nella banda della luce visibile o nel vicino infrarosso, che gli astronomi possono quindi più facilmente rilevare con i telescopi spaziali o da terra.
La nostra comprensione attuale della formazione stellare non spiega pienamente queste galassie, che sembrano brillare luminosamente in questo singolo colore. Ma grazie alla peculiarità di MUSE, disperde la luce nei suoi colori componenti, questi oggetti diventano subito evidenti, mentre sono invisibili nelle immagini dirette profonde come quelle di Hubble.
«MUSE ha la capacità unica di estrarre informazioni su alcune delle più vecchie galassie dell’Universo – anche in una zona del cielo che è già ampiamente studiata», spiega Jarle Brinchmann, dall’Università di Leida nei Paesi Bassi e dell’Istituto di Astrofisica e Scienze Spaziali al CAUP a Porto, Portogallo e primo autore di uno degli articoli che descrive i risultati di questa survey. «Impariamo cose su queste galassie che è possibile capire solo con la spettroscopia, come il contenuto chimico e i moti interni – e non una galassia per volta ma tutto in una volta sola per tutte le galassie!».
Questa sequenza mostra la regione del Campo Ultra-profondo di Hubble in cui sono evidenziati con un colore blu gli aloni di gas che risplendono intorno a molte galassie distanti, scoperti con lo strumento MUSE installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO in Cile. La scoperta di così tanti aloni estesi, che emettono radiazione ultravioletta nella riga Lyman-alfa, intorno a molte galassie distanti è uno dei tanti risultati ottenuti da questa survey spettroscopica molto profonda. Crediti: ESO/MUSE HUDF team
Un altro risultato importante di questo studio è stato la detezione sistematica di aloni luminosi di idrogeno intorno alle galassie dell’Universo primordiale, che ha fornito agli astronomi una nuova e promettente strada per studiare il modo in cui la materia fluisce dentro e fuori le galassie primordiali.
Molte altre potenziali applicazioni di questo insieme di dati, tra cui il ruolo delle galassie deboli durante lare-ionizzazione cosmica, il tasso di fusione tra galassie quando l’Universo era giovane, i venti galattici, la formazione stellare e la mappatura del moto delle stelle nell’Universo primordiale, vengono esplorate nella serie di articoli pubblicata.
«È giusto sottolineare che questi dati sono stati presi senza l’uso dell’ottica adattiva (AOF da Adaptive Optics Facility), recentemente aggiuta a MUSE. L’attivazione dell’AOF dopo un decennio di lavoro intenso di astronomi e ingegneri dell’ESO promette dati ancora più rivoluzionari in futuro,» conclude Roland Bacon.
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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il
Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del
Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi. https://www.uai.it/
La mostra “Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza” promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e allestita a Palazzo del Monte di Pietà nella centralissima Piazza Duomo a Padova, è il
racconto di un uomo poliedrico, dalle molteplici sfaccettature: scienziato, padre del metodo sperimentale, letterato, esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti per la sua scrittura capace di risvegliare
l’immaginazione, musicista e virtuoso esecutore ed imprenditore, con il cannocchiale, il microscopio e il compasso. Ma anche un uomo che nella sua quotidianità cede a piccoli vizi e debolezze, come la passione per il vino. Attraverso un ampio numero di opere d’arte, la mostra ripercorre sette secoli di arte occidentale che, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana.
Alla mostra sono affiancate una serie di iniziative, tra conferenze, laboratori per ragazzi, spettacoli teatrali e musicali (consultare i vari programmi sul sito dedicato).
Gli incontri saranno introdotti da Giovanna Valenzano, prorettrice al Patrimonio artistico, musei e biblioteche. Tutte le conferenze si terranno alle ore 18.00 presso la sala conferenze di Palazzo del Monte di Pietà, piazza Duomo 14, Padova.
5 dicembre: Galileo, la fisica del suono e la “moderna musica” – Antonio Lovato 19 dicembre: Galileo Galilei e la medicina – Maurizio Rippa Bonati
Concerto: Apollo 5 | Antico futuro 17 dicembre presso la Chiesa di San Teonisto, Treviso
Il quintetto vocale, osannato dalla critica inglese, attraversa i secoli con l’occhio di chi osserva lo sviluppo delle trame musicali da un cannocchiale, in un viaggio suggestivo tra musica popolare e colta.
Per tutto l’inverno, il palazzo dell’Accademia delle Scienze di Torino ospita “L’infinita curiosità. Un viaggio nell’universo in compagnia di Tullio Regge”. La mostra, curata da Vincenzo Barone e Piero Bianucci, propone, con un allestimento coinvolgente, un viaggio ideale nell’universo, dall’immensamente grande all’estremamente piccolo, alla scoperta delle meraviglie della fisica contemporanea.
L’ingresso alla mostra accoglie il visitatore con un allestimento spettacolare. Nello scenografico corridoio è posta un’installazione di legno che rappresenta la “scala cosmica”: 62 blocchi corrispondenti ai 62 ordini di grandezza dell’universo conosciuto, dall’estremamente piccolo (la lunghezza di Planck) all’immensamente grande (l’orizzonte cosmologico). Lungo il percorso della mostra il visitatore si muoverà idealmente su e giù per questa scala, confrontandosi con le dimensioni delle cose, dai quark alle galassie.
La mostra si avvale della collaborazione di importanti istituzioni scientifiche italiane, tra le quali l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM). Il progetto è realizzato nell’ambito delle attività del Sistema Scienza Piemonte, un accordo promosso dalla Compagnia di San Paolo e sottoscritto dai principali enti torinesi che si occupano di diffusione della cultura scientifica. www.torinoscienza.it
Le fasi della Luna in dicembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Le fasi della Luna in dicembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Dopo il Plenilunio previsto per le ore 16:47 del 3 dicembre, quando si troverà appena sotto l’orizzonte (infatti sorgerà pochi minuti più tardi, alle 17:00), avrà inizio la Luna Calante entrando poi in Ultimo Quarto alle 08:51 del 10 dicembre con fase di 21,84 giorni fino alla Luna Nuova del giorno 18 dicembre alle 07:31. Da qui riprenderà la Luna Crescente col Primo Quarto alle 10:20 del 26 dicembre, mentre dalle 17:30 si troverà a un’altezza di +41° culminando in Meridiano alle 18:39 a +44°, osservabile per tutta la serata fino al suo tramonto previsto per la notte seguente.
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Super Luna
Questo mese, e precisamente il 3 dicembre si verificherà anche quella coincidenza tra Luna Piena e Luna la Perigeo chiamata Super Luna, o quasi…Infatti la Luna raggiungerà il perigeo poche ore dopo il Plenilunio (la sera successiva).
Crediti: Giorgia Hofer
Si tratta comunque di quel momento (unico quest’anno) in cui la Luna è al suo meglio per splendore e dimensioni angolari. Non è una differenza semplice da apprezzare a occhio nudo, ma sicuramente può essere uno spunto per effettuare delle riprese di confronto con riprese in altri momenti dell’anno… e in ogni caso sempre un ottimo motivo per riprendere la Luna nel paesaggio!
La prima e principale proposta di questo mese è suddivisa nelle due serate del 4 e 5 dicembre (da 24 a 48 ore dopo il Plenilunio del giorno 3) quando andremo a osservare le grandi strutture crateriformi esistenti in prossimità del bordo estsudest della Luna. Nel caso specifico il nostro target sarà costituito dagli imponenti crateri Langrenus, Vendelinus, Petavius e Furnerius col nostro satellite in fase di 16/17 giorni, pertanto in Luna Calante.
Con la seconda proposta di dicembre prosegue l’osservazione dei grandi crateri situati in prossimità del bordo orientale del mare Nubium, di cui questo mese è il turno di Arzachel, anch’esso un componente della famosa e notevole “Cauda Pavonis”, che andremo a visitare la sera del 26 dicembre dalle 17:30 col nostro satellite in Primo Quarto (fase di 8,42 giorni, Colongitudine 12.0°, frazione illuminata 53.3% a un’altezza iniziale di +41°).
Come terza e ultima proposta ci spostiamo in prossimità del bordo sudoccidentale della Luna dove la sera del 31 dicembre chiuderemo il 2017 con l’osservazione delle Rimae Sirsalis – lungo solco di oltre 330 km con larghezza variabile, probabilmente il più esteso sull’emisfero lunare a noi visibile – con l’omonimo doppio cratere.
➜ La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n. 211
Per il “ponte dell’Immacolata” (7-10 dicembre) 2017 l’Accademia delle Stelle organizza una vacanza astronomica per conoscere l’astronomia ed osservare il cielo presso un panoramico agriturismo nelle campagne di Proceno (VT) da dove si gode di un cielo fantastico grazie al minimo inquinamento luminoso.
È la vacanza ideale per chi vuole immergersi per alcuni giorni nella natura e beneficiare della contemplazione del cielo!
Da molti anni l’Accademia delle Stelle organizza Vacanze Astronomiche collaborando con strutture selezionate in siti con cieli particolarmente bui in varie regioni d’Italia*.
Sono occasioni perfette per gli appassionati di astronomia: sia per i neofiti che vogliono avvicinarsi al cielo, sia per gli astrofili esperti che possono condurre osservazioni al telescopio e realizzare fotografie astronomiche.
I partecipanti potranno godere di un cielo buio e pieno di stelle la notte e, di giorno, di una residenza (a mezza pensione o a pensione completa) in aperta campagna, con interessanti mete turistiche nei dintorni.
È prevista anche la possibilità di partecipare solo alle attività astronomiche senza soggiornare: conferenza, cena e osservazioni si possono acquistare a 30 euro al giorno.
Per informazioni, e prenotazioni, scrivere a: eventi@accademiadellestelle.org
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VOYAGER: Viaggio verso l’Eternità Lo speciale per i 40 anni della storica missione… ancora in corso!
Coelum Astronomia 217 di dicembre 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
Semplicemente qui sotto, lascia la tua mail (o clicca sulla X) e leggi!
L’indirizzo email verrà utilizzato solo per informare delle prossime uscite della rivista.
Domenica 3 dicembre si verificherà l’unico super plenilunio del 2017. L’Accademia delle Stelle offre a tutti l’occasione per assistere all’evento osservando gratuitamente la Luna al telescopio.
La superluna è un normale plenilunio che avviene però quando la Luna si trova più vicina alla Terra (perigeo), apparendo quindi un po’ più grande e luminosa del solito.
L’Accademia delle stelle metterà a disposizione del pubblico strumenti potenti e personale esperto per scrutare da vicino il nostro satellite e saperne di più.
Potrete portare via anche un souvenir veramente speciale: vi faremo infatti anche fotografare la Luna con il vostro cellulare attraverso i nostri telescopi.
Oltre alla Luna osserveremo anche qualche altro oggetto celeste visibile nel cielo autunnale.
Con la mostra L’UNIVERSO AD OROLOGERIA l’Astrario di Giovanni Dondi rivive nel luogo esatto dove a lungo fu collocato, la biblioteca visconteo-sforzesca del Castello di Pavia.
DOVE: Musei Civici del Castello Visconteo, Viale XI febbraio 35, Pavia, Collegio Castiglioni Brugnatelli, Via San Martino 20, Pavia
La mostra esibisce al pubblico la ricostruzione dell’antico strumento realizzata da Guido Dresti (2009-2011), accompagnata da altri strumenti per la misurazione del tempo e del moto dei pianeti “antenati” dell’Astrario, da preziosi codici di astronomia e astrologia provenienti dall’Archivio Civico della Biblioteca Bonetta e dalla serie di stampe dei sette Pianeti, attribuiti a Baccio Baldini e appartenenti ai Musei Civici di Pavia. Un ricco calendario di appuntamenti consente di approfondire l’affascinante figura di Giovanni Dondi, medico, astrologo, astronomo, letterato a tutto tondo del XIV secolo e la temperie culturale e scientifica in cui si colloca la sua eccezionale opera.
12.11, ore 16.00: “UNO:UNO A tu per tu con l’opera. Dal manoscritto alla ricostruzione dell’Astrario” con Guido Dresti e Rosario Mosello, presso i Musei Civici del Castello Visconteo. 14.11, ore 18.00: “Giovanni Dondi e Francesco Petrarca, un’amicizia tra Pavia e Padova” con Elena Necchi, presso Collegio Castiglioni Brugnatelli. 19.11, ore 11.00: “Un horologio di maravigliosa fattura” visita guidata alla mostra. 28.11, ore 18.00: “Destini meccanici: orologi astronomici e astrologia, tra Medioevo e Rinascimento” con Marisa Addomine, presso il Collegio Castiglioni Brugnatelli. 03.12, ore 11.00: “Un horologio di maravigliosa fattura” visita guidata alla mostra.
Ecco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per i mesi di Novembre e Dicembre 2017; le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.
04.12: L’enigma dei buchi neri primordiali.
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec 11.12: Novità ai confini del Sistema Solare: i TNO e la ricerca del pianeta IX.
Relatore: Stefano Schirinzi 18.12: Gli strumenti dell’astronomia: telescopi, radiotelescopi,
spettrografi e satelliti.
Relatore: Muzio Bobbio
Ascolta il Circolo Culturale Astrofili Trieste ne “Il buio degli anni luce” in diretta streaming su Radio Fragola ogni mercoledì dalle 21:30 alle 22:30. http://www.radiofragola.com
7 – 10 dicembre: Vacanze Astronomiche. Osservazioni al telescopio e conferenze di Astronomia.
Soggiorno all’agriturismo Predio Potantino, Proceno (VT).
Una scuola di astronomia a Roma per conoscere l’universo e imparare ad osservare il cielo. Corsi base ed avanzati, teorici e pratici:
– Astronomia per tutti,
– Astrofisica e Cosmologia
– Fotografia Astronomica
– Osservazioni al telescopio
– Archeoastronomia
– Realizzazione di meridiane
5 dicembre, ore 21.30: Le ONDE GRAVITAZIONALI e la MULTIMESSENGER ASTRONOMY. Intervista con la Dott.ssa Pia Astone 20 dicembre, dalle ore 18.30: Astrotombola on-line, Corso “Da zero a Oort” on-line, Corso di “Astrofotografia” on-line
Ecco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per Dicembre 2017; dove non indicato, le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.
04.12: L’enigma dei buchi neri primordiali. Relatore: Prof. Edoardo Bogatec 09.12, ore 15:00: Uomini e Astronavi alla conquista della Luna. Presso sala incontri Museo Civico di Storia Naturale di Trieste. Relatore Giovanni Chelleri 11.12: I vulcani di Io, satellite infernale di Giove. Relatore: Giovanni Chelleri 18.12: Il caso Galileo. Relatore: Aldo Strati
Per informazioni: http://www.astrofilitrieste.it
Dal 27 settembre arriva per la prima volta in Italia, a Milano, nello Spazio Ventura XV, NASA. A Human Adventure, la grande mostra prodotta dalla NASA in collaborazione con John Nurmien Events e AVATAR. Un viaggio di conquista e scoperta che si estende per 2500 metri quadrati, tra razzi, Shuttle, Rover spaziali, simulatori di antigravità, in un percorso didattico ed emozionante, scientifico e immersivo, che va dai primi lanci spaziali ai giorni nostri e che presenta circa 300 manufatti originali provenienti dai programmi spaziali USA e URSS, la maggior parte di essi in prestito dal Kansas Cosmosphere & Space Center e dallo Space & Rocket Center, molti dei quali sono stati nello spazio. Attraverso 5 sezioni – Sognatori, La corsa allo Spazio, Pionieri, Resistenza e Innovazione, i visitatori verranno catapultati, attraverso un’esperienza immersiva, in una delle storie più affascinanti e ambiziose dell’uomo, la scoperta dello spazio.
Una mostra affascinante e ricca di oggetti di ogni tipo che faranno immaginare l’esperienza spaziale in ogni suo aspetto. Vi aspettiamo! Leggi l’articolo sulla mostra su Coelum Astronomia 215 a pagina 172
Sopra. Eccoli come appariranno, nella luce del crepuscolo serale del primo dicembre, Saturno e Mercurio, molto bassi sull’orizzonte sudovest, prossimi al tramonto. Alle 17:10 potremo vedere anche sorgere la ISS, che per il Centro Italia passerà proprio tra i due astri, ben più brillante. Il cielo sarà ancora molto chiaro e l’osservazione sarà davvero difficile, anche per via della loro scarsa altezza sull’orizzonte. Ovviamente, si consiglia di consultare le circostanze precise del passaggio per la propria località e di prepararsi con un buon anticipo per non rischiare di perderlo.
Eccoli come appariranno, nella luce del crepuscolo serale del primo dicembre, Saturno e Mercurio, molto bassi sull’orizzonte sudovest, prossimi al tramonto. Alle 17:10 (verificare gli orari per la vostra località) potremo vedere anche sorgere la ISS, che per il Centro Italia passerà proprio tra i due astri, ben più brillante. Il cielo sarà ancora molto chiaro e l’osservazione sarà davvero difficile, anche per via della loro scarsa altezza sull’orizzonte. Ovviamente, si consiglia di consultare le circostanze precise del passaggio per la propria località e di prepararsi con un buon anticipo per non rischiare di perderlo. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Nel pomeriggio del 1 dicembre, mentre il crepuscolo ancora illumina il cielo, bassi sull’orizzonte ovest-sudovest potreste vedere pian piano apparire la deboli luci di Saturno e Mercurio, a poco meno di 3° di distanza l’uno dall’altro, ben avviati verso il loro tramonto.
Negli stessi istanti sorgerà (per il Centro Italia proprio in mezzo ai due astri) la Stazione Spaziale Internazionale! Avete pochi secondi, e serve un orizzonte sgombro da ostacoli e un meteo irreprensibile, ma se ce la farete non potrete che essere scelti per la galleria del prossimo mese… a patto, come sempre, di caricare le vostre foto su PhotoCoelum!
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Le effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E. La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Dicembre > 23:00; 15 dicembre > 22:00; 30 dicembre > 21:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Verso la metà del mese, alle 22:30, la costellazione del “cacciatore” sarà ancora defilata verso sudest, mentre saranno già in meridiano il Toro, dominato dalla bella Aldebaran, l’ammasso aperto delle Pleiadi e le Iadi, e più in basso il meno noto Eridano, costellazione che cominceremo a conoscere meglio proprio questo mese. A ponente scenderanno lentamente gli asterismi che qualche mese fa erano allo zenit: su tutti, il grande quadrato di Pegaso e il Cigno, mentre a est si preannunciano già il Cancro e il Leone, con lo zenit attraversato dal Perseo. Un paio di ore dopo sorgerà anche il Boote, mentre a ovest stanno già declinando la Balena, i Pesci e Andromeda, con la sua magnifica e famosa galassia M31.
All’inizio di dicembre il Sole si troverà nella costellazione zodiacale dell’Ofiuco e passerà in quella del Sagittario il giorno 19.
Sempre più bassa e immersa nella foschia, la nostra stella raggiungerà in questo periodo, più precisamente il giorno 21, la minima altezza sull’orizzonte al momento del passaggio in meridiano (+24,6°). Sarà questo il giorno del Solstizio invernale (dal latino “solstitium”, che significa “Sole immobile”, stazionario, per il fatto che la sua apparente caduta in altezza sembra progressivamente arrestarsi). Da questo momento in poi avrà inizio nel nostro emisfero l’inverno astronomico.
Fenomeni e congiunzioni
Dicembre, come vedremo, è un mese avaro di configurazioni particolari, con molti pianeti non osservabili o osservabili solo per breve tempo. Giove e Marte saranno luminosi e visibili nel cielo del mattino ma sempre molto distanti tra loro (si avvicineranno sempre più nel corso del mese, ma dovremo aspettare i primi giorni di gennaio per una bella e stretta congiunzione). I due pianeti, a metà mese, verranno però raggiunti da una sottile falce di Luna che, passando vicino prima all’uno e poi all’altro, ci regalerà emozioni per ben tre giorni di seguito, complice anche la brillante Spica (alfa Virginis)!
Per il resto, troverete alcuni consigli, spesso al limite della visibilità, ma che potranno dare soddisfazione a chi riuscirà nell’osservazione e nella ripresa.
Non dimentichiamo poi le stelle cadenti invernali! Lo sciame delle Geminidi avrà il suo massimo proprio negli stessi giorni della congiunzione regina del mese… è il caso di organizzarsi per bene e sperare nel passaggio di una luminosa meteora nel campo di ripresa scelto, contando come sempre in un meteo clemente.
Rappresentazione artistica di due stelle di neutroni piccolissime, ma molto dense, sul punto di fondersi e esplodere come kilonova. L’impulso di radiazione emessa è un lampo di raggi gamma (Grb) corto. Crediti: Eso/L. Calçada/M. Kornmesser
Rappresentazione artistica di due stelle di neutroni piccolissime, ma molto dense, sul punto di fondersi e esplodere come kilonova. L’impulso di radiazione emessa è un lampo di raggi gamma (Grb) corto. Crediti: Eso/L. Calçada/M. Kornmesser
La velocità della luce nel vuoto è una costante di natura. Anzi, non proprio. Alcune teorie quantistiche della gravità minano questa certezza, suggerendo che i fotoni, i “quanti” di luce, potrebbero viaggiare a velocità diverse che dipendono dalla loro energia. Per indagare questa ipotesi e soprattutto provare a quantificare l’entità di questo effetto, un gruppo di ricercatori guidati da Maria Grazia Bernardini, ora in forza all’Università di Montpellier in Francia e associata Inaf, che ha visto la partecipazione di colleghi dell’Istituto nazionale di astrofisica di Milano, ha realizzato uno studio sulla luce emessa dai lampi di raggi gamma (Gamma-Ray Burst, Grb) corti, potenti esplosioni cosmiche legate alla fusione di stelle di neutroni. I risultati di questa indagine, pubblicati in un articolo sulla rivista Astronomy & Astrophysics, forniscono un nuovo limite sull’energia dei fotoni oltre il quale gli effetti di gravità quantistica diventano importanti e rappresentano un passo importante per l’utilizzo dei GRB corti come strumento per studiare gli aspetti più estremi della Fisica.
Uno dei concetti fondamentali della fisica moderna riguarda la cosiddetta duplice natura della luce. La luce infatti si può descrivere come un’onda elettromagnetica ma, allo stesso tempo, ha proprietà tipiche delle particelle, che in questo caso vengono chiamate fotoni. Ad ogni determinata lunghezza d’onda della luce corrisponde un’energia del fotone associato. La teoria della relatività speciale di Einstein prevede che la luce nel vuoto viaggi ad una velocità costante “c” circa uguale a 300mila chilometri al secondo, quale che sia l’energia dei fotoni. Tuttavia, alcune teorie quantistiche della gravità considerano il vuoto come un “mezzo gravitazionale”. Secondo queste teorie, questo “mezzo gravitazionale” conterrebbe delle disomogeneità – o fluttuazioni – estremamente piccole, dell’ordine della cosiddetta “lunghezza di Planck” pari a 10-33 cm, ovvero 10 miliardi di miliardi di volte più piccola del diametro di un protone. Una sorprendente conseguenza della presenza di queste disomogeneità sarebbe che fotoni di diversa energia non viaggerebbero più tutti a alla stessa velocità nel vuoto, ma potrebbero avere velocità differenti che dipendono dalla loro energia: maggiore è l’energia del fotone, maggiore sarà l’effetto dovuto alla gravità quantistica. Se così fosse, verrebbe però violata la cosiddetta Invarianza di Lorentz, che è proprio il principio fisico alla base della relatività speciale.
Maria Grazia Bernardini
«Considerando l’ipotesi che effettivamente la velocità dei fotoni sia anche legata alla loro energia, avremmo che due fotoni emessi nello stesso momento con energia diversa e che si propagano nel vuoto quantistico, accumulano un ritardo l’uno rispetto all’altro» dice Bernardini. «Questo ritardo, se misurato, può essere usato per studiare le proprietà dello spazio-tempo e della gravità quantistica». Il problema è che questo effetto è talmente piccolo che è necessario che i fotoni viaggino per miliardi di anni per accumulare un una separazione temporale dell’ordine del millesimo di secondo. «Quindi, cosa ci serve per poter sperare di misurare un effetto di gravità quantistica? Una sorgente molto luminosa, distante da noi almeno qualche miliardo di anni luce e che emetta fotoni ad alta energia» prosegue la ricercatrice. «Ma si deve anche comportare bene: vorremmo che emettesse i fotoni allo stesso istante, quindi processi intrinseci che comportino che alcuni fotoni partano prima o dopo altri non andrebbero bene. Un modo per andare sul sicuro, è selezionare sorgenti astrofisiche che abbiano processi di emissione elettromagnetica di durata il più breve possibile e di avere molti oggetti, in modo da contaminare poco la nostra misura con eventuali ritardi dovuti a processi intrinseci».
In questo contesto, i lampi di raggi gamma rappresentano le sorgenti ideali per questo tipo di studi. Si tratta infatti di esplosioni talmente potenti che è possibile osservarle fino a distanze di decine di miliardi di anni luce. I ricercatori hanno così studiato il ritardo di arrivo dei fotoni a energie di qualche decina-centinaia di kiloeletronvolt emessi dai Grb corti rilevati dal satellite Swift, una missione Nasa con partecipazione del Regno Unito e dell’Italia grazie al contributo di Inaf e Asi. Conoscendo la distanza di questi eventi e potendo sottrarre l’effetto intrinseco di ritardo dell’emissione dei fotoni il team ha ottenuto un nuovo limite sull’energia oltre la quale gli effetti di gravità quantistica diventano importanti.
«Il lavoro mette in luce quanto sia necessario avere satelliti che misurano con precisione l’energia e il tempo di rivelazione dei fotoni emessi da queste sorgenti per misurare un effetto così piccolo come quello indotto dalla gravità quantistica sulla velocità di propagazione della luce» conclude Bernardini. Anche se il limite ottenuto non permette ancora di convalidare o escludere alcuna teoria di gravità quantistica, il metodo di analisi proposto mostra come in futuro sarà possibile usare i Grb corti come sonde per studiare la ‘rugosità’ dello spazio-tempo con gli strumenti di nuova generazione previsti per i prossimi anni. Ad esempio, con il Cherenkov Telescope Array sarà possibile rivelare l’emissione elettromagnetica dei Grb ad energie pari a qualche teraelettronvolt (migliaia di miliardi di elettronvolt), dove fino ad ora queste sorgenti non sono ancora state rivelate, ma anche la rete di microsatelliti Hermes potrà contribuire significativamente a questi studi. Con le sue capacità di risoluzione temporale, Hermes rappresenterà infatti una sorta di cronometro estremamente preciso per la misura di eventuali ritardi nell’arrivo dei fotoni alle diverse energie emessi dai Grb.
L’inquinamento luminoso è il fenomeno causato dall’eccesso e dall’errata direzionalità della luce artificiale durante la notte; questa alterazione dell’illuminazione notturna porta a diversi effetti negativi sulla salute umana, sulla biodiversità, sulla visibilità delle stelle, sulla sicurezza e sul consumo energetico.
Negli ultimi anni sta crescendo la consapevolezza dei cittadinisul problema dell’inquinamento luminoso, anche se rimane meno noto al grande pubblico rispetto all’inquinamento atmosferico o a quello acustico. Questa progressiva presa di coscienza è da un lato dovuta dalla semplicità degli accorgimenti che tutti possiamo adottare per combattere il fenomeno, prestando attenzione alla direzione (sempre dall’alto verso il basso senza superare la linea orizzontale), al colore (luce calda con temperatura di colore minore di 3000K) e all’intensità (proporzionata allo scopo) dell’illuminazione artificiale.
D’altro canto, la diffusione di informazioni relative al fenomeno dell’inquinamento luminoso sta aumentando anche grazie all’impegno di associazioni e singoli cittadini che promuovono iniziative di sensibilizzazione e di impegno civico. Il progetto di ricerca europeo STARS4ALL, cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma quadro Horizon 2020, fornisce supporto a tutte queste iniziative, proposte e azioni civiche per il contrasto all’inquinamento luminoso. Un primo nucleo di ventiquattro “Light Pollution Initiative” si sono associate al progetto STARS4ALL da diverse parti d’Europa e da tutto il mondo. Tra queste, anche la nota iniziativa italiana chiamata Buiometria Partecipativa.
L’evento è volto ad attrarre la crescente comunità di scienziati professionisti e amatoriali che si occupano di inquinamento luminoso in Europa. La manifestazione è l’occasione di incontro e di scambio di tutte le iniziative civiche sull’argomento, costituendo il primo raduno di “citizen science” a livello europeo su questo tema.
Questo evento rappresenta un’opportunità per dare ulteriore visibilità al problema emergente dell’inquinamento luminoso nel mondo e in particolare nelle aree urbane dove il fenomeno è più evidente. Il convegno costituisce un interessante forum per discutere in maniera collaborativa idee e iniziative per affrontare il problema da un punto di vista scientifico, sociale e decisionale.
L’evento è aperto e interamente gratuito per chiunque voglia partecipare (previa registrazione). È organizzato con sessioni di open talk in stile TED (prevalentemente in lingua inglese) in cui saranno presentate le diverse iniziative degli attivisti contro l’inquinamento luminoso, sia quelle che fanno riferimento alle Light Pollution Initiative associate a STARS4ALL, sia quelle proposte da cittadini, attivisti e ricercatori. Inoltre sono organizzati diversi gruppi di lavoro in parallelo per discutere di diversi argomenti legati all’inquinamento luminoso e alla citizen science.
I partecipanti
I principali destinatari dell’evento sono i “citizen scientist” che si occupano di inquinamento luminoso, siano essi attivisti, associazioni, ricercatori, rappresentanti delle istituzioni o semplici cittadini. Possono partecipare sia coloro che già ben conoscono il fenomeno dell’inquinamento luminoso, sia coloro che vogliono saperne di più sul tema e sulle possibili iniziative civiche che si possono intraprendere.
Inoltre, diversi professionisti saranno a disposizione per fornire supporto e feedback a tutti i partecipanti interessati sull’organizzazione di campagne di crowdfunding, sull’utilizzo dei fotometri per la misurazione del fenomeno luminoso, sulla progettazione di giochi e applicazioni ludiche per i curatori di dati, sulla pubblicazione di open data e la loro integrazione con dati pubblici, ecc. Esperti in tutte queste aree saranno rappresentati dai partner di STARS4ALL, università, centri di ricerca e istituzioni da cinque paesi europei: Italia (Cefriel), Spagna (UPM, UCM, IAC, ESCP), Germania (IGB), Regno Unito (SOTON) e Belgio (ECN).
L’evento
Il convegno ha l’obiettivo di apportare un significativo contributo scientifico, culturale ed informativo, a vantaggio della crescita della comunità locale nell’ambito di un problema molto rilevante per un’area ad alta urbanizzazione come la città di Milano. Per queste ragioni, l’evento ha ottenuto il Patrocinio del Comune di Milano (con Deliberazione di Giunta atto n. 1919 del giorno 3 novembre 2017).
La portata europea dell’evento e dei suoi partecipanti supporta la tradizione di relazioni internazionali sui temi della Smart City del Comune, con il coinvolgimento di esperti di rilievo negli ambiti scientifici, culturali ed educativi di riferimento: astronomia, biodiversità, citizen science, social innovation e tecnologie ICT. L’evento è organizzato da Cefriel, il centro di eccellenza ICT del Politecnico di Milano, partner del progetto STARS4ALL, referente locale per le iniziative collegate al progetto, e partner del Comune di Milano in diversi progetti di innovazione digitale e smart city.
La manifestazione avrà luogo presso l’Acquario Civico di Milano, a sottolineare la rilevanza scientifica dell’evento e la relazione del problema dell’inquinamento luminoso con il mondo animale. Lo splendido edificio liberty dell’Acquario e la cornice del Parco Sempione ne fanno un luogo ideale a rappresentazione dell’importanza e centralità dell’evento nella vita dei cittadini milanesi.
Ecco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per i mesi di Novembre e Dicembre 2017; le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.
27.11: I raggi cosmici.
Relatore: Prof. Fulvio Mancinelli 04.12: L’enigma dei buchi neri primordiali.
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec 11.12: Novità ai confini del Sistema Solare: i TNO e la ricerca del pianeta IX.
Relatore: Stefano Schirinzi 18.12: Gli strumenti dell’astronomia: telescopi, radiotelescopi,
spettrografi e satelliti.
Relatore: Muzio Bobbio
Ascolta il Circolo Culturale Astrofili Trieste ne “Il buio degli anni luce” in diretta streaming su Radio Fragola ogni mercoledì dalle 21:30 alle 22:30. http://www.radiofragola.com
Per salutare Saturno, il cui sistema è stato la sua casa per oltre 13 anni, Cassini nell’ultima parte del suo viaggio a raccolto in un ultima occhiata di insieme una serie di immagini al pianeta e ai suoi splendidi anelli, immagini che sono state assemblate in questo magnifico mosaico.
Il 13 settembre scorso, con la camera a grande campo, due giorni prima di tuffarsi nella sua atmosfera, la sonda ha raccolto 42 immagini nei canali RGB di tutto il pianeta, anelli inclusi, e nella scena sono state riprese anche le lune Prometeo, Pandora, Giano, Epimeteo, Mimas ed Encelado. Un ultima immagine per ricordare e segnare la fine di una storica missione. 80 immagini scattate nell’arco di 2 ore, tra le quali sono state scelte le 42 per costruire questo mosaico in colori naturali.
In questa immagine la luminosità è stata aumentata, per mettere in risalto anche le caratteristiche meno luminose, e la luce delle lune è stata ulteriormente apmplificata per renderle più facilmente individuabili. L'immagine è presa dalla parte in cui gli anelli sono illuminati dal Sole a un'altezza di circa 15° sul piano degli anelli. La sonda si trovava a circa 1,1 milioni di chilometri da Saturno. La definizione è di circa 67 chilometri per pixel, mentre la definizione delle lune va dai 59 agli 80 chilometri per pixel. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
La luna ghiacciata Encelado – dalla superficie ghiacciata ma che nasconde un oceano liquido globale, che sbuffa nello spazio – può essere vista in alto a destra (a ore 1) subito sopra a Epimeteo, e giusto fuori dall’anello F (il più sottile e più esterno anello visibile nell’immagine). Seguendo l’anello in senso orario troviamo Janus, passando sotto agli anelli sempre in senso orario, Mimas e, più vicina al bordo degli anelli, Pandora. Arrivando a ore 10 all’interno dell’anello F, la luna Prometeo.
«La generosità scientifica di Cassini è stata davvero spettacolare – una vasta gamma di nuovi risultati che hanno portato a nuove informazioni e sorprese, dalla più piccola delle particelle dell’anello, all’apertura di nuovi paesaggi su Titano ed Encelado, fino al profondo interno di Saturno stesso», ha detto Robert West, vice leader del team di imaging della missione Cassini (JPL della NASA).
Questa speciale visione d’addio di Saturno era stata ianificata da anni, e per alcuni è stato un buon addio.
«È stato così facile abituarsi a ricevere ogni giorno nuove immagini dal sistema di Saturno, da nuovi punti di vista, vederlo cambiare», ha detto Elizabeth Turtle, del team di imaging presso il laboratorio di fisica applicata della Johns Hopkins University. «È stato difficile dire addio, ma quanto siamo stati fortunati a vedere tutto questo attraverso gli occhi di Cassini!».
Ma per altri, l’addio di Cassini a Saturno ricorda un’altro addio… di molto tempo fa.
L'immagine di Saturno ripresa dalla sonda Voyager 1 il 16 novembre del 1980, da una distanza di 5,3 milioni di chilometri, 4 giorni dopo il punto di maggior avvicinamento al pianeta. Era la prima volta che potevamo vedere il pianeta come mai lo avremmo potuto vedere dalla Terra, come una falce in fase crescente, che proietta la sua ombra sugli anelli. Crediti: NASA/JPL/USGS
«Per 37 anni, l’ultima ripresa di Voyager 1 di Saturno è stata, per me, una delle immagini più evocative nell’esplorazione del Sistema Solare”, ha detto Carolyn Porco, ex membro del team di imaging della missione Voyager e responsabile del team di imaging di Cassini al Space Science Institut. «Allo stesso modo, questo “Addio a Saturno” servirà per ricordare per sempre la drammatica conclusione di quel meraviglioso periodo che l’umanità ha trascorso nello studio approfondito del sistema planetario più caratteristico attorno al nostro Sole».
Di questa altrettanto storica missione, di come le due sonde Voyager abbiano attraversato il Sistema solare, e di come sia ancora incredibilmente in corso, parleremo nel prossimo numero di Coelum Astronomia (217 di dicembre 2017). Restate con noi!
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Coelum Astronomia 216 di novembre 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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Siamo ormai arrivati a fine mese, ma novembre ha ancora un’ultima congiunzione da offrire agli osservatori del cielo. Ancor prima della precedente occasione, alle 17:10 circa del 28 novembre, quando il cielo sarà ancora rischiarato dalle luci del tramonto, potremo osservare una insolita congiunzione che vede protagonisti i pianeti Mercurio (mag. –0,1) e Saturno (mag. +0,5) a circa 2,7° di distanza reciproca.
Entrambi i pianeti saranno alti poco più di 6° all’orario indicato, e bisognerà agire prontamente, perché spariranno dietro l’orizzonte già prima delle 18. Il cielo buio poi ci darà l’occasione di approfondire la nostra conoscenza di costellazioni e Luna.
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Questa rappresentazione artistica mostra il primo asteroide interstellare: `Oumuamua. Osservazioni con il VLT (Very Large Telescope) dell'ESO in Cile e altri osservatori in tutto il mondo mostrano che questo oggetto singolare ha viaggiato nello spazio per milioni di anni prima dell'incontro casuale con il nostro sistema. Sembra che sia un oggetto scuro, rossastro, lungo circa 400 metri, roccioso o con un elevato contenuto di metalli. Non assomiglia a nulla di quanto di solito vediamo nel Sistema Solare. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Eccolo, in una rappresentazione artistica, il primo asteroide interstellare: `Oumuamua., un oggetto davvero singolare che sembra aver viaggiato nello spazio per milioni di anni prima dell'incontro casuale con il nostro sistema solare. Le osservazioni del VLT lo rivelano come un oggetto scuro, rossastro, lungo circa 400 metri, probabilmente roccioso o con un elevato contenuto di metalli. Completamente diverso da quanto siamo abituati a vedere nel nostro Sistema Solare. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Il 19 ottobre 2017, il telescopio Pan-STARSS 1 alle Hawai ha osservato un puntino di luce che si muoveva in cielo. All’inizio sembrava un tipico asteroide in rapido movimento, ma ulteriori osservazioni nei giorni seguenti hanno permesso di calcolarne l’orbita con precisione. I calcoli hanno mostrato senza possibilità di dubbio che questo corpo celeste non proveniva dall’interno del Sistema Solare, come tutti gli altri asteroidi o comete osservati finora, ma dallo spazio interstellare.
Questa immagine profonda mostra, al centro, l'asteroide interstellare `Oumuamua, circondato dalle tracce di stelle deboli, prodotte poiché il telescopio insegue l'asteroide in movimento (rispetto alla stelle cosiddette "fisse"). L'immagine è ottenuta combinando numerose immagini del VLT (Very Large Telescope) dell'ESO e del telescopio Gemini South. L'oggetto è indicato con un cerchio blu e appare come una sorgente puntiforme, senza polvere diffusa. Crediti: ESO/K. Meech et al.
Pur se originariamente classificato come cometa, le osservazioni dell’ESO e di altri siti non hanno trovato nessun segno di attività cometaria dopo il passaggio in prossimità del Sole nel settembre 2017.
L’oggetto è stato quindi riclassificato come asteroide interstellare e chiamato 1I/2017 U1 (`Oumuamua). Il nome è Hawaiano e ulteriori dettagli si trovano qui. Per questa nuova straordinaria scoperta la IAU ha anche creato una nuova classe di oggetti per gli asteroidi interstellari, e questo è il primo a ricevere la nuova designazione, le forme corrette di riferirsi a questo oggetto ora sono: 1I, 1I/2017 U1, 1I/`Oumuamua e 1I/2017 U1 (`Oumuamua). Prima dell’introduzione di questo nuovo schema, il nome dell’oggetto era A/2017 U1.
«Dovevamo muoverci in fretta», spiega il membro dell’equipe Oliver Hainaut dell’ESO a Garching. Germania. «`Oumuamua aveva già oltrepassato il suo punto di avvicinamento al Sole e stava tornando verso lo spazio interstellare».
Il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO è stato quindi messo subito in moto per misurare l’orbita, la luminosità e il colore dell’oggetto con più precisione dei piccoli telescopi. La rapidità era fondamentale perchè `Oumuamua stava rapidamente svanendo alla vista allontanandosi dal Sole e dall’orbita della Terra, nel suo cammino verso l’esterno del Sistema Solare. Ma c’erano in riserbo altre sorprese.
Combinando le immagini prese dallo strumento FORS sul VLT, usando quattro filtri diversi, con quelli di altri grandi telescopi, l’equipe di astronomi guidata da Karen Meech (Institute for Astronomy, Hawai`i, USA) ha scoperto che `Oumuamua varia di intensità in modo drammatico, di un fattore dieci, mentre ruota sul proprio asse ogni 7,3 ore.
Il grafico mostra la variazione di luminosità di `Oumuamua nel corso di tre giorni nell'ottobre 2017. L'ampio intervallo di luminosità – circa un fattore dieci (2,5 magnitudini) – è dovuto alla forma allungata di questo oggetto singolare, che ruota ogni 7,3 ore. I punti di diversi colori rappresentano misure in diversi filtri, che coprono la banda spettrale del visibile e del vicino infrarosso. La linea tratteggiata mostra la curva di luce attesa nel caso in cui `Oumuamua sia un ellissoide con un rapporto assiale di 1:10. Le deviazioni da questa curva sono probabilmente dovute a irregolarità della forma dell'asteroide o dell'albedo superficiale. Crediti: ESO/K. Meech et al.
Karen Meech spiega l’importanza della scoperta: «Questa variazione di luminosità insolitamente grande significa che l’oggetto è molto allungato: circa dieci volte più lungo che largo, con una forma complessa e contorta. Abbiamo anche scoperto che ha un colore rosso scuro, simile agli oggetti delle zone esterne del Sistema Solare, e confermato che è completamente inerte, senza la minima traccia di polvere».
Queste proprietà suggeriscono che `Oumuamua sia denso, probabilmente roccioso o con un contenuto elevato di metalli, che non abbia quantità significative di acqua o ghiaccio e che la sua superficie sia scura e arrossata a causa dell’irradiazione da parte dei raggi cosmici nel corso di milioni di anni. Si è stimato che sia lungo almeno 400 metri.
Il diagramma mostra l'orbita dell'asteroide interstellare `Oumuamua mentre attraversa il Sistema Solare. Diversamente dagli altri asteroidi e comete osservati finora, questo corpo celeste non è legato gravitazionalmente al Sole. Proviene dallo spazio interstellare e là ritornerà dopo questo breve incontro con il nostro sistema. L'orbita iperbolica è molto inclinata e l'asteroide non sembra essere passato vicino a nessun altro corpo del Sistema Solare prima di arrivare vicino alla Terra. Crediti: ESO/K. Meech et al.
Calcoli preliminari dell’orbita hanno suggerito che l’oggetto sia arrivato dalla direzione approssimativa della stella brillante Vega, nella costellazione settentrionale della Lira. In ogni caso, anche viaggiando alla velocità vertiginosa di circa 95 000 km/h, c’è voluto così tanto tempo per questo viaggio interstellare fino al nostro Sistema Solare, che Vega non era nemmeno in quella posizione quando l’asteroide era là vicino circa 300 000 anni fa. `Oumuamua potrebbe aver vagato per la Via Lattea, senza essere legato a nessun sistema stellare, per centinaia di milioni di anni prima di aver casualmente incontrato il Sistema Solare.
Gli astronomi stimano che un asteroide interstellare simile a `Oumuamua, in realtà, attraversi il Sistema Solare interno circa una volta all’anno, ma poiché sono deboli e difficili da identificare, finora sono sempre passati inosservati. Solo recentemente, i telescopi per survey come Pan-STARSS sono diventati sufficientemente potenti per avere la possibilità di scovarli.
«Stiamo continuando a osservare questo oggetto, unico nel suo genere,» conlclude Olivier Hainaut, «speriamo di riuscire a identificare con maggior precisione il suo luogo di origine e la prossima destinazione di questo suo viaggio galattico. E ora che abbiamo trovato la prima roccia interstellare, ci stiamo preparando per le prossime!».
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Nell’immagine, che presenta un’inquadratura fortemente zoomata sui soggetti, la Luna (leggermente ingrandita per esigenze grafiche) e il pianeta Saturno sovrastano alcune abitazioni (di cui vediamo le antenne e i comignoli), a circa 6° di altezza sull’orizzonte. Sarà una bella occasione per scattare fotografie di paesaggio con i due astri.
Nell’immagine, che presenta un’inquadratura fortemente zoomata sui soggetti, la Luna (leggermente ingrandita per esigenze grafiche) e il pianeta Saturno sovrastano alcune abitazioni (di cui vediamo le antenne e i comignoli), a circa 6° di altezza sull’orizzonte. Sarà una bella occasione per scattare fotografie di paesaggio con i due astri.
Alle 17:50 del 20 novembre, approfittando del fatto che il tramonto arriverà presto, sarà possibile ammirare già prima delle 18 una larga congiunzione tra la Luna e il pianeta Saturno. Una sottilissima falce di Luna (fase 4%) si troverà a circa 5° gradi di distanza da Saturno (mag. +0,5).
All’ora indicata i due astri saranno bassi sull’orizzonte ovest–sudovest (circa 6°) per cui sarà possibile cogliere il loro incontro arricchendolo con elementi del paesaggio circostante, prima che tramontino dietro l’orizzonte.
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Black Holes Discovered by LIGO. LIGO and Virgo have detected a range of stellar mass black holes. On the low-mass end, sources like the recently announced GW170608, and also GW151226, have masses comparable to those observed in x-ray binaries. The sources GW150914, GW170104, and GW170814 point to a higher-mass population that was not observed prior to these gravitational-wave detections. This figure also shows LVT151012, a LIGO candidate event that was too weak to be conclusively claimed as a detection. [Image credit: LIGO/Caltech/Sonoma State (Aurore Simonnet)]
Comunicato stampa INFN
Ci ha lasciati Adalberto Giazotto, uomo e scienziato tenace, visionario e lungimirante. Il suo nome è saldamente legato alla fisica delle onde gravitazionali, le increspature dello spaziotempo predette da Albert Einstein un secolo fa nella teoria della Relatività Generale.
Adalberto Giazotto, ricercatore dell’INFN, ex collaboratore di Edoardo Amaldi, assieme ad Alain Brillet era il padre dell’interferometro Virgo, l’esperimento per lo studio delle onde gravitazionali realizzato in Italia da INFN e CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) francese, che assieme ai due interferometri LIGO negli Stati Uniti è stato protagonista delle più recenti scoperte che hanno emozionato non solo la comunità scientifica ma anche il grande pubblico.
È stata di Adalberto l’idea di costruire un interferometro nella campagna pisana. Sua l’idea dei superattenuatori di Virgo, una catena di pendoli altamente tecnologica che consente di isolare efficacemente gli specchi dell’esperimento dai movimenti che turberebbero i segnali. Sua l’idea di andare a cercare le onde gravitazionali alle basse frequenze, idea implementata prima da Virgo e successivamente da LIGO: e proprio là sono state effettivamente osservate. Sua l’idea di costituire una rete globale di interferometri assieme ai due LIGO, di creare una sola grande collaborazione scientifica, idea che si è rivelata la chiave del successo nella caccia alle onde gravitazionali.
«Adalberto se ne è andato poco dopo che la sua tenacia aveva permesso di trasformare il suo sogno in realtà, portandolo a un passo da un premio Nobel che avrebbe meritato», commenta Fernando Ferroni, presidente dell’INFN. «Le persone come Adalberto sono in grado di trasformare la storia della scienza: lui ha creduto che la rivelazione delle onde gravitazionali fosse una domanda che doveva e poteva avere una risposta, mentre altri consideravano una pazzia imbarcarsi in questa impresa. La sua storia racconta di come la scienza sia capace di trascinarti perché ti comanda di fare delle cose, come testimoniano le sue parole “Virgo è un’impresa unica e doveva compiersi fino in fondo, perché quello era il suo destino. Non poteva essere altrimenti: Virgo era ed è l’esperimento più bello del mondo“. Pochi si mettono in gioco al livello in cui lo ha fatto Adalberto. Virgo è stato il trionfo della sua troppo breve vita, e l’INFN lo ricorderà per sempre tra quelli che saranno un esempio per chi verrà», conclude Ferroni.
Gli scienziati alla ricerca di onde gravitazionali hanno confermato l’ennesima scoperta della loro fruttuosa serie di osservazioni dall’inizio di quest’anno. Il nome di questo nuovo evento è GW170608, e si tratta della fusione di due buchi neri relativamente leggeri, di 7 e 12 volte la massa del Sole, a una distanza di circa un miliardo di anni luce dalla Terra.
La fusione ha generato un buco nero finale di massa 18 volte quella del Sole, il che significa che durante la collisione è stata emessa energia equivalente a circa 1 massa solare ed è stata emessa sotto forma di onde gravitazionali.
La scoperta è avvenuta lo scorso 8 giugno grazie ai due rilevatori Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) e all’interferometro Virgo, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ma non era stata resa pubblica nell’immediato per via di altri due grandi eventi che si sono verificati poco dopo – il 14 e il 17 agosto –ovvero la rilevazione delprimo segnale di onda gravitazionale registrato da Virgo e, per la prima volta nella storia dell’osservazione dell’universo, la rilevazione di un’onda gravitazionaleprodotta dalla fusione di due stelle di neutroni e captata, dalle onde radio fino ai raggi gamma.
La scoperta di GW170608 è stata in parte causale. Un mese prima di questo rilevamento, infatti, Ligo aveva interrotto il suo ciclo di osservazioni per eseguire la manutenzione. Mentre i ricercatori di Ligo a Livingston, in Louisiana, stavano ultimando la manutenzione ed erano pronti a ricominciare di nuovo dopo circa due settimane, Ligo a Hanford, a Washington, aveva riscontrato ulteriori problemi che hanno ritardato le osservazioni. Nel pomeriggio del 7 giugno, il team dell’Osservatorio di Hanford stava facendo i preparativi finali per “ascoltare” ancora una volta le onde gravitazionali in arrivo.
Come parte dei preparativi, gli scienziati hanno effettuato delle regolazioni di routine per ridurre il livello di rumore nei dati delle onde gravitazionali causato dal movimento angolare degli specchi principali. Per distinguere quanto questo movimento angolare poteva compromettere i dati raccolti, gli scienziati hanno “scosso” leggermente gli specchi a frequenze specifiche. Pochi minuti dopo questa procedura, GW170608 è passato attraverso l’interferometro di Hanford, raggiungendo la Louisiana circa 7 millisecondi dopo.
GW170608 è il buco nero binario più leggero che Ligo e Virgo abbiano mai osservato. Questa scoperta consentirà agli astronomi di confrontare le proprietà dei buchi neri ricavate dalle osservazioni dell’onda gravitazionale con quelle dei buchi neri di massa simile precedentemente rilevati solo con studi a raggi X e ha creato un collegamento mancante tra le due classi di osservazioni di buchi neri.
In questo grafico vediamo invece a confronto le masse di buchi neri e stelle a neutroni misurate sia da osservazioni elettromagnetiche (le classiche osservazioni in varie lunghezze d'onda compresa la luce visibile) sia con rivelazioni di onde gravitazionali... i nostri nuovi "occhi". In violetto vediamo indicate le masse dei buchi neri individuati tramite osservazioni elettromagnetiche, mentre in blu quelle di osservazioni di onde gravitazionali (ottenute sempre dalla fusione di due oggetti, per cui vediamo i due singoli oggetti legati a quello che ne è il risultato). Le masse di stelle a neutroni osservate per via elettromagnetica sono in giallo, mentre quelle delle stelle la cui fusione ha dato origine all'evento GW170817 (e quindi osservate in entrambi i modi) sono in arancione, e di nuovo vengono indicati sia i due oggetti che si sono fusi, sia l'oggetto che ne è risultato. Come si può vedere, questo nuovo evento GW170608 (tra quelli in blu) è quello che ha coinvolto buchi neri con la più piccola massa fin'ora rivelati dalla collaborazione LIGO/Virgo. Le linee verticali rappresentano le barre dell'errore di misura di massa. Crediti: LIGO-Virgo/Frank Elavsky/Northwestern
Il documento che descrive l’osservazione appena confermata – scritto da LIGO Scientific Collaboration e Virgo Collaboration – è stato pubblicato su The Astrophysical Journal Letter. I rilevatori LIGO e Virgo sono attualmente offline per ulteriori aggiornamenti. Gli scienziati prevedono di avviare una nuova corsa di osservazione nell’autunno 2018.
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Inizia l’era dell’Astronomia Multimessaggero.La flotta di telescopi ESO in Cile ha rilevato per la prima volta la controparte visibile di una sorgente d’onda gravitazionale, quinto risultato della collaborazione LIGO-Virgo. Storiche osservazioni che suggeriscono che la sorgente sia il risultato della fusione di due stelle di neutroni chiamata kilonova, da tempo prevista e alla base della creazione di elementi pesanti come l’oro e il platino. Ma non solo, all’evento è associato anche un raro lampo gamma di breve durata, che completa il quadro portando alla conferma di eventi fin’ora solo teorizzati. Numerosi gli studi pubblicati su Nature e altre riviste scientifiche e presentati oggi in tre conferenze stampa in simultanea dalle principali agenzie coinvolte.
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Questa rappresentazione artistica mostra il pianeta dal clima temperato, Ross 128 b, con la sua stella madre, una nana rossa, sullo sfondo. Ross 128 b sarà uno dei principali bersagli dell’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, che sarà in grado di cercare biomarcatori nell’atmosfera del pianeta. Crediti: ESO/M. KornmesserELT e la ricerca sui pianeti extrasolari in uno speciale sul tema su Coelum astronomia 204. Cliccare sull’immagine per la lettura gratuita.
Il nuovo mondo è stato designato come Ross 128 b e si tratta del secondo pianeta più vicino dal clima temperato dopo Proxima b. È anche il pianeta più vicino scoperto in orbita intorno a una nana rossa non attiva, condizione che potrebbe aumentare le probabilità che il pianeta possa sostenere la vita, il che lo rendeuno dei principali bersagli dell’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, che grazie alla sua accuratezza sarà in grado di cercare biomarcatori nell’atmosfera dei pianeti.
Le nane rosse sono tra le stelle più fredde, più deboli – e più comuni – dell’Universo, il che le rende ottimi obiettivi per la ricerca di esopianeti. Di conseguenza, sono sempre più studiate. Il primo autore Xavier Bonfils (Institut de Planétologie et d’Astrophysique de Grenoble – Université Grenoble-Alpes/CNRS, Grenoble, Francia) ha perciò chiamato questo programma HARPS “La scorciatoia per la felicità”, proprio perché è più facile trovare gemelli della Terra, freddi e piccoli, intorno a queste stelle che intorno a stelle più simili al Sole.
Un pianeta in orbita vicino a una nana rossa influisce, dal punto di vista gravitazionale, sulla stella più di quanto possa fare un simile pianeta più lontano da una stella massiccia come il Sole. Ne risulta che le variazioni nel moto della stella sono più facili da misurare (anche se le nane rosse sono più deboli e quindi è più difficile raccogliere segnale sufficiente per misurarle con la precisione necessaria).
Il cielo nei dintorni della nana rossa Ross 128, nella costellazione della Vergine, nelle immagini della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Ross 128 è al centro dell’immagine. Guardando molto da vicino si nota che Ross 128 ha un buffo aspetto molteplice: infatti le fotografie usate per la produzione dell’immagine finale sono state scattate su un periodo di più di quarant’anni e la stella, che si trova a soli 11 anni luce dalla Terra, si è spostata in cielo in modo significativo durante questo periodo. Crediti: Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide De Martin
Ma dopo una lunga raccolta di dati e osservazioni, attorno alla nana rossa Ross 128 è stato trovato un mondo di dimensioni terrestri che potrebbe avere un clima temperato. Ha un anno di 9,9 giorni, è di piccola massa e ha una temperatura superficiale che potrebbe essere vicina a quella della Terra. Inoltre, Ross 128 è la più “tranquilla” delle stelle vicine a noi ad avere un pianeta con queste caratteristiche.
«La scoperta è basata sul monitoraggio intensivo con HARPS durato più di un decennio, insieme con tecniche di riduzione e analisi dati all’avanguardia. Solo HARPS ha dimostrato la precisione necessaria e continua a essere il miglior strumento per la misura di velocità radiali, 15 anni dopo l’inizio delle operazioni,» spiega Nicola Astudillo-Defru (Osservatorio di GInevra – Università di Ginevra, Svizzera), coatuore dell’articolo che presenta la scoperta.
Molte nane rosse però, come nel caso di Proxima Centauri, sono soggette a brillamenti che a volte inondano i loro pianeti di radiazioni UV e raggi X, mortali. Sembra invece che Ross 128 sia una stella molto più quieta e ne consegue che i suoi pianeti potrebbero essere i più vicini candidiati a ospitare la vita.
Anche se attualmente si trova a 11 anni luce dalla Terra, Ross 128 si sta muovendo nella nostra direzione e dovrebbe essere il nostro vicino più prossimo tra appena 79 000 anni – un batter d’occhio in termini cosmici, a quel punto Ross 128 b strapperà a Proxima b il primato dell’esopianeta più vicino alla Terra!
Nella cartina la grande costellazione zodiacale della Vergine, che ospita la debole nana rossa Ross 128, indicata con un cerchio rosso. Ross 128 viene chiamata anche Proxima Virginis, essendo la stella più vicina alla Terra di questa costellazione. L’immagine mostra la maggior parte delle stelle visibili a occhio nudo in una notte buia e serena, mentre per osservare Ross 128 serve un piccolo telescopio. Crediti: ESO, IAU and Sky & Telescope
Con i dati di HARPS, l’equipe ha scoperto che Ross 128 b orbita 20 volte più vicino rispetto alla Terra intorno al Sole, ma nonostante la sua vicinanza, riceve solo 1,38 volte più irradiazione rispetto alla Terra, grazie alla natura fredda e debole della nana rossa, che ha una temperatura superficiale poco più della metà di quella del Sole. Di conseguenza, la temperatura di equilibrio di Ross 128 b è stimata tra -60 e +20.
Per il momento la raccolta di esopianeti dal clima temperato procede, aumentando sempre più, il prossimo passo sarà quello di studiare la loro atmosfera, la loro composizione e la loro chimica in dettaglio. Un grandissimo passo fondamentale sarà l’identificazione di biomarcatori (o indicatori biologici) come l’ossigeno nell’atmosfera dei pianeti extrasolari più vicini.
«Nuovi strumenti all’ESO avranno innanzitutto un ruolo fondamentale nel censimento dei pianeti di massa terrestre suscettibili di caratterizzazione. In particolare, NIRPS, il braccio infrarosso di HARPS, aumenterà l’efficienza nell’osservare nane rosse, che emettono la maggior parte della loro radiazione nell’infrarosso. Poi, l’ELT fornirà l’opportunità di osservare e caratterizzare gran parte di questi pianeti,» conclude Xavier Bonfils.
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Lo speciale dedicato alla scoperta di Proxima b e alla ricerca sugli esopianeti su Coelum astronomia 204.
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