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Editoriale – Coelum n.126 – Marzo 2009

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Immaginate di essere a casa vostra, in una sera di poca voglia e di scarsa attenzione alle cose del mondo, e che il televisore sia acceso in sottofondo, unicamente per la sua funzione di rassicurante generatore di rumore casuale.
Avete appena deciso di andarvene a letto e state per spegnere, ma proprio in quel momento cominciano a scorrere dei titoli sullo sfondo di un paesaggio di montagna dove tra gli alberi spunta la cupola di un osservatorio.
L’adrenalina comincia a salire e vi sedete in punta di divano, incuriositi ma pur sempre scettici. Temete il solito film dove l’astronomia serve solo da pretesto iniziale per l’ennesima invasione di vampiri dallo spazio…
Però l’ambientazione non è di maniera, è tutto molto verosimile e vi pare addirittura di riconoscere l’Osservatorio di Flagstaff. Primi anni Sessanta, a giudicare dalle automobili. Vi rilassate, e approfittate della pubblicità per rifornirvi di generi di conforto.

Dopo un po’ vi accorgete che state seguendo le vicende di un tale che tutti chiamano Bob, un giovane astronomo che si divide tra il lavoro in cupola e una vita solitaria quasi tutta spesa all’interno di un piccolo bungalow, dove passa il tempo a compilare un’opera che il film rappresenta come una specie di sfida.
Ma una sfida a che? al mondo? alla mediocrità? Non riuscite a capirlo, ma intuite che Bob conduce un’esistenza eccentrica e tormentata, sempre più persa in una spirale che lo sta portando verso un qualcosa di negativo che ancora la trama non chiarisce.
E questo accade mentre Bob, timido e riservato, sembra comunque contento del suo lavoro, e interagisce con i colleghi mentre cataloga stelle, osserva al telescopio e addirittura scopre una nuova cometa.
Tutto bello, tutto verosimile (ma quello, non era proprio il telescopio che usò Tombaugh per scoprire Plutone?), e così ve ne rimanete lì sul divano a gustare ogni più piccola sfumatura di una vicenda che continuamente vi parla di cose che avete inseguito per tutta la vostra vita di appassionati del cielo.
E dopo due ore di film, mentre ve ne state lì un po’ inebetiti a guardare i titoli di coda che scorrono sulla spiaggia californiana di San Bernardino (dove Bob viene ritrovato esanime come un qualsiasi vagabondo), vi ricordate all’improvviso di chi era davvero Robert Burnham e capite che il film è tratto da una storia vera. E che avete appena assistito alla celebrazione di un amore sconfinato per l’universo che c’è fuori e dentro di noi.
Sullo schermo, intanto, scivola lentamente la scritta: “Prodotto dalla RAI in occasione dell’Anno internazionale dell’astronomia”.

Al che vi risvegliate di soprassalto e capite subito – per la miseria – che è stato solo un sogno fatto nel microsecondo in cui stavate per spegnere il generatore casuale di rumore.
E mentre siete in bagno che vi lavate i denti, non potete fare a meno di pensare: “L’anno dell’astronomia… che fesseria! Tutti gli astronomi, gli Osservatori, gli appassionati, festeggiano l’anno dell’astronomia… In pratica ci festeggiamo da soli! Sarebbe come se domani mi dicessi che è il mio compleanno e mi facessi gli auguri allo specchio. Gli auguri e i riconoscimenti io me li aspetto dagli altri, e se no che gusto ci sarebbe?
Quando la televisione di Stato a cui pago il canone produrrà un film del genere, allora, e solo allora considererò festeggiato l’anno dell’astronomia. Ecché……”.