dall’8 aprileCorso Astronomia pratica Associazione Astrofili Bolognesi. 8 lezioni teoricopratiche per conoscere il cielo, gli strumenti e le tecniche dell’astronomia amatoriale. Sede Sociale Parco DLF – Via Serlio 25 Bologna.
www.associazioneastrofilibolognesi.it/
www.uai.it
Anche questo mese si avrà un suggestivo incontro di Luna e Giove tra le corna del Toro. La separazione minima si avrà verso le 21:30 del 14, con una distanza angolare tra i due oggetti di circa 2,5°. Verso le 22:00, come rappresentato in figura, si avrà forse il momento migliore per riprendere la scena sullo sfondo dell’orizzonte. La serie degli avvicinamenti Luna-Giove si chiuderà in maggio, con l’ultimo incontro prima della congiunzione eliaca del gigante gassoso.
07.04: “Benvenuti al Planetario”. Proiezione per le famiglie al Planetario.
Per info: Tel. 348.5648190
osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it
Le galassie a spirale sono tra oggetti più studiati e affascinanti dell’Universo. Anche la Via Lattea ha questa forma e il Sistema Solare risiede vicino a uno dei bracci spirali che la formano. Ma il modo in cui si formano i bracci di queste galassie a spirale è ancora un punto interrogativo per gli astronomi. Un team di ricercatori dell’Università del Wisconsim a Madison e del Harvard-Smithsonian Center ha provato a trovare delle risposte con un nuovo studio pubblicato su The Astrophysical Journal.
Gli astrofisici guidati da Elena D’Onghia hanno elaborato delle simulazioni al computer per studiare il movimento di 100 milioni di “particelle” (che rappresentano le stelle) che formano i bracci delle galassie a spirale.
“In questo modo mostriamo per la prima volta – ha detto l’autrice dello studio – che i bracci di spirale non sono strutture temporanee, come pensato per molti decenni”. Sono invece persistenti e hanno una vita molto lunga. Per anni gli astrofisici hanno dibattuto tra due teorie: una afferma che queste spirali vanno e vengono con lo scorrere del tempo e sono legate a condizioni locali come maggiore o minore presenza di gas e stelle in formazione; un’altra tesi, la più sostenuta in ambito accademico, afferma che il materiale che compone i bracci, quindi stelle, polvere e gas, viene influenzato dalla forza di gravità, che lega e mantiene il materiale unito in quella forma per un lungo periodo di tempo.
I dati ottenuti dal nuovo studio si collocano a metà strada tra le due teorie: le spirali si formano a causa di grandi nubi molecolari – le zone di formazione stellare – che nelle simulazioni agiscono da “perturbatori” e sono sufficienti sia a dare vita ai bracci a spirale sia a tenerli assieme per un tempo indefinito. Ma i ricercatori hanno notato che anche quando le “perturbazioni” (le nubi di gas) vengono eliminate, le spirali rimangono al loro posto, autoperpetrandosi. Ed è qui che entra in gioco la forza di gravità.
Sabato 6 o 13 aprile:A spasso fra le galassie 2013. In occasione del novilunio di aprile, una serata
di osservazione e di fotografia deep sky. Ingresso libero.
Per informazioni: Tel 0587 755864
info@astronomicalcentre.org
www.astronomicalcentre.org
A Milano, sabato 6 aprile 2013, presso Parco Esposizioni di Novegro(Pad. D Sala convegni, ore 17.30) da non perdere la conferenza in diretta web con il Cile, in collaborazione con ESO,INAF,UAI,EIE Group.
IN ESCLUSIVA PER L’ITALIA dal deserto cileno di Atacama, tra i siti più remoti della Terra, la visita in diretta web del più grande osservatorio radioastronomico del mondo: ALMA
Coelum Astronomia e l’Unione Astrofili Italianivi invitano alla visita in diretta web di ALMA, il nuovo enorme complesso di antenne radio che sorge nel deserto cileno di Atacama. Inaugurato lo scorso marzo dal Presidente cileno Sebastián Piñera (ALMA Inauguration Livestream) l’Atacama Large Millimeter Array (ALMA) è forse il più grande progetto astronomico in corso.
ALMA sorge sull’altopiano del Chajnantor (circa 5000 metri di quota), circa 50 km ad est di San Pedro di Atacama, in uno dei luoghi più aridi della Terra. Gli astronomi vi trovano condizioni ineguagliabili per l’osservazione, ma devono gestire un osservatorio di frontiera in condizioni molto difficili.
ALMA Antennas on the Chajnantor Plateau Antennas of the Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), on the Chajnantor Plateau in the Chilean Andes. Credit: ESO/C. Malin
Proprio questa difficoltà rende ancora più straordinaria l’opportunità che ESO (l’Osservatorio Europeo Australe, che gestisce i più avanzati telescopi da terra) ci ha dato, quella appunto di visitare questo nuovo array accompagnati da GIORGIO SIRINGO (ALMA Test Scientist – ESO/Cile). L’astronomo, che potrà interagire con il pubblico, ci mostrerà il campo base dove vengono assemblate le antenne (l’Operations Support Facility – OSF), situato a 2900 m di altezza dove si trova anche il centro di controllo operativo di ALMA, e l’Array Operations Site (AOS, distante circa 25 km dall’OSF) dove sono installate e operano le grandi parabole.
Il dott. G. Siringo ci spiegherà il progetto mostrandoci le antenne ancora in costruzione all’OSF ma anche quelle già posizionate a quota 5000 e ci racconterà delle difficoltà quotidiane del vivere e lavorare in siti così estremi…
Ma non è finita qui. In sala infatti, a Milano, saranno presenti un radioastronomo ben noto al pubblico italiano, JADER MONARI – responsabile della Croce del Nord il grande complesso di antenne situato a una trentina di chilometri da Bologna, la Stazione RadioAstronomica di Medicina, e GIANPIETRO MARCHIORI, Presidente dell’italiano EIE GROUP, design autority del progetto ALMA per la parte europea di progettazione delle antenne.
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Indice dei contenuti
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Una conferenza a tre voci quindi, non solo per scoprire le incredibili innovazioni tecniche e progettuali messe in atto per la costruzione di questo straordinario telescopio ma anche le enormi potenzialità scientifiche di ALMA e della radioastronomia che in un futuro vicino ci permetteranno di studiare l’universo come mai finora e dare il via a una nuova era di grandi scoperte.
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CHE COS’E’ ALMA
L’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) è la più grande struttura al mondo per la radio-astronomia, costruita per svelare i segreti delle nostre origini cosmiche. E’ un insieme di 66 enormi antenne di altissima precisione – di cui 54 hanno un diametro di 12 metri e altre 12 di 7 metri – che, pur distanti dai 150 metri ai 16 km l’una dall’altra, lavoreranno insieme come un unico singolo telescopio.
L’array, installato a 5000 metri di elevazione sull’altopiano cileno del Chajnantor, è un progetto internazionale frutto di una collaborazione di Europa, Nord America e Asia Orientale, con la partecipazione della Repubblica del Cile.
L’inaugurazione, svoltasi lo scorso marzo alla presenza del Presidente cileno e del Direttore Generale dell’ESO, Tim de Zeeuw, ha segnato il completamento del progetto costruttivo dei sistemi principali del gigantesco radiotelescopio che è ora operativo.
Il partner europeo di ALMA è l’European Southern Observatory (ESO). ALMA è un osservatorio rivoluzionario che permetterà agli astronomi di osservare la luce proveniente da alcuni degli oggetti più freddi e lontani dell’Universo, con una risoluzione ed una sensibilità molto maggiori rispetto a quelle degli strumenti attuali.
Uno degli obiettivi di ALMA è catturare la radiazione emessa da galassie lontanissime, tra le prime ad essersi formate nella storia del cosmo: la luce che vediamo, infatti, è stata emessa da queste galassie oltre dieci miliardi di anni fa. La lunghezza d’onda della luce emessa da queste lontanissime galassie è stata ‘stirata’ durante il viaggio verso di noi a causa dell’espansione dell’Universo: emessa come luce infrarossa, questa radiazione raggiunge la terra con una lunghezza d’onda maggiore, ovvero millimetrica o sub-millimetrica. ALMA è quindi lo strumento ideale per andare a caccia delle prime galassie e scoprire come si sono formate le varie strutture che compongono l’Universo.
Sugar molecules in the gas surrounding a young Sun-like star. Credit: ESO/L. Calçada & NASA/JPL-Caltech/WISE Team
ALMA sarà il telescopio più potente per osservare queste nubi freddissime ed ottenerne immagini con una risoluzione senza precedenti. Grazie ad ALMA, gli astronomi potranno realizzare immagini dettagliatissime di stelle e pianeti nascenti all’interno di nubi gassose nei pressi del nostro Sistema Solare, e grazie ad esse potranno capire meglio come si formano le stelle, i pianeti e la vita stessa.
05.04: “Meccanica celeste” a cura di A. Fumagalli.
Per info: marco.saini@email.it
Cell. 333.3999917 (Saini) – 335.8113987 (Milani)
http://gav.altervista.org
05.04: “Viaggio all’orizzonte degli eventi: i luoghi più esotici della Relatività Generale” di Stefano Covino.
Dopo le conferenze serali, meteo permettendo, si potranno osservare gli oggetti del cielo con i telescopi del Gruppo.
Per info: Tel. 0341.367584
www.deepspace.it
Il 4 aprile, prima che la cometa si perda nell’anonimato, ci sarà la possibilità di fotografarla 2,5° a ovest di M31, la Galassia di Andromeda.
Essendo ormai divenuta un oggetto circumpolare, converrà cercarla all’alba verso nordest, quando rispetto al Sole sorgerà ben 3,5 ore prima!
La figura illustra la posizione della cometa al momento del tramonto del Sole (situato in corrispondenza del dischetto giallo, non in scala), con il cielo quindi ancora quasi chiaro.
Aspettavamo questa “grande cometa” da mesi, e adesso, proprio in dirittura, sembra che ci ritroveremo ad osservare soltanto una bella cometa, però incapace di avere la meglio sulla luce del crepuscolo… Sarà proprio così? O per una volta l’astronomo resterà doppiamente sorpreso?
Nell’incertezza, abbiamo comunque deciso di fare finta di niente, e di mettere in cantiere lo stesso articolo che avevamo in mente quando le notizie “infauste” sul dimagrimento della Pan-STARRS non erano ancora arrivate. Un articolo doppio, per la precisione, con la prima parte dedicata all’osservazione visuale e la seconda a quella fotografica. Mal che vada avremo fatto esperienza per l’arrivo di fine anno della ISON…
Continuate a seguire con noi l’evoluzione della Pan-STARRS attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, proprio dal 7 marzo in poi nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento e interviste agli esperti a cura di Claudio Pra e Marco Bastoni, su Coelum 168 di marzo ora in edicola e in versione digitale online.
Anche il piccolo asteroide 2012 DA14 alla fine è passato. Velocissimo, sfiorando delicatamente la Terra come previsto, ma davanti a una platea di osservatori ormai parecchio distratta da quanto era successo in Russia appena qualche ora prima. Grazie a Dio, come ormai tutti saprete, il meteoroide di Chelyabinsk si è frammentato a un’altezza molto superiore a quella dell’evento Tunguska, altrimenti saremmo qui a parlare di una città devastata e non di qualche danno agli edifici. Alla fine, aveva ragione Whipple a dire che asteroidi e comete sono il campo di ricerca che più riconduce l’apparente innocua astrattezza degli spazi infiniti alla preoccupazione della specie umana per un pericolo immanente… (l’astronomo americano finiva regolarmente il discorso con una imprecazione off record del tipo: «Who cares a damn galaxy?», che nella versione più educata può essere tradotto in «a chi può interessare una dannata galassia?»). Grande Fred, morto troppo giovane nel 2004, a 98 anni!
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 70 di Coelum n.169.
Coelum Astronomia, rivista scientifica da 15 anni in Italia punto di riferimento per chi ama l’astronomia, sarà presente attivamente alla fiera Scienza&Natura che si terrà il prossimo 6-7 aprile presso il Parco Esposizioni di Novegro (MI).
In questa 6ª edizione “Speciale Astronomia” sono molti gli eventi culturali in programma: conferenze, osservazione in notturna, laboratori e, per tutta la durata della fiera, spettacoli per grandi e piccini al planetario FULL DOME della Columbia Optics al centro del Padiglione D alle spalle della sala conferenze …e molto altro ancora!
Da non perdere, IN ESCLUSIVA PER GLI APPASSIONATI ITALIANI, lavisita in diretta web conference di ALMA, il nuovo enorme complesso di antenne che sorge nel deserto cileno di Atacama. L’Atacama Large Millimeter Array (ALMA) è forse il più grande progetto astronomico in corso. Interverranno Giorgio Siringo (ALMA Test Scientist – ESO/Cile) in diretta dal Cile, affiancato in sala da Gianpietro Marchiori (Ingegnere elettrotecnico, responsabile dell’EIE GROUP principale azienda italiana che ha partecipato al progetto) e Jader Monari (Responsabile Stazione Radioastronomia di Medicina – INAF). In una conferenza a tre voci ci presenteranno il progetto ALMA sotto tutti i punti di vista, dalla progettazione alla realizzazione, agli obiettivi e alle nuove possibilità per la ricerca radioastronomica.
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E ancora la conferenza Alla ricerca di altri mondi a cura di Renato Falomo e Roberto Ragazzoni (INAF – Osservatorio di Padova). La ricerca di pianeti attorno ad altre stelle rappresenta da sempre uno dei sogni dell’uomo nel progresso verso la conoscenza del nostro Universo. Oggi le nuove tecniche osservative hanno consentito di rivelare la presenza di pianeti attorno ad alcune centinaia di stelle vicine, mostrando in modo sempre più convincente che la formazione di pianeti attorno alle stelle è un fenomeno piuttosto comune e diventa quindi ancora più stimolante cercare pianeti simili, per condizioni almeno astronomiche, alla nostra Terra. Nei prossimi decenni diventeranno operativi numerosi progetti condotti sia con nuovi strumenti da terra sia con satelliti in orbita per la ricerca di altri mondi e per studiarne le loro caratteristiche. Di sicuro le sorprese non mancheranno…
Ma il ricco programma di conferenze delle due giornate non finisce qui, in apertura il sabato infatti l’intervento di Giorgio Bianciardi (vice Presidente UAI) con la conferenza L’Unione Astrofili Italiani (UAI): una risorsa per l’appassionato di astronomia. L’Unione Astrofili Italiani riunisce gli appassionati di astronomia di tutta Italia. Al suo 46° Congresso il prossimo maggio, è seguita dal curioso delle cose del Cielo come dal semi-professionista, in grado di svolgere vere e proprie ricerche nei più vari settori dell’astronomia.
Mentre la domenica Adriano Lolli (titolare della ditta Coma) ci presenterà il suo Osservatorio Arrakis di Teramo e l’innovativo progetto da lui stesso ideato: la cupola STARWINDOW.
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Presente in Fiera anche il CICAPdi Piero Angela (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale e le Pseudoscienze – www.cicap.org) con due interventi sempre nella giornata di domenica: Francesco Grassi(Gruppo sperimentazioni CICAP) con la presentazione del libro Cerchi nel grano e Luca Boschini (CICAP Lombardia), con una conferenza sul tema Nasa – UFO: misteriosi casi di UFO nello spazio. Gli extraterrestri sono tra noi e la notizia viene mantenuta celata, o piuttosto… gli alieni siamo noi? Due conferenze per provare a trovare assieme qualche risposta.
Non mancherà poi l’occasione di seguire seminari a tema tenuti dai vari gruppi astrofili presso i loro stand e, il sabato sera, la possibilità di tentare delle osservazioni in notturna: Novegro non sarà la location più adatta per l’osservazione astronomica, ma sarà senz’altro il luogo ideale per l’intervento di Plinio Camaiti che, in esterni dalle 20 in poi, terrà il seminario Le luci ci rubano il cielo: gli effetti negativi di una illuminazione pubblica sbagliata ed eccessiva sulla godibilità del cielo notturno, con osservazioni a cura dei Gruppi astrofili…
Uno scorcio degli anelli di Saturno e di alcune sue lune (in primo piano Encelado) ottenuto dalla narrow-angle camera della sonda Cassini-Huygens nell’ottobre del 2010. Crediti: NASA/JPL/Space Science Institute
Uno scorcio degli anelli di Saturno e di alcune sue lune (in primo piano Encelado) ottenuto dalla narrow-angle camera della sonda Cassini-Huygens nell’ottobre del 2010. Crediti: NASA/JPL/Space Science Institute
Sono lì, bellissimi e maestosi, a fare da corona Saturno, il secondo più grande pianeta del Sistema solare. E da quando la sonda Cassini si è inserita nella sua orbita, nel 2004, sono anche uno dei suoi principali obiettivi scientifici. Grazie a Cassini abbiamo scoperto molto sul complesso sistema di anelli di Saturno, come il fatto che quelli della fascia A e B sono composti quasi totalmente da ghiaccio d’acqua. Un risultato ottenuto grazie al contributo fondamentale dello spettrometro VIMS (Visual and Infrared Mapping Spectrometer), uno degli strumenti a bordo della sonda Cassini di cui l’Agenzia Spaziale Italiana ha fornito il canale VIS, mentre l’Istituto Nazionale di Astrofisica partecipa all’utilizzo scientifico dei dati prodotti.
Ed è ancora VIMS il protagonista delle ultime approfondite indagini condotte sugli anelli e sulle lune di Saturno. Indagini che mostrano come essi siano composti di materiali che, seppure alterati in superficie da depositi relativamente recenti di pulviscolo e dall’interazione con le particelle magnetosferiche, hanno età risalenti ad oltre 4 miliardi di anni fa.
“Studiare il sistema di Saturno ci aiuta a capire l’evoluzione chimica e fisica del nostro Sistema solare”, dice Gianrico Filacchione, dell’INAF-IAPS, primo autore dello studio recentemente pubblicato online sul sito della rivista Astrophysical Journal. “Ora sappiamo che per comprendere questa evoluzione è necessario non solo analizzare singolarmente una luna o un anello, ma piuttosto riuscire a collegare in modo coerente le varie relazioni che legano questi corpi celesti. Per questo motivo abbiamo comparato tra loro le proprietà spettrali degli anelli principali, delle 7 lune maggiori (Mimas, Encelado, Teti, Dione, Rea, Iperione, Giapeto) e delle 7 lune minori (Prometeo, Pandora, Giano, Epimeteo, Calipso, Telesto, Helene e Febe). La nostra indagine è un altro importante risultato ottenuto grazie all’infaticabile attività di VIMS, che finora ha inviato a Terra oltre 250.000 immagini iperspettrali, per un totale di oltre 140 gigabyte di dati, e del team INAF che ne cura il supporto scientifico”.
L’analisi dei dati raccolti da VIMS ha permesso di ricostruire la distribuzione del ghiaccio d’acqua e di altri composti chimici attraverso i loro colori caratteristici, mostrando come nella luce visibile le colorazioni degli anelli e delle lune siano dovute a depositi superficiali di pulviscolo e materiali organici mentre le analisi nella banda infrarossa hanno confermato che il ghiaccio d’acqua ha una distribuzione sostanzialmente uniforme attraverso tutto il sistema di Saturno. Per gli scienziati è la prova che il ghiaccio d’acqua, il principale costituente di questa popolazione, sia conseguenza della composizione originale del disco protoplanetario da cui questi oggetti si sono formati all’alba del Sistema solare.
E i ricercatori sono certi che il ghiaccio d’acqua rilevato sia davvero così antico perché Saturno orbita attorno al Sole oltre la cosiddetta “linea della neve”, che divide la zona interna del Sistema solare – più calda, dove i ghiacci e altri elementi volatili di dissipano per effetto dell’irraggiamento del Sole – dalla regione più esterna e fredda, dove i ghiacci rimangono sostanzialmente inalterati.
L’indagine evidenzia come la patina colorata presente sulle particelle degli anelli e sulle lune di Saturno sia legata in prima approssimazione alla loro posizione nel sistema di Saturno. Le lune interne, che orbitano nell’anello E, risultano ‘sbiancate’ dagli spruzzi di acqua ghiacciata espulsi dai geyser di Encelado. Titano invece sembra bloccare questi getti verso le lune più esterne. Oltre l’orbita di Titano, gli scienziati hanno scoperto che le superfici delle particelle dell’anello di Febe e delle altre lune di Saturno tendono a presentare colorazioni più rosse via via che ci si allontana dal pianeta. Febe, una delle lune esterne di Saturno, sembra spargere polvere rossastra che va a depositarsi sulla superficie delle lune vicine, come Iperione e Giapeto.
Una pioggia di meteoroidi esterni avrebbe inoltre dato un tocco di colore al sistema principale degli anelli – in particolare quelli all’interno dell’anello B – donandogli una leggera tonalità rossastra, che secondo gli scienziati sarebbe dovuto a particelle di ferro ossidato – ossia ruggine – oppure da idrocarburi aromatici policiclici, che potrebbero essere progenitori di molecole organiche più complesse. Una delle grandi sorprese emerse da questa ricerca è stata quella di osservare la presenza di colorazione rossastra anche sulla superficie irregolare di Prometeo, una piccola luna di circa 100 km di diametro, molto simile a quella delle particelle che compongono l’anello nelle sue vicinanze. Le altre lune vicine sono infatti decisamente più candide.
“La colorazione rossastra comune suggerisce che Prometeo è ricoperto da materiale presente negli anelli di Saturno”, dice Bonnie Buratti, del team VIMS presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA, tra i coautori dell’articolo. “Finora abbiamo sempre pensato che fosse il contrario – che cioè gli anelli derivano dalla frantumazione dei satelliti di Saturno. Ma è anche possibile che le particelle espulse dall’anello si siano aggregate a formare il satellite”.
“Lavorare con questo team è un’esperienza estremamente positiva per l’ottima amalgama che si è creata – ha dichiarato Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana – e ovviamente per la capacità di analizzare i dati, pur mantenendo la visione del contesto di un pianeta complesso come Saturno. Indubbiamente parte del merito va anche a una missione, come quella Cassini, che favorisce quest’ambiente di lavoro così positivo”.
Nel team che ha realizzato l’articolo The radial distribution of water ice and chromophores across Saturn’s system pubblicato online sul sito della rivista The Astrophysical Journal, oltre Gianrico Filacchione ed Enrico Flamini, partecipano Fabrizio Capaccioni, Priscilla Cerroni, Mauro Ciarniello e Federico Tosi, tutti dell’INAF-IAPS.
Per saperne di più:
l’articolo pubblicato sul sito web della rivista TheAstrophysical Journal
Saranno questi, se la cometa non avrà proprio deluso del tutto, i momenti migliori per la ripresa fotografica della Pan-STARRS. La cometa supera i +19° di altezza e tramonta più di due ore dopo il Sole. Ci sarà abbastanza tempo per realizzare delle ottime fotografie.
La figura illustra la posizione della cometa al momento del tramonto del Sole (situato in corrispondenza del dischetto giallo, non in scala), con il cielo quindi ancora quasi chiaro.
Aspettavamo questa “grande cometa” da mesi, e adesso, proprio in dirittura, sembra che ci ritroveremo ad osservare soltanto una bella cometa, però incapace di avere la meglio sulla luce del crepuscolo… Sarà proprio così? O per una volta l’astronomo resterà doppiamente sorpreso?
Nell’incertezza, abbiamo comunque deciso di fare finta di niente, e di mettere in cantiere lo stesso articolo che avevamo in mente quando le notizie “infauste” sul dimagrimento della Pan-STARRS non erano ancora arrivate. Un articolo doppio, per la precisione, con la prima parte dedicata all’osservazione visuale e la seconda a quella fotografica. Mal che vada avremo fatto esperienza per l’arrivo di fine anno della ISON…
Continuate a seguire con noi l’evoluzione della Pan-STARRS attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, proprio dal 7 marzo in poi nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento e interviste agli esperti a cura di Claudio Pra e Marco Bastoni, su Coelum 168 di marzo ora in edicola e in versione digitale online.
aprile: 3° Meeting SdR Luna All’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, il meeting dedicato alle tematiche di osservazione e ricerca del nostro satellite.
Sezione Luna UAI – http://luna.uai.it
aprile3° Meeting SdR Luna All’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, il meeting dedicato alle tematiche di osservazione e ricerca del nostro satellite.
Sezione Luna UAI – http://luna.uai.it
aprileCorso di astrofotografia I sensori, i recettori, studio del piano focale di un telescopio.
Presso L’Osservatorio astronomico di Colle
Leone (Mosciano S.A. – TE).
www.oacl.net
aprile/maggioCorso di Astronomia di base – VII Edizione Sei incontri, volti ad avvicinare curiosi ed appassionati al mondo dell’Astronomia.
Unione Astrofili Lucchesi (Farneta – LU). www.ual.lucca.it
Il sistema binario 2M0103, con la coppia centrale di stelle e un terzo oggetto mistero in orbita attorno a loro. Questa immagine a infrarossi è stata prodotta dal Very Large Telescope dell’ESO-Paranal in Cile (Crediti: ESO 2013)
Un pianeta in orbita attorno a due solinon sarebbe di per sé una novità. Ma quella ripresa grazie al Very Large Telescope dell’ESO (VLT) potrebbe essere la prima immagine diretta di un sistema di questo tipo, simile a quello in cui si trova l’immaginario pianeta Tatooine di Guerre stellari. Potrebbe, perché i ricercatori non sono sicuri che quello avvistato sia un pianeta e non una “stella mancata”, ovvero una nana bruna.
Il corpo celeste per adesso è chiamato 2MASSo103(AB)b. L’immagine che vedete è stata scattata lo scorso novembre da Philippe Delorme, dell’Università Josoph Fourier di Grnoble (Francia), e dai suoi colleghi con il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO in Cile. Spulciando nel database del telescopio sono stati trovati dati che hanno permesso di tracciare l’orbita e il movimento del pianeta/stella attorno al sistema binario, ricostruendo la sua posizione nel 2002 (indicata dalla freccia verde).
Gli astronomi chiamano colloquialmente i pianeti di questo tipo Tatooine, proprio pensando a Guerre stellari. 2M0103 è stato trovato a una distanza di circa 12,5 miliardi di chilometri dalle sue stelle, abbastanza vicino da essere nato dallo stesso disco di polveri e gas da cui è nato il sistema binario. Il pianeta è circa 12 o 14 volte più grande del nostro Giove e questo lo pone al bivio tra essere classificato un pianeta o essere considerato una nana bruna. Delorme dice, infatti, che è “uno dei più grandi pianeti mai scoperti o una delle più piccole stelle mai avvistate”.
Gli esperti stanno percorrendo le due ipotesi. Studiando in modo più approfondito la struttura chimica del pianeta/stella si potrà confermare, forse, l’ipotesi del pianeta gassoso, oppure rivelare che si tratta di un raro tipo di nana bruna, una sorta di terza sorella “povera” nata assieme alle stelle del sistema binario.
29.03: “pronti…via! Un fantastico viaggio tra le costellazioni dell’emisfero boreale”. Al telescopio: Giove e la Luna calante.
Per info: cell. 346.8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it
Saranno questi, se la cometa non avrà proprio deluso del tutto, i momenti migliori per la ripresa fotografica della Pan-STARRS. La cometa supera i +19° di altezza e tramonta più di due ore dopo il Sole. Ci sarà abbastanza tempo per realizzare delle ottime fotografie.
La figura illustra la posizione della cometa al momento del tramonto del Sole (situato in corrispondenza del dischetto giallo, non in scala), con il cielo quindi ancora quasi chiaro.
Aspettavamo questa “grande cometa” da mesi, e adesso, proprio in dirittura, sembra che ci ritroveremo ad osservare soltanto una bella cometa, però incapace di avere la meglio sulla luce del crepuscolo… Sarà proprio così? O per una volta l’astronomo resterà doppiamente sorpreso?
Nell’incertezza, abbiamo comunque deciso di fare finta di niente, e di mettere in cantiere lo stesso articolo che avevamo in mente quando le notizie “infauste” sul dimagrimento della Pan-STARRS non erano ancora arrivate. Un articolo doppio, per la precisione, con la prima parte dedicata all’osservazione visuale e la seconda a quella fotografica. Mal che vada avremo fatto esperienza per l’arrivo di fine anno della ISON…
Continuate a seguire con noi l’evoluzione della Pan-STARRS attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, proprio dal 7 marzo in poi nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento e interviste agli esperti a cura di Claudio Pra e Marco Bastoni, su Coelum 168 di marzo ora in edicola e in versione digitale online.
Circa quattro miliardi di anni fa la Luna attraversò un periodo non certo facile, subendo un vero e proprio bombardamento di meteoriti che ne scolpì la superficie dandole l’aspetto che oggi osserviamo. Questa epoca, così catastrofica e non a caso ribattezzata ‘cataclisma lunare’, si protrasse per parecchie decine di milioni di anni. Ma a quanto pare, in quel turbolento periodo della storia del Sistema solare non fu solo il nostro satellite a fare le spese di questa pioggia di proiettili cosmici. Anche l’asteroide Vesta, distante quasi 200 milioni di chilometri e forse anche altri asteroidi di grandi dimensioni hanno subito un trattamento simile a quello della Luna. È questo lo scenario che emerge da uno studio pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature Geoscience e guidato dal ricercatore italiano Simone Marchi, in forza al Southwest Research Institute (SwRI) di Boulder, Colorado, e al Lunar and Planetary Institute della NASA a Houston, Texas. Il lavoro ha messo in relazione per la prima volta alcune proprietà delle rocce lunari portate a Terra dalle missioni Apollo con quelle di alcuni particolari tipi di meteoriti caduti sul nostro pianeta, ovvero le Howarditi e le Eucriti, che si sarebbero staccate proprio da Vesta. I risultati di questo studio portano alla luce alcune inattese somiglianze tra i campioni lunari e le meteoriti, come la distribuzione delle abbondanze degli isotopi dell’Argon, che sarebbero legate a un bombardamento di meteoriti ad alta velocità avvenuto nelle prime fasi di formazione del Sistema solare.
“Con il nostro lavoro abbiamo evidenziato che le meteoriti provenienti dagli asteroidi -ed in modo particolare da Vesta- mostrano segni dello spopolamento della fascia principale di asteroidi, avvenuto circa 4 miliardi di anni fa” dice Marchi. “Gli asteroidi rimossi hanno impattato a velocità elevata quelli rimasti nella fascia principale e la Luna, lasciando tracce inequivocabili dovute alle alte temperature prodotte nelle collisioni”.
I ricercatori sono giunti a queste conclusioni con il supporto di simulazioni al computer che hanno dimostrato come alcune proprietà chimico-fisiche dei meteoriti provenienti da Vesta possano essere state determinate da impatti primordiali subiti dall’asteroide con altri corpi minori. Impatti avvenuti con velocità relative molto elevate, dell’ordine dei 36.000 chilometri l’ora. Questi scontri si sarebbero prodotti proprio nell’epoca del cataclisma lunare e sarebbero stati causati dal riadattamento delle orbite dei pianeti giganti come Giove e Saturno, migrati dalle posizioni che avevano all’alba del Sistema solare con quelle che oggi possiedono. Questo riassestamento provocò una destabilizzazione delle traiettorie di molti corpi della fascia di asteroidi, innescando così questo bombardamento che ha investito non solo i pianeti e le lune del Sistema solare interno, ma anche i corpi maggiori della stessa cintura degli asteroidi.
Determinanti in questo studio multidisciplinare sono stati i dati e le osservazioni raccolti dalla missione Dawn della NASA, dedicata allo studio degli asteroidi Vesta e Cerere, come spiega ai nostri microfoni Maria Cristina De Sanctis, dell’INAF IAPS, team leader dello spettrometro VIR a bordo della sonda, tra i coautori dell’articolo: “Le osservazioni e le misure effettuate dagli strumenti della sonda Dawn, tra cui VIR, sono state fondamentali per confermare che le meteoriti cadute sulla terra e classificate come Howarditi ed Eucriti si sono staccate da Vesta. È un po’ come se Dawn si sia trasformata in una missione che ci ha permesso di raccogliere dei campioni dell’asteroide stesso, non già riportandoceli dallo spazio, ma che noi abbiamo già a disposizione sulla Terra sotto forma di meteoriti e che possiamo datare e analizzare in dettaglio per capire la loro storia evolutiva”.
Rassegna stampa e cielo del mese – Ogni quarto giovedì del mese. Ciclo di serate dedicate all’approfondimento delle principali notizie di attualità astronomica e all’anteprima degli eventi del cielo del mese, con Stefano Capretti.
Una Costellazione sopra di Noi – Ogni primo venerdì del mese, a cura di Giorgio Bianciardi (vicepresidente UAI). Osservazioni in diretta con approfondimenti dal vivo.
SKYLAUNCH – Ogni secondo giovedì del mese a cura di Stefano Capretti. Partiremo a bordo dei razzi che hanno dato il via alle principali missioni di esplorazione del Sistema Solare ripercorrendone il lancio, fino alle scoperte.
Rassegnastampa e cielo del mese – Ogni quarto giovedì del mese a cura di Stefano Capretti. Approfondimento delle principali notizie di attualità astronomica e degli eventi del cielo del mese.
Saranno questi, se la cometa non avrà proprio deluso del tutto, i momenti migliori per la ripresa fotografica della Pan-STARRS. La cometa supera i +19° di altezza e tramonta più di due ore dopo il Sole. Ci sarà abbastanza tempo per realizzare delle ottime fotografie.
La figura illustra la posizione della cometa al momento del tramonto del Sole (situato in corrispondenza del dischetto giallo, non in scala), con il cielo quindi ancora quasi chiaro.
Aspettavamo questa “grande cometa” da mesi, e adesso, proprio in dirittura, sembra che ci ritroveremo ad osservare soltanto una bella cometa, però incapace di avere la meglio sulla luce del crepuscolo… Sarà proprio così? O per una volta l’astronomo resterà doppiamente sorpreso?
Nell’incertezza, abbiamo comunque deciso di fare finta di niente, e di mettere in cantiere lo stesso articolo che avevamo in mente quando le notizie “infauste” sul dimagrimento della Pan-STARRS non erano ancora arrivate. Un articolo doppio, per la precisione, con la prima parte dedicata all’osservazione visuale e la seconda a quella fotografica. Mal che vada avremo fatto esperienza per l’arrivo di fine anno della ISON…
Continuate a seguire con noi l’evoluzione della Pan-STARRS attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, proprio dal 7 marzo in poi nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento e interviste agli esperti a cura di Claudio Pra e Marco Bastoni, su Coelum 168 di marzo ora in edicola e in versione digitale online.
Il venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 17:30 e 21:00, la domenica alle ore 16:00 e 17:30. Per il programma di marzo consultare il sito del Planetario.
Per informazioni e prenotazioni: Tel. 049.773677
info@planetariopadova.it
www.planetariopadova.it
Saranno questi, se la cometa non avrà proprio deluso del tutto, i momenti migliori per la ripresa fotografica della Pan-STARRS. La cometa supera i +19° di
altezza e tramonta più di due ore dopo il Sole. Ci sarà abbastanza tempo per realizzare delle ottime fotografie.
La figura illustra la posizione della cometa al momento del tramonto del Sole (situato in corrispondenza del dischetto giallo, non in scala), con il cielo quindi ancora quasi chiaro.
Aspettavamo questa “grande cometa” da mesi, e adesso, proprio in dirittura, sembra che ci ritroveremo ad osservare soltanto una bella cometa, però incapace di avere la meglio sulla luce del crepuscolo… Sarà proprio così? O per una volta l’astronomo resterà doppiamente sorpreso?
Nell’incertezza, abbiamo comunque deciso di fare finta di niente, e di mettere in cantiere lo stesso articolo che avevamo in mente quando le notizie “infauste” sul dimagrimento della Pan-STARRS non erano ancora arrivate. Un articolo doppio, per la precisione, con la prima parte dedicata all’osservazione visuale e la seconda a quella fotografica. Mal che vada avremo fatto esperienza per l’arrivo di fine anno della ISON…
Continuate a seguire con noi l’evoluzione della Pan-STARRS attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, proprio dal 7 marzo in poi nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento e interviste agli esperti a cura di Claudio Pra e Marco Bastoni, su Coelum 168 di marzo ora in edicola e in versione digitale online.
Una rappresentazione artistica del satellite Planck (ESA)
È la Mappa con la ‘emme’ maiuscola. Quella che i cosmologi di tutto il mondo attendevano impazienti dal 2009, anno del lancio del telescopio spaziale Planck dell’Agenzia Spaziale Europea. Oggi, puntuale, è stata presentata al mondo nel corso di una conferenza stampa internazionale che si è tenuta a Parigi. È il frutto dei primi 15 mesi e mezzo di raccolta dati, il risultato di una perlustrazione dell’intero cielo nelle bande di frequenza da 30 a 857 GHz: quelle dove si annida la radiazione cosmica di fondo a microonde, la luce fossile primigenia, risalente a quando l’universo aveva appena 380.000 anni.
La mappa di Planck dell’Universo a microonde
Nella mappa qui in alto, le anisotropie della radiazione cosmica di fondo (CMB, cosmic microwave background) osservate da Planck. La CMB è l’immagine della luce più antica del nostro Universo, impressa nel cielo quando l’Universo aveva appena 380.000 anni. Mostra lievissime differenze di temperatura, corrispondenti a regioni di densità leggermente diverse fra loro, che rappresentano i semi di tutte le strutture formatesi successivamente: le stelle e le galassie di oggi.
Il press kit con immagini, video, animazioni e documentazione aggiuntiva.
Con pazienza certosina, gli scienziati del team di Planck – molti dei quali italiani – l’hanno distillata dal mare d’impurità che la contaminavano. Il risultato è la mappa più accurata e precisa che mai stia stata prodotta della CMB (Cosmic Microwave Background), la prima luce del cosmo. Nei meandri del suo labirinto si celano non solo i semi originari di tutte le strutture osservabili oggi, dagli ammassi di galassie alle stelle, ma anche i parametri fondamentali dell’universo. Parametri che, se in gran parte confermano il cosiddetto “modello standard della cosmologia”, presentano anche alcune sorprese. E lasciano affiorare domande inedite. Domande che, per ottenere risposta, potrebbero richiedere una nuova fisica.
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Qualcosa è cambiato
Partiamo dunque dalle novità. Anzitutto, l’universo ha da oggi qualche capello bianco in più. Se a WMAP (il satellite NASA predecessore di Planck) aveva dichiarato un’età di circa 13,7 miliardi di anni, ora è costretto ad ammettere di averne 13,82, milione più milione meno. Detta così sembrano gli argomenti di conversazione tra i personaggi di Big Bang Theory, ma in realtà è un numero che a sua volta deriva da un altro parametro d’importanza cruciale: la costante di Hubble. Costante che indica la velocità alla quale l’Universo si sta oggi espandendo, e che i dati di Planck attestano a 67.15: un valore significativamente inferiore rispetto a quello correntemente utilizzato in astronomia.
Un secondo aggiustamento va poi apportato alla ricetta cosmica. Se la natura degli ingredienti continua a rimanere in gran parte oscura, per quanto riguarda le dosi Planck s’è fatto un’idea ben precisa. Cresce, seppure di uno zero virgola, la fetta della materia “normale”, quella di cui sono fatte le stelle e le galassie, che passa dal 4% al 4,9%. Incrementa di un buon quinto il contributo dell’altra materia, quella “oscura”, della quale continuiamo a non sapere alcunché se non che si attesta ora su un ragguardevole 26,8%. Cede invece terreno, pur continuando a farla da padrona, l’energia oscura: i dati di Planck indicano che costituisce il 68,3% dell’universo, dunque meno di quanto si pensava.
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Tre anomalie che il modello non spiega
Ma in fondo questi sono solo ritocchi, per quanto significativi. Diverso il discorso, invece, per i tre principali scostamenti rilevati da Planck rispetto al modello standard: nel loro caso, si tratta di autentiche anomalie. La più sorprendente, del tutto inattesa, riguarda lo spettro di potenza delle fluttuazioni della temperatura della CMB: a grandi scale angolari non corrispondono a quelle previste dal modello standard. Il loro segnale, dicono i dati, è meno intenso di quanto implicherebbe la struttura a scala angolare più piccola osservata da Planck. Sembra molto complicato, e in effetti lo è. Provando a tradurre in un linguaggio a noi più affine, potremmo dire che, ascoltando la sinfonia del cosmo primordiale, Planck s’è accorto che è un po’ carente nei suoni bassi.
Delle altre due anomalie, invece, già si mormorava qualcosa, dunque colgono i cosmologi meno di sorpresa. Una è il cosiddetto cold spot, una regione fredda che si estende su una porzione di cielo molto più ampia del previsto. L’altra è un’asimmetria fra le temperature medie nei due emisferi opposti del cielo, in contrasto con quanto predetto dal modello standard, secondo il quale l’Universo dovrebbe essere grosso modo simile in tutte le direzioni in cui lo osserviamo. Entrambe erano già state notate anche dal predecessore di Planck, la missione WMAP della NASA, ma erano state in gran parte ignorate per i dubbi che permanevano circa le loro origini cosmiche. A questo punto, però, non si possono più nascondere sotto il tappeto. «La rilevazione di queste anomalie da parte di Planck scioglie ogni dubbio circa la loro realtà», dice Paolo Natoli, ricercatore all’Università di Ferrara e associato INAF. «Non è più possibile attribuirle a errori introdotti dalle misure: ci sono davvero. Ora dobbiamo riuscire a spiegarle in modo convincente».
Una conferma stringente dell’inflazione
Per il resto, le informazioni estratte dalla nuova mappa di Planck forniscono, con un’accuratezza mai raggiunta prima, una serie di conferme eccellenti del modello standard. «Una delle più importanti riguarda le fluttuazioni primordiali: quelle da cui si sono formate, nel tempo, le galassie, le stelle e tutte le strutture che osserviamo. Grazie a Planck, oggi sappiamo che quelle fluttuazioni obbediscono con grande precisione a una statistica gaussiana. Questo risultato rappresenta la più stringente conferma dell’inflazione», spiega il responsabile dello strumento LFI di Planck, Nazzareno Mandolesi, membro del CdA dell’Agenzia Spaziale Italiana e associato INAF. «Ora occorre però comprendere che cosa l’abbia messa in moto, pochissimi istanti dopo il Big Bang. «Prendiamo la nuova particella identificata al CERN: se, come sembra, è davvero il bosone di Higgs, essa ha un ruolo fondamentale nel dare una massa a tutte le particelle elementari del modello standard. Ma potrebbe essere anche la misteriosa particella che scatena l’inflazione? Queste sono le domande con le quali una nuova fisica, situata all’intersezione fra cosmologia e fisica fondamentale, dovrà confrontarsi negli anni a venire».
«Le informazioni raccolte da Planck possono essere condensate nel grafico in alto, detto "spettro di potenza". La curva mostra le oscillazioni acustiche primordiali, onde di pressione che hanno generato i semi gravitazionali delle strutture cosmiche. L'asse orizzontale, da sinistra a destra, rappresenta frequenze crescenti mentre l'asse verticale rappresenta l'ampiezza del "suono cosmico"».
In attesa della fisica del futuro, almeno per oggi gli scienziati di Planck possono però concedersi una tregua. «Dopo vent’anni di lavoro e di attesa, è un’emozione straordinaria vedere in diretta l’universo neonato con una definizione senza precedenti. È un po’ come sbarcare per la prima volta su un continente ignoto», dice Marco Bersanelli dell’Università degli Studi di Milano. «Le mappe di Planck portano i segni inequivocabili di processi che sono avvenuti nella prima frazione di secondo dopo l’inizio della storia cosmica, e ci sorprendono con alcune tracce impreviste la cui natura al momento sfugge a qualsiasi spiegazione».
23.03: Convegno dell’Astronomia non professionale piemontese presso l’Osservatorio Astronomico
di Torino – Pino Torinese.
Per dettagli e informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net
Il 22 marzo l’altezza s’incrementa di poco e la cometa si fa sempre più debole. La coda di polveri è ortogonale all’orizzonte.
La figura illustra la posizione della cometa al momento del tramonto del Sole (situato in corrispondenza del dischetto giallo, non in scala), con il cielo quindi ancora quasi chiaro.
Aspettavamo questa “grande cometa” da mesi, e adesso, proprio in dirittura, sembra che ci ritroveremo ad osservare soltanto una bella cometa, però incapace di avere la meglio sulla luce del crepuscolo… Sarà proprio così? O per una volta l’astronomo resterà doppiamente sorpreso?
Nell’incertezza, abbiamo comunque deciso di fare finta di niente, e di mettere in cantiere lo stesso articolo che avevamo in mente quando le notizie “infauste” sul dimagrimento della Pan-STARRS non erano ancora arrivate. Un articolo doppio, per la precisione, con la prima parte dedicata all’osservazione visuale e la seconda a quella fotografica. Mal che vada avremo fatto esperienza per l’arrivo di fine anno della ISON…
Continuate a seguire con noi l’evoluzione della Pan-STARRS attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, proprio dal 7 marzo in poi nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento e interviste agli esperti a cura di Claudio Pra e Marco Bastoni, su Coelum 168 di marzo ora in edicola e in versione digitale online.
Il resto della supernova di Keplero apparsa nel 1604 e ripresa oggi dal telescopio spaziale chandra della NASA nei raggi X. L’area tratteggiata indica la struttura a disco scoperta dai ricercatori. Crediti: NASA/CXC/NCSU/M.Burkey et al.
Il resto della supernova di Keplero apparsa nel 1604 e ripresa oggi dal telescopio spaziale chandra della NASA nei raggi X. L’area tratteggiata indica la struttura a disco scoperta dai ricercatori. Crediti: NASA/CXC/NCSU/M.Burkey et al.
Sono passati più di quattro secoli da quando nel 1604 Keplero identificò un nuovo astro nel cielo, apparso all’improvviso e brillante più di tutte le altre stelle, scomparso poi alla vista dopo alcuni mesi. Quell’evento, inspiegabile all’epoca, era associato all’esplosione di una supernova, l’ultima che sia avvenuta nella nostra Galassia. Un fenomeno che, grazie ai più avanzati strumenti a disposizione degli astrofisici, ha ancora oggi molto da rivelare. Gli ultimi studi condotti su quel che rimane di questa gigantesca esplosione, ovvero una nube di gas e polveri in espansione, condotti con le osservazioni nei raggi X del telescopio spaziale Chandra della NASA hanno INFATTI permesso di ricostruire come si sia prodotta la supernova di Keplero. Secondo Mark Burkley, della North Carolina State University, che ha guidato il team coinvolto nello studio, l’esplosione è stata innescata in un sistema stellare binario in cui un astro era una nana bianca e l’altro una gigante rossa, dando vita a quella che viene chiamata una Supernova di tipo Ia. Viene così confermato uno dei due possibili scenari oggi più accreditati per l’innesco di questi fenomeni, scartando invece la possibilità che l’esplosione sia avvenuta in seguito alla fusione di due nane bianche. “Non possiamo certo dire che sia così per tutte le supernovae di tipo Ia, ma la nostra analisi per quella di Keplero ci fa ritenere che sia stata innescata da una nana bianca che ha strappato materia da una compagna” dice Burkley. “Capire come avvengano queste esplosioni è fondamentale per migliorare i processi per la misura delle distanze cosmiche in cui vengono utilizzati questi oggetti celesti”.
I ricercatori sono giunti a queste conclusioni analizzando le immagini nei raggi X di Chandra in cui si evidenzia una struttura discoidale in prossimità del centro del resto della supernova, interpretata come il risultato della collisione tra il materiale espulso dalla supernova e quello presente attorno alla gigante rossa prima dell’esplosione, anche se non viene esclusa la possibilità che quello osservato possa essere semplicemente il pulviscolo associato all’esplosione. A rafforzare però la convinzione che questo disco sia legato alla compagna della stella esplosa ci sono due ulteriori indizi: il primo è dato dalla presenza in esso di tracce significative di magnesio, elemento chimico che non viene prodotto in maniera così massiccia in un evento di tipo Ia. Il secondo è che una struttura molto simile per estensione e posizione e riconducibile a brandelli di stella espulsi da venti stellari piuttosto che veri e propri resti di supernova sia stata osservata da un altro telescopio spaziale, Spitzer, ma questa volta nell’infrarosso.
Insomma, mistero risolto per l’origine della supernova di Keplero? Tutt’altro. Questo studio rafforza da un lato l’ipotesi che per le supernovae di tipo Ia possano esistere differenti processi d’innesco e dall’altro solleva il dubbio che la stessa supernova presa in esame sia tutt’altro che ‘standard’. Altre simulazioni e analisi di dati raccolti da Chandra suggerirebbero infatti che quella del 1604 è stata un’esplosione di supernova di eccezionale potenza. “Potremmo capire quanto di normale o di anormale ci sia nella supernova di Keplero se potessimo scoprire e analizzare radiazione prodotta nell’esplosione che sia stata riflessa da qualche nube interstellare e che abbia impiegato qualche centinaio di anni per tornare sulla Terra: un’eco di luce” sottolinea Stephen Reynolds, coautore dello studio recentemente pubblicato online sul sito della rivista Astrophysical Journal.
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