Il percorso apparente di (25) Phocaea si spiegherà in giugno nella parte sudovest della costellazione del Serpente, un paio di gradi ad est del famoso ammasso globulare M5. A metà mese culminerà verso le 23:00, mostrandosi con un’ancora discreta luminosità (magnitudine +10,5).
Il percorso apparente di (25) Phocaea si spiegherà in giugno nella parte sudovest della costellazione del Serpente, un paio di gradi ad est del famoso ammasso globulare M5. A metà mese culminerà verso le 23:00, mostrandosi con un’ancora discreta luminosità (magnitudine +10,5).
Beh, anche questo in fin dei conti è un record. Pensate… in giugno ci saranno soltanto due asteroidi in opposizione al di sotto della mag. +12: (37) Fides e (55) Pandora! E per di più a declinazioni talmente basse (rispettivamente, nella coda dello Scorpione e nel Lupo) che, nel caso scegliessi proprio questi due come oggetti del mese, mi attirerei sicuramente i rimbrotti dei lettori, costretti a puntare i telescopi tra
le luci delle case di fronte… Che fare, dunque? Niente, se gli schemi saltano non resta che improvvisare. Ecco perché in questo numero vi parlerò di (25) Phocaea, un asteroide entrato in opposizione già un mese fa, e di (694) Ekard, quasi gemello del primo e intrigante per ragioni che poi vi dirò. Phocaea è uno di quei famosi asteroidi “out of time”, la cui scoperta si percepisce essere avvenuta “fuori sincrono”
(in anticipo o in ritardo) sulla data che la loro luminosità apparente poteva far supporre come probabile.
In chiusura di rubrica, Claudio Pra ci aggiorna sui progressi dei cacciatori di asteoroidi:
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 68 di Coelum n.171.
La cartina del mese è centrata sulla costellazione dello Scudo, al cui interno è possibile osservare oggetti di varia natura come l'ammasso globulare NGC 6712, la nebulosa planetaria IC 1295 e l'ammasso aperto NGC 6649.
La cartina del mese è centrata sulla costellazione dello Scudo, al cui interno è possibile osservare oggetti di varia natura come l'ammasso globulare NGC 6712, la nebulosa planetaria IC 1295 e l'ammasso aperto NGC 6649.
Torniamo a distanza di un anno (vedi Coelum 162) a visitare la piccola costellazione dello Scudo; e questa volta per scovare, tra la fitta nebbia stellare del cuore della Via Lattea, tre oggetti molto meno appariscenti dei due famosi Messier (M11 e M26) di cui parlammo allora. Si tratta di una planetaria, di un ammasso aperto e di un globulare, tanto per non farci mancare nulla. NGC 6712 – Per trovare il primo
oggetto di questo mese, dobbiamo partire da epsilon e delta Scuti, due stelle di quinta magnitudine situate un paio di gradi ad est di alfa Scuti, la stella più brillante della costellazione; dalla mezzavia di queste bisogna poi proseguire verso est per altri 2,5°. Fatto ciò, dovrebbe apparire nel campo del telescopio l’ammasso globulare NGC 6712, un oggetto ufficialmente scoperto da W. Herschel il 16 giugno 1784, ma che secondo alcuni fu avvistato dall’astronomo francese Le Gentil già nel 1749. Comunque sia, entrambi lo classificarono come una piccola nebulosa tondeggiante, e soltanto John Herschel, nel 1830, osservandolo dal suo osservatorio di Capo di Buona Speranza, lo risolse in stelle riconoscendone la reale natura. Distante da noi più o meno come M13 – circa 22 500 anni luce – rispetto al grande globulare dell’Ercole è però molto più piccolo (40 contro 145 anni luce di diametro) e nelle foto si mostra con una dimensione apparente di poco più di 6 primi d’arco (il doppio rispetto che in visuale).
Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici, le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 56 diCoelum n. 171.
il percorso apparente della Pan-STARRS in giugno. La cometa, dopo aver passato la Polare il mese scorso, si dirigerà verso i “guardiani del Polo” (le stelle Kochab e Pherkad), dopo aver risalito tutta la figura del Piccolo Carro. A destra, la Lemmon sarà più bassa della Pan-STARRS in declinazione e finirà la sua corsa in Cassiopea dopo essere passata nelle vicinanze della Galassia di Andromeda.
il percorso apparente della Pan-STARRS in giugno. La cometa, dopo aver passato la Polare il mese scorso, si dirigerà verso i “guardiani del Polo” (le stelle Kochab e Pherkad), dopo aver risalito tutta la figura del Piccolo Carro. A destra, la Lemmon sarà più bassa della Pan-STARRS in declinazione e finirà la sua corsa in Cassiopea dopo essere passata nelle vicinanze della Galassia di Andromeda.
Gli appassionati di comete stanno attualmente vivendo una specie di interregno, apertosi tra la venuta della Pan-STARRS, ormai andata, e l’attesa per la ISON, ennesima cometa annunciata come “epocale” in arrivo nel prossimo autunno. Tra queste due, il vuoto è stato parzialmente riempito dall’apparizione alle nostre latitudini della Lemmon, di magnitudine binoculare (+4,8 al perielio di fine marzo, quando ancora da noi non era osservabile) ma straordinariamente fotogenica, almeno fino a tutto maggio. In giugno la sua luminosità continuerà a scendere, passando dalla +8,5 alla +9,4 mentre si muoverà tra Andromeda
e Cassiopea.
La tabella riporta il sorgere, la culminazione, l’altezza sull’orizzonte astronomico dell’osservatore raggiunta dalla cometa all’istante del transito in meridiano, e il tramonto. Sono poi indicate: la magnitudine visuale (la magnitudine totale indicata è quella teorica calcolata in base a dei parametri fisici e geometrici; l’effettiva magnitudine visuale delle comete può risultare a volte decisamente diversa da quella tabulata), la distanza dalla Terra (in Unità astronomiche), l’elongazione dal Sole – occidentale “W” (la cometa è visibile alla mattina prima del sorgere del Sole), od orientale, “E” (la cometa è visibile alla sera dopo il tramonto del Sole) – l’Ascensione Retta, la Declinazione e la costellazione in cui si trova. Gli istanti sono topocentrici e calcolati per le 00:00 TMEC per una località situata a 12° di long. Est e 42° di lat. Nord.
Agli inizi del mese sorgerà verso la mezzanotte e sarà quindi osservabile solo nella seconda parte della notte, ma con il passare dei giorni e l’aumento in declinazione anticiperà sempre più il sorgere fino a diventare circumpolare verso il 20. Dal 9 al 13 giugno passerà circa 5 gradi a ovest della grande galassia M31.
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 74 di Coelum n.171.
Con questa nuova veduta di una spettacolare incubatrice stellare l’ESO celebra i 15 anni del VLT (Very Large Telescope). Questa fotografia rivela densi grumi di polvere che si stagliano sulla nube rosata di gas incandescente che gli astronomi chiamano IC 2944. Le macchie opache sembrano gocce d’inchiostro che galleggiano in un cocktail alle fragole, le loro stravaganti forme sono scavate dalla potente radiazione prodotta dalle giovani stelle circostanti.
Le nubi insterstellari di polvere e gas sono le incubatrici che danno vita alle nuove stelle. Questa nuova fotografia mostra una di queste, IC 2944, che appare come uno sfondo di debole luce rosata: è una delle immagini di questo oggetto più nitide mai ottenute da terra. La nube si trova a circa 6500 anni luce da noi, nella costellazione australe del Centauro. Questa zona del cielo ospita molte altre nebulose simili, osservate dagli astronomi per studiare i meccanismi della formazione stellare.
Le nebulose a emissione come IC 2944 sono composte principalmente da idrogeno gassoso che risplende di una caratteristica tonalità rossastra a causa dell’intensa radiazione prodotta dalle tante stelle brillanti appena nate. Contro questo sfondo luminoso si stagliano chiaramente alcuni grumi scuri e misteriosi di polvere opaca: nubi fredde note come globuli di Bok, così chiamati dal nome delll’astronomo olandese-americano Bart Bok, che per primo negli anni ’40 del secolo scorso richiamò l’attenzione degli studiosi su queste formazioni come possibili siti di formazione stellare. Questo particolare insieme di globuli è noto come Globuli di Thackeray .
Questa immagine risale a quindici anni fa, alla prima luce del primo dei quattro UT (Unit Telescope), il 25 maggio 1998. Da allora i quattro telescopi giganti del progetto originale sono stati arricchiti da altri quattro piccoli telescopi ausiliari (AT) che fanno parte integrante dell’interferometro del VLT (VLTI). Il VLT è uno degli impianti astronomici da terra più potenti e produttivi attualmente in funzione. Nel 2012 sono stati pubblicati più di 600 articoli su riviste con referee basati su dati del VLT e del VLTI.
I primissimi giorni del mese (qui sono mostrati gli scenari del 1 e del 5 giugno) si potrà forse riuscire ad osservare, magari aiutandosi con un binocolo, il lento diradarsi della congiunzione tra Giove, Venere e Mercurio. Al momento del tramonto del Sole, il cielo sarà ovviamente ancora molto chiaro e probabilmente bisognerà aspettare almeno un quarto d’ora oltre l’orario indicato per riuscire a scorgere Mercurio (il pianeta più alto, ma in questo caso il più debole: mag. –0,3) e Giove (abbastanza brillante, mag. –1,7, ma molto basso sull’orizzonte; avviato alla congiunzione eliaca e in procinto di essere raggiunto dal Sole). Nessun problema invece per Venere, come al solito sempre molto luminoso (mag. –3,7).
Crediti per l’immagine: Emily Lakdawalla (Planetary Society Blogger)
Crediti per l’immagine: Emily Lakdawalla (Planetary Society Blogger)
Ci risiamo, un altro asteroide s’accinge a passare nei pressi della Terra. L’appuntamento è per le undici di sera (ora italiana) di venerdì 31 maggio. Il verbo “sfiorare”, diciamolo subito, in questo caso sarebbe quanto mai fuori luogo: la distanza minima alla quale 1998 QE2 – così è stato battezzato il pietrone volante – verrà a trovarsi rispetto al nostro pianeta è stata infatti calcolata in 5.8 milioni di chilometri. Come dire, 15 volte la distanza fra la Terra e la Luna.
Insomma, se non fosse per un pizzico di scaramanzia dovuto all’incredibile coincidenza del 15 febbraio scorso, quando a distanza di poche ore ben due pietre volanti – rispetto all’una prevista – hanno fatto visita al nostro pianeta, verrebbe da dire che non c’è proprio nulla di cui preoccuparsi. È vero che 1998 QE2 è relativamente grande, circa 2.7 chilometri, ma la distanza dalla Terra è tale che l’unico cruccio degli astronomi sarà quello di riuscire a osservarlo al meglio. Dalla NASA fanno sapere che le enormi antenne radio di Goldstone e Arecibosono già pronte a entrare in azione, e la speranza è di riuscire a cogliere dettagli della superficie dell’asteroide di appena 3-4 metri.
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Gragnuola su Marte, impatto record sulla Luna
Meno tranquilla appare la situazione, rimanendo sempre in tema d’impatti celesti, per due dei nostri vicini: la Luna e Marte. Partiamo da quest’ultimo. È di questi giorni che, analizzando le immagini raccolte dallo strumento HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment) a bordo della sonda NASA Mars Reconnaissance Orbiter, gli scienziati sono giunti a calcolare i bombardamenti subiti dal pianeta rosso: fra asteroidi e frammenti di comete, la notizia, oltre 200 all’anno. E parliamo di bombardamenti consistenti, tali da lasciare sul terreno crateri di almeno quattro metri di diametro.
Altrettanto martoriato appare il nostro satellite, sprovvisto come e più di Marte di quel giubbotto antimeteoriti naturale rappresentato da una densa atmosfera. Risale ad appena qualche settimana fa la registrazione d’un impatto da record sul suolo della Luna. «Il 17 marzo 2013 un oggetto delle dimensioni di un piccolo macigno ha colpito la superficie lunare nel Mare Imbrium», ha annunciato nei giorni scorsi Bill Cooke, del Meteoroid Environment Office della NASA. «È esploso in un lampo dieci volte più brillante di qualsiasi cosa abbiamo mai visto prima». Talmente brillante che chiunque stesse osservando la Luna al momento dell’impatto, anche a occhio nudo avrebbe potuto cogliere i bagliori dell’esplosione, pari per luminosità a una stella di quarta magnitudine.
In Italia il centro europeo di controllo
Oltre alla protezione d’una generosa atmosfera, il nostro pianeta può avvalersi d’un monitoraggio sempre più puntuale delle pietre volanti potenzialmente più pericolose, i cosiddetti NEO (Near-Earth Objects). E se fino a oggi a farla da padroni, in questo campo, sono stati gli Stati Uniti – con all’attivo il 98% dei NEO scoperti e un budget dedicato all’allerta precoce salito, nel 2012, da 6 a 20 milioni di dollari – il ruolo dell’Europa è destinato ad aumentare. S’inaugura infatti proprio in questi giorni, mercoledì 22 maggio, in Italia (a Frascati, presso la sede ESA di ESRIN) il Near-Earth Object Coordination Centre (NEO-CC) dell’Agenzia Spaziale Europea: un centro di coordinamento dove verranno raccolti i dati provenienti da tutti i sistemi europei, già esistenti e futuri, per il monitoraggio di asteroidi e comete con orbite vicine a quella della Terra.
Guarda il servizio video di Marco Galliani su INAF-TV:
24.05: “Le nebulose oscure e non solo” a cura di A. Montrasio.
Cell. Per info: marco.saini@email.it
333.3999917 (Saini) – 335.8113987 (Milani)
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Ormai da quasi 50 anni il più atteso momento di incontro, approfondimento e socializzazione degli appassionati di astronomia e di scienza in Italia, nonché un’occasione di condivisione di esperienze tra le associazioni, gli osservatori, i planetari e i musei a tema astronomico-scientifico sul territorio.
Anche quest’anno il Congresso sarà particolarmente ricco di iniziative e appuntamenti per scoprire, ri-scoprire o approfondire la passione per l’osservazione del cielo e per la scienza. Organizzazione a cura della Fondazione Osservatorio Astronomico di Tradate.
Unione Astrofili Italiani Tradate (VA)
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Il secondo foro su Marte nel sito di Cumberland (credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS)
Dopo 288 giorni di missione su Marte, il rover della NASA Mars Science Laboratory Curiosity ha praticato lo scorso 19 maggio un secondo foro in una roccia, profondo 6,6 centimetri e dal diametro di 1,6, prelevando un campione che analizzerà nel suo laboratorio di bordo. Curiosity, atterrato il 6 agosto 2012, ha usato il suo trapano per perforare nuovamente la superficie di Marte, nel sito denominato Cumberland.
Il primo campione è stato raccolto lo scorso 8 febbraiodal sito John Klein a 2,75 metri dal secondo sito. Le analisi effettuate dal laboratorio della NASA hanno mostrato la compatibilità con un passato ambiente in grado di supportare lo svilupparsi della vita.
Il secondo foro su Marte nel sito di Cumberland (credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS)
Presto il secondo campione sarà analizzato dal laboratorio SAM (Sample Analysis at Mars) e CheMin (Chemistry and Mineralogy), per studiarne la composizione e per confermare i dati del campione di John Klein, vale a dire un ecosistema propizio all’esistenza di microorganismi e di acqua non troppo acida. Entrambi i fori praticati finora si trovano nella zona denominata Yellowknife Bay, nel cratere Gale. Le due rocce, piatte e con venature chiare, sono molto simili anche se Cumberland sembra avere molti più granuli (resistenti alla erosione), responsabili delle asperità del suolo.
Presto Curiosity, che ha percorso finora solo 700 metri, dovrà dirigersi verso il Monte Sharp, distante 8 km e alto 5.500 metri. Per raggiungerlo occorreranno mesi.
Rassegnastampa e cielo del mese – Ogni quarto giovedì del mese a cura di Stefano Capretti. Approfondimento di attualità astronomica e degli eventi del cielo del mese.
Maledetti giroscopi. Saranno forse proprio loro a segnare la fine definitiva della missione Kepler della NASA. Già lo scorso anno uno dei quattro dispositivi a bordo del satellite era andato in avaria, sostituito da quello di riserva. Ed ecco arrivare negli ultimi giorni un nuovo problema a uno dei tre rimanenti che potrebbe dargli il colpo di grazia. Questi apparati sono infatti vitali per il corretto funzionamento delle attività del satellite poiché provvedono al suo perfetto puntamento e stabilità: “senza questi dispositivi un telescopio che deve avere un’altissima precisione di puntamento e poter ripetere lo stesso puntamento anche a distanza di molto tempo con la stessa altissima precisione, semplicemente non riesce più a fare il suo lavoro” dice Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana. “È chiaro che quando si parla di un guasto, bisogna ragionare sempre in termini di probabilità. Si fa tutto il possibile nel progettare e realizzare missioni spaziali per ridurre al minimo la probabilità di avarie, soprattutto critiche come quella sperimentata da Kepler, ma purtroppo non è mai possibile azzerare questa probabilità”.
Quali dunque le ripercussioni immediate sull’attività scientifica della missione?
“Questo problema provocherà sicuramente una perdita di accuratezza nella precisione fotometrica, cioè della misura della radiazione proveniente dalle stelle che sono monitorate alla ricerca di pianeti orbitanti attorno ad esse” spiega Raffaele Gratton, astronomo INAF ed esperto di pianeti extrasolari.
Un colpo che risulterebbe decisivo per i possibili futuri risultati della missione che riuscirebbe sì ancora a trasmetterci dati, ma poco o per nulla utilizzabili dalla comunità scientifica. Eppure Kepler, in quasi quattro anni di vita operativa da poco superata – proprio quella prevista dal progetto iniziale – ci ha regalato una nuova visione su quelli che sono i mondi al di fuori del nostro Sistema solare, neanche lontanamente immaginabile prima della sua entrata in funzione.
“Kepler è stato un enorme successo. Ha segnato una rivoluzione nella nostra comprensione dei sistemi planetari e ha completamente realizzato le attese che erano estremamente ambiziose. Al di là del numero di pianeti che ha scoperto, maggiore di quanto era stato anticipato, ci sono delle caratteristiche che hanno questi pianeti che determinano il successo della missione. Intanto è stata fornita una enorme statistica sui pianeti, in particolare quelli con periodi corti. Questo è un dato fondamentale per la nostra comprensione di come si formano ed evolvono i sistemi planetari. Molti dei pianeti scoperti sono di piccole dimensioni e alcuni di questi si trovano nella zona abitabile. Anche questo risultato è importantissimo per capire qual è la probabilità che esistano pianeti con queste caratteristiche e sui quali eventualmente potrebbero esserci le condizioni per ospitare forme di vita” prosegue Gratton. “Ma dobbiamo ricordare che Kepler ha dato un enorme contributo anche sulla comprensione della struttura interna delle stelle, informazioni che vengono dallo studio delle loro pulsazioni, quello che noi chiamiamo asterosismologia”.
Eppure, nonostante questi enormi successi, non tutta la mole dei dati finora inviati dalla missione è stata sfruttata dalla comunità scientifica internazionale: “noi abbiamo misure estremamente accurate della variazione di luminosità per circa 100.000 stelle e per ognuna di queste abbiamo all’incirca un milione di misure, ciascuna delle quali con una precisione estrema. Stiamo parlando quindi di centinaia di miliardi di misure ed estrarre tutte le importanti informazioni che si celano dietro questa enorme mole di dati sarà un lavoro che richiederà ancora anni” sottolinea l’astronomo.
Leggi le news di Media INAF dedicate alla missione Kepler
24-26 maggio XLVI Congresso dell’Unione Astrofili Italiani Il più importante appuntamento dell’astrofilia italiana: tre giorni di conferenze e di condivisione esperienze formative
alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale ed internazionale, quest’anno insieme ad Astronomix 2012, fiera-esposizione dell’astronomia.
Organizzazione a cura della Fondazione Osservatorio Astronomico di Tradate.
Unione Astrofili Italiani Tradate (VA) http://congresso.uai.it
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Luminoso flash sulla superficie della Luna, visto il 17 Marzo 2013. Credit: NASA
Luminoso flash sulla superficie della Luna, visto il 17 marzo 2013. Crediti: NASA
Se, da qualche parte nel mondo, stavate guardando la Luna il 17 marzo 2013 alle ore 03:50:55 UTC potreste aver visto, anche ad occhio nudo, un brillantissimo flash lunare! Un oggetto di grandezza tra i 30 e i 40 cm di diametro, e di circa 40 kg, ha colpito la superficie della Luna a 90.000 km/h liberando una quantità di energia equivalente a circa 5 tonnellate di TNT!
“L’oggetto ha colpito la superficie del Mare Imbrium ed è esploso così forte da essere 10 volte più intenso di qualsiasi altra esplosione abbiamo mai visto sulla luna”, spiega Bill Cooke della NASA.
I meteoroidi lunari arrivano a colpire la superficie con così tanta energia cinetica che non richiedono un’atmosfera ricca di ossigeno per creare un’esplosione visibile. La luce proviene infatti non dalla combustione, come sulla Terra, ma dalla roccia fusa che evapora sul sito dell’impatto.
Non ci sono ancora immagini del cratere, ma dovrebbe essere grande circa 20 metri di diametro. Gli scienziati della missione orbitale LRO (Lunar Reconnaissance Orbiter), sperano di riuscire a riprendere dettagli ad alta risoluzione del cratere ancora fresco, non appena saranno di passaggio sopra la regione dell’impatto. Un simile evento permetterà di ottenere nuove misurazioni per migliorare gli attuali modelli sulla formazione dei crateri e su come avvengono gli impatti lunari.
Sequenza a falsi colori che mostra l'evoluzione del flash, con un picco che ha raggiunto la luminosità di una stella di magnitudo 4. Credit: NASA
Durante gli ultimi 8 anni, Cooke e il suo team di astronomi della NASA hanno monitorato la Luna alla ricerca di esplosioni causate da meteoroidi, e non ce ne sono state di certo poche! L’unico problema è che finora sono state molto più piccole e difficili da vedere, questa è di gran lunga la più spettacolare in tempi recenti. (N.d.r. a questo proposito, proprio nel numero 171 di Coelum, in edicola a fine maggio, troverete un articolo sul famoso impatto lunare che secondo il racconto di Gervaso da Canterbury sarebbe avvenuto nell’estate del 1178).
Durante questi anni, gli astronomi hanno scoperto che gli impatti sono molto più comuni di quanto ci saremmo mai aspettati e, contando anche i più piccoli, sono nell’ordine di centinaia di flash rilevati ogni anno. Da quando il programma è iniziato nel 2005, il team della NASA ha rilevato dalla Terra ben 300 impatti. Statisticamente parlando, più della metà provengono da piogge di meteoriti, come le Perseidi o Leonidi, per il resto si tratta di meteore sporadiche.
La mappa degli impatti osservati negli ultimi 8 anni sulla superficie della Luna. credit: NASA
Ma non è tutto, perché secondo Cooke c’è qualcosa di molto più intrigante sotto e questo potrebbe essere stato solo una parte di un evento più grande: “Nella notte del 17 marzo, gli astronomi della NASA e dell’Università di Western Ontario, hanno rilevato una quantità insolitamente alta di meteoridi arrivati a grandi profondità nell’atmosfera qui sulla Terra – spiega l’astronomo – queste stelle cadenti viaggiavano su orbite quasi identiche tra la Terra e la Fascia di Asteroidi”.
Potrebbe quindi significare che la Terra e la Luna siano state colpite da meteore di origine comune: “La mia attuale ipotesi è che i due eventi siano collegati e che questo costituisca un incontro ravvicinato di breve durata tra il sistema Terra-Luna e una densa nube di materiale” ha spiegato Cooke.
Uno degli obbiettivi del programma di osservazione degli impatti lunari è quindi anche quello di usare la Luna come gigantesco rilevatore di flussi di detriti di cui non siamo a conoscenza, come questo. Scoprirli per tempo potrebbe aiutarci ad individuare le zone di provenienza di impatti a rischio anche per la Terra.
Il video della ScienceCast che mostra la luminosa esplosione del 17 marzo.
Da sinistra Karen Nyberg (NASA), Fyodor Yurchikhin (RKA) e il nostro Luca Parmitano (ESA). Credits: Gagarin Cosmonaut Training Center
L’astronauta italiano Luca Parmitano (ESA) inizierà la sua missione sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) il 28 maggio 2013 con il lancio della capsula Soyuz TMA-09M, del cui equipaggio farà parte insieme con Fyodor Yurchikhin (RKA) e Karen Nyberg (NASA). Nella missione denominata Volare, nell’ambito della Expedition 36/37, rimarrà per circa sei mesi sulla ISS dove condurrà esperimenti scientifici e due passeggiate spaziali.
Continueremo inoltre su AstronautiNEWS la pubblicazione di articoli sulle attività di Parmitano e della expedition 36/37 con notizie e aggiornamenti, iniziata fin dall’annuncio ufficiale di Volare. Gli articoli più recenti sono in evidenza sulla home page di AstronautiNEWS insieme con le altre notizie. L’archivio completo degli articoli su Volare è cosultabile al seguente link dell’etichetta (tag) Volare, che potete aggiungere ai vostri preferiti (è disponibile anche un feed RSS):
Su ForumAstronautico.it si può discutere, commentare e approfondire fra appassionati e curiosi lo svolgimento della missione e le notizie di AstronautiNEWS, in particolare nella sezione sulla Expedition 36. ForumAstronautico.it è il primo forum italiano sull’astronautica e lo spazio ed è frequentato da numerosi utenti, dai semplici appassionati ai professionisti del settore spaziale. La registrazione gratuita, necessaria per partecipare alle discussioni, richiede solo pochi minuti.
Sono i quartieri periferici del sistema solare. Quelli meno frequentati, dove si avventura solo ogni tanto una coraggiosa sonda, e da cui è molto difficile avere notizie certe. Urano e Nettuno, i due pianeti più esterni del sistema solare (da quando Plutone è stato declassato), sono ancora per molti versi misteriosi, in particolare per quanto riguarda la dinamica della loro atmosfera. I pochi dati affidabili che abbiamo ce li ha mandati la sonda Voyager 2 negli anni Ottanta, incontrando prima Urano nell’86 e poi Nettuno nell’89.
In quell’occasione, le immagini raccolte dalla sonda mostravano nubi di metano e ammoniaca, percorse da venti diretti da est verso ovest e con velocità fino a 450 metri al secondo, contro i 30-100 metri al secondo che si misurano sulla Terra. Insomma, nonostante la loro distanza dal Sole, i due “giganti di ghiaccio” hanno venti tra i più forti di tutto il del Sistema solare. Da dove venga l’energia che li muove, non è chiaro: se sia comunque il calore del Sole, o calore proveniente dall’interno del pianeta. Per capirlo, sarebbe importante sapere se i venti riguardano solo gli strati esterni dell’atmosfera o ci sono anche più in profondità.
Ora un nuovo studio condotto da Yohai Kaspi del Weizmann Institute in Israele, e pubblicato sull’ultimo numero di Nature, propone un nuovo metodo per capirlo. I ricercatori hanno incrociato le immagini raccolte da Voyager con i dati sulle piccole accelerazioni e decelerazioni subite dalla sonda mentre passava vicino ai pianeti, legate al campo gravitazionale dei pianeti stessi. Quest’ultimo doveva essere influenzato dai movimenti di materia provocati dai venti, e un complesso modello matematico permette quindi di mettere in relazione lo spessore della parte di atmosfera coinvolta nel movimento dei venti con l’attrazione gravitazionale avvertita da Voyager nelle varie fasi del transito.
Secondo i calcoli dei ricercatori, i movimenti dell’atmosfera in entrambi i pianeti sono piuttosto superficiali, non andando oltre i 1000 km di profondità. Che possono sembrare tanti per noi sulla Terra, dove tutta l’atmosfera misura circa 100 km, ma tanto su Urano quanto su Nettuno corrispondono sì e no allo 0,2 per cento della massa totale del pianeta. Se i venti fossero più profondi, gli effetti gravitazionali sentiti da Voyager avrebbero dovuto essere ben più apprezzabili.
Il motivo per cui il risultato è tanto interessante è che lo stesso metodo potrebbe essere utilizzato anche per Giove e Saturno, una volta che nuove missioni come Juno (o la stessa Cassini, quando a fine carriera verrà “accompagnata” verso un’orbita molto più bassa di quella attuale su Saturno) renderanno disponibili dati abbastanza accurati sulla gravità dei due giganti gassosi (finora le sonde che li hanno visitati sono rimase su orbite troppo alte).
18.05: Apertura dell’osservatorio“MonteGalbiga”.
Prima serata della stagione 2013 dedicata all’osservazione di Luna, Saturno e Giove. Da non perdere gli oggetti del cielo primaverile
quali le galassie nella Vergine, nel Leone e nell’Orsa Maggiore.
Per info: tel. 328/0976491 info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org
18 maggio Il Cielo da Fenestrelle Osservazione del cielo aperta al pubblico in Località Casermette a cura del Circolo Pinerolese Astrofili Polaris – http://cpap.altervista.org
17.05: Il Cielo sopra Como. Una nuova iniziativa del Gruppo Astrofili Lariani in collaborazione con Aeroclub di Como: serata osservativa c/o Hangar dell’Aeroclub di Como. In caso di maltempo, verrà effettuata una proiezione con il planterio portatile.
(La sede sociale in occasione di questa iniziativa rimarrà chiusa).
Per info: tel. 328/0976491 info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org
Il flare di intensità X 2.8 del 13 maggio, ripreso dal satellite della NASA Solar Dynamics Observatory. L’immagine è nella lunghezza d’onda di 131 angstrom. (Credit: NASA/SDO)
Finalmente il Sole inizia a fare sul serio. Finora questo 2013, che segna il picco nel suo ciclo di attività che si ripete ogni 11 anni, è stato relativamente tranquillo per la nostra stella, che non ha prodotto gli eventi violenti che gli esperti si aspettavano fino a qualche mese fa. Ma fra il 13 e il 14 maggio, ha prodotto tre brillamenti di classe X di intensità crescente: prima uno di classe X 1.7, poi alle 18:05 ora italiana un brillamento di classe X 2.8, e per finire alle 3:17 ora italiana del 14 maggio un flare di intensità X 3.2. E’ stato il flare più potente di quest’anno, e il terzo più potente di questo ciclo, battuto solo dal flare di classe X 6.9 del 9 agosto 2011.
Tutti e tre i flare di questi giorni sono stati accompagnati da espulsioni di massa coronale, un altro tipo di evento solare che proietta grandi quantità di particelle dalla corona solare nello spazio. Sono proprio questi flussi di particelle che possono danneggiare il funzionamento di satelliti artificiali e sistemi di telecomunicazione sulla Terra. In questo caso l’espulsione di massa coronale non era rivolta verso la Terra. Tuttavia tre satelliti della NASA (STEREO-B, Messenger e Spitzer) erano sulla sua traiettoria. I loro team si sono attivati per mettere i satelliti in modalità “sicura”, per proteggere gli strumenti dal flusso di materia proveniente dal Sole.
I flare (potenti emissioni di radiazione dal Sole) di classe X sono in assoluto i più potenti: il numero che accompagna la lettera specifica ulteriormente la loro intensità: un flare di classe X 2 è due volte più potente di uno di classe X 1, uno di classe X 3 tre volte più intenso, e così via.
Il flare di intensità X 2.8 del 13 maggio, ripreso dal satellite della NASA Solar Dynamics Observatory. L’immagine è nella lunghezza d’onda di 131 angstrom. (Credit: NASA/SDO)
“Occhi su Saturno”, l’iniziativa che permetterà a migliaia d’italiani di scoprire, dal vivo attraverso i telescopi, il pianeta più bello del Sistema Solare avvicinandoli all’astronomia e alla scienza.
La sera del 18 Maggio cerca l’evento a te più vicino e scopri dal vivo Saturno, senza dubbio il più bel pianeta del Sistema Solare. Con tanti eventi in tutta Italia, potrai osservare il pianeta più bello del Sistema
Solare e soprattutto avvicinarti all’astronomia ricordando la figura di un grande astronomo italiano: Gian Domenico Cassini, grande studioso di Saturno ed a cui è dedicata la sonda spaziale che sta tutt’ora viaggiando intorno al pianeta con gli anelli..
L’iniziativa è organizzata dall’Associazione Stellaria di Perinaldo, paese natale di G.D.Cassini, in collaborazione con l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) di Roma e con il supporto di decine di osservatori astronomici, planetari e gruppi di appassionati di tutta Italia. Il sito web OcchiSuSaturno.it raccoglie tutti gli eventi locali e le relative informazioni per partecipare.
Patrocinato da Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Società Astronomica Italiana (SAIt) e Unione Astrofili Italiani (UAI).
www.occhisusaturno.it – www.astroperinaldo.it
Una recente immagine degli anelli di Saturno realizzata dalla sonda Cassini. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
In attesa di Occhi Su Saturno, la manifestazione che il 18 maggio prossimo metterà il Signore degli anelli al centro di una celebrazione collettiva e diffusa sul territorio italiano, Saturno sfrutta le telecamere della missione Cassini-Huygens per mettersi in mostra.
Una recente immagine degli anelli di Saturno realizzata dalla sonda Cassini. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
L’immagine, in tutto il suo splendore, è stata realizzata il 5 marzo 2013 dalla Wide-angle Camera a bordo della missione NASA-ESA-ASI mentre la sonda si trovava a 1.434 milioni di chilometri dal pianeta, quindi con una risoluzione di 82 chilometri per pixel.
In quel momento, la configurazione tra il Sole, la sonda e il pianeta aveva un angolo di fase di 85 gradi. Quindi Cassini si trovava nella condizione migliore per poter fotografare il pianeta con il magnifico sistema di anelli visto di piatto, illuminato lateralmente dalla luce del Sole. L’immagine è stata realizzata nella luce visibile ed è molto simile a quello che occhi umani avrebbero potuto vedere da questo punto di osservazione molto privilegiato.
Sulla superficie variegata degli anelli, in primo piano, l’ombra scurissima e netta gettata dal pianeta Saturno. Il fatto che nello spazio le ombre siano così nette dipende dalla mancanza di atmosfera a diffondere la luce. Lo stesso meccanismo alla base delle immagini molto contrastate degli astronauti sulla Luna, che proiettavano sulla superficie del nostro satellite ombre molto più nette di quanto non avrebbero fatto sulla terra.
Dall’ingresso in orbita intorno al pianeta, il sistema di anelli è uno degli argomenti più studiati dalla missione Cassini-Huygens, e quella di oggi è solo una delle ultime immagini in ordine di tempo, che vede come protagonista questa caratteristica del pianeta. Per ritracciare una breve carrellata delle ultime apparizioni, ricordiamoi recenti impatti di meteoroidi immortalati nei mesi scorsi o il raro ritratto del pianeta Venere che fa capolino tra gli anelli.
Per sapere di più sulle ultime scoperte riguardanti Saturno della missione Cassini-Huygens, lo IAPS Roma ha realizzato una serie di interviste a scienziati e ricercatori del team Cassini-Huygens che verranno distribuite in occasione di Occhi Su Saturno e di cui riportiamo una preview.
Il Dr. Jonathan Lunine, ricercatore di scienze planetarie, scienziato coinvolto nel team della missione Cassini-Huygens e professore presso la Cornell University di New York, ci offre il suo sguardo su Saturno e i suoi satelliti, invitandoci a partecipare all’iniziativa Occhi su Saturno, in programma il prossimo 18 maggio.
Per maggiori informazioni visitate: http://www.occhisusaturno.it
La sequenza illustra la mutevole configurazione della congiunzione che a fine mese vedrà coinvolti sull’orizzonte ovest-nordovest i pianeti Giove, Venere e Mercurio.
Dal 23 al 28 maggio, i riquadri descrivono ogni due giorni le posizioni dei pianeti come apparirebbero a un osservatore ad occhio nudo che, in quelle sere, guardasse verso ovest appena dopo il tramonto (l’orario prescelto è all’incirca quello delle 21:10, quando il Sole sarà sotto l’orizzonte di 6°). Come si può vedere, il 26 i tre pianeti assumeranno la formazione di un triangolo (quasi) equilatero, con Venere distante 1,8° da Mercurio e 2,2° da Giove, e Mercurio 2,5° distante da Giove. Considerando i massimi reciproci avvicinamenti, il 27 Venere sarà 1,3° a sud di Mercurio, mentre il 28 sarà 1° a nordovest di Giove (tutto in riferimento altazimutale).
Il Centro della nostra galassia (la Via Lattea) ospita un buco nero supermassiccio nella regione conosciuta come Sagittarius A* e che ha una massa di circa 4 milioni di volte quella del nostro Sole. Crediti: ESA–C. Carreau
Un pasto a base di gas caldo per il buco nero super massiccio al centro della Via Lattea, che si trova a 26 mila anni luce dalla Terra. Lo spuntino è stato spiato dall’osservatorio orbitante Herschel (NASA/ESA) poco prima che finisse la sua attività scientifica. Il gas in questione si aggira attorno ai 1000 gradi Celsius, di gran lunga più caldo di qualsiasi nube interstellare, che di solito non supera qualche decina di grado sopra lo zero.
Il Centro della nostra galassia (la Via Lattea, qui in alto in una ricostruzione grafica) ospita un buco nero supermassiccio (circa quattro milioni di volte la massa del nostro Sole) nella regione denominata Sagittarius A*. Crediti: ESA–C. Carreau
Il team di ricercatori del Jet Propulsion Laboratory della NASA ha ipotizzato che le alte temperature potrebbero dipendere da forti shock a cui è sottoposto il gas nelle regioni centrali della nostra Galassia, generato da collisioni tra nubi di gas o materiale interstellare in movimento a grandi velocità.
Grazie alle osservazioni all’infrarosso di Herschel, un altro gruppo di astronomi ha notato un’altra nube di gas con una massa pari a quella di diverse Terre che sta spiraleggiando verso il buco nero e, secondo le previsioni, dovrebbe essere inghiottita nel corso di quest’anno. L’osservazione di questi eventi dovrebbe aiutare a comprendere meglio i meccanismi di accrescimento dei buchi neri.
Queste le conferenze, inizio ore 21:00: 10.05: “Alma ed E-Elt: i giganti del Cile scrutano le profondità dell’Universo” a cura di Elio Antonello.
Per info: Tel. 0341.367584
www.deepspace.it
Un'immagine del cratere Gale di Marte, con al centro il Monte Sharp. Le frecce indicano le direzioni del vento predette dagli studi, la x la posizone di Cusiosity. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ESA/DLR/FU Berlin/MSSS
Un'immagine del cratere Gale di Marte, con al centro il Monte Sharp. Le frecce indicano le direzioni del vento. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ESA/DLR/FU Berlin/MSSS
Potrebbe essere il vento, e non l’acqua come molti pensavano, la causa di alcuni rilievi sulla superficie di Marte, a cominciare da quello nei cui pressi si sta aggirando il rover Curiosity. Lo sostiene un team di ricercatori dell’Università di Princeton e del California Institute of Technology con uno studio appena pubblicato su Geology .
I loro studi si sono concentrati sul Monte Sharp, un piccolo rilievo di 5 chilometri al centro del Cratere Gale, a sua volta largo 154 chilometri. Si ritiene che questo cratere possa essere il bacino di un lago prosciugato, e che il rilievo fosse dovuto all’accumulazione di sedimenti sul fondo del lago. Secondo i ricercatori, è possibile che il Gale ospitasse effettivamente un lago, ma il Mount Sharp non sarebbe mai stato sommerso: al contrario potrebbe essere il risultato dell’azione dei venti e dell’atmosfera marziani.
Le caratteristiche del rilievo, ricostruire in un modello al computer dai ricercatori, si sposano meglio con l’idea che Mount Sharp si sia formato per la deposizione progressiva di polveri spinte dal vento, piuttosto che per l’accumulazione di sedimenti sott’acqua. Al posto degli strati piani previsti dai depositi lacustri, si osservano infatti strati inclinati verso l’esterno di circa 3 gradi.
Il Monte Sharp, secondo gli studiosi, non sarebbe mai stato sommerso dall’acqua, anche se la base attorno al rilievo potrebbe aver contenuto acqua in passato. “I dati raccolti non precludono l’esistenza di laghi nel Cratere Gale, ma implicano che la maggior parte del materiale sia stata depositata dal vento”, ha detto Kevin Lewis, co-autore dello studio pubblicato lo scorso marzo sulla rivista Geology. E’ ancora possibile che la parte bassa del cumulo possa essere il risultato del prosciugamento di un lago, mentre è quasi sicuro che la parte alta del Monte Sharp sia stata scolpita dal vento.
Nonostante ciò, studiando i sedimenti e i diversi strati che compongono questo e altri rilievi e crateri del pianeta, i ricercatori potranno scoprire, come accade sulla Terra, la storia geologica e climatica di Marte.
I ricercatori hanno usato immagini ad alta risoluzione scattate dalla camera High-Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) montata a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter per misurare dall’alto l’orientamento degli strati rocciosi intorno alla base del monte. Edwin S. Kite, altro autore del paper, ha sviluppato al computer un modello matematico per studiare come il vento potrebbe aver depositato il materiale nel Cratere Gale.
Il compito di trovare una soluzione definitiva a questo mistero spetta ora al rover della NASA Curiosity, atterrato nell’agosto scorso proprio in prossimità del cratere. I ricercatori non hanno ancora escluso del tutto la speranza di trovare tracce di acqua sul pianeta e di strati di roccia di origine lacustre. Nel 2014 Curiosity raggiungerà la base del Monte Sharp e verificherà questa e altre ipotesi.
Il profilo del Monte Sharp in un mosaico realizato tramite immagini raw, senza alcuna elaborazione fotografica di luce o colori. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Il Congresso Nazionale annuale della SAIt è una autorevole occasione di presentazione, approfondimento e discussione di temi e risultati scientifici, progetti e attività di grande impatto e attualità o prospettiva per l’intera comunità, includendo in questo sia il mondo della ricerca professionale, sia quello didattico e formativo, sia quello della comunicazione e della divulgazione.
In tale contesto anche quest’anno il Consiglio Direttivo della SAIt ha ritenuto di coordinare con INAF l’organizzazione del congresso, pianificando un ricco programma di informazione e discussione
su un ampio spettro di problematiche legate alle eccellenze scientifiche e ai grandi progetti. Si svolgeranno anche due workshop dedicati a didattica, divulgazione, outreach, conservazione e
valorizzazione del patrimonio storico e museale. Per consultare il programma e procedere all’iscrizione si rimanda al sito del congresso.
Eventi Speciali gratuiti aperti al pubblico: 09.05, ore 21:00: “Cosa resta da scoprire” di Giovanni F. Bignami, Presidente INAF. Presso la Sala dello Stabat Mater, Biblioteca dell’Archiginnasio.
Nelle sere dell’11 e del 12 maggio una sottilissima falce di Luna crescente si sposterà tra Venere, molto bassa sull’orizzonte, e Giove, situato una decina di gradi più in alto. Alle 20:45, l’orario figurato nell’illustrazione, Venere sarà alta +5° e Giove +16°. Con l’aiuto di un binocolo potrà forse essere visibile anche Aldebaran, che la sera dell’11 sarà meno di tre gradi ad est della Luna (in un riferimento altazimutale). N.B. Per esigenze grafiche la Luna è rappresentata tre volte più grande della sua reale dimensione angolare.
Il Congresso Nazionale annuale della SAIt è una autorevole occasione di presentazione, approfondimento e discussione di temi e risultati scientifici, progetti e attività di grande impatto e attualità o prospettiva per l’intera comunità, includendo in questo sia il mondo della ricerca professionale, sia quello didattico e formativo, sia quello della comunicazione e della divulgazione.
In tale contesto anche quest’anno il Consiglio Direttivo della SAIt ha ritenuto di coordinare con INAF l’organizzazione del congresso, pianificando un ricco programma di informazione e discussione
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Eventi Speciali gratuiti aperti al pubblico: 07.05, ore 11:00: “Spigolature sul futuro prossimo dell’astronomia” del Prof. Massimo Capaccioli. Presso Area della ricerca del CNR. 07.05, ore 21:00: “Il viaggio di Joe il fotone” concerto blues e spettacolo realizzato da astronomi e dottorandi in astronomia. La Scuderia, P.zza Verdi.
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