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Giorno per Giorno con la ISON – 30 novembre

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Ormai è chiaro che la cometa non ha superato indenne il perielio, ma se qualcuno volesse comunque tentare di osservare il cammino di quel che ne è rimasto (ammesso che sia ancora abbastanza luminoso da permetterlo) le immagini di seguito danno una traccia di dove cercarla, e questo è quello che scrivevamo…

“La ISON tornerà a essere osservabile sia la mattina che la sera (sempre che ovviamente non si sia nel frattempo disintegrata e che la sua luminosità si aggiri ancora nei dintorni delle magnitudini negative). Alle 7:00 la cometa, con una coda visibilmente più ridotta a causa del progressivo allontanamento rispetto alla Terra, precederà di pochissimo il sorgere del Sole; così come la sera, alle 17:00, sarà in procinto di seguirlo, sempre adagiata sull’orizzonte”.

Per le effemeridi complete e informazioni più generali vedi anche: La ISON va in scena

Inviate le vostre immagini su gallery@coelum.com

ISON: ci siamo quasi!

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Eccola, mentre si appresta a girare attorno al Sole, alle 19:45 raggiungerà la minima distanza passando a 1 170 000 km dalla superficie per poi riallontanarsi (speriamo) proseguendo il suo viaggio. Nell’immagine di sinistra la vediamo al limite del disco di oscuramento del coronografo LASCO C3, mentre nell’animazione sulla destra il momento in cui entra nel campo del coronografo LASCO C2.

A breve entrerà invece nel campo dell’SDO (Solar Dynamics Observatory). La NASA ha organizzato un Google Hangout con gli scienziati del Centro di Controllo della missione SDO  per seguire in diretta il passaggio della cometa attorno al Sole.

Kepler 2, il ritorno

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Crediti: NASA Ames/W Stenzel

Azzoppato nel maggio scorso dalla perdita d’una seconda ruota di reazione, Kepler, il più straordinario cacciatore di mondi che mai sia stato messo in orbita, potrebbe rientrare in attività grazie a un’idea ardita, tanto facile da descrivere quanto complessa d’attuare: usando come “stampella” la luce del sole.

Crediti: NASA Ames/W Stenzel

Se fosse un veicolo, Kepler sarebbe un triciclo. All’inizio della missione di “ruote” – ruote di reazione, necessarie a mantenere il telecopio correttamente puntato verso il bersaglio – ne aveva quattro. Quella di scorta se l’è giocata nell’estate del 2012, così quando lo scorso maggio ne è andata fuori uso una seconda il gioiello NASA s’è dovuto rassegnare a una sorta di pensionamento anticipato. Ma il bisogno aguzza l’ingegno, si sa. Ecco dunque che i ricercatori dell’agenzia spaziale hanno estratto dal cilindro un’idea in bilico fra genio e disperazione: tentare un gioco d’equilibrismo di quelli che ti tengono con il fiato sospeso, rimettendo in pista il telescopio con due ruote soltanto e affidandosi – per non farlo ruotare alla deriva – all’evanescente forza esercitata dal vento solare.

Per conseguire la stabilità necessaria, la sonda dovrà essere mantenuta orientata in modo quasi parallelo al suo percorso orbitale intorno al Sole: leggermente fuori asse, dunque, rispetto al piano dell’eclittica. Il tal modo K2 – com’è stata battezzata l’eventuale seconda parte della missione – dovrebbe poter mantenere nel suo campo di vista una specifica porzione di cielo per un tempo lungo fino a 83 giorni, trascorsi i quali si renderà necessario ripuntare la sonda per evitare che la luce del Sole finisca nel telescopio.

Il progetto, illustrato dalla spettacolare infografica che vedete qui sopra, è stato portato all’attenzione del quartier generale della NASA in questi giorni. Una decisione è attesa entro la fine dell’anno.

Giorno per Giorno con la ISON – 29 novembre

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ULTIMO AGGIORNAMENTO 27/11


Eccola, ancora tutta intera, entrata nel campo del Coronografo della sonda  SOHO LASCO C3, dove potremo seguire il suo avvicinamento al Sole. Al centro il cerchietto bianco indica le reali dimensioni del Sole, mentre quello blu ne oscura la luminosità per mettere in evidenza le strutture della corona solare. In basso a sinistra giorno e ora (in TU) di acquisizione dell’immagine.

29 novembre Se la cometa sarà sopravvissuta al passaggio ravvicinato con la nostra stella e la radiazione solare sarà stata tale da produrre una lunghissima coda di ioni e polveri, si potrà forse sperare di vedere la cometa praticamente adagiata sull’orizzonte ovest-sudovest; solo alle 16:45 però… dato che, per effetto della rotazione intorno al disco solare, la cometa potrà – eventualmente – essere osservata soltanto la sera, con il tramonto del Sole.

Per le effemeridi complete e informazioni più generali vedi anche: La ISON va in scena

Inviate le vostre immagini su gallery@coelum.com

Continuate a seguire con noi l’evoluzione della ISON attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento su Coelum 175 di novembre ora in edicola e in versione digitale online.

Al Planetario di Ravenna

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30.11, ore 16:30: …un pomeriggio al Planetario ”I favolosi viaggi della cometa” di Marco Garoni (attività adatta a bambini a partire da 6 anni).

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Giorno per Giorno con la ISON – 28 novembre

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ULTIMO AGGIORNAMENTO  28/11

28/11, ore 11:00: Al momento la cometa si sta comportando come una vera e sana sungrazer: ancora intera, con le due code sempre più nette, si avvicina al Sole aumentando come deve la sua luminosità. Nel timelaps qui in alto il cammino delle ultime ore, ripreso  dalla sonda SOHO LASCO C3.

La riga orizzontale, che attraversa la testa della cometa, è in realtà un picco di saturazione, che ci dice che la cometa è troppo luminosa rispetto ai tempi di ripresa standard del sistema, ha quindi  sicuramente raggiunto e superato la magnitudine +0,5.

AGGIORNAMENTO del 27/11


Dopo le notizie non troppo buone del 26 novembre, eccola, ancora tutta intera, entrata nel campo del Coronografo della sonda SOHO LASCO C3, dove potremo seguire il suo avvicinamento al Sole.

Al centro: il cerchietto bianco indica le reali dimensioni del Sole, mentre quello blu ne oscura la luminosità per mettere in evidenza le strutture della corona solare. In basso a sinistra giorno e ora (in TU) di acquisizione dell’immagine.

Quello che si potrà eventualmente osservare la mattina del 28 novembre è mostrato nell’illustrazione qui in alto, che raffigura l’orizzonte est alle 6:30 del mattino, quando il Sole e la testa della cometa saranno ancora depressi di circa –7°. Se avesse tenuto fede alle previsioni, della ISON si sarebbe comunque potuta vedere solo la parte terminale della coda, cosa che non è detto che non possa ancora accadere.

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Qui sopra (cliccare l’immagine per ingrandire) il percorso apparente della ISON il 28 novembre (orientamento equatoriale), la fatidica data del passaggio al perielio. Il sorvolo del punto più vicino della superficie solare avverrà alle 19:42 (ora italiana), per cui, ammesso che si possa seguire l’avvicinamento della cometa al disco solare, il momento del massimo avvicinamento (indicato visivamente dal punto arancione) ci sfuggirà essendo il Sole a quell’ora già sotto l’orizzonte.

Per le effemeridi complete e informazioni più generali vedi anche: La ISON va in scena

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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29.11: “Divertirsi con Einstein: i paradossi della relatività” di Luigi Foschini.

Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Associazione Astrofili Centesi

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29.11: “Biografia dell’universo: quando tutto ebbe origine.” Al telescopio: Giove, Andromeda e il doppio ammasso in Perseo.

Per info: 346.8699254 astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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29.11: ”Le costellazioni invernali”.

Per info: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

A due giorni dal perielio… nuovi problemi per la ISON?

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Il grafico (cliccare sull'immagine per ingrandire) della luminosità stimata della cometa ISON, aggiornato al 24 novembre a cura di Matthew Knight - Fonte www.isoncampaign.org.

Il percorso apparente della ISON il 28 novembre (orientamento equatoriale), la fatidica data del passaggio al perielio. Il sorvolo del punto più vicino della superficie solare avverrà alle 19:42 (ora italiana), per cui, ammesso che si possa seguire l'avvicinamento della cometa al disco solare, il momento del massimo avvicinamento (indicato visivamente dal punto arancione) ci sfuggirà essendo il Sole a quell’ora già sotto l'orizzonte.

Finalmente, dopo un lunghissimo viaggio iniziato nella Nube di Oort, la ISON raggiungerà il 28 novembre il perielio passando a 1 170 000 km dalla superficie del Sole.
Si leggono però online sempre più resoconti che riportano una drastica riduzione dell’emissione molecolare dalla cometa a fronte di un’enorme rilascio di polveri, che indicherebbero possa essere in corso una massiccia frammentazione del nucleo.

Una disgregazione del nucleo è sempre stato, purtroppo, il grosso rischio di questa cometa, perciò se davvero le cose stessero così sarebbe sicuramente uno sfortunato evento, ma non una sorpresa…

Nonostante tutto però l’attenzione dei ricercatori resta alta, la sonda STEREO A della NASA sta riportando immagini straordinarie di entrambe le comete ISON ed ENCKE, e anche le osservazioni e i report degli appassionati diventano informazioni importanti per seguire gli eventi e capire cosa sta accadendo.

E’ la prima volta, infatti, che una “sungrazing” come la ISON viene seguita così dettagliatamente, e con una mole così alta di osservazioni, a pochi giorni dal perielio. Ma soprattutto è la prima volta che gli astronomi hanno a disposizione  una cometa di questo genere “fresca” da Nube di Oort, di cui poter studiare le imprevedibili dinamiche in diretta; studi importanti per gli astronomi, qualsiasi sia il suo destino.

Il grafico (cliccare sull'immagine per ingrandire) della luminosità stimata della cometa ISON, aggiornato al 24 novembre a cura di Matthew Knight - Fonte www.isoncampaign.org.

Pertanto dal CIOC (la Comet ISON Observing Campaign lanciata dalla NASA) arriva l’esortazione a continuare a seguire l’evoluzione della cometa condividendo informazioni e dati, nonostante si tratti ormai di una sfida decisamente estrema, vista la vicinanza al Sole.

Certo l’attuale situazione è critica, ma non possiamo sapere ancora con certezza il destino della ISON, almeno fino a che non raggiungerà e (si spera) passerà al perielio,  anche se tutto porta a pensare che la sua sopravvivenza sia sempre  meno probabile.

Ancora due giorni e lo scopriremo…

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Intanto, per chi non si arrende, ecco quali saranno gli oggetti in cielo per l’alba del giorno del perielio.

Quello che si potrà eventualmente osservare la mattina del 28 novembre è mostrato nell'illustrazione qui in alto, che raffigura l’orizzonte est alle 6:30 del mattino, quando il Sole e la testa della cometa saranno ancora depressi di circa –7°. Se avesse tenuto fede alle previsioni, della ISON si sarebbe comunque potuta vedere solo la parte terminale della coda, cosa che non è detto che non possa ancora accadere.


Per le effemeridi complete e informazioni più generali vedi anche: La ISON va in scena

Inviate le vostre immagini su gallery@coelum.com

Continuate a seguire con noi l’evoluzione della ISON attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento su Coelum 175 di novembre ora in edicola e in versione digitale online.

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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SKYLIVE con UAI Rassegnastampa e cielo del mese – Quarto giovedì del mese a cura di Stefano Capretti.
www.skylive.it
www.uai.it

Congiunzione Mercurio e Saturno

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La mattina del 26 novembre bisognerà alzarsi presto, ma al netto delle solite sfortune meteo ne varrà sicuramente la pena.

A partire dalle 6:30, infatti, alti circa +7° sull’orizzonte di est-sudest saranno visibili Mercurio (mag. –0,7) e Saturno (+0,7) separati soltanto da 23′ nei pressi della stella alfa Librae! Tanto “vicini” che si dovrà attendere il 28 febbraio del 2024 per avere la possibilità di assistere a una congiunzione ancora più stretta.

L’altro motivo per alzarsi così presto è rappresentato dalla presenza nello stesso tratto di cielo di ben due comete, la ISON e la 2P/Encke, anche se ormai vista la vicinanza al perielio della ISON e quindi la luminosità del cielo, risulteranno difficilmente osservabili…

Al Planetario di Ravenna

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27.11: “Ultime dal sistema solare“ di A. Galegati.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Al Planetario di Ravenna

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24.11, ore 10:30: Osservazione del Sole.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Giorno per Giorno con la ISON – dal 24 al 26 novembre

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ULTIMO AGGIORNAMENTO 20/11

Le ultime osservazioni del 19/11 (nel grafico indicate dai pallini blu, cliccare l’immagine per ingrandire) danno la ISON intorno alla 5a magintudine, quindi visibile ad occhio nudo.  Rispetto all’aumento seguito all’outburst del 18 novembre per il momento non sono state segnalate sostanziali modifiche della luminosità, c’è però da tener conto che l’avvicinarsi della cometa al perielio rende sempre più difficile l’osservazione e la ripresa da parte degli appassionati.

(Fonte www.isoncampaign.org – Grafico a cura di Matthew Knight).

24-25-26 novembre A quattro giorni dal perielio le due comete sorgono appaiate dall’orizzonte di est-sudest, separate da soli 1,6° e vicinissime (4°) alla coppia Mercurio-Saturno: orario consigliato, a partire dalle 6:30.

Il 26 novembre i due pianeti saranno alla minima distanza angolare, con le due comete situate 7° più in basso rispetto all’orizzonte. L’elongazione dal Sole sarà però davvero minima, ed è quasi inutile ricordare che la piena osservabilità dell’evento sarà legata alla luminosità delle due comete, nonché alle condizioni di trasparenza del cielo.


Per le effemeridi complete e informazioni più generali vedi anche: La ISON va in scena

Inviate le vostre immagini su gallery@coelum.com

Continuate a seguire con noi l’evoluzione della ISON attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento su Coelum 175 di novembre ora in edicola e in versione digitale online.

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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22.11: “Alla ricerca di una nuova Terra: viaggio tra gli esopianeti scoperti” di Paolo D’Avanzo.

Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Al Planetario di Ravenna

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22.11: Osservazione della volta stellata.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

BARI INCONTRA L’UNIVERSO La scienza si racconta

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22.11, ore 11:00: presso i Licei Einstein-Leonardo da Vinci a Molfetta (Ba).

info@saitpuglia.i
www.saitpuglia.it

BARI INCONTRA L’UNIVERSO La scienza si racconta

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22.11, ore 16:00: presso il Liceo Scientifico G. Salvemini di Bari.

info@saitpuglia.i
www.saitpuglia.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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22.11: ”Invito al firmamento“.

Per info: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Gruppo Amici del Cielo

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22.11: “Lampi di Raggi Gamma: colossali catastrofi cosmiche” di Mauro Merzaghi.

Per info e iscrizioni: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Osservatorio Astronomico di Roma – INAF

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22 e 29.11, ore 19:00: AstroKids “Costruiamo la cometa“. Si consiglia la partecipazione a bambini di età superiore ai 5 anni e di portare indumenti adatti a proteggersi dall’umidità durante l’osservazione con i telescopi. Posti limitati, prenotazione obbligatoria.

Info: Tel. 06 94286427 – diva@oa-roma.inaf.it
www.oa-roma.inaf.it

Maven in volo verso Marte

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Photo Credit: NASA/Bill Ingalls

E’ partita puntuale la sonda Maven della NASA diretta verso il pianeta Marte, alla quale il via libera definitivo al lancio è stato dato solo venerdì scorso dall’ente spaziale americano. Il razzo Atlas V è decollato alle ore 19:28 (ora italiana, 13.28 in Florida) del 18 novembre da Cape Canaveral e porterà fin sull’orbita marziana il prossimo settembre la nuova sonda spaziale, che avrà il compito di studiare l’atmosfera e il clima avvenuto sul Pianeta rosso.

La sonda cercherà di scoprire perché una buona parte dell’atmosfera di Marte è volata via in tempi remoti innescando un drastico cambiamento climatico: un pianeta secco ed arido dove un tempo c’era acqua e umidità. L’analisi dei dati raccolti potranno fornire informazioni sul livello di abitabilità del pianeta.

Crediti: Ken Kremer/kenkremer.com

Nel corso del primo anno MAVEN svolgerà la sua missione primaria, lo studio della parte alta dell’atmosfera marziana a tutte le latitudini, ad altezze variabili tra 150 e circa 6.000 chilometri. Scenderà in alcuni casi fino a 125 chilometri sopra la superficie, al limite inferiore dello strato più alto d’atmosfera.

La missione dovrebbe durare circa un anno. Maven, che sta per Mars Atmosphere and Volatile Evolution, è costata 671 milioni di dollari.

BARI INCONTRA L’UNIVERSO La scienza si racconta

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21.11, ore 16:00: presso il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci a Fasano (Br).

info@saitpuglia.i
www.saitpuglia.it

Al Planetario di Ravenna

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19.11: “Viaggio dentro le stelle“ di O. Spazzoli.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Buone notizie dalla ISON?

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Cometa C/2012 S1 ISON, fotografata da Michael Jäger, dall'Austria, il 12 Novembre 2013. Credit: Michael Jäger

Cometa C/2012 S1 ISON, fotografata da Michael Jäger, dall'Austria, il 12 Novembre 2013. Credit: Michael Jäger

Curva di luce prevista per la cometa ISON, aggiornata al 12 Novembre. Credit: Matthew Knight/ISONcampaing.org

Si avvicina il momento di massima visibilità per la cometa più attesa degli ultimi anni!

La ISON sta diventando sempre più luminosa ed è adesso visibile anche con binocoli. Una novità importante arriva dall’astronomo Emmanual Jehin, dell’Università di Liegi, Belgio, che ha annunciato di aver osservato i segni di un’outburst nella cometa ISON, che avrebbe portato ad una produzione di gas (H2O, CO2, etc) fino al doppio maggiore rispetto al giorno prima, ma potrebbe anche essere un brutto segno, un indizio del fatto che la cometa si starebbe disintegrando.

Di sicuro però sono numerosi gli annunci di un aumento della visibilità di almeno una magnitudine negli ultimi giorni.

Animazione della cometa ISON vista il 12 Novembre 2013 da Breil-sur-Roya, Sud-Est della Francia. Credit: Vincent Jacques

Aumento che ha permesso agli astrofotografi di riprendere strutture incredibilmente dettagliate della coda della cometa e del modo in cui si sta evolvendo. Non è ancora possibile prevedere esattamente fino a che picco di luminosità potrà arrivare, ma per il momento  sembra nuovamente promettere bene.

Cometa ISON fotografata il 13 Novembre 2013 da Willard, Ohio, USA. Credit: Jeff Adkins & Terry Lutz

Struttura della Cometa ISON fotografata il 14 Novembre 2013 da Chap Him Wong, sopra Urumqi, in Cina. Credit: Chap Him Wong/XingMing Observatory

E’ anche vero però che la notizia dell’outburst potrebbe non essere una buona notizia. Il nucleo potrebbe essersi frammentato, oppure potrebbe essersi creata una frattura nella superficie che avrebbe portato al rilascio rapido di contenuti volatili. Se così fosse, la cometa dovrebbe aumentare tantissimo in luminosità entro pochi giorni, con una chioma polverosa sempre maggiore intorno a se, per poi velocemente impallidire.

Non è ancora detto ovviamente, anche in altre comete sono stati osservati outburst simili che non avuto però alcuna conseguenza distruttiva.

Non resta che attendere.

Fonti:

www.isoncampaign.org

http://groups.yahoo.com/neo/groups/comets-ml/conversations/messages/22314

http://spaceweathergallery.com/

Per seguire la ISON:

Giorno per Giorno con la ISON – 18/21 novembre

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AGGIORNAMENTO al 19/11: Le ultime osservazioni (nel grafico indicate dai pallini blu) danno la ISON attorno alla 5a magintudine, quindi visibile ad occhio nudo. Cliccare l'immagine per ingrandire (Fonte www.isoncampaign.org - Grafico a cura di Matthew Knight).

18 novembre Ed eccoci al primo evento realmente significativo. Verso le 5:00 del mattino, la ISON apparirà alta circa +6° e in congiunzione stretta con Spica (alfa Virginis; mag. +1,0). Il nucleo della cometa si troverà infatti 25′ a est della stella.
Un’ora dopo ci sarà forse la possibilità di assistere a uno spettacolo davvero straordinario: circa 12° a est della ISON apparirà nel cielo del crepuscolo un’altra cometa, la 2P/Encke! Alta alle 6:00 circa +5°, sarà più o meno facilmente identificabile (dipenderà dalla sua magnitudine, che in quel periodo potrebbe addirittura rivaleggiare con quella della ISON) 1,4° a sudovest di Mercurio!
Potrebbe trattarsi di un evento memorabile, e sarebbe davvero un peccato mancarlo.

21 novembre Prosegue lo spettacolo delle due comete che viaggiano di conserva a pochi gradi l’una dall’altra, in uno scenario arricchito dalla presenza di Mercurio (mag. –0,6), Saturno (mag. +0,6) e da quella di Zuben el Genubi, la stella alfa della Libra (+2,8).
L’orario consigliato per tentare la non facile osservazione è quello delle 6:15. La finestra temporale di visibilità è davvero molto stretta: pochi minuti dopo il cielo potrebbe essere troppo chiaro e pochi minuti prima la Encke troppo bassa e persa nella foschia…

Inviate le vostre immagini su gallery@coelum.com

Per informazioni più generali vedi anche: La ISON va in scena

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L’esotico oggetto ai confini del Sistema solare

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Qualcosa di strano vaga alla periferia del Sistema solare. Il suo nome è 2002 UX25 ed è un KBO (Kuiper Belt Object), un oggetto celeste del diametro di circa 650 chilometri, come molti altri  in quella regione che si estende oltre orbita di Nettuno che prende il nome di Fascia di Kuiper. Cos’ha dunque di così strano 2002 UX25? La sua densità, che è minore di quella dell’acqua pura. Se riuscissimo ad adagiare questo grande sasso spaziale in una enorme vasca piena d’acqua, questo riuscirebbe a galleggiare. A scoprire la sorprendente caratteristica che rende 2002 UX25 il più grande oggetto solido del Sistema Solare con una densità così bassa è stato Mike Brown, planetologo del California Institute of Technology di Pasadena, il cui articolo è stato accettato per la pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.
Un oggetto di simili dimensioni e così leggero porta un certo scompiglio nell’attuale classificazione dei KBO. Infatti, quelli con un diametro minore di 350 chilometri hanno tipicamente densità inferiori a quella dell’acqua mentre quelli con diametri maggiori di 800 chilometri presentano densità maggiori. Vero è che 2002 UX25 si pone proprio nella terra di mezzo tra le due categorie, ma il fatto che la sua densità sia di ben il 18 per cento più bassa di quella dell’acqua solleva comunque molte domande sui processi di formazione degli oggetti di questo tipo che popolano il Sistema solare esterno.

Domande, queste e molte altre, a cui i planetologi cercheranno di dare risposte con le missioni presenti e future dedicate allo studio dei corpi celesti più remoti del nostro sistema planetario. La sonda New Horizons della NASA è nel pieno del suo lungo viaggio verso Plutone, che raggiungerà nel 2015. Seppure ‘declassato’ a pianeta nano, Plutone continua a sorprendere gli scienziati. Come nel luglio dello scorso anno, quando le immagini del telescopio spaziale Hubble permisero di scoprire la sua quinta luna, dal diametro di appena una ventina di chilometri, recentemente battezzata Stige dalla International Astronomical Union.

L’interesse per questa zona del Sistema Solare è alto anche in Europa. ODINUS (Origins, Dynamics and Interiors of Neptunian and Uranian Systems) dedicata allo studio di Urano e Nettuno è tra i candidati per la seconda delle missioni di classe L previste dal piano Cosmic Vision 2015-2025 dell’Agenzia Spaziale europea (la prima è stata già assegnata alla missione JUICE verso Giove e le sue lune) e vede una importante partecipazione di personale dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell’INAF. A breve dovrebbe arrivare la decisione ufficiale dell’ESA che potrebbe sancirne l’approvazione definitiva.

Eravamo noi, Venere, Marte e Saturno

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L’immagine ha una risoluzione di 9000 x 3500 pixel. Per apprezzarla in tutto il suo splendore, puntino blu della Terra compreso, cliccatela con il tasto destro del mouse e scaricatela (o apritela in una nuova finestra). Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI

Vi ricordate cosa stavate facendo la sera di venerdì 19 luglio? Se mai siete fra coloro che avevano accolto l’invito della NASA – “sorridete a Saturno che Cassini vi scatta una foto” – allora ci siete anche voi, in quest’immagine emozionante appena presentata al Newseum di Washington. Straordinaria per il soggetto, certo: per la prima volta Saturno, le sue lune e i suoi anelli sono visibili insieme a Venere, a Marte e alla Terra. Ma ancor più per il suo realismo. Non c’è alcun falso colore, qui, è tutto al naturale. La vista è esattamente quella della quale avremmo potuto godere con i nostri occhi se ci fossimo trovati al posto della sonda Cassini:

L’immagine ha una risoluzione di 9000 x 3500 pixel. Per apprezzarla in tutto il suo splendore, puntino blu della Terra compreso, cliccatela con il tasto destro del mouse e scaricatela (o apritela in una nuova finestra). Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI

Da sinistra a destra, in piedi al di là degli anelli, intravediamo il debole puntino rosso del volto di Marte. Sempre in alto, ma più luminoso, ecco Venere. E lì accovacciati in basso a destra – un brillante punto blu – ci siamo noi. In primo piano Saturno, i suoi anelli e sette delle sue Lune, fra le quali Encelado (sul lato sinistro dell’immagine), che zoommata al massimo – ma cliccate con cautela: sono oltre 90MB… – mostra persino i caratteristici pennacchi di ghiaccio sull’emisfero meridionale.

«Una vista magnifica, con la quale Cassini ci ha regalato un universo di meraviglie», dice Carolyn Porco, responsabile dell’imaging team di Cassini presso lo Space Science Institute di Boulder, in Colorado. «E lo ha fatto nel giorno in cui persone da tutto il mondo, all’unisono, stavano sorridendo per celebrare la gioia di ritrovarsi a vivere su un pallido puntino blu».

Colori naturali, certo, ma per mettere assieme il mosaico la squadra di Cassini ha dovuto lavorare sodo: 141 i tasselli grandangolari da combinare per restituire l’intero panorama. Ancor più complesso, poi, è stato decidere la posa, o meglio scegliere il momento giusto per lo scatto. Com’è facile notare, infatti, c’è un grande assente in quest’immagine: il Sole. E non è un caso: la sua luce è troppo intensa, e se mai finisse nell’inquadratura potrebbe rovinare i sensibilissimi rivelatori a bordo della sonda NASA. Il 19 luglio scorso, però, s’è presentata un’opportunità unica: il Sole, in quel momento, si trovava rispetto alla sonda esattamente dietro a Saturno, che è dunque stato sfruttato come schermo naturale. Un’opportunità rara che il team di Cassini non s’è lasciato sfuggire, e nella quale ha voluto coinvolgere – con l’invito a sorridere verso la sonda – tutti gli abitanti della Terra.

Nell’immagine qui sotto, il mosaico dei volti inviati alla NASA per la campagna “Wave at Saturn” (cliccare per ingrandire):

Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI

Replica di A. Cappi a: In difesa delle cosmologie alternative

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> Torna all’INTRODUZIONE

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Replica a: In difesa delle cosmologie alternative

di Alberto Cappi

Caro Sig. Bolognesi,

nei miei articoli ho cercato di presentare la questione dei redshift anomali in modo critico ma con rispetto verso le persone coinvolte nel dibattito. Constato con rammarico (ma non con sorpresa, avendo avuto occasione di leggere altri suoi interventi) che nella sua lettera mi attacca personalmente senza dare alcuna seria risposta alle obiezioni di fondo sulle tesi di Arp.

Il problema è che Arp si limita ad insistere sui casi di oggetti prospetticamente vicini ma con redshift diverso, senza apportare nuovi elementi che possano dimostrarne la reale prossimità spaziale; ciononostante Arp pretende che questi casi siano non solo la prova indiscutibile di una componente non cosmologica del redshift ma anche, con una ingiustificata generalizzazione, che provino la falsità dell’intera cosmologia moderna. Sulla base di questa convinzione a priori, Arp rifiuta le numerose prove indipendenti che confermano il legame fra redshift e distanza e che sono del tutto incompatibili con l’universo statico da lui propugnato. Di conseguenza l’inevitabile scetticismo della comunità scientifica è visto da Arp come una manifestazione di ottusità e di dogmatismo da parte dell'”Accademia”.

Non facendomi ovviamente alcuna illusione sulla possibilità di convincerla, le darò comunque soddisfazione rispondendo estesamente alle sue critiche, per rispetto verso i lettori di Coelum e per ristabilire la verità sui fatti da lei contestati, con l’impegno a non replicare più in futuro alle sue invettive.

> …se bastasse un bigino per archiviare in tre puntate (Coelum 171, 172, 173) una controversia che ha impegnato per tutta la vita astronomi del calibro di Eleanor Margaret Burbidge, Geoffrey Burbidge e Halton Arp, allora le sue osservazioni in Alta Provenza sarebbero sulla bocca di tutti.

1 Per un dettagliato esame critico dei lavori di Arp il lettore che legga il francese può consultare il sito astrosurf che riporta l’analisi dell’astrofisico David Latham.

2 Cappi A., Benoist C., da Costa L.N., Maurogordato S., 2003, Nature and Environment of Very Luminous Galaxies, Astronomy & Asttrophysics 408, 905.

Per fortuna i Burbidge così come Hoyle, al contrario di Arp, non hanno dedicato l’intera loro carriera astronomica a cercare redshift anomali: hanno invece realizzato lavori molto importanti alcuni dei quali hanno contribuito, al di là delle loro intenzioni, al successo della teoria del Big Bang. Arp, invece, dopo aver compilato il suo catalogo, si è fossilizzato sui casi anomali, radicalizzando la sua interpretazione e forzando i dati con una metodologia discutibile 1.

Trovo poi curioso come, di fronte a tanti elementi di discussione, lei dedichi una tale attenzione (si veda più avanti) al mio aneddoto sulle osservazioni in Alta Provenza, raccontato alla fine del mio primo articolo: si figuri che ho pubblicato quelle osservazioni di Arp 127 in appendice ad un mio lavoro scientifico che tratta di tutt’altro 2: infatti la misura di redshift simili in galassie interagenti è un fatto banale.

> Ma se “i lettori alle prime armi” a cui lei si rivolge desiderano farsi un’opinione meno angusta e più rispettabile delle interpretazioni cosmologiche alternative, possono andarsi a cercare nel web la “Open Letter to the Scientific Community” apparsa sul New Scientist del 22 aprile 2004 per trovarvi, con le motivazioni, anche un gran numero di nomi sorprendenti.

L’opinione da lei considerata “angusta” e poco “rispettabile”, contrapposta retoricamente a quella di “nomi sorprendenti”, è condivisa dalla quasi totalità della comunità scientifica esperta su questi argomenti. Per smentire l’isolamento di Arp lei cita l’Open Letter firmata da un eterogeneo gruppo di scienziati, ingegneri e cittadini. Si tratta in realtà di un manifesto che non sostiene le idee di Arp, ma è unicamente una critica alla teoria dominante del Big Bang: questo è l’unico elemento che accomuna i firmatari. Tra costoro si trovano anche alcuni astrofisici, la cui specializzazione non è però la cosmologia, tranne pochissime eccezioni: le più illustri sono quelle di Hermann Bondi e Thomas Gold, non a caso i padri insieme ad Hoyle della teoria dello stato stazionario, teoria nella quale, al contrario delle convinzioni di Arp, l’universo non è statico.

Quanto alle generiche critiche alla teoria del Big Bang espresse da quella lettera, a me paiono del tutto infondate, ma non voglio dilungarmi su questo punto. Chi vuole può leggere a questo proposito il commento del fisico teorico e cosmologo americano Sean Carroll nel suo blog.

> Se poi non temono lo choc culturale, possono leggere le ultime esternazioni di Margherita Hack (“Il perchè non lo so”, Sperling & Kupfer, 2013) in cui la nostra scienziata, dopo sessant’anni di articoli, libri e conferenze a sostegno del Big Bang, si consegna a un universo infinito nel tempo e nello spazio, “che sempre è esistito e sempre esisterà”.

Non è vero: qui lei travisa (al pari di qualche giornalista) quelle che lei definisce le “ultime esternazioni di Margherita Hack”. Margherita Hack non ha mai negato la validità del Big Bang e non si è convertita all’ultimo momento. Il lettore può verificare ciò che intendeva dire con “universo infinito nel tempo e nello spazio” guardando una sua recente intervista sul sito dell’Istituto Nazionale di Astrofisica dove risulta chiaro che per la Hack il Big Bang non è stato un evento unico e ciò che consideriamo l’universo non è rappresentativo della totalità. Su questo come ho scritto nel mio articolo, io stesso, come peraltro la maggior parte dei cosmologi, condivido la stessa opinione.

Ciò che comunque colpisce fin dall’inizio della sua lettera, sig. Bolognesi, è il ricorso al principio di autorità: lei antepone alle argomentazioni i nomi dei suoi novelli Galileo, mentre ignora la quasi totalità di coloro che sono di parere opposto tra i quali ci sono menti molto brillanti (come James Peebles, Martin Rees, Stephen Hawking, e via dicendo) e vari premi Nobel per scoperte legate alla teoria del Big Bang o alla relatività generale. Il fatto è che i nomi sono irrilevanti e non possono sostituire le argomentazioni scientifiche: è invece fondamentale l’esame obiettivo delle teorie, ciò che sono in grado di predire quantitativamente e quanto sono in accordo con gli esperimenti e le osservazioni.

> Lei non avrebbe mai dovuto trattare in modo così sommario e superficiale alcuni dei più noti (e non risolti) casi di redshift discorde.

Caro sig. Bolognesi, la prego di non venirmi a dire che cosa devo o non devo fare: nonostante lei mi accusi di pressapochismo e di superficialità, ritengo di aver trattato onestamente questi casi in limiti ragionevoli di spazio. Non potevo purtroppo addentrarmi in un discorso più tecnico e dettagliato, che mi avrebbe permesso fra l’altro di mettere molto meglio in evidenza l’insostenibilità delle tesi di Arp. Ritengo comunque che la mia trattazione sintetica, anche se non di suo gradimento, abbia dato al lettore gli elementi di base per farsi un’idea del dibattito.

> Quando, eludendo anche la sintassi, afferma che “il Quintetto di Stephan è un caso risolto e che non c’è in questo caso alcun redshift anomalo”, proprio i lettori alle prime armi meriterebbero di capire perchè è così facile spiegare discordanze di 1000 km/s (NGC 7318 A e B, NGC 7320 C) e così difficile accettarne dell’ordine di 5000 km/s (NGC 7320).

Lei ricorre ad una facile retorica prima per mettere in cattiva luce il suo interlocutore, in questo caso per un “che” di troppo dimenticato in una frase; poi parla di differenze di velocità senza associarle alle rispettive misure, rendendo dunque incomprensibile il ragionamento.

Nel mio articolo spiegavo al lettore di Coelum, magari alle prime armi, ma senz’altro intelligente, che se ho un gruppo con redshift pari a 6700 km/s, una galassia vista prospetticamente accanto ad esso e con un redshift di 5700 può ancora appartenere al gruppo, ma non una galassia con un redshift di 800 km/s (si troverebbe ad una distanza 8 volte inferiore e più vicino a noi che non alle altre galassie del Quintetto!). In più, come ho scritto nell’articolo, negli ammassi le differenze di velocità tipiche sono di 1000 km/s.

Avrei potuto aggiungere che l’errore di misura di queste velocità è attorno ai 100 km/s, ed avrei potuto discutere delle separazioni fisiche, delle velocità peculiari, della velocità massima che una galassia può avere per essere legata gravitazionalmente ad un gruppo, e via dicendo: poiché però non stavo scrivendo un trattato, ho selezionato ciò che potesse dare al lettore un’idea del problema senza essere sommerso e confuso da una marea di informazioni. I lettori di Coelum possono naturalmente sempre chiedermi dei chiarimenti, ai quali risponderò volentieri.

> …è scandaloso che non trovi nemmeno una menzione il quasar con z=2.11 scoperto in prossimità del nucleo di NGC 7319 (ApJ, 620, 2005), né il filamento luminoso in Ha con redshift equivalente a 6500 km/s che si staglia senza troncature sul disco di NGC 7320 (785 km/s).

3 Galianni P., et al. 2005, The Discovery of a High-Redshift X-Ray-Emitting QSO Very Close to the Nucleus of NGC 7319, 2005, the Astrophysical Journal 620, 88.

Dopo il pressapochismo e la superficialità, siamo ora allo scandalo. Le garantisco che le omissioni non sono state fatte per censura: è ben più grande il numero di articoli che non ho citato e le cui conclusioni confermano l’interpretazione standard. L’articolo3 sul quasar a z=2.11, cofirmato da due ricercatori italiani e dai Burbidge, è un altro caso di associazione prospettica fra quasar e galassia, in questo caso molto stretta. Gli autori forzano l’interpretazione ma non apportano elementi conclusivi: ad esempio, si osservano righe di assorbimento dovute alla galassia nello spettro del quasar, e non il contrario: dunque si può affermare che il quasar non sta davanti alla galassia (gli autori suggeriscono che si trovi nella galassia, ma ovviamente può essere molto più lontano, come vuole l’interpretazione standard).

E questa è una delle obiezioni che non ho menzionato nei miei articoli: esistono ormai numerose osservazioni e analisi di spettri di quasar nei quali si studiano le righe di assorbimento del gas di galassie poste lungo la linea di vista fra noi e il quasar: queste righe di assorbimento sono sempre spostate verso il blu rispetto alle righe del quasar, ovvero hanno un redshift più basso: e questa è una prova diretta che gas e galassie con redshift più basso sono anche più vicine, mentre i quasar sono molto più lontani.

4 Gutiérrez C.M., López-Corredoira M., Prada F., Eliche M.C., 2002, New Light and Shadows on Stephan’s Quintet, The Astrophysical Journal 579, 592.

Per quanto riguarda l’articolo di Gutierrez et al. 20024, la sua conclusione è la seguente:

Ciò è in accordo con lo scenario standard nel quale la prossimità apparente di NGC7320 al resto delle galassie del Quintetto è puramente un effetto di proiezione. Il solo punto non chiaro in questa interpretazione è un filamento Halpha che appare estendersi attraverso NGC7320 con una velocità di 6500 km/s invece degli 800 km/s attesi per questa galassia.

Converrà che si tratta di affermazioni non propriamente rivoluzionarie. Fra l’altro, visto che secondo Arp il redshift varia diminuendo col tempo, ci si dovrebbe aspettare una variazione progressiva del redshift lungo il filamento, mentre gli stessi Gutierrez et al. affermano di non osservare nulla del genere.

Già che ci siamo, nel mio articolo ho omesso un’ulteriore evidenza diretta della maggiore vicinanza a noi di NGC 7320 rispetto alle altre galassie del Quintetto di Stephan. In una bellissima immagine del telescopio spaziale, NGC 7320 è parzialmente “risolta” in stelle, mentre le altre galassie del Quintetto rimangono “nebulose”: il che conferma che NGC 7320 è molto più vicina delle altre galassie del Quintetto.

Il punto conclusivo è comunque che la distanza di NGC 7320, a V=800 km/s, è stata misurata indipendentemente dal suo redshift, e vale circa 15,7 ± 2 Mpc. Quella di NGC 7319, a V=6747 km/s, è di 77 ± 11 Mpc (i dati sono disponibili su ADS). NGC 7320 non fa dunque parte del Quintetto di Stephan ma è molto più vicina, e il discorso è chiuso. Mi rendo ben conto che Arp continua a tenerlo aperto sostenendo che le galassie sembrano essere lontane, ma non lo sono in realtà, e di questo discuto più avanti.

> […] mi limiterò a una foto che compare a pag.21 del numero 171 che merita assolutamente una precisazione. Vi sono mostrate con altri oggetti le due galassie NGC 191 e IC 1563 che sono note da molto tempo per avere all’incirca lo stesso redshift z=0.020.

Quanto lei afferma non è vero: le due galassie sono note avere lo stesso redshift solo da quando nel 2003 ho pubblicato la mia misura di IC 1563 (poco tempo dopo confermata da quella ottenuta nella Sloan Digital Sky Survey); il redshift di NGC 191 era già noto, ma l’ho rimisurato con migliore precisione. Prima di allora, a IC 1563 veniva attribuito un redshift molto più elevato di quello di NGC 191 (basta seguire la letteratura tramite ADS e NED), ma le due galassie apparivano in interazione. Quando, compilando un catalogo di galassie luminose, mi sono imbattuto in questo sistema, mi sono reso conto che si trattava di un caso anomalo, analogo a quelli evidenziati da Arp e, anziché ignorarlo come si sarebbe potuto aspettare da un astronomo che lei ritiene senz’altro “ortodosso” e difensore dell'”Accademia”, sono stato curioso di osservarlo.

> Se presumo che sia lei l’autore di questa didascalia, devo domandarle di che parla e a quale “letteratura” fa riferimento.

Capisco che vorrebbe farmi passare per millantatore, ma “se presume” che io sia l’autore della didascalia, ebbene si sbaglia. La didascalia non è opera mia ma della redazione, la quale, vedendo che si trattava di redshift discordanti e di un oggetto del catalogo di Arp, ha comprensibilmente ritenuto che fosse un sistema da lui classificato come anomalo: è mia naturalmente la responsabilità nel non aver verificato le didascalie in fase di bozze, e di ciò mi scuso. Il mio testo è comunque chiaro e privo di equivoci. Quanto al terzo oggetto, che non dubitavo lei avrebbe notato, è molto più debole delle altre due galassie, con una magnitudine di 18.26, e non ho potuto purtroppo osservarlo. Siccome le misure precedenti attribuivano il redshift di 13652 km/s a IC 1563 ma riportavano coordinate compatibili con il terzo oggetto, ho suggerito che ad esso fossero da attribuire i 13652 km/s. A questo proposito, nella versione iniziale del mio articolo su Coelum, riportavo quanto avevo scritto nel 2003: “anche questo può essere considerato un redshift potenzialmente discrepante: ma se l’interazione fra IC 1563 e NGC 0191 appariva evidente, questo terzo oggetto appare di fondo (potrebbe trattarsi di un membro alla periferia dell’ammasso Abell 85).”, frase che poi, insieme ad altre, è stata tagliata dalla redazione in fase di bozze per ragioni di spazio (e non per censura).

> […] il suo “prontuario” contro le interpretazioni alternative sta diventando sempre più contraddittorio!

Il suo repertorio di artifici retorici, con tanto di virgolette, punti esclamativi e sarcasmo, non può sostituire le argomentazioni scientifiche. Ovviamente quando si esaminano uno ad uno i casi di redshift anomalo sembra che siano sorprendenti e inspiegabili. Come ho già notato su Coelum, spiegato un caso se ne tira fuori un altro, e il lettore si chiede com’è possibile che siano tutte coincidenze. Ebbene, in questo modo ci si dimentica che nella maggior parte degli altri casi non c’è alcun redshift anomalo, e che ci deve essere una percentuale di oggetti visti vicini in proiezione ma a distanze diverse, proprio come capita quando si guardano gli alberi di una foresta. Andando a magnitudini sempre più deboli il numero di galassie per grado quadrato cresce enormemente, e così anche i casi di oggetti che appaiono vicini nel cielo ma si trovano a distanze molto diverse. L’unico modo per dirimere la questione sono le misure di distanza indipendenti dal redshift e le analisi statistiche su campioni ben definiti: quelle effettuate finora e citate nei miei articoli su Coelum mostrano che le distanze misurate sono compatibili col redshift e che il numero di redshift anomali osservati è compatibile con quello che ci si aspetta da proiezioni casuali.

> E quando fraseggia “che si limita a togliere qualsiasi significato alle argomentazioni di Arp cominciando col dire che la distanza cosmologica degli ammassi di Abell è del tutto corrispondente al redshift delle componenti” (Coelum 172 pag.23), o gli scostamenti che si riscontrano sono reali o lei parla a casaccio.

Non mi è chiaro a quali “scostamenti” fa qui riferimento. Se allude alle dispersioni di velocità delle galassie che si muovono negli ammassi, ne ho discusso su Coelum a proposito dell’ammasso della Vergine. Una conseguenza elementare delle leggi di Newton è che le galassie non possono starsene ferme nella buca di potenziale gravitazionale di un ammasso, e devono muoversi ad alta velocità (in condizioni di equilibrio, la dispersione delle velocità è proporzionale alla radice quadrata della massa). La componente radiale di questo moto delle galassie si combina con il redshift cosmologico “allungandone” la forma nello spazio dei redshift, con una deviazione tipica di 1000 km/s. Le masse degli ammassi dedotte dalla velocità delle galassie sono globalmente in accordo, entro gli errori di misura, con le osservazioni indipendenti nella banda X e con gli effetti osservati di lente gravitazionale.

Se invece parla di scostamenti nelle misure di distanza, anche queste sono in accordo entro gli errori di misura nella letteratura di cui sono a conoscenza.

Per quanto rigarda il modo nel quale lei si rivolge a me, le faccio notare, sig. Bolognesi, che nei miei articoli ho esposto pacatamente ragioni e argomentazioni serie a beneficio dei lettori di Coelum sulle quali lei può manifestare il suo dissenso, ma rispettando il suo interlocutore: in questo caso, in particolare, lei si sta rivolgendo ad una persona che ha quasi 25 anni di esperienza nello studio della distribuzione delle galassie e delle proprietà degli amassi di galassie, che ha osservato e analizzato dati ottenuti ai più grandi telescopi al mondo e che è autore e coautore di numerose pubblicazioni con referee sulle principali riviste internazionali.

Lei mi accusa pertanto di fraseggiare o parlare a casaccio su argomenti che conosco perfettamente. La invito piuttosto a verificare in modo più sereno e più approfondito la solidità delle sue affermazioni, non limitandosi possibilmente nelle sue letture ai libri e agli articoli di Arp e a qualche lettura divulgativa.

Ad esempio, lei ha recentemente pubblicato un intervento sul sito di Umberto Barocci, professore universitario in pensione che promuove teorie “eretiche”, annunciando la presenza di galassie con grandi blueshift (anche di decine di migliaia di chilometri al secondo) nel database della NASA, il che rivelerebbe l’erroneità della cosmologia standard (ma, a dire il vero, anche di quella di Arp). Se avesse discusso prima con qualche astronomo, avrebbe appreso che questi blueshift elevati sono banali errori di misura. Infatti nei grandi progetti come la Sloan Digital Sky Survey le misure di redshift sono ormai fatte da algoritmi automatici: su un milione di redshift misurati, se la percentuale di errore fosse di appena l’1%, ci si aspetterebbero ben 10000 misure sbagliate! I motivi sono molteplici: coordinate sbagliate, tracce di raggi cosmici, fondo cielo mal sottratto, errata identificazione delle righe spettrali. Conosco bene questo tipo di problemi avendo io stesso misurato migliaia di redshift, con e senza algoritmi automatici. Se non ci crede, le ricordo poi che questi sono dati pubblici, chiunque può verificarli: la invito pertanto a recuperare immagini e spettri dal sito della Sloan Digital Sky Survey (io l’ho fatto per alcuni casi) e ad analizzarli: ne potrà trarre le dovute conclusioni.

> E’ del tutto ovvio che il redshift degli ammassi equivale a una distanza solo se la loro distanza corrisponde ai redshift che si rilevano, ma perfino i più inflessibili paladini della legge di Hubble ammettono qui deviazioni dell’ordine di 30000 km/s!! La conclusione evidente è che sebbene gli ammassi con galassie meno luminose tendono ad avere redshift più alti, non c’è l’ombra di una relazione di proporzionalità redshift-magnitudine apparente che possa legittimare un rapporto lineare con la distanza stessa di quegli ammassi (“Seeing Red”, H. Arp, pag.198).

Lasciando perdere gli ignoti paladini cui fa riferimento, di nuovo non capisco a che cosa lei si riferisca: non ha comunque senso parlare di uno scostamento di 30.000 chilometri al secondo in assoluto. Generalmente gli errori di misura aumentano con la distanza: un errore di 30000 km/s sarebbe senz’altro catastrofico se riguardasse il vicino ammasso della Vergine, ma rappresenterebbe solo un errore del 10% se riferito ad un ammasso ad un redshift z=1. Ciò che conta è se la relazione redshift-distanza è in accordo con i dati tenendo conto dell’errore: e questo è il caso.

Lei stesso, seguendo Arp, deve ammettere che c’è una correlazione (non è una semplice “tendenza”, come lei afferma, ma una correlazione stretta e statisticamente significativa) fra redshift e magnitudine apparente di oggetti la cui luminosità intrinseca è uguale (sono le cosiddette candele-campione): l’unico modo, dunque, per salvare le tesi di Arp è quello di dissociarla dalla relazione redshift-distanza.

Vediamo allora a beneficio dei lettori come si passa dalla relazione redshift-magnitudine apparente alla relazione redshift-distanza, e subito dopo come la giustifica Arp.

Disponendo di un oggetto o di una classe di oggetti la cui luminosità intrinseca è nota (come le Cefeidi o le Supernovae Ia), osservandone la luminosità (magnitudine) apparente è possibile dedurne la distanza. L’esistenza di una relazione fra redshift e magnitudine apparente è dunque una predizione della cosmologia standard, predizione pienamente confermata come illustra la figura qui allegata, che si riferisce alle Supernovae Ia. Questa relazione devia dalla linearità a redshift elevati ed ha permesso di scoprire l’accelerazione dell’universo: i tre principali responsabili dei due progetti indipendenti che hanno portato a questa scoperta sono stati insigniti del Premio Nobel nel 2011.

Arp sostiene invece che la relazione redshift-magnitudine apparente non è dovuta alla relazione redshift-distanza, ma è una conseguenza del processo che genera l’anomalia nel redshift. Vale la pena leggere ciò che Arp stesso ha scritto a proposito del Quintetto di Stephan (p.100 del suo libro Quasars, Redshifts and Controversies):

Nel 1971, il direttore dell’Osservatorio di Padova, L. Rosino, scoprì una supernova in NGC 7319, che ha un redshift elevato. Le supernovae sono degli indicatori standard di distanza, in particolare per le grandi distanze, perché si ritiene che queste stelle in esplosione divengano luminose quanto l’intera galassia alla quale appartengono. Alla distanza di NGC 7331/7320, ci si dovrebbe aspettare che una supernova sia altrettanto brillante che la grande galassia Sb NGC 7331. È un punto importante a favore delle grandi distanze che ci separano dai membri che presentano più grandi redshift. Ma devo riconoscere che la prova contraria è più forte ancora, e devo concludere che le stelle siuate nei sistemi a redshift anomalo non divengono altrettanto luminose che le galassie a piccolo redshift intrinseco.

Arp dunque riconosce che galassie a redshift più elevato appaiono più deboli, dunque sembrano effettivamente più distanti, ma poiché i casi di redshift anomalo sono per Arp una prova indiscutibile che il redshift non indica la distanza, ritiene che si debba ricorrere ad un meccanismo sconosciuto che nel caso dei redshift anomali deve rendere le galassie meno brillanti, e tutte le loro stelle, Cefeidi, Supernovae Ia, meno luminose, esattamente come apparirebbero se fossero alla distanza data dal loro redshift. Di questa ipotesi davvero ad hoc l’astrofisico indiano Jayant Narlikar ha dato una versione teorica, partendo da un suo vecchio lavoro con Hoyle, nel quale si alteravano le equazioni della relatività generale per permettere la formazione di nuova materia, necessaria per la teoria dello stato stazionario.

5 Narlikar J.V., Arp H.C., 1993, Flat spacetime cosmology: a unified framework for extragalactic objects, the Astrophysical Journal 405, 51.

Rielaborando ulteriormente queste equazioni, e scegliendo opportunamente una loro soluzione, Narlikar ha ottenuto una relazione fra massa e tempo, m(t)=at2, che permette di riprodurre la correlazione fra redshift e magnitudine apparente osservata5.

Le equazioni nell’articolo di Narlikar-Arp non hanno giustificazioni teoriche o sperimentali, a parte il fatto di voler spiegare i redshift anomali (nessun fisico relativista ha seguito Narlikar su questa strada, nonostante lo studio di possibili cambiamenti o generalizzazioni della relatività sia un attivo campo di ricerca). Ma a parte questo, diverse predizioni del suo modello sono già state smentite: in effetti esso si presenta alle osservazioni come equivalente a quello di Einstein-de Sitter, non a quello con costante cosmologico come quello richiesto dalle osservazioni; il valore di H0 predetto da questa teoria, che dipende dall’età delle stelle più vecchie, è al massimo H0=51 km/s/Mpc, in contrasto con il valore di 70 km/s/Mpc ottenuto in particolare con le Cefeidi nell’ammasso della Vergine. Inoltre, anche se la teoria di Narlikar-Arp è costruita per risultare indistinguibile da quella standard rispetto ai test classici, non può rendere conto di tutti gli altri test, in primis delle proprietà  della radiazione cosmica di fondo.

Ad esempio, le distanze degli ammassi possono essere misurate in modo indipendente dal redshift attraverso il cosiddetto effetto Sunyaev-Zeldovich. Ed ecco che cosa afferma lo stesso Arp in un suo articolo:

Il calcolo delle distanze degli ammassi di galassie sfruttando la loro diffusione della radiazione cosmica di fondo combinata con la loro brillanza superficiale nella banda X sembra basarsi su principi fisici talmente consolidati che è difficile vedere come chiunque potrebbe accettare distanze molto più vicine quali quelle che sono sostenute in questo articolo.

In effetti, non posso che sottoscrivere quanto scrive qui onestamente Arp. Purtroppo, come tipicamente accade di fronte ad una qualsiasi delle numerose osservazioni in diretto conflitto con le sue tesi, Arp ne rifuta la validità, avendo la certezza che i redshift anomali non siano effetti di proiezione: in questo caso congettura che gli ammassi siano molto lontani dall’equilibrio, senza spiegarci perché le misure di distanza dovrebbero essere sbagliate in modo tale da coincidere con quelle dedotte attraverso il redshift degli ammassi e fornire parametri cosmologici in accordo con quelli derivati da altre osservazioni indipendenti.6

6 Bonamente, M. Et al., 2013, Measurement of the cosmological distance scale using X-ray and Sunyaev-Zel’dovich effect observations of galaxy clusters, IAU Symposium 289, pp.339-343

Ritengo d’altronde significativo che, in una review sulle cosmologie alternative7 del 2001, pubblicata sull’ Annual Review of Astronomy and Astrophysics della quale Geoffrey Burbidge era all’epoca editor, lo stesso Narlikar insieme ad un altro cosmologo indiano, T. Padbanamhan, non faccia menzione della teoria elaborata per Arp, mentre discute a lungo della Quasi-Steady State Cosmology elaborata con Fred Hoyle (per una critica della QSSC, come di altre cosmologie alternative, si vedano i commenti di Edward Wright).

7 Narlikar J.V., Padbanamhan T., 2001, Standard Cosmology and Alternatives: A Critical Appraisal, Annual Review of Astronomy and Astrophysics, 39, 211

A dire il vero, a me questa storia delle galassie che secondo Arp sembrano essere alla distanza corrispondente al loro redshift, ma non lo sarebbero in realtà, ricorda quella degli aristotelici i quali, di fronte alle imperfezioni della superficie lunare mostrate dal telescopio di Galileo, sostenevano che in realtà la luna fosse ricoperta da una sostanza liscia e trasparente: l’ipotesi fu avanzata inizialmente dall’astronomo gesuita Clavio, e poi sostenuta entusiasticamente dal letterato aristotelico Ludovico delle Colombe, autore di un discorso Contro il moto della Terra, e feroce oppositore non solo della fisica e della cosmologia galileiana, ma anche dell’idrostatica di Archimede.

> Lei può alterare solo con un falso la condivisione profonda che ha legato per tutta la vita Geoff, Margaret e lo stesso Fred Hoyle a “Chip” Arp, per il quale i quasar e le galassie non si trovano alla distanza dei loro spostamenti spettrali.

Infine, dopo la superficialità, le scandalose omissioni, il millantato credito, il fraseggiare e il non sapere ciò di cui parlo, arriva anche, perché no, l’accusa di falso.

Francamente non capisco proprio l’oggetto della sua polemica. La sua espressione non è chiara: se per “condivisione profonda” intende amicizia e solidarietà fra chi era critico nei confronti del Big Bang, è un fatto che non ho mai messo in dubbio nell’articolo (peraltro irrilevante dal punto di vista delle argomentazioni scientifiche). Ma se lei intende per condivisione profonda di Burbidge ed Hoyle l’adesione all’opinione di Arp che i quasar e le galassie non si trovino alla distanza dei loro spostamenti spettrali e che l’universo sia statico, si sbaglia. Basta leggere i loro articoli e anche quanto ha scritto lo stesso Arp nel suo libro Seeing Red.

Contrariamente ad Arp, Burbidge e Hoyle erano convinti che gli ammassi di galassie, e le galassie in generale, si trovino alla distanza corrispondente al redshift. Erano anche convinti che l’universo sia in espansione. Burbidge, come Arp, dubitava che il redshift di almeno una parte dei quasar fosse cosmologico. Hoyle, invece, era scettico sull’origine dell’universo a partire dal Big Bang. Burbidge ed Hoyle hanno assunto spesso posizioni critiche nei confronti delle opinioni maggioritarie, fungendo da pungolo nell’ambito di un sano dibattito scientifico. Qualche volta hanno avuto ragione, qualche volta torto (francamente, quando Hoyle sosteneva che l’influenza fosse portata dalle comete esagerava un po’: ma per i suoi lavori sulla produzione di elementi pesanti all’interno delle stelle avrebbe meritato il premio Nobel). Purtroppo Arp, ottimo astronomo osservativo, si è invece chiuso in un vicolo cieco da cui non è più uscito. Non ha saputo riconoscere in tempo la debolezza delle proprie argomentazioni, e il suo coinvolgimento emotivo è prevalso sulle considerazioni razionali.

> Nessuno di questi astronomi ha mai creduto al primo giorno della Creazione (Hoyle la chiamava “un’idea da preti”) e tantomeno che la radiazione di Penzias e Wilson rappresenti il residuo “fossile” di un’atavica esplosione che avrebbe originato dal nulla l’intero universo.

Vede, sig. Bolognesi, la scienza non è la teologia: non si discute attraverso le citazioni di grandi saggi o di testi considerati sacri, che sono fra l’altro un’arma a doppio taglio: le ricordo infatti che Hoyle ha anche affermato, nella stessa serie della BBC in cui ha coniato il termine di Big Bang, che considerva “noioso” un universo statico, e alla stessa epoca dedicava un intero capitolo all’universo in espansione nel suo libro Frontiers of Astronomy (a pag.309 afferma con sicurezza The Universe is expanding), mentre più di recente nel 2000 il titolo stesso del libro da lui scritto insieme a Burbidge e Narlikar era: A Different Approach to Cosmology: From a Static Universe Through the Big Bang Towards Reality, titolo che mostra come per i tre autori il Big Bang fosse quantomeno una tappa nel progresso dalla vecchia concezione di un universo statico a quella da loro propugnata della QSSC. Arp col suo universo statico è invece rimasto totalmente isolato, se si eccettua qualche ricercatore eccentrico come Tom von Flandern, il quale ha anche sostenuto che la roccia a forma di volto su Marte sia un’opera artificiale costruita 3,2 milioni di anni fa da una civiltà di extraterrestri arrivata sul pianeta rosso dopo l’esplosione del Pianeta V, esplosione che avrebbe dato origine alla fascia degli asteroidi.

Un altro discorso riguarda invece le origini del nostro universo. Lei insiste su una errata concezione del Big Bang che risale alle polemiche degli anni ’50 e ’60. Il Big Bang non è un’atavica esplosione, e la teoria del Big Bang non può dire nulla sui primi istanti dell’espansione. La radiazione fossile scoperta da Penzias e Wilson, come è stato confermato dagli studi successivi, ha invece tutte le caratteristiche predette dalla teoria del Big Bang. Che Hoyle si opponesse al Big Bang, era negli anni ’50 scientificamente sensato e legittimo. Più difficile in anni recenti, nei quali Hoyle ha dovuto ideare la variane già citata della teoria dello Stato Stazionario. E di nuovo, il fatto che il grande Fred Hoyle fosse contrario al Big Bang non è di per sé un’argomentazione scientificamente valida che si può opporre alle prove a sostegno della teoria, così come il fatto che il grande Aristotele ritenesse la Terra immobile al centro dell’universo non poteva essere un’argomentazione scientificamente valida contro le prove del moto terrestre.

Voglio però soffermarmi su un punto chiave che lei cita, la radiazione cosmica di fondo. Questa radiazione è stata oggetto di numerose osservazioni indipendenti, dalle quali si ricavano i valori dei parametri cosmologici, valori che sono in accordo con le misure indipendenti ottenute attraverso le supernovae, la distribuzione delle galassie, il lensing gravitazionale. È evidente che i risultati di WMAP e Planck confermano lo scenario standard. Su quali basi lei dunque respinge questa evidenza? Siccome dalla sua lettera non è chiaro, mi pare utile citare un brano di quanto lei ha scritto nel 2011, facendo parlare un presunto dottore in astrofisica:

Come faccio a spifferarti che le mappe di temperatura della radiazione fossile o che le “strutture primordiali” cartografate da WMAP non corrispondono a quelle prese con la nuova sonda Planck? Che è tragicamente ovvio che le dimensioni angolari dipendono dalle calibrazioni di scansione, che è dannatamente evidente che stiamo guardando componenti locali della Via Lattea, che non c’è nessun “fondo” a cui prendere la temperatura e che stiamo fuorviando i nostri contribuenti?

Che l’anonimo dottore in astrofisica sia una sua “invenzione letteraria” risulta chiaro dall’inconfondibile stile retorico e dal tenore delle sue affermazioni: non si capisce infatti come le dimensioni angolari possano dipendere “dalle calibrazioni di scansione”; inoltre non solo non è dannatamente evidente, ma è falso che stiamo confondendo il fondo con le componenti locali della Via Lattea, dato che è possibile, benché non semplice, separarle; infine, come si è visto recentemente, le mappe di temperatura di WMAP e Planck sono perfettamente compatibili. Ecco dunque che per salvare le tesi di Arp da risultati sperimentali che le confutano il suo “dottore in astrofisica” invoca esplicitamente un cover-up da parte degli scienziati che starebbero addirittura “fuorviando i contribuenti”: se non fosse un’accusa che nessuno può prendere sul serio, si tratterebbe di diffamazione nei confronti di centinaia di colleghi che per tanti anni hanno lavorato a questi progetti. D’altronde vi è chi sostiene che gli scienziati ingannino i cittadini sulle cause del cambiamento climatico o chi nega che l’uomo sia stato sulla Luna: siamo nel puro e semplice complottismo.

Lei ha peraltro manifestato entusiasmo per i risultati preliminari dell’esperimento OPERA che indicavano il superamento della velocità della luce da parte dei neutrini, risultati sui quali la comunità scientifica ha fin dall’inizio mantenuto un sano e prudente scetticismo: in effetti, gli stessi scienziati responsabili dell’esperimento hanno poi scoperto dov’era l’errore. Invece lei ne ha tratto ispirazione per irridere la relatività generale, ironizzando sulla “paccottiglia dei GPS relativistici” e sul “Padre dei buchi neri”. Prendo atto che, secondo lei, ai GPS non viene applicata alcuna correzione relativistica, il che implica che i fisici relativisti e gli ingegneri raccontano sciocchezze, e che la massa equivalente ad alcuni milioni di soli, ma totalmente invisibile, rivelata dai moti stellari al centro della nostra Galassia, non può essere un buco nero. Sarebbe però auspicabile che lei fornisse solide motivazioni a sostegno di queste sue categoriche affermazioni, motivazioni tanto più necessarie quanto la relatività generale è una delle teorie meglio verificate di tutta la fisica.

> Contrariamente a quanto lei lamenta a proposito delle tesi di Arp, è proprio la fisica dell’ ”inizio” che è completamente scollegata da ogni fisica. Se adesso questa radiazione non rappresentasse nemmeno ”l’inizio dell’universo nella sua totalità” (Coelum 173, pag.17), è la stessa cosmologia del XX secolo che cede di schianto.

Sono costrettto a ripetermi: conosciamo molto bene i processi fisici legati alle reazioni nucleari, sia da un punto di vista teorico che sperimentale, ed è grazie a queste conoscenze che nella teoria del Big Bang si possono predire con successo le abbondanze degli elementi leggeri prodotti da quelle reazioni in funzione della densità di protoni e neutroni. La radiazione cosmica di fondo è direttamente legata a quelle reazioni nucleari, e anche per essa abbiamo una descrizione scientifica basata sulla fisica nota (si veda ad esempio questa sintesi delle ragioni che hanno portato al successo della teoria del Big Bang. Per quella che lei chiama “fisica dell’inizio”, ovvero gli istanti iniziali nei quali è cominicata l’espansione, abbiamo per il momento soltanto delle estrapolazioni dalla fisica attuale, che però non fanno parte della teoria del Big Bang standard. Forse allude anche alla materia e all’energia oscura, ritenute erroneamente da molti degli elementi ad hoc della teoria standard. Un elemento ad hoc è qualcosa che si introduce per spiegare un fenomeno particolare, ma che non spiega null’altro. La materia oscura è invece stata rivelata dalle osservazioni prima di costituire un ingrediente fondamentale in cosmologia, mentre l’energia oscura corrisponde nel modello standard alla costante cosmologica, un parametro delle equazioni della relatività generale il cui valore è stato misurato tramite le osservazioni. La costante cosmologica non è dunque più ad hoc della costante di gravitazione universale G.

La sua frase conclusiva è ad effetto ma sbagliata. Per quanto ho già spiegato a più riprese il Big Bang spiega l’evoluzione globale e le proprietà dell’universo che possiamo osservare, mentre esistono quadri teorici che permettono una generalizzazione e consentono di considerare il nostro universo come una “bolla” in un universo più vasto dove possono aver luogo altri Big Bang: in questo caso non solo la cosmologia del XX secolo non “cede di schianto”, ma è moltiplicata in un numero enorme di realizzazioni. Queste nuove ipotesi cercano di dare delle risposte a ciò che la teoria del Big Bang, per sua natura, non è in grado di spiegare.

Infine, non vanno confusi diversi piani: la validità generale della relazione tra redshift e distanza è un fatto provato da una schiacciante evidenza osservativa; nessun astronomo professionista tranne Arp la mette più in discussione. Qualcuno invece continua a dubitare che in certi casi il redshift di alcuni quasar possa avere una componente non cosmologica: anche se mi sembra che i dati e le conoscenze attuali non rendano probabile una simile eventualità, non lo si può escludere a priori, ma ciò non invaliderebbe comunque la teoria del Big Bang. Si possono naturalmente cercare delle alternative, come hanno fatto Hoyle, Burbidge e Narlikar, e si può pensare che il Big Bang non sia una teoria definitiva: certo lascia aperti diversi e profondi interrogativi. Ma voler imporre un universo statico negando la validità delle osservazioni e degli esperimenti, come fa Arp e lei in modo ancor più veemente, accusando per di più la comunità scientifica di dogmatismo e di falsificazione, appartiene purtroppo al dominio di ciò che gli anglofoni chiamano crank theories.

Il mio dialogo con lei finisce pertanto qui. È evidente che continuerà a propagandare le tesi dell’astronomo americano denunciando i fallimenti della fisica moderna: ciò è legittimo, ma la pregherei soltanto di farlo senza denigrare coloro che non condividono la sua opinione.

Cordiali saluti,

Alberto Cappi

Al Planetario di Ravenna

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15.11: “Scienza e religione della ‘Storia dell’astronomia’ del giovane Leopardi” in collaborazione con la Società Dante Alighieri, ingresso libero.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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15.11: ”Le galassie perdute”.

Per info: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Osservatorio Astronomico di Roma – INAF

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15.11: “Visione Notturna – dal cinema muto all’astronomia contemporanea” a cura di ricercatori presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri.

Info: Tel. 06 94286427 – diva@oa-roma.inaf.it
www.oa-roma.inaf.it

Bentornato Luca!

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Luca di nuovo a Terra. Credit: NASA

Luca di nuovo a Terra. Credit: NASA

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L’astronauta dell’ESA Luca Parmitano di nuovo a terra

L’astronauta dell’ESA Luca Parmitano, il comandante russo Fyodor Yurchikhin e l’astronauta della NASA Karen Nyber sono tornati oggi sulla Terra, con un atterraggio nella steppa del Kazakistan.

Il viaggio di ritorno, con cui sono atterrati alle 03:49 italiane, è avvenuto nella stessa navicella Soyuz TMA-07M che li ha portati sulla Stazione Spaziale Internazionale il 29 maggio scorso.

Il viaggio della Soyuz, dopo la manovra di undocking, è stato molto breve: in poco più di tre ore gli astronauti hanno raggiunto la Terra. Durante il rientro, la navicella si è separata in tre parti, lasciando bruciare il modulo orbitale e quello di propulsione nell’atmosfera. Il modulo di discesa, con a bordo Luca e i suoi compagni, nella fase di frizione con l’atmosfera ha raggiunto temperature fino a 1600 °C.

Luca e Karen andranno ora a Houston, Texas, dove saranno sottoposti a controlli medici prima di incontrare la stampa il 13 novembre alle 14:30.

L'astronauta Luca Parmitano sulla Stazione Spaziale Internazionale vicino all'esperimento Biolab. Della missione Volare di Luca facevano parte più di 30 esperimenti, tre attracchi di navicelle spaziali e due passeggiate nello spazio. Credit: ESA/NASA

Luca ha passato cinque mesi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale con la missione Volare, frutto di un accordo bilaterale tra l’Agenzia Spaziale Italiana ASI e la NASA. Ha condotto oltre 30 esperimenti scientifici, effettuato due “passeggiate spaziali” – o EVA (Extra Vehicular Activity) – e compiti operativi, oltre alle operazioni di mantenimento dell’avamposto orbitante.

La tabella dei compiti scientifici di Luca comprendeva l’installazione e la realizzazione di esperimenti su emulsioni che aiuteranno l’industria a creare alimenti e farmaci con una durata più lunga.

Durante l'installazione dell'esperimento FASES. Credit: ESA/NASA

Ma non solo, l’astronauta italiano ha anche utilizzato la “fornace spaziale” per scaldare il metallo a 1400 gradi e studiarne così le microstrutture durante la fusione delle leghe metalliche. Una ricerca che può essere condotta soltanto in microgravità e che sta aprendo la strada verso la creazione di metalli ultra leggeri e stabili propri dell’era spaziale. Precedenti esperimenti hanno già, ad esempio, notevolmente migliorato i processi industriali per la creazione di complesse leghe di titanio, con il risultato di ottenere materiali, di alta qualità, più economici e di più rapida produzione industriale.

In un altro esperimento, ha dovuto prelevare dei campioni della propria pelle per contribuire allo sviluppo di un modello sulle dinamiche dell’invecchiamento del tessuto cutaneo, oltre a registrare il proprio sonno per aiutare a capire come questo viene regolato dal corpo umano.

Gli esperimenti effettuati a bordo della ISS porteranno beneficio non solo alle persone sulla Terra ma serviranno anche alla preparazione di quegli astronauti che parteciperanno alle future esplorazioni del nostro Sistema Solare.

L'attracco dell'ATV-4, traghetto europeo per l'approviggionamento che ha trasportato 7 tonnellate tra materiali di consumo, propellente e esperimenti, di cui Parmitano ha seguito le operazioni di scarico e catalogazione del carico. Credit: ESA/NASA

Oltre al carico di lavoro scientifico, Luca ha effettuato delle attività operative come il controllo dell’attracco del quarto Veicolo di Trasferimento Automatico (ATV, Automated Transfer Vehicle) dell’ESA, denominato Albert Einstein. Luca ha sovrainteso allo scarico degli oltre 1400 prodotti contenuti nella navicella spaziale automatica.

Karen e Luca hanno lavorato in squadra per prendere ed agganciare la seconda navetta spaziale commerciale che è giunta sulla Stazione Spaziale Internazionale, Cygnus.

La sua missione, ricca di avvenimenti, ha visto anche la partecipazione a due passeggiate spaziali per installare degli esperimenti all’esterno della Stazione e prepararla per un nuovo modulo russo che sarà lanciato il prossimo anno.

Prima del rientro dalla passeggiata nello spazio con l'astronauta NASA Chris Cassidy, il 9 luglio 2013. La "passeggiata" è durata 6 ore 7 minuti. Credit: ESA/NASA

La seconda uscita extra veicolare di Luca è stata interrotta a causa di un malfunzionamento della tuta spaziale, per un accumulo di acqua all’interno del casco, costringendo lui e il collega Chris Cassidy della NASA a rientrare con urgenza nella Stazione. Luca, pilota collaudatore dell’Aeronautica Militare, ha mantenuto la calma ed è rientrato nella camera stagna nonostante potesse comunicare solo ad intermittenza e senza riuscire a vedere fuori dal proprio casco.

Luca è stato il sesto italiano ad andare nello spazio e il quinto a soggiornare sulla ISS. Dopo il rientro a Houston, l’astronauta inizierà un periodo di riabilitazione per riabituarsi alla gravità terrestre e sarà sottoposto a test medici.

“Volare è stata una missione straordinaria, eccezionale sotto ogni punto di vista, che ci riempie di orgoglio e soddisfazione – ha dichiarato Enrico Saggese, Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana – Ancora una volta, oggi più che mai, il nostro Paese ha saputo dimostrare che sa funzionare e che è capace di realizzare importanti progetti di portata internazionale”.

“Ora attendiamo i risultati delle sperimentazioni effettuate da Parmitano sulla Stazione – conclude il Presidente dell’ASI – e nel frattempo, l’appuntamento è tra un anno, quando sulla casa orbitante approderà la prima italiana: Samantha Cristoforetti“.

Luca sarà impegnato nella sua prima videoconferenza stampa da Houston il prossimo 13 novembre. L’evento, destinato alla stampa, si terrà presso la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Era questa la prima missione di Luca e la prima per uno dei nuovi astronauti ESA della Classe 2009. Il prossimo a volare sulla stazione sarà Alexander Gerst, il cui lancio è previsto per il 28 maggio 2014 dal Kazakistan.

Una vasta selezione di fotografie dalla missione Volare, molte delle quali scattate da Luca stesso, è disponibile sulla pagina Flickr

Le Alpi viste dalla Stazione Spaziale Internazionale. Durante i sei mesi della missione Volare, Luca Parmitano ha scattato questa e moltissime altre immagini dallo spazio, associandole ad un vero e proprio diario condiviso in tempo reale attraverso i vari social network - ed il blog dedicato alla missione - senza stancarsi mai di rispondere e interagire con i numerosissimi ammiratori che l'hanno seguito giorno per giorno. Credit: ESA/NASA

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La crew viene estratta dalla Soyuz. Video ASI TV

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In rete:

  • Il blog di Luca Parmitano, un vero e proprio diario quotidiano fatto di immagini, riflessioni e dialogo con tutti i suoi follower che hanno potuto interagire attraverso le relative pagine di Facebook e Twitter collegate a Volare.
  • Su ASI TV tutti i video delle varie fasi del rientro (qui sopra l’estrazione della crew dalla navicella russa).

MUSEI CAPITOLINI I MERCOLEDÌ DI ARCHIMEDE STORIE DI SCIENZA ANTICA

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13.11: “Galileo discepolo di Archimede: i fondamenti archimedei della scienza galileana” di Michele Camerota.

www.museicapitolini.org

MUSEI CAPITOLINI I MERCOLEDÌ DI ARCHIMEDE STORIE DI SCIENZA ANTICA

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13.11: “Leonardo e Archimede”, D. Laurenza.

www.museicapitolini.org

La ISON va in scena

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La cartina illustra il percorso apparente della ISON nel mese di novembre quando, durante le prime due settimane, si potrà osservare a partire all'incirca dalle 4:00 del mattino sopra l'orizzonte di est-sudest, mentre per vederla alla massima luminosità si dovranno attendere le 6:00 e la fine del mese. Si tenga presente che la scala dell'illustrazione consente di dare soltanto una vaga idea sulla posizione della cometa, che quindi dovrà essere cercata e inquadrata aiutandosi con le coordinate equatoriali orarie che potrete trovare nel sito di Coelum nella sezione "Cielo del mese".
La cartina illustra il percorso apparente della ISON nel mese di novembre quando, durante le prime due settimane, si potrà osservare a partire all'incirca dalle 4:00 del mattino sopra l'orizzonte di est-sudest, mentre per vederla alla massima luminosità si dovranno attendere le 6:00 e la fine del mese. Si tenga presente che la scala dell'illustrazione consente di dare soltanto una vaga idea sulla posizione della cometa, che quindi dovrà essere cercata e inquadrata aiutandosi con le coordinate equatoriali orarie che potrete trovare nel sito di Coelum nella sezione "Cielo del mese".

EFFEMERIDI
di NOVEMBRE

Luna

Sole e Pianeti

> Comete

Asteroidi

E così, dopo un’attesa di 13 mesi da quando ne fu annunciata la scoperta e il suo probabile futuro da “cometa del secolo” (in senso assoluto), la C/2012 S1 (ISON) si appresta a rivelare nel mese di novembre la sua reale possibilità di diventare, più modestamente, almeno la “cometa del 21° secolo”.

Alla data in cui stiamo scrivendo (metà ottobre), non sembrano esserci sostanziali novità rispetto a quanto abbiamo riportato nell’articolo del numero scorso. Sulla base delle stime attuali, sembra che la ISON potrà raggiungere al massimo un valore di luminosità prossimo alla –6, ben al di sotto delle prime valutazioni che, come si ricorderà, la vedevano raggiungere magnitudini comprese tra la –10 e la –15. Al 15 ottobre la cometa distava dalla Terra circa 1,72 UA e nelle foto più riuscite presentava un’unica coda estesa per circa 20 primi d’arco. La chioma era invece aumentata in dimensione, assumendo una colorazione verdastra, diretta conseguenza della sublimazione di molecole di gas cianogeno e carbonio eccitate dai raggi UV provenienti dal Sole. Insomma, una graziosa cometina di decima magnitudine, ma niente che possa minimamente far pensare a una cometa in procinto di trasformarsi nello spettacolo che tutti stiamo aspettando. Nulla a che vedere, infatti, con le previsioni diffuse dopo la sua scoperta, che per quella data davano la ISON già alle soglie della visibilità ad occhio nudo… […]

Per ciò che riguarda le circostanze osservative generali possiamo dire che, salvo sorprese, la cometa ISON sarà visibile a occhio nudo un po’ prima del sorgere del Sole a partire dalla seconda decade di novembre e dovrebbe subire un rapido incremento di luminosità a partire dal 26, raggiungendo il massimo tra il 28 (giorno del passaggio alla minima distanza dal Sole) e il 29, anche se nella quindicina di giorni a cavallo del passaggio al perielio, a causa della sua estrema vicinanza al Sole, sarà di difficilissima osservazione.

In quelle condizioni potremo forse vedere la sua coda se questa raggiungerà lunghezze considerevoli. Dovrebbe quindi rimanere ancora visibile a occhio nudo sin verso la metà di gennaio.

Ma vediamo di descrivere in dettaglio come ci potrebbe apparire la ISON nei momenti clou della sua apparizione. […]

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione giorno per giorno, con tutte le immagini, nel Diario minimo di Davide Trezzi presente a pagina 17, all’interno dell’articolo La ISON va in scena,  di Coelum n.175.

Al Planetario di Ravenna

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12.11: “Decimo pianeta: dai sumeri ad oggi, cosa c’è là in fondo al Sistema Solare?” di C. Balella.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Supernovae scoperte ad ottobre 2013

LBV in UGC 3165
Pubblichiamo un approfondimento della ormai nota rubrica dedicata alle Supernovae curata da Fabio Briganti e Riccardo Mancini dell’Italian Supernovae Search Project e pubblicata su Coelum 175 di novembre.

Dopo l’abbondanza estiva con il record di ben 17 supernovae scoperte in poco più di due mesi, il numero dei successi italiani si è purtroppo azzerato in questo inizio di autunno.

Ne approfittiamo perciò per raccontarvi di due oggetti scoperti la passata estate dall’osservatorio di Monte Agliale (LU), che nei due numeri precedenti avevamo tralasciato per motivi di spazio, anche perché poco luminosi, ma che successivamente si sono rivelati molto interessanti.

LBV in UGC 3165 (cliccare sull'immagine per ingrandirla) ripresa da Marco Monaci con il telescopio remoto da 35cm del BRADFORD ROBOTIC TELESCOPE PROJECT posto alle Isole Canarie.

Il primo oggetto non è una supernova, ma una rara Luminous Blue Variable, particolare classe di stelle conosciute anche con il nome di Supernova Impostor, perché ad una prima analisi possono essere scambiati per una supernova classica.

Il 18 Agosto il team dell’osservatorio di Monte Agliale si accorge della presenza di una stellina di luminosità intorno alla mag. +18 nella piccola galassia UGC3165 posta nella costellazione del Toro, non lontano da Aldebaran e distante circa 170 milioni di anni luce.

Prima di comunicare la scoperta eseguono i controlli del caso e si accorgono che la posizione dell’oggetto coincide esattamente con il probabile Supernova Impostor scoperto il 25 Settembre 2012 dal CRTS Catalina Real-Time Transient Survey denominato SNhunt151 che, al massimo di luminosità nell’Ottobre 2012 non superò la mag. +19 per poi scomparire già a Gennaio 2013.

I lucchesi si erano perciò imbattuti in un nuovo outburst di questo raro oggetto, questa volta però più luminoso rispetto all’anno precedente, tanto da raggiunge il massimo a fine Agosto a mag. +17,6. Vengono immediatamente allertati gli astronomi di Asiago che avviano una campagna osservativa con il grande Telescopio Nazionale Galileo di 3,54 metri situato nelle Isole Canarie. Le accurate analisi spettroscopiche e fotometriche portano alla conclusione che SNhunt151 è molto simile al più famoso “2009ip”.

Le novità però non finisco qui: dopo un settembre in cui SNhunt151 si è leggermente affievolito, è dei primi giorni di ottobre la notizia che la sua luminosità ha ripreso a salire sfiorando la mag. +17 ed intorno al 25 di ottobre un nuovo importante outburst ha fatto aumentare la luminosità fino alla mag. +15,9. Come fu per 2009ip ci s’inizia ad interrogare sulla possibilità che l’oggetto si stia trasformando in una supernova di tipo IIn, aumentando presumibilmente ancora la sua luminosità. L’oggetto è perciò da tenere sotto sorveglianza in questo periodo perché potrebbe regalarci interessanti sorprese.

La SN2013fk in UGC1442 (cliccarel'immagine per ingrandire).

Il secondo oggetto è la SN2013fk scoperta il 3 Settembre da F. Ciabattari, E. Mazzoni e R. Simonetti nella galassia a spirale UGC1442 posta nella costellazione della Balena a circa 220 milioni di anni luce.

Al momento della scoperta la supernova mostrava un luminosità pari a mag. +18,5 quindi molto debole per la distanza a cui si trova la galassia ospite. Forse i lucchesi avevano individuato una supernova prima del massimo di luminosità ed invece nei giorni seguenti la magnitudine tende ulteriormente a diminuire.

C’era qualcosa che non tornava, eravamo forse davanti ad un altro Supernova Impostor? Niente di tutto ciò. Il 10 Settembre finalmente viene svelato il dilemma. Lo spettro, ripreso con il telescopio di 1,88 metri dell’Okayama Observatory in Giappone, permette di classificare la supernova di tipo Ia scoperta addirittura circa 100 giorni dopo il massimo di luminosità. Massimo che si è quindi verificato intorno alla fine di Maggio, con la supernova che dovrebbe aver raggiunto la discreta mag. +15,5.

Purtroppo in quei giorni la galassia stava uscendo dalla congiunzione eliaca e si trovava a circa 10° gradi sopra l’orizzonte al momento del sorgere del sole, quindi in condizioni di sufficiente oscurità la galassia era inosservabile perché praticamente sull’orizzonte o anche leggermente sotto. La galassia è rimasta perciò inosservabile per tutto il mese di Giugno, ma da Luglio si è lentamente allontanata dal sole diventando sempre meglio visibile, però prima dell’alba. Nel mese di Agosto la galassia era facilmente osservabile, anche se la luminosità della supernova era diminuita sotto la mag. +17, ma nessuno ha rivolto il proprio telescopio verso di lei fino al 3 Settembre, giorno della scoperta dei lucchesi.

La galassia si trova a meno di 2’ a nord di una stella di mag. +9 ed a circa 6’ ad ovest di una stella di mag. +6,5 mentre a circa 10’ ad ovest troviamo una galassia più luminosa, la IC176.

Ogni volta che una supernova rimane non notata per parecchio tempo, lanciamo sempre l’appello ai lettori nella speranza che qualcuno possa aver immortalato la galassia in questi mesi.

Questa volta però siamo consapevoli che UGC1442 non è un oggetto notevole da meritare una levataccia prima dell’alba, però unito alla vicina e leggermente più fotogenica IC176 forse qualcuno potrebbe averlo fatto e perciò avrebbe ottenuto una pre-discovery di grande importanza scientifica.

Moebius 173 – Alberi nel cielo

Nel numero di settembre ho provato a indicare una possibile parentela tra le costellazioni e le reti.

I matematici hanno cominciato a parlare di reti, o di grafi, come talvolta si preferisce dire, in tempi relativamente recenti. Ad introdurre per primo questo concetto fu, intorno al 1736, lo svizzero Leonhard Euler (spesso italianizzato in Eulero), uno dei più grandi geni matematici di ogni epoca.

La Storia

A offrire a Eulero l’assist per fondare la teoria dei grafi fu un curioso enigma che si ispirava alla particolare conformazione della città prussiana di Königsberg.

Questa città, che oggi si chiama Kaliningrad e si trova in territorio russo, è famosa per avere dato i natali al filosofo Immanuel Kant e al matematico David Hilbert. Il fiume che attraversa l’area cittadina, il Pregel, forma due vaste isole, che nel Settecento erano collegate tra di loro e con le due aree principali della città tramite sette ponti. Il problema consisteva nel tracciare un percorso che attraversasse ognuno dei sette ponti una e una sola volta, tornando infine al punto di partenza.

Oggi i matematici chiamano “euleriano” un percorso di questo tipo. Cosa fece Eulero per meritare un simile onore? Semplicemente dimostrò che a Königsberg non esiste un circuito euleriano.

Come vi riuscì? La mossa vincente fu formulare il problema in termini di “rete”. Eulero rappresentò infatti ciascuna delle aree urbane come un “nodo” e ciascuno dei ponti come un “arco”. Analizzando la rete che si era originata, si accorse che da ogni nodo usciva un numero dispari di archi; nel contempo riuscì a dimostrare che in una rete esiste un percorso euleriano se e soltanto se non vi sono nodi toccati da un numero dispari di archi. Ecco allora che la passeggiata euleriana sui ponti di Königsberg è impossibile.

Un ritratto di Eulero, nome "italiano" dello svizzero Leonhard Euler, uno dei più grandi geni matematici di ogni epoca.

Il bello è che Eulero fu il primo in assoluto a risolvere un problema ricorrendo a strumenti di questo tipo: mentre disegnava il grafo della città di Königsberg, di fatto Eulero stava fondando un nuovo importante ramo della matematica.

I colleghi di Eulero lo snobbarono per questa sua trovata: secondo loro soltanto argomenti come l’analisi infinitesimale, la teoria dei numeri e la geometria erano degni delle attenzioni di un matematico, e tutto il resto era solo perdita di tempo.

Ma proprio il tempo diede ragione a Eulero. Oggi la teoria dei grafi è considerata un’area fondamentale della matematica, insostituibile in molti rami della fisica, dell’ingegneria, dell’informatica.

Senza rendercene conto, tutti i giorni abbiamo a che fare con le reti: cosa sono, secondo voi, gli alberi genealogici, gli organigrammi aziendali, i diagrammi di flusso, gli schemi elettrici? E che dire del reticolo di strade della nostra città, della rete dei telefoni cellulari, di internet, del web, dei social network?

Perché, allora, non trattare anche le costellazioni come reti? Un tempo gli atlanti si limitavano a mostrare le posizioni delle stelle presenti in ogni costellazione, decorando il tutto con eleganti disegni ispirati a personaggi mitologici; ma in tempi più recenti sono comparse le familiari linee che congiungono le stelle tra di loro. Questi intrecci sono reti a tutti gli effetti, e per di più planari, in quanto le linee non si intersecano mai, se non nelle stelle stesse.

Il problema

Come spiegato nell’articolo di settembre, già nel 1930 furono stabiliti i confini convenzionali delle costellazioni, ma il modo in cui le stelle di ogni costellazioni vengono collegate tra di loro non fu mai oggetto di standardizzazione. A seconda che il disegno di una costellazione contenga o meno circuiti chiusi, ci possiamo trovare di fronte a una rete qualsiasi o ad una rete speciale, chiamata “albero”. Sono chiamati alberi, quindi, i grafi in cui, presi a caso due nodi, esiste esattamente un percorso che li congiunga. Ovviamente, il carattere “arboreo” o meno di una costellazione è legato alla libera scelta di come unire le stelle l’una all’altra. Cassiopea, ad esempio, viene tipicamente disegnata come una grande W, ma nessuno ci impedisce, per una volta, di trasgredire e tratteggiarla in modo diverso.

Il problema di settembre richiedeva appunto di ridisegnare Cassiopea in modo che le stelle Segin, Ruchbah e Tsih siano collegate ciascuna a una sola stella, mentre Caph è collegata a tre stelle. Veniva anche richiesto di dimostrare l’unicità della soluzione trovata.

Nessun lettore ha inviato una dimostrazione veramente rigorosa, anche se le soluzioni proposte da Paolo Palma (che grazie alla sua rapidità si è aggiudicato l’abbonamento semestrale) e da Giorgia Hofer contenevano dei buoni tentativi in questo senso. Anche Patricio Calderari e Giuseppe Ruggiero hanno fornito la soluzione esatta, ma senza azzardare una dimostrazione di unicità.

A tutti questi lettori vanno però i nostri più vivi complimenti per avere affrontato la sfida!

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La soluzione

Un possibile approccio per risolvere il rompicapo è il seguente.

Dato che le stelle prese in considerazione sono cinque (Segin, Ruchbah, Tsih, Shedir e Caph), si tratta di disegnare un albero formato da cinque nodi. Ora, dal punto di vista della topologia della rete, un simile albero può essere di tre tipi soltanto (vedi figura a destra).

Che esistano soltanto queste tre topologie lo si può vedere molto facilmente. Provate a costruire un albero di cinque nodi passo dopo passo, cioè partendo da un nodo soltanto e aggiungendo via via gli altri: vi accorgerete che le opzioni possibili vi porteranno comunque verso queste tre conformazioni, e nessun’altra è raggiungibile.

Dato che nella nuova Cassiopea che vogliamo costruire c’è una stella (Caph) collegata a tre stelle, possiamo senz’altro escludere il primo tipo di albero (in cui nessun nodo ha tre adiacenti) e anche il secondo (nel quale il nodo centrale ha quattro adiacenti, e gli altri quattro ne hanno soltanto uno, appunto quello centrale).

Siamo quindi nel terzo prototipo di grafo, nel quale vi è un nodo C (nel nostro caso Caph) legata a tre suoi vicini (B, D, E). Dato che Segin, Ruchbah e Tsih devono avere una sola vicina, il nodo B è sicuramente Shedir, adiacente a Caph e collegato a due nodi.

Per trovare la soluzione, non ci resta che abbinare i nodi A, D ed E alle stelle Segin, Ruchbah e Tsih. Due di questi (D ed E) devono legarsi a Caph, e un altro (A) a Shedir. Da una rapida analisi della disposizione delle stelle di Cassiopea, appare evidente che soltanto scegliendo Ruchbah come nodo A (e quindi abbinando Segin e Tsih ai nodi D ed E) si evitano sovrapposizioni di linee, preservando la planarità del grafo.

Quindi l’unica soluzione compatibile con gli indizi dati è quella illustrata nella figura seguente (dove gli archi dell’albero individuato sono mostrati in rosso, sovrapposti alla tradizionale W di Cassiopea):

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