Università degli Studi di Ferrara SALA ESTENSE – Piazza Municipale (Ferrara). Inizio ore 21.00. Ingresso libero.
Tornano anche quest’anno i Venerdì dell’Universo, una serie di seminari scientifici per avvicinare, giovani e non, alla
Fisica, all’Astronomia e alle Scienze in generale, con la speranza che per molti giovani non sia solo una curiosità momentanea, ma anche un’occasione di spunto per i loro studi professionali o amatoriali, dal momento che l’Università di Ferrara offre importanti opportunità in questi campi.
04.03: “Dal Pallottoliere al Calcolatore Quantistico” a cura di Raffaele Tripiccione.
11.03: “Come Funzionano le Stelle: Manuale d’Uso” a cura di Cristiano Guidorzi.
25.03: “OGM: Mostri nel Piatto o Risorsa per il Futuro?” a cura di Dario Bressanini
Organizzati da: Dip. di Fisica Università di Ferrara, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Gruppo Astrofili Ferraresi “Columbia“ e Coop. Sociale Camelot.
La rassegna presentata dal Circolo Galilei per la stagione 2010/11: un affascinante viaggio nell’armonia dei numeri, i suoi misteri, la bellezza, la curiosità. Il venerdì alle 20.45 presso la sala del Centro Sociale, in piazza Donatori di sangue a Mogliano Veneto.
La Fondazione Osservatorio Astronomico di Tradate “Messier 13” organizza, in occasione del 50° Anniversario del volo spaziale di Yuri Gagarin (12 Aprile 1961) una serie di Conferenze – Serate osservative di astronautica.
15.03: “Storia delle Tute Spaziali” a cura di Luigi Pizzimenti. La tuta spaziale è il rivestimento utilizzato dagli astronauti durante le attività extraveicolari (EVA) per isolarsi dall’ambiente esterno che può essere dannoso per il corpo umano. Le prime tute spaziali non erano così sofisticate come quelle attuali ed erano sviluppate sfruttando tecnologie già utilizzate per i voli in alta quota e le immersioni in profondità.
Le riunioni settimanali dei soci hanno luogo il giovedì presso la sede sociale di via Corneliana, 82 – Piacenza, dalle ore 21 alle ore 23 circa.
C’ERA UNA VOLTA IL TEMPO – Conferenze pubbliche sul Tempo, presso l’Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano – via Sant’Eufemia 12/13 – Piacenza. Ore 17.45:
04.03: “C’era una volta … il tempo” a cura di Marco Miserocchi.
Inizio alle ore 21:00 presso la Sede in Via Risorgimento 21, c/o Centro Civico Rosario Livatino, Tavernerio (CO).
11.03: “La nuova strumentazione astronomica dell’Osservatorio Monte Calbiga: schede e caratteristiche tecniche”, a cura di Luca Parravicini e Marco Papi.
Il Discovery è più che mai pronto ed anche il meteo pare che collabori con un 90% GO al momento del lancio.
E’ già iniziato il caricamento dei propellenti nel grande serbatoio esterno e tutto appare nominale.
Il programma di massima della missione è il seguente:
Feb. 24: LANCIO @ 2150 UTC
Feb. 26: Attracco alla Stazione @ 1916 UTC
Feb. 28: EVA N° 1 @ 1615 UTC
Mar. 1: Installazione modulo cargo sulla Stazione
Mar. 2: EVA N° 2 @ 1515 UTC
Mar. 5: Distacco dalla Stazione @ 1244 UTC
Mar. 7: ATTERRAGGIO in Florida @ 1744 UTC
La missione STS-133 ha i seguenti compiti principali:
Installazione del modulo permanente “Leonardo”.
Trasporto a bordo del Robonaut R2, primo robot antropomorfo che dovrà “imparare” dei compiti ed eseguirli sulla Stazione. Sarà il primo astronauta artificiale della storia.
Da confermare: ripresa delle immagini della Stazione con tutti i veicoli attraccati.
Relatore: Claudio Bontempi (Unione Astrofili bresciani). Auditorium Fondazione “Le Rondini”, dalle 20.00 alle 22.00.
Il corso si svilupperà su un duplice binario: la storia dell’astronomia affiancata dalla presentazione e dalla lettura di brani significativi prodotti nel periodo considerato.
02.03: “Le origini”.
Per info e iscrizioni:Amalia.Bericchia@comune.lumezzane.bs.it
Ultimo appuntamento del mese quello del 31 marzo, quando sempre all’alba (purtroppo!), verso le 5:30, una esilissima falce lunare precederà di pochi minuti il sorgere di Venere, con Nettuno a disposizione di chi volesse tentarne il difficilissimo ritrovamento.
Altra impresa osservativa di difficoltà non indifferente si presenterà nel cielo dell’alba la mattina del 27 marzo. Verso le 6:30 ci sarà il giusto compromesso di luce e di altezza sull’orizzonte per tentare di scorgere al telescopio (o con un binocolo) il debolissimo Nettuno situato 12’ a nordest di Venere (orientamento equatoriale, come mostrato nel riquadro in alto a sinistra).
La sera del 6 marzo, appena il Sole sarà tramontato, si potrà assistere ad una interessante congiunzione sopra l’orizzonte ovest.
Saranno infatti facilmente osservabili sia Giove che una sottilissima falce di Luna, con Mercurio posizionato una dozzina di gradi più in basso.
In caso di cielo non perfettamente trasparente ci potranno essere difficoltà per cogliere la falce lunare (età di sole 44 ore) o lo stesso Mercurio, veramente molto basso sull’orizzonte, ma l’uso di un binocolo dovrebbe risolvere il problema. Tra Giove e Mercurio si troverà anche Urano, ma sarà ovviamente un’impresa quasi disperata discernerlo con un cielo così luminoso (o no?).
Verso le 5:00 del 1 marzo, sull’orizzonte di sudest sarà possibile osservare il sorgere simultaneo di Luna e Venere separati soltanto da 1,2°. Davvero una bella occasione per riprendere una congiunzione molto luminosa sullo sfondo di suggestivi elementi del paesaggio.
Inizio alle ore 21:00 presso la Sede in Via Risorgimento 21, c/o Centro Civico Rosario Livatino, Tavernerio (CO).
25.02: “Navigando nel Sistema Solare”. Chiacchierata, accompagnata da immagini computerizzate, a cura di Paolo Ostinelli, che ci proporrà le ultime e più suggestive immagini inviateci dalle sonde automatiche e catturate dai più potenti telescopi a Terra e nello spazio.
Le riunioni settimanali dei soci hanno luogo il giovedì presso la sede sociale di via Corneliana, 82 – Piacenza, dalle ore 21 alle ore 23 circa.
C’ERA UNA VOLTA IL TEMPO – Conferenze pubbliche sul Tempo, presso l’Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano – via Sant’Eufemia 12/13 – Piacenza. Ore 17.45:
25.02: “Tempo e distanze cosmiche” a cura di Danilo Caldini.
Attività del Planetario di Ravenna con la collaborazione dell’Associazione Ravennate Astrofili Rheyta. Inizio ore 21.00. Le osservazioni si tengono presso i
Giardini Pubblici con ingresso libero.
01.03: “Gli ammassi globulari” a cura di Massimo Berretti.
L'attuale proposta di HLV (NASA)HEFT (Human Exploration Framework Team), l’organismo nominato dal presidente americano Obama e incaricato di definire le direttive per l’esplorazione umana dei prossimi anni, ha definito le caratteristiche del nuovo HLV, il lanciatore pesante che dovrà supportare le future missioni umane all’esterno dell’orbita terrestre bassa.
Scartato lo Shuttle-C, che in pratica era l’attuale sistema con una semplice stiva agganciata al posto della navetta, erano rimasti due tipi di vettori “in linea” con due capacità differenti: uno da 70 ed un altro da 100 tonnellate trasportate in orbita bassa.
Ora lo sviluppo si è orientato verso quello con maggiore capacita e la struttura di questo vettore è basata su… l’attuale Shuttle!
Ad un primo stadio del diametro di 8,5 metri contenente i propellenti criogenici (guarda caso le stesse caratteristiche dell’attuale ET) e con 5 motori RS25 (gli SSME) vengono accostati due booster SRB a stato solido a 5 segmenti.
Con questa configurazione la capacità si attesta sulle 108 tonnellate in LEO, mentre aggiungendo uno stadio superiore con uno o due motori J2-X (derivati dai vettori Ares in fase di progetto) la capacità salirebbe a 130 tonnellate, sempre in LEO.
Ma dove ho già visto questa descrizione? Ah, Ares V, il vettore pesante del programma Constellation, cancellato l’anno scorso. Si tratta di una copia leggermente ridotta del vecchio progetto, con la differenza che stavolta non è un’idea di Bush…
Evidentemente un vettore pesante è indispensabile e gli USA non possono farne a meno. In tempo di crisi tutto ciò che fa risparmiare, anche solo una parte di progetto già eseguito, è importante e ottimizza lo sviluppo minimizzando gli sprechi. Avendo però sprecato più di un anno, non mi pare una scelta molto efficiente. Anche alla luce dei problemi di budget.
La AAAV comunica il calendario dei prossimi incontri a tema che si svolgeranno presso il Centro Astronomico di Libbiano (Comune di Peccioli – PI) con inizio alle ore 21.15 (ingresso libero).
24.02: “Gagarin: 108 minuti che cambiano la storia”. 12 aprile 1961: il primo volo dell’uomo nello spazio. Dopo 50 anni, riviviamo l’evento che consentì di raggiungere una delle più ambite frontiere per l’umanità. A cura di Alberto Villa.
L’Associazione Astris a.p.s.(associazione di promozione sociale), grazie al suo nuovo statuto, apre le iscrizioni a tutti gli appassionati e simpatizzanti di astronomia.
Per l’anno in corso sono pianificate le seguenti attività:
Ciclo di “Conversazioni Astronomiche” a cadenza mensile (ore 18.00). Presso la canonica della Parrocchia di S. Saturnino – Sala S.Chiara – via Avigliana, 3 – Roma.
Ciclo di osservazioni astronomiche a cadenza mensile. Presso l’Osservatorio astronomico sociale “Claudio Del Sole”, località Prataglia, Cervara Roma.
La Luna transiterà sulla testa dello Scorpione due volte a distanza di un mese: il 25 febbraio e il 24 marzo. La figura mostra la posizione della Luna (la falce lunare è fuori scala rispetto al resto) alle 5:00 del mattino di quelle date, quando sarà alta sull’orizzonte circa +20°.
Una regione nei pressi della costellazione dell'Orsa Maggiore, una delle aree scrutate da Herschel. Ogni piccolo puntino in realtà è una intera galassia (Crediti: ESA/Herschel/SPIRE/HerMES)
Una regione nei pressi della costellazione dell'Orsa Maggiore, una delle aree scrutate da Herschel. Ogni piccolo puntino in realtà è una intera galassia (Crediti: ESA/Herschel/SPIRE/HerMES)Avete presente le galassie, brilluccicanti di milioni e milioni di oggetti stellari? Beh non è cosi semplice che si creino e si sviluppino, se non si “dosa” la materia oscura secondo una attenta valutazione. Troppa o troppo poca.. ed ecco che la galassia svanisce!
La materia oscura è quella sostanza invisibile che permea il nostro universo, che contribuisce in maniera determinante alla crescita ed allo sviluppo delle galassie di grande massa, nei primi momenti di vita del cosmo.
Dalle simulazioni degli ricercatori, risulta che la dose di materia oscura è tutt’altro che secondaria, nel delicato equilibrio dello sviluppo delle galassie. Mettine troppo poca, e la galassia non si forma nemmeno. Mettine troppa, invece, e il gas non si raffredda in maniera abbastanza efficace per formare una vera galassia “come si deve”, ed invece si creano una miriade di galassiette più piccole. Insomma devi averne la giusta quantità, di materia oscura (anche se non la vedi).
Dunque la ricetta prescrive, aggiungere materia oscura “quanto basta”. Si ma quanto? potreste giustamente dire voi.
Ebbene per risolvere la questione è arrivato Herschel (a dire la verità, è dal 2009 che è in operazione). La sonda monta un telescopio da 3.5 metri che è sintonizzato nella ricezione della luce in banda infrarossa, proveniente da una enorme serie di oggetti celesti (dagli asteroidi e i pianeti nelle nostre vicinanze, fino alle più lontane galassie).
L’occhio infrarosso di Herschel dunque è andato a scovare la luce infrarossa proveniente da una serie di galassie lontane, in fase di forte formazione stellare. La luce infrarossa di queste strutture forma una vera e propria struttura “a ragnatela”, chiamata radiazione di fondo in infrarosso. Poichè questa dipende strettamente dall’addensamento degli oggetti che la emettono, e questo dipende a sua volta dalla quantità di materia oscura che è presente nell’ambiente, ecco che la catena è chiusa, e si può arrivare alla stima.
Dall’analisi dei dati, risulta che per fare una galassia ci vuole una quantità di materia oscura circa equivalente a 300 miliardi di volte il nostro Sole. Ditemi voi, se vi par poco…
Pur risplendendo in tutta la sua gloria nelle gelide nottate invernali, la costellazione del Cane Maggiore è una di quelle che viene spesso trascurata alle nostre latitudini per le presunte difficoltà legate alla sua scarsa altezza sull’orizzonte; tanto che, nonostante racchiuda tra i suoi confini autentici tesori, gli osservatori visuali si limitano di solito a dare un’occhiata agli ammassi aperti più grandi e a rimanere incantati a osservare l’ipnotico baluginare di Sirio, la stella più luminosa del cielo.
Ma il “Cane” ha ben altri tesori nascosti, che ci attendono pazientemente da milioni di anni… tuffiamoci dunque nel limpido e terso cielo di fine inverno!
Qui sopra: la cartina che visualizza la posizione degli oggetti di cui si parla nella rubrica, questa volta realizzata con una bella fotografia, è centrata sulla costellazione del Cane Maggiore, nella cui regione settentrionale, ai confini con l’Unicorno, si trovano tutti allineati sulla stessa declinazione l’ammasso aperto NGC 2374, la nebulosa NGC 2359 e l’ammasso NGC 2345. La regione delimitata dal rettangolo giallo è poi mostrata in dettaglio nella cartina a pag. 54 di Coelum n.146
Nome
AR
[H m s]
DEC
[° ‘ “]
Tipo
Mag.
Integrata
Dimens.
Angolare
Distanza
[a.l.]
Costellaz.
NGC 2359
07 18 31
–13 13 38
Nebulosa
–
22’x10′
15000
Cane Maggiore
NGC 2345
07 08 19
–13 11 38
Ammasso Aperto
+8.0
12′
7400
Cane Maggiore
NGC 2374
07 23 56
–13 15 48
Ammasso Aperto
+8.5
12′
5000
Cane Maggiore
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo di Salvatore Albano presente a pagina 52 di Coelum n.146
Parco Etosha, Damaraland ed incisioni rupestri,
otarie e fenicotteri dell’Atlantico,
le immense dune di Sossusvlei e le immancabili
OSSERVAZIONI ASTRONOMICHE dal DESERTO
22 giugno / 04 luglio 2011
PROGRAMMA
1° giorno, mercoledì 22/06 – ROMA-MILANO-BOLOGNA / FRANCOFORTE / JOHANNESBURG Ritrovo dei partecipanti all’aeroporto prescelto di partenza in tempo per l’imbarco sul volo di linea Lufthansa diretto a Johannesburg via Francoforte. Cena e pernottamento a bordo.
2° giorno, giovedì 23/06 – JOHANNESBURG / WINDHOEK All’arrivo a Johannesburg, proseguimento in transito per Windhoek con volo di linea British Airways Comair. All’arrivo nel primo pomeriggio, disbrigo delle formalità doganali e, dopo l’incontro con la guida locale parlante italiano, trasferimento in hotel (Kalahari Safari o similare) con giro panoramico della città. Visita dell’Osservatorio Itting Enke per iniziare bene la meravigliosa avventura dell’osservazione del cielo australe. Cena e pernottamento in hotel.
3° giorno, venerdì 24/06 – WINDHOEK / PARCO NAZIONALE ETOSHA (Km 500 circa)
Dopo colazione partenza verso nord alla volta del grande Parco Nazionale Etosha con pranzo libero a carico dei partecipanti durante il tragitto. All’arrivo ad Etosha nel pomeriggio, prima presa di contatto con il suo ambiente unico ed i suoi animali erranti. Etosha in lingua locale significa “Acque secche” ed è caratterizzato da un ambiente particolarissimo con un lago alcalino asciutto che ne costituisce la parte centrale. I suoi mulinelli di polvere ed i branchi di animali che vagano su questo sfondo bianco sono uno spettacolo imperdibile!!!. Cena e pernottamento in un
lodge all’interno del parco (Okaukuejo/Halali o similare).
Durante la notte potrà essere previsto un luogo da dove osservare gli astri.
4° giorno, sabato 25/06 – PARCO NAZIONALE ETOSHA Mezza pensione al lodge. Intera giornata a girovagare con il veicolo del tour per il Parco in caccia di animali da ammirare e fotografare (possibilità di fotosafari in 4×4 al costo di € 50/60 per persona).
Durante la notte potrà essere previsto un luogo da dove osservare gli astri.
5° giorno, domenica 26/06 – PARCO NAZIONALE ETOSHA / DAMARALAND (Km 300 circa)
Dopo la prima colazione si lascia il Parco Etosha verso la costa atlantica, entrando nel Damaraland. Il Damaraland è una regione caratterizzata da terra e grandi rocce di un colore rosso forte con panorami molto belli e selvaggi. Gli scenari sono mozzafiato e ogni visione motivo di sorpresa. Possibilità di visita alla Foresta Pietrificata con i suoi antichissimi tronchi. Arrivo e sistemazione al Igowati Lodge o similare. Pranzo libero a carico dei partecipanti durante il trasferimento. Cena e pernottamento al Lodge.
Durante la notte potrà essere previsto un luogo da dove osservare gli astri.
6° giorno, lunedì 27/06 – DAMARALAND Mezza pensione al lodge e giornata dedicata alle visite dei dintorni che includono il famoso organo a canne (autentico miracolo di vulcanismo intrusivo dove il basalto colonnare è disegnato artisticamente dalla natura selvaggi) e la visita delle famose incisioni rupestri di Twifelfontein dove i Boscimani hanno lasciato tracce della loro memoria e i loro enigmatici messaggi.
La sera sarà organizzato un giro in auto per una migliore osservazione delle stelle.
7° giorno, martedì 28/06 – DAMARALAND / COSTA ATLANTICA (Km 420 circa)
Prima colazione al Lodge. Proseguimento del viaggio nella regione del Damaraland fino a raggiungere l’Oceano Atlantico in quel tratto di costa denominato Skeleton Coast. Si passa attraverso grandi asperità da una zona semi desertica e caldissima ad una costa fredda e nebbiosa. Visita della colonia di otarie di Cape Cross. Sosta per il pranzo libero a carico dei partecipanti e, nel pomeriggio, arrivo a Walvis Bay, non prima di avere attraversato la deliziosa cittadina storica di Swakopmund. Sistemazione al Protea Hotel o similare, cena e pernottamento.
Durante la notte potrà essere previsto un luogo da dove osservare gli astri.
8° giorno, mercoledì 29/06 – COSTA ATLANTICA Dopo la colazione visita della famosa Laguna di Walvis Bay. Escursione in barca alla ricerca delle otarie, dei fenicotteri rosa e, con un pò di fortuna, dei delfini. Si potranno vedere inoltre pellicani e cormorani. Sia a bordo che dopo sulla spiaggia sarà servito uno snack informale. Pomeriggio libero per lo shopping. Cena in ristorante e pernottamento in hotel.
Durante la notte potrà essere previsto un luogo da dove osservare gli astri.
9° giorno, giovedì 30/06 – COSTA ATLANTICA / NAMIB NAUKLUFT PARK (Km 380 circa)
Prima colazione e partenza con destinazione il Namib, deserto più antico del mondo. Sosta lungo la strada per il pranzo libero a carico dei partecipanti e per ammirare la Welivischia plant. All’arrivo al Sossusvlei Desert Camp o similare, sistemazione, cena e pernottamento.
Durante la notte potrà essere previsto un luogo da dove osservare gli astri.
10° giorno, venerdì 01/07 – NAMIB NAUKLUFT PARK Prima colazione all’alba e mattina dedicata alla visita delle dune di Sossusvlei. Le ombre della mattina danzano tra le dune e il vento canta la sua nenia traversandole, il paesaggio è splendido e l’escursione indimenticabile. Visita del Sesriem Canyon. Rientro al Lodge, pranzo libero a carico dei partecipanti e, nel pomeriggio, tempo a disposizione per un pò di relax.
Cena e pernottamento e, in serata, giro organizzato per l’ osservazione delle stelle.
11° giorno, sabato 02/07 – DESERTO DEL NAMIB/ WINDHOEK (Km 350 circa)
Dopo la colazione partenza per Windhoek con sosta lungo il percorso nelle località più importanti e arrivo in città con breve giro di Windhoek. Pranzo libero a carico dei partecipanti durante il trasferimento. Sistemazione la Kalahari Sands hotel o similare, cena e pernottamento.
Su richiesta possibile una nuova visita all’osservatorio Itting Enke.
12° giorno, domenica 03/07 – WINDHOEK / JOHANNESBURG / FRANCOFORTE Colazione e breve tempo libero per shopping e relax. Pranzo libero a carico dei partecipanti e trasferimento in aeroporto in tempo utile per l’imbarco sul volo di linea British Airways Comair diretto a Johannesburg. All’arrivo proseguimento per Francoforte con volo di linea in coincidenza Lufthansa. Cena e pernottamento a bordo.
13° giorno, lunedì 04/07 – FRANCOFORTE / ROMA-MILANO-BOLOGNA Arrivo all’aeroporto di Francoforte ed immediata coincidenza per l’aeroporto di destinazione.
PIANO VOLI (ipotetico e da riconfermare)
22/06 ROMA (h. 19.20) – FRANCOFORTE (h. 21.15) LH 239
22/06 FRANCOFORTE (h. 22.35) – JOHANNESBURG (h. 09.05*) LH 572 *Arrivo il giorno successivo (23/06)
23/06 JOHANNESBURG (h. 12.00) – WINDHOEK (h. 13.00) BA 6275 (operato da Comair)
03/07 WINDHOEK (h. 13.55) – JOHANNESBURG (h. 16.50) BA 6274 (operato da Comair)
03/07 JOHANNESBURG (h. 18.45) – FRANCOFORTE (H. 05.20*) LH 573 *Arrivo il giorno successivo 04/07)
04/07 FRANCOFORTE (h. 07.30) – ROMA (h. 09.15) LH 230
QUOTE DI PARTECIPAZIONE
QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (minimo 25 partecipanti) € 2.780,00
QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (minimo 20 partecipanti) € 3.100,00
Supplemento singola € 330,00
Tasse Aeroportuali € 490,00 (ad oggi e soggette a riconferma all’atto dell’emissione dei biglietti)
Le quote sono state calcolate in base al cambio: 1,00 € = 9,47 Rand/N$; 1,00 € = 1,29 USD
La quota comprende:
* voli di linea Lufthansa e British Airways (operati da Comair) in classe economica come da prospetto * assistenza di guida locale parlante italiano per tutta la durata del tour * tour in pullman con aria condizionata con autista * sistemazione in hotels/lodges come da indicato nel programma * pasti come da programma (trattamento di mezza pensione per tutto il tour eccetto l’8° giorno con snack informale a Walvis Bay) * acqua a bordo del pullman * visite ed escursioni come da programma * ingressi ai parchi come indicato nel programma * assicurazione medico/bagaglio e annullamento viaggio a favore di ciascun partecipante * omaggio.
La quota non comprende:
* tasse aeroportuali (€ 490,00 ad oggi e soggette a riconferma all’atto dell’emissione biglietti) * pasti non menzionati * bevande ai pasti * eventuali trasferimenti notturni per osservazioni astronomiche * mance ed extra personali in genere * tutto quanto non specificato alla voce “La quota comprende”.
INFORMAZIONI UTILI
Formalità di ingresso: i turisti italiani che desiderano visitare la Namibia devono essere muniti di passaporto in corso di validità con scadenza non inferiore ai 6 mesi dalla data di partenza. Non è richiesto alcun visto d’ingresso.
Valuta: l’unità monetaria attualmente in vigore in Namibia è il Dollaro namibiano (divisibile in centesimi) il cui valore è 1€= 8 N$. Il Dollaro Namibia circola in banconote da 1, 2, 5, 10, 20, 50, 100. Consigliamo di effettuare ogni operazione di cambio valuta nelle banche che troverete generalmente aperte dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 15.30 ed al sabato dalle ore 8.30 alle ore 11.00. Tutte le principali carte di credito sono generalmente accettate.
Fuso orario: la Namibia ha l’ora anticipata di 2 ore rispetto a quella di Greenwich e di 1 ora rispetto a quella in vigore in Italia. Questa differenza viene però ad annullarsi nel corso della nostra stagione estiva, quando è in vigore l’ora legale.
Elettricità: la corrente elettrica in Namibia è di 220/230 volt a 50 cicli al secondo. Le spine sono di tipo tripolare, consigliamo quindi l’acquisto di un adattatore universale nel caso in cui si desiderasse usare i propri apparecchi.
Abbigliamento: a chi si reca in Namibia consigliamo l’uso di abiti pratici, comodi e leggeri. Suggeriamo qualche capo di lana per le sere, generalmente fresche ed una giacca a vento per combattere l’escursione termica della notte.
Certificati sanitari: per l’ingresso in Namibia non è richiesta alcuna particolare vaccinazione. Consigliamo, a coloro che si recano nei Parchi, la profilassi antimalarica.
Clima: il clima della Namibia è quello tipico delle zone semi desertiche: caldo durante il giorno e fresco durante la notte. Le stagioni risultano invertite rispetto alle nostre: le estati, da ottobre a marzo, sono calde, con temperature talvolta oscillanti attorno ai 40°C, mentre gli inverni, da aprile a settembre, sono caratterizzati da una notevole escursione termica: durante il giorno piacevolmente caldo, mentre la notte la temperatura scende spesso al di sotto dello 0. Lungo la costa, tipica è la presenza della nebbia, dal tardo pomeriggio fino a metà mattino. Sporadiche piogge si possono verificare tra ottobre e dicembre, mentre la stagione delle piogge va da gennaio ad aprile, con violenti acquazzoni; tuttavia non si può certo asserire che sia una stagione delle piogge come si intende generalmente.
Telefoni: Il prefisso teleselettivo per chiamare l’Italia è il seguente: 0039 seguito dal codice della città desiderata (es.: Milano 0039 02; Roma 0039 06).
Informazioni astronomiche: Sig. Massimiliano Di Giuseppe 338/5264372
Sig. Ferruccio Zanotti 338/4772550
The Lunar Society: Sig. Paolo Minafra 339/2929524
La teoria e ora anche la pratica ci dicono che esiste: è la vorticità, un’ulteriore proprietà delle onde elettromagnetiche che può rivoluzionare l’astrofisica e il mondo delle telecomunicazioni. Un gruppo internazionale di astronomi, guidato da Fabrizio Tamburini, dell’Università di Padova, ha scoperto che i buchi neri ruotanti lasciano il segno sulla radiazione elettromagnetica che li attraversa: una “piroetta” rilevabile attraverso i più sensibili telescopi di oggi. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Physics.
Tutto parte dalle equazioni della relatività che descrivono gli effetti di un buco nero rotante sullo spazio tempo circostante. Nel ruotare, il buco nero trascina dietro di sé lo spazio ed il tempo mescolandoli in un vortice. Secondo i calcoli quando le onde elettromagnetiche, tra le quali è compresa anche la luce visibile, passano attraverso questa deformazione vorticosa dello spazio-tempo, subiscono una modifica: il vortice spazio-temporale imprime alle onde una sorta di torsione, una “vorticità”. Così la radiazione elettromagnetica che passa attraverso uno di questi vortici, senza superare la linea di confine oltre la quale nulla più sfugge all’attrazione del buco nero (il cosiddetto orizzonte degli eventi),acquisisce questa ulteriore proprietà che va ad aggiungersi a quelle già conosciute come la frequenza e la polarizzazione.
Tutto questo è per ora il risultato di calcoli ma già adesso gli attuali telescopi, con opportuni strumenti olografici, potrebbero misurare il grado di vorticità di qualsiasi onda elettromagnetica. Per Fabrizio Tamburini del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova, uno degli autori dello studio, le applicazioni sono innumerevoli. “Come illustrato nel nostro articolo, abbiamo trovato il legame tra le equazioni della relatività generale di un buco nero rotante e la produzione di vorticità della radiazione elettromagnetica. Si possono così aprire nuove frontiere nello studio dei nuclei galattici attivi e della rotazione delle galassie”.
La vorticità di un’onda elettromagnetica ci fornisce in pratica ulteriori informazioni sulla sorgente che l’ha indotta. Ma nello stesso tempo può essere sfruttata come ulteriore canale per trasmettere informazioni, ad esempio nel campo delle telecomunicazioni. “Stiamo costruendo delle antenne particolari che riescono a imprimere vorticità nelle onde radio”, spiega Tamburini, “quello che abbiamo in mente è di ottenere una trasmissione di tali onde su grande distanza nel mondo reale, non più in laboratorio. In questo modo potremo trasmettere più canali sulla stessa frequenza perché sfruttando i diversi gradi di vorticità di un’onda è come se avessimo diversi canali sui quale ricevere e trasmettere informazioni utilizzando solo quell’onda”.
Il lavoro svolto dal gruppo rivela anche un aspetto curioso: “Il nostro non è solo un lavoro teorico ma anche fisico. Ad esempio abbiamo modificato dei paraboloidi in acciaio piegandoli a martellate. Non è un lavoro tipico di un fisico teorico però è divertente avere delle idee, sviluppare equazioni e alla fine vedere i risultati prendere forma in modo concreto nelle proprie mani”.
La magnifica immagine, ottenuta compositando riprese nell’ottico di Hubble e nell’X di Chandra, mostra una delle più straordinarie coppie di galassie interagenti catalogate da Halton Arp, la numero 147. Il campo inquadrato è di circa 0,9 primi d’arco.
Non avete ancora pensato a un regalo per San Valentino? Per non sbagliare, fatele un anello…davvero speciale. Arriva giusto in tempo per il giorno degli innamorati questa incredibile cartolina cosmica: un anello tempestato, anziché di brillanti, di buchi neri (conta il pensiero, no?).
L’immagine mostra una coppia di galassie, note come Arp 147, a 430 milioni di anni luce dalla Terra. O meglio, i resti della collisione di una galassia a spirale (a destra) con una galassia ellittica (a sinistra). Dalla collisione si è generata un’ondata di formazione stellare (visibile come un anello blu nella galassia a destra), pullulante di giovani stelle massive (dai calcoli degli astronomi, quell’era si è conclusa circa 15 milioni di anni fa). In pochi milioni di anni, molte stelle sono esplose come supernove, lasciando dietro di sé stelle di neutroni e buchi neri. Alcuni di essi emettono intensi getti di radiazione X (le bolle rosa), risucchiando materia da una stella compagna.
L'immagine delle galassie interagenti Arp 147 è una compositazione di diverse riprese effettuate nell'ottico (HST, in rosso, verde e blu), X (Chandra, in rosa), infrarosso (Spitzer, rosso) e UV ( GALEX in verde).
Nell’anello si distinguono in tutto nove sorgenti X, così brillanti da dover essere buchi neri probabilmente 10 o 20 volte più massivi del Sole. A occhio attento è visibile anche un’altra sorgente X, nel nucleo della galassia rossa a sinistra, che potrebbe provenire da un buco nero supermassivo poco attivo.
L’immagine è il risultato della composizione degli scatti del telescopio Chandra nei raggi X (in rosa) e di Hubble nell’ottico (rosso, verde, blu) ed è stata prodotta dallo Space Telescope Science Institute (STScI) di Baltimore. Per la gioia dei romantici che non s’accontentano dei diamanti.
I componenti dell'equipaggio. Diego, a destra, si riconosce per la bandierina sulla spalla (ESA)
O per lo meno devono comportarsi come se ci fossero veramente. Sono i viaggiatori che stanno eseguendo la missione simulata chiamata Mars 500 e che si trovano in un laboratorio sigillato in Russia, dove è stata ricostruita una astronave completa di modulo di discesa, terreno marziano, e modulo di rientro.
I componenti dell'equipaggio. Diego, a destra, si riconosce per la bandierina sulla spalla (ESA)
Dopo 250 giorni di “viaggio” sono ora entrati in orbita attorno al Pianeta Rosso e dovranno eseguire la parte più delicata della missione, le escursioni su Marte.
Ecco l’elenco delle operazioni
1 Feb 2011: ingresso in orbita circolare attorno a Marte
1 Feb 2011: aperture portello del Mars Lander
8 Feb 2011: completamento del caricamento e chiusura portello Lander
12 Feb 2011: distacco e atterraggio su Marte
14, 18 e 22 Feb 2011: escursioni extraveicolari sulla superficie
19 Feb 2011: risalita e inizio della quarantena
20 Feb 2011: attracco con l’astronave interplanetaria
23 Feb 2011: fine della quarantena
24 Feb 2011: apertura del portello
27 Feb 2011: trasferimento nel modulo abitativo
28 Feb 2011: carico del lander con i rifiuti
1 Mar 2011: chiusura portello e distacco del lander
Da qui inizia il viaggio di ritorno che durerà altri 250 giorni.
A questa maratona partecipano sei volontari. Ecco i nomi:
– Alexei Sitev, ingegnere russo (38 anni), comandante della missione
– Sukhrob Kamolov, medico chirurgo russo (32 anni)
– Alexander Smoleevsky, fisiologo russo (33 anni)
– Romain Charles, ingegnere francese (31 anni)
– Diego Urbina, ingegnere italo-colombiano (27 anni)
– Wang Yue, astronauta cinese (27 anni)
Fra loro vi è anche il nostro Diego Urbina (che però è nato in Colombia), con il quale possiamo tenerci in contatto per mezzo di Twitter (cercate @diegou) ed al quale dedichiamo una serie di speciali su Marte durante Astronauticast, la nostra trasmissione webcast settimanale. Dato che a Diego è concesso di utilizzare la Rete (ovviamente con il ritardo di trasmissione simulato), ci occupiamo di fargli avere le trasmissioni via email.
Che emozione, ci ascoltano fin su Marte (anche se simulato).
LA VOCE DEL MASTER – Kepler, il telescopio spaziale lanciato nel 2009 con il compito di cercare un pianeta gemello della Terra, ha colpito ancora. Il 2 febbraio la NASA ha presentato in conferenza stampa l’ultima scoperta: c’è un sistema di sei pianeti che orbitano attorno a una stella simile al Sole, battezzata Kepler-11, a 2.000 anni luce da qui. Cinque dei sei pianeti sono poco più grandi del nostro, con orbite inferiori a 50 giorni. il sesto ha dimensioni maggiori e un’orbita più lunga, di 118 giorni. Sono tutti troppi vicini alla loro stella, con temperature di centinaia di gradi, per poter ospitare la vita. Il sistema è così impacchettato che, nel Sistema Solare, si estenderebbe tra Mercurio e Venere, i primi due pianeti. La scoperta, che si è guadagnata la copertina diNature, è stata svolta utilizzando il potente occhio di Kepler un telescopio spaziale che osserva una particolare regione di cielo molto ricca di stelle, nella costellazione del Cigno. È proprio in questa regione che Kepler da circa un anno sta monitorando 100.000 stelle allo scopo di osservare piccole eclissi, diminuzioni di luce causate dal transito dei pianeti davanti alla loro stella. È così che ha scoperto i sei pianeti orbitanti attorno aKepler-11, che hanno una peculiarità: sono pianeti piuttosto piccoli con una massa compresa tra le 2,3 e 13,5 volte quella del nostro pianeta, quasi rocciosi e molto vicini alla stella, il più vicino impiega pochi giorni a fare un giro completo dell’orbita.
“Il sistema planetario di Kepler-11 è affascinante perché è straordinariamente compatto e piatto, su orbite quasi complanari, e presenta un elevato numero di pianeti che orbitano molto vicino alla stella: non sapevamo che sistemi planetari di questo tipo potessero esistere”, ha commentato Jack Lissauer, primo autore della ricerca e membro del team della NASA che coordina l’analisi dei dati di Kepler all’Ames Research Center in California.
La conferenza stampa nella quale è stata annunciata la scoperta del sistema planetario attorno alla stella Kepler-11 è stata un’occasione per annunciare l’esistenza di oltre mille pianeti extrasolari in attesa di conferma. Tra i “candidati” esopianeti, ce ne sono 54 che si trovano nella fascia di abitabilità, ovvero quella zona sufficientemente lontana dalla stella affinché l’acqua possa mantenersi allo stato liquido, e cinque di essi, potrebbero avere una dimensione paragonabile a quella della Terra.
Probabilmente non si dovrà attendere molto per l’annuncio della scoperta di un gemello della Terra, soprattutto se si considera la velocità dei progressi in campo astrofisico. Fino a quindici anni fa non si erano mai visti pianeti attorno ad altre stelle e ora siamo, forse, a un passo dalla scoperta di un nostro gemello.
Il Telescopio Spaziale Kepler mentre osserva Keplero-11. La stella appare lampeggiare secondo uno schema, infatti la sua luce si affievolisce come se un meccanismo a sei “mani”, di diverse dimensioni e velocità, orbitasse attorno ad essa. I calcoli mostrano che i sei pianeti hanno orbite quasi complanari.
[Animation credit: NASA/Tim Pyle]
Inizio alle ore 21:15 presso la Sede in Via Risorgimento 21, c/o Centro Civico Rosario Livatino, Tavernerio (CO).
11.02: “Luna e dintorni”. A cura di Marco Papi, una chiacchierata propedutica all’osservazione all’esterno del centro civico della Luna e delle meraviglie del cielo invernale.
La AAAV comunica il calendario dei prossimi incontri a tema che si svolgeranno presso il Centro Astronomico di Libbiano (Comune di Peccioli – PI)
con inizio alle ore 21.15 (ingresso libero).
24.02: “Gagarin: 108 minuti che cambiano la storia”. 12 aprile 1961: il primo volo dell’uomo nello spazio. Dopo 50 anni, riviviamo l’evento che consentì di raggiungere una delle più ambite frontiere per l’umanità. A cura di Alberto Villa.
Il mosaico di immagni nell’infrarosso dalla Wide Field Camera 3 di Hubble (la cui ripresa ha richiesto ben 87 ore di posa), al cui interno si cela quella che sembra essere la galassia più remota finora scoperta. Nel video in basso, la posizione del "deep field" HST nella Balena con lo zoom sulla presunta galassia.
Spingere lo sguardo sempre più avanti, arrivando a scrutare gli albori del nostro Universo, nelle ere in cui andavano formandosi le prime stelle e galassie. È la continua sfida degli astronomi (“Perché andare sempre più lontano”) che hanno fatto un altro passo in avanti. O meglio, indietro nel tempo. L’identificazione di una galassia che, se confermata, sarà la più distante finora scoperta, a ben 13,2 miliardi di anni luce da noi. Questo vuol dire che la luce della galassia analizzata oggi è stata prodotta quando l’Universo aveva solo 500 milioni di anni.
A catturare questi flebili segnali è stato il telescopio spaziale Hubble, che con una serie di osservazioni nell’infrarosso durate complessivamente 87 ore è riuscito a spingere la Wide Field Camera 3, installata nell’ultima missione Shuttle di riparazione avvenuta nel maggio del 2009, davvero ai limiti delle sua capacità osservative.
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“Stiamo quasi per osservare le prime galassie nell’Universo, che riteniamo si siano formate tra i 200 e i 300 milioni di anni dopo il Big Bang”, dice Garth Illingworth, della University of California, Santa Cruz, che insieme a Richard Bouwens ha guidato lo studio pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature. “Grazie a queste riprese registriamo un frenetico processo di formazione galattica nell’universo primordiale e possiamo così disporre di informazioni utili per affinare i modelli teorici sulla formazione delle galassie”.
C’è ancora molto lavoro da fare per avere una prova inconfutabile dell’identificazione di questa galassia, tanto che gli stessi autori lasciano un margine di incertezza del 20% sulla validità dei loro risultati. E questo perché non si poteva proprio chiedere di più alla strumentazione di Hubble. Ma se la scoperta venisse confermata, sarebbe un nuovo record per l’astronomia, dopo il recente studio tutto italiano relativo alle prime galassie nell’Universo. Con ricadute rilevanti. La galassia sarebbe stata infatti osservata nel pieno della cosiddetta “era della re-ionizzazione”, quando cioè un immane flusso di radiazione ultravioletta strappò elettroni agli atomi di idrogeno che pervadevano l’Universo primordiale, ionizzandoli com’erano in origine, dopo il Big Bang e di fatto permettendo alla radiazione luminosa di stelle e galassie di riuscire a giungere fino a noi.
“Il punto cruciale per chi studia oggetti celesti così lontani è capire cosa abbia prodotto questo processo che ha reso trasparente l’Universo” sottolinea Giovanni Cresci, dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri. “Gli stessi autori, sottolineando che i risultati del loro lavoro sono ancora molto incerti, ritengono che le galassie primordiali possono aver contribuito solo per il 12% alla radiazione necessaria per completare il processo di re-ionizzazione”.
Cos’altro si nasconde dunque dietro le nebbie dell’Universo primordiale? E chi può essere stato l’enigmatico “motore” che ha permesso di schiarirle? È ancora troppo presto per dirlo. Ma gli astronomi confidano nei prossimi anni di poter dare una risposta definitiva a questi interrogativi, sfruttando la potenza e la tecnologia del nuovo telescopio spaziale James Webb (JWST), il successore di Hubble, che i più ottimisti ritengono possa essere lanciato già entro il 2015.
Cortesia NASA, ESA, G. Illingworth (University of California, Santa Cruz), R. Bouwens (University of California, Santa Cruz, and Leiden University) and the HUDF09 Team
Il sito della Jaxa, l'agenzia spaziale giapponese (http://www.jaxa.jp/index_e.html)
Lanciata lo scorso 22 gennaio, la capsula giapponese Kounotori2, il secondo esemplare dell’ HTV (H-2 Transfer Vehicle, uno dei tre veicoli deputati al rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale e del suo equipaggio di sei persone) sta per raggiungere la Stazione Spaziale. Le fasi di arrivo e di aggancio della sonda sono seguite dalla Jaxa (Japan Aerospace Exploration Agency) e trasmesse in diretta oggi 27 gennaio a partire dalle ore 12:30 (ora italiana) circa, sul canale di streaming della NASAhttp://www.nasa.gov/multimedia/nasatv/index.html dell’agenzia spaziale giapponese > http://www.jaxa.jp/index_e.html
Lungo 10 metri e con un diametro di 4,2 metri, dopo l’avvicinamento eseguito con il sistema di guida laser e la fermata a circa 10 metri di distanza dal portello d’attracco, il cargo verrà agganciato dal nostro Paolo Nespoli e da Cady Coleman tramite il braccio robotico, per poi eseguire l’attracco finale.
Kounotori 2 dovrebbe restare ormeggiato al molo nadir di Harmony per oltre un mese, fino all’8 marzo, momento in cui, carico di rifiuti della stazione, mollerà gli ormeggi per un rientro distruttivo al disopra dell’Oceano Pacifico meridionale.
Fra fine febbraio e inizio marzo sarà l’unica volta nella storia della Stazione, in cui tutti gli attuali veicoli pressurizzati operativi saranno presenti contemporaneamente sul grande laboratorio orbitante. Se verranno rispettati i programmi, lo Shuttle Discovery, HTV, ATV, Soyuz e Progress saranno tutti ormeggiati al complesso allo stesso tempo.
Il cargo, del peso di oltre 16 tonnellate, è decollato il 22 gennaio scorso a bordo di un razzo H-2B alle 0537:57 UTC dal Launch Pad n. 2 presso il Tanegashima Space Center, la base sull’isola posta sulla punta meridionale del Giappone.
Il razzo alto 56 metri è salito in un cielo sereno, rompendo la barriera del suono circa un minuto dopo la partenza dalla sua rampa di lancio posta in riva al mare. Quattro booster a propellente solido si sono sganciati dopo due minuti di volo e i due motori principali del primo stadio del lanciatore hanno completato la loro funzione meno di quattro minuti più tardi. Il secondo stadio a idrogeno ha poi posto l’H-2 Transfer Vehicle in orbita e rilasciato il carico utile 15 minuti e 13 secondi dopo aver lasciato la Terra. Il veicolo è entrato in un’orbita iniziale di 198 x 298 km con un angolo di inclinazione di 51,6 gradi rispetto all’equatore. Il lancio è stato rinviato di due giorni per problemi meteo, ma alla fine tutto è andato per il meglio.
Il Giappone ha chiamato la capsula Kounotori 2, che significa cicogna bianca ed è l’unico veicolo che continuerà a rifornire la Stazione con elementi per l’esterno. Infatti HTV possiede una stiva non pressurizzata che questa volta contiene oltre 900 kg di attrezzature e ricambi. La capsula costruita dalla Mitsubishi Heavy Industries con la JAXA, è anche l’unico veicolo che attraccando dal lato americano della Stazione può trasportare i moduli rack standard con cui si organizza e si gestisce lo spazio interno della ISS, e questo grazie ai portelli di attracco più grandi.
Un HTV è diviso in tre parti: un modulo pressurizzato che è quello che attracca fisicamente alla Stazione, un modulo non pressurizzato che viene scaricato direttamente dal braccio robotico SSRMS ed un modulo di servizio con tutta l’avionica e i quattro motori principali della capsula, mentre la superficie esterna è coperta da 57 pannelli fotovoltaici e 28 motori di manovra.
HTV 2 contiene ben 8 rack, due dei quali contengono esperimenti per il modulo giapponese Kibo. Il carico totale ammonta a quasi 4 tonnellate di materiali, dei quali 2226 kg per conto della NASA.
La ricercatrice Felisa Wolfe-Simon mentre lavora con dei campioni raccolti nel Mono lake.
I ricercatori Felisa Wolfe-Simon e Ronald Oremland (microbiologo e membro del team del NAI - NASA Astrobiology Institute “Follow the Elements”), nell’estate 2009 mentre esaminano dei sedimenti del Mono Lake.
Lo scorso dicembre la NASA ha annunciato la clamorosa scoperta del batterio estremofilo di cui abbiamo parlato nello scorso numero, mettendo in subbuglio la comunità degli esobiologi.
Prendendo spunto dall’analisi critica di Beatrice Mautino, abbiamo voluto coinvolgere nel dibattito alcuni tra i maggiori esperti italiani chiedendo la loro opinione in merito alla scoperta pubblicata su Science. Ecco le domande che abbiamo rivolto loro.
Indice dei contenuti
1 – Alla luce di quanto annunciato nella conferenza della NASA il 2 dicembre scorso e descritto nell’articolo pubblicato su Science, ritiene che la scoperta del batterio del Mono Lake sia davvero così importante come riportato?
2 – Ritiene appropriata la politica che la NASA sta attuando da qualche tempo in tema di comunicazione scientifica (ricordiamo anche l’annuncio dello scorso novembre sul “giovane” buco nero, notizia, che quasi unanimamente fu ritenuta di un’importanza non proporzionata al clamore con cui venne annunciata)?
Ci hanno risposto (in ordine di arrivo): Roberto Barbieri (geomicrobiologo e micropaleontologo, è ordinario di Paleontologia all’Università di Bologna), Giuseppe Galletta (professore di Astronomia e di Astrobiologia all’Università di Padova), Giorgio Bianciardi (ricercatore presso l’Università degli Studi di Siena), Giovanni Strazzulla (Astronomo ordinario, Direttore dell’Osservatorio Astrofisico di Catania), Amedeo Balbi (astrofisico all’Università di Roma Tor Vergata), Rosanna del Gaudio (professore di Biologia Molecolare presso il Dipartimento di Scienze Biologiche dell’Università Federico II di Napoli), Federica Sgorbissa (Direttrice del magazine OggiScienza di SISSA Medialab).
A LOLA digital elevation map compiled in late 2009 is compared to the Unified Lunar Control Network (ULCN) 2005, a painstakingly constructed map based on the best available data at the time.
Il Lunar Reconnaissance Orbiter, la sonda NASA che sta orbitando la Luna dal giugno 2009, continua a inviare a Terra le più accurate rilevazioni della superficie lunare mai realizzate, con lo scopo di individuare i siti più opportuni per l’insediamento delle future missioni umane.
Questo il commento di Gregory Neumann, del Goddard Space Centre della NASA di Greenbelt, sugli ultimi risultati pubblicati: “Dopo circa un anno di missione dell’LRO abbiamo già 3 miliardi di dati relativi all’altimetria del suolo lunare misurata dal sensore laser LOLA (Lunar Orbiter Laser Altimeter): entro i prossimi due anni avremo una copertura longitudinale praticamente uniforme, con una definizione pari a quella dei GPS terrestri”.
La Reconnaissance ricostruisce il profilo altimetrico della superficie lunare (nel video in alto una mappa digitale del 2009 messa a confronto con dati dell’ULCM del 2005) misurando la differenza tra i tempi di ritorno delle riflessioni subite da singoli impulsi laser, divisi e collimati in cinque raggi distinti ed inviati dal sensore verso il terreno. Confrontando i dati con la rilevazione telemetrica della posizione della sonda è possibile mappare, secondo per secondo, il contorno degli “echi” riflessi dalla superficie, ottenendo una rilevazione topografica bidimensionale, in grado di misurare altitudine e pendio di bordi di crateri, rilievi e spaccature.
Le nuove mappe coprono un’area superficiale più ampia, riducendo gli errori nelle rilevazioni topografiche altimetriche sia orizzontalmente che verticalmente a poche decine di metri, anche nelle regioni di non facile campionatura come i bordi del disco illuminato o ai poli.
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Testo tratto da Coelum n. 145 dove è pubblicato l’articolo completo con altre immagini ad alta risoluzione.
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Alba del 30 gennaio: la Luna sorge circa 4 gradi a sudovest di Venere.
All’alba del 30 gennaio una sottile falce di Luna calante (fase 14%) sorge nello Scorpione 4,3 gradi a sud di Venere (mag. –4,4). Pochi gradi a est è visibile anche la rossa Antares (alfa Scorpii; mag. +1,0), all’incirca alla stessa altezza di Venere.
Vista la bassa altezza sull’orizzonte, consigliamo di effettuare delle riprese a largo campo che coinvolgano oltre ai tre oggetti celesti anche qualche elemento paesaggistico caratterizzante.
All’alba del 29 gennaio una falce lunare calante passa sullo Scorpione nelle vicinanze di Venere e di Antares
All’alba del 29 gennaio una falce lunare calante passa sullo Scorpione nelle vicinanze di Venere e di Antares
La più bella congiunzione del mese di gennaio è quella che avviene all’alba del 29 e 30 gennaio quando una falce di Luna calante transita sullo Scorpione tra Antares e Venere. Alle 6:45 del giorno 29, la Luna transita 11° a ovest di Venere (mag. –4,4) e 3,5° a est di Antares (alfa Scorpii; mag. +1,0), con i tre oggetti posti quasi alla stessa altezza di +19,5° sull’orizzonte.
Il percorso di (596) Scheila da metà gennaio e il 12 febbraio, tra le costellazioni del Leone e Leone minore
Come dimostra questa splendida immagine a colori di Rolando Ligustri, ripresa il 29 dicembre utilizzando in remoto un telescopio situato in New Mexico, anche gli amatori possono seguire l’evoluzione dell’attuale coda cometaria di Scheila, e magari monitorare la sua attività in futuro. Il campo inquadrato è di circa 30' e si trova nel Leone.
Improvvisamente, un altro asteroide si diverte a confondere le idee e le classificazioni degli astronomi mostrando inaspettate caratteristiche cometarie.
L’asteroide (596) Scheila fu scoperto presso l’osservatorio di Heidelberg il 21 febbraio del 1906 dall’astronomo tedesco August Kopff (1882-1960). Kopff gli assegnò il nome di Sheila (nella variante tedesca Scheila), una studentessa inglese che seguiva dei corsi a Heidelberg.
Per quanto finora ci è dato di sapere, la composizione dello sbuffo che sta facendo tanto parlare di questo asteroide sembra sia soprattutto a base di polveri (vedi anche la dichiarazione di Larson nell’intervista pubblicata su Coelum 145) e questo potrebbe mettere in dubbio la classificazione cometaria di Scheila. Solo lo studio spettroscopico potrà confermare che non ci troviamo dinanzi a “normali” polveri diffuse dall’impatto su una superficie asteroidale, ma che al di sotto dell’aspetto asteroidale di 596 Scheila si nasconde la composizione profondamente differente tipica di una cometa.
Il percorso di (596) Scheila da metà gennaio e il 12 febbraio, tra le costellazioni del Leone e Leone minore
Come testimoniano molte immagini disponibili in rete, anche gli amatori possono seguire l’evoluzione dell’attuale coda cometaria di Scheila, e magari monitorare la sua attività in futuro. Ecco quindi una cartina e alcune indicazioni per agevolare il compito di rintracciare l’oggetto.
Verso la metà di febbraio sarà in opposizione nel Leone minore, dove il 10 raggiungerà una distanza dalla Terra di 2,07 UA e la mag. +13,4. Per tutto il periodo risulterà perfettamente fotografabile anche con un modesto equipaggiamento e sarà quindi molto importante il contributo che potrà dare la comunità amatoriale nella sorveglianza dell’attività di questo curioso oggetto.
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Indice dei contenuti
Gli elementi di (596) Scheila
Epoca 23/07/2010
Afelio 3,4103 UA
Perielio 2,4428UA
Semiasse maggiore 2,9265 UA
Eccentricità 0,16529
Periodo orbitale 5,01 anni
Inclinazione 14,662°
Caratteristiche fisiche
Dimensioni 113,34 km (IRAS)
Albedo 0,0379
Mag. apparente ~+11,67/+15,32
Mag. assoluta ~+8,9
Periodo di Rotazione 15,848 ore
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Tabella delle effemeridi di (596) Scheila dal 20 gennaio al 28 febbraio 2011
calcolate per le 00 TL (TU+1) per una località situata a 12° Long. Est e 42° Latit.Nord
Osservato ai raggi X, tutto il cielo appare illuminato. Sebbene lontano da fonti di luce, i raggi X provenienti da oltre la nostra galassia forniscono una luce costante in ogni direzione. Per gli astronomi esiste il sospetto che i principali fautori di questo background cosmico nei raggi X siano i buchi neri avvolti nella polvere al centro di galassie attive. Ma il numero di quelli rilevati non è tale da poterlo comprovare.
Un team internazionale di astronomi, utilizzando i dati del satellite SWIFT della NASA, missione a cui partecipano anche ASI e INAF, hanno però confermato l’esistenza di una popolazione invisibile, almeno in gran parte, di galassie attive con buchi neri le cui emissioni X sono però largamente assorbite che solo una dozzina di queste sono note: la punta dell’iceberg.
“Buchi neri completamente cappati sono tutti intorno a noi”, ha detto Neil Gehrels, il P.I. di Swift al NASA Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland, e co-autore del nuovo studio (in pubblicazione sul numero del 10 febbraio di Astrophysical Journal) “Prima di Swift, apparivano troppo deboli e oscurati perché potessimo individuarli”.
La maggior parte delle grandi galassie contiene un gigantesco buco nero centrale: quelli osservati nello studio di Swift hanno una massa di circa 100 miliardi di volte la massa del sole. In una galassia attiva la materia che cade verso il buco nero supermassiccio produce emissioni di alta energia così intensa che due classi di galassie attive, quasar e blazar, hanno il rango di oggetti più luminosi dell’Universo.
Lo sfondo a raggi X ha portato gli astronomi a sospettare che le galassie attive siano state sottostimate. Gli astronomi infatti non possono mai essere certi neanche di aver rilevato la maggior parte di quelle a noi più vicine, perché le dense nubi di gas e polveri che circondano i buchi neri ne schermano la luce nell’ultravioletto, ottico e raggi X di bassa energia. L’infrarosso può superare questa barriera, ma rischia di essere confuso con la polvere calda che si riscontra nelle regioni di formazione stellare della galassia.
Tuttavia, alcuni dei più energici raggi X prodotti dai buchi neri riescono a penetrare il mantello che lo avvolge, ed è qui che entra in gioco SWIFT.
“Con SWIFT abbiamo quantificato esattamente il numero di galassie attive che si trovano in realtà intorno a noi”, ha detto Marco Ajello dello SLAC National Accelerator Laboratory, di Menlo Park, California, “Il numero è grande ed è in accordo con i modelli, secondo cui i buchi neri sono responsabili della maggior parte del fondo di raggi X”. Se i numeri ipotizzati rimangono coerenti anche a grandi distanze, quando l’universo era più giovane, vorrrà dire che ci sono abbastanza buchi neri supermassicci per tenere conto del fondo cosmico a raggi X.
Quanto ipotizzato si mostra coerente con l’idea che il fondo cosmico a raggi X sia il risultato delle emissioni di buchi neri supermassicci nascosti nelle galassie attive quando l’universo aveva sette miliardi di anni, cioè circa la metà della sua età attuale.
Quello che riusciamo a vedere del buco nero di una galassia attiva dipende dall’angolazione da cui lo osserviamo. Vista di taglio, le dense nubi di polveri e gas che la circondano impediscono alla maggior parte delle radiazioni emesse di raggiungerci ad eccezione di quelle più penetranti.
L'importanza di Le Verrier nella storia dell’astronomia è testimoniata dalla presenza davanti l’entrata dell’osservatorio di Parigi di una statua in bronzo eretta nel 1889.
L'importanza di Le Verrier nella storia dell’astronomia è testimoniata dalla presenza davanti l’entrata dell’osservatorio di Parigi di una statua in bronzo eretta nel 1889.
Urbain Jean Joseph Le Verrier nacque nella cittadina normanna di Saint-Lô l’11 marzo del 1811, esattamente due secoli fa.
Il padre Louis Baptiste, un modesto impiegato del demanio, credeva fermamente nel valore degli studi ed era ambiziosissimo per suo figlio. A 17 anni Urbain fu mandato all’Università di Caen per frequentarvi un corso di matematica della durata di 3 anni; diplomatosi con il massimo dei voti, nel 1831 entrò all’École Polytechnique di Parigi. Qui lavorò con impegno, lasciando l’impressione di uno studente serio ed ingegnoso, forse più dotato di tenacia che non di una naturale inclinazione per la scienza, tanto che durante i suoi anni di università non mostrò alcuna netta preferenza per qualche campo particolare della ricerca.
Dopo la laurea, iniziò la sua carriera di scienziato come chimico sperimentale. Nel 1837 il famoso chimico L. J. Gay-Lussac si trovò a dover scegliere fra due assistenti: Le Verrier e H. V. Regnault. Scelse quest’ultimo, consigliando a Le Verrier di accettare l’offerta di “répétiteur” di astronomia. Con una disinvoltura che può sembrare incredibile, il promettente giovane chimico accettò di cambiare carriera, e si gettò con il consueto impegno nello studio della meccanica celeste che nel 1846 sfociò nella determinazione della posizione del pianeta che poi sarebbe stato chiamato Nettuno.
Nel frattempo si sposò con Marie Lucile Choquet, da cui ebbe tre figli: Louis Paul, Jean Charles e Lucille.
Gli ultimi anni della sua vita furono dedicati alla soluzione del problema dell’avanzamento del perielio di Mercurio che pensava di poter spiegare con l’influenza gravitazionale di “Vulcano”, un ipotetico piccolo pianeta vicinissimo al Sole (vedi su Coelum n. 61 l’articolo “In cerca del pianeta Vulcano”).
Morì a Parigi dopo una lunga e dolorosa malattia il 23 settembre del 1877, proprio nel giorno del 31° anniversario della scoperta del pianeta che gli regalò la gloria immortale.
(testo estratto dalla rubrica di Ivano Dal Prete “Hanc Marginis. Urbain Le Verrier, torti e ragioni di un astronomo tiranno” pubblicata su Coelum n. 145)
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