La Storia delle Riviste di Divulgazione Astronomica
La divulgazione astronomica è antica quanto l’astronomia stessa. Anzi, in un certo senso è precedente, almeno per quanto riguarda l’astronomia scientifica come la intendiamo oggi. Lo spettacolo del cielo notturno è stato da sempre fonte di meraviglia e di interesse, e fin dall’alba dei tempi le conoscenze erano raccontate e tramandate da chi ne era custode a tutto il resto della comunità.
Queste conoscenze, che all’atto pratico erano un miscuglio di osservazioni empiriche, misurazioni rudimentali, consigli agricoli, miti della creazione, e racconti morali, ci appaiono oggi quanto di meno scientifico possa essere, ma non dobbiamo mai dimenticare che rappresentavano il miglior tentativo a disposizione all’epoca di trovare un senso e un ordine nella realtà, ed erano frutto dello stesso desiderio di conoscenza che accomuna ancora oggi gli scienziati e le scienziate.
Al contrario dello studio delle trasformazioni della materia nei primi laboratori alchemici, o dell’esplorazione dei meandri dei corpi umani nei teatri anatomici, la conoscenza dei cieli non ha mai posseduto la stessa aura di pericolo innaturale che aleggiava intorno a queste altre pratiche, e mente certamente agli astronomi/astrologi del passato venivano riconosciuti saperi segreti, spesso non portavano su di sé il marchio sinistro che le altre discipline pre-scientifiche imprimevano ai loro praticanti. Il racconto dei miti e delle leggende del cielo è sempre stato quindi un aspetto assolutamente naturale dell’astronomia, e ha costituito nel tempo un fondamento culturale robusto su cui si è inserita quella che oggi chiameremo divulgazione astronomica.
In senso più stretto, la divulgazione scientifica si può dire che sia nata al tempo dell’Illuminismo. Prima di allora, la “filosofia naturale” era oggetto di interesse per le classi elevate, e faceva parte degli studi a cui si potevano dedicare gli aristocratici e in generale gli intellettuali dell’epoca. Il termine “scienza”, come lo intendiamo oggi, non esisteva ancora, basti pensare che lo stesso Isaac Newton intitola Principi matematici di filosofia naturale quello che per noi oggi è ovviamente un trattato di fisica, seppur attraverso la cornice culturale dell’epoca. Ma ancora non si poteva parlare di divulgazione scientifica. È stato solo nell’Ottocento che i progressi di quella che iniziava ad essere chiamata “scienza”, come la locomotiva a vapore o l’illuminazione elettrica, divennero così chiari e pervasivi che cominciò a nascere l’idea che la conoscenza scientifica potesse essere di interesse pubblico.

Data: 1846
Fonte: The Year-book of Facts in Science and Art By John Timbs
Anche in questo caso, gli astronomi avevano evidentemente lo sguardo lungo in questo campo. Già intorno al 1830, l’astronomo inglese John Herschel scriveva in una lettera come fosse necessario per la collettività “assimilare ciò che oggi è conosciuto in ciascuna delle branche della scienza […] in modo da avere una visione complessiva di cosa già è stato compiuto, e di cosa resta da compiere.” In questo contesto, le istituzioni scientifiche come l’Accademia Nazionale delle Scienze americana o l’Associazione Britannica per l’Avanzamento della Scienza, iniziarono a pubblicare riviste e opuscoli per comunicare le nuove scoperte. Bisogna qui distinguere due elementi, anche se spesso in questo periodo non era così facile separarli: i veri e propri “giornali scientifici” (science journals), che si occupano di pubblicare nuovi studi e ricerche sottoposte alla revisione paritaria, e che sono destinati alla comunità dei ricercatori per contribuire al capitale globale delle conoscenze scientifiche, e le “riviste scientifiche” (science magazines), che oggi chiameremmo di divulgazione scientifica, che invece erano destinati al pubblico, per soddisfarne la curiosità riguardo alla scienza ed arricchirne la cultura e l’educazione.

Data: 1845
Fonte: Archivio Scientific American
Gli avanzamenti tecnologici permisero di aumentare in maniera esponenziale la tiratura delle stampe, contribuendo quindi a diffondere anche questo genere di pubblicazioni, abbassando i prezzi e dando la possibilità anche alle classi meno abbienti di accedere alla lettura di giornali e riviste. Questo si trasformò in una vera e propria esplosione della carta stampata, dando un contributo significato alla crescita culturale delle classi operaie e proletarie. A questo periodo risale ad esmpio il Penny Magazine (la “rivista da un penny”), destinato a soddisfare la curiosità del pubblico sulle nuove scoperte della scienza e sulle nuove invenzioni della tecnica. Il grande successo di queste riviste di “divulgazione” portò quindi nella seconda metà dell’Ottocento ad una fioritura di titoli, alcuni dei quali conosciamo ancora oggi: Scientific American (1845), Popular Science (1872), National Geographics (1888). Per quanto riguarda le scienze del cielo, sono da ricordare The Observatory (1877) e Popular Astronomy (1893), entrambi in lingua inglese, e L’Astronomie (1883), fondata dall’astronomo francese Camille Flammarion. In Italia, ci si perdonerà certamente la citazione della rivista storica Coelum (1931), fondata dall’astronomo triestino e celebrato direttore dell’Osservatorio Astronomico di Bologna, Guido Horn d’Arturo.

Data: 1882
Fonte: Archivio della Società Astronomica di Francia
Le riviste di divulgazione astronomica hanno conosciuto negli anni alterne vicende, ma sono rimaste tuttavia un punto di riferimento per la diffusione della cultura e delle scoperte astronomiche per il grande pubblico. Ma, come l’invenzione della macchina rotativa ha portato all’esplosione della carta stampata, così in tempi molto più recenti, la diffusione dei sistemi di comunicazione digitale e l’utilizzo dei dispositivi di accesso personale come tablet e cellulari hanno lanciato una nuova rivoluzione della comunicazione, compresa la divulgazione. In un certo senso si poteva pensare che questa rivoluzione sia iniziata in realtà con la radio e la televisione, ma in effetti questi sistemi di comunicazione erano più rigidi e monodirezionali, e avevamo affiancato ma non soppiantato la carta stampata. I siti internet, e ancora più recentemente le piattaforme social, hanno invece dato un colpo durissimo alle tradizionali riviste di divulgazione. In un’era caratterizzata da una comunicazione sempre più rapida, interattiva, sincopata, partecipativa, è lecito domandarsi il futuro della divulgazione attraverso canali così lenti e tradizionali.

Data: 1888
Fonte: Archivio National Geographic

Data: 1872
Fonte: Archivio Popular Science
Tuttavia, così come la velocità della comunicazione digitale ha portato a riscoprire e rivendicare il diritto alla lentezza, alla riflessione, alla disconnessione dal leviatano digitale che ci fagocita in ogni istante, anche per quanto riguarda la divulgazione scientifica c’è ancora spazio per un modo diverso di comunicare. Una divulgazione che non si metta in competizione con le piattaforme social, ma che invece le completi e le integri, dando ai lettori la possibilità di approfondire, di rileggere e, come ha avuto la lungimiranza di scrivere John Herschel quasi 200 anni fa, di “assimilare ciò che oggi è conosciuto […] in modo da avere una visione complessiva […] di cosa resta da compiere.” In contrasto ad una comunicazione votata al “consumo” costante, una visione della divulgazione che si metta invece nella prospettiva della “conservazione”. Perché per allungare i rami verso il cielo, è necessario avere radici solide, robuste, lente. E perché no, fatte di cellulosa.
L’articolo è pubblicato in Coelum 257