Interno giorno. Laboratorio didattico.
Oggi si guarda lontano, nel tempo e nello spazio, raccontando le foto che hanno fatto la storia dell’esplorazione spaziale: Blue Marble, The Man on the Moon, Pale Blue Dot, e altre.
C’è anche una delle più famose: la Terra, illuminata a metà, sospesa nel buio oltre l’orizzonte lunare.
Una ragazza la guarda. “Ma è una foto reale? Cioè, non è un fotomontaggio?”
“Assolutamente reale. È stata scattata dall’equipaggio della missione Apollo 8, quando sono ritornati in vista della Terra dopo essere passati per la prima volta dietro alla faccia nascosta della Luna. L’hanno chiamata Earthrise, l’Alba della Terra.”
La guarda di nuovo. Ride. “Wow.”
Ed eccola lì. La scintilla. La sorpresa. La meraviglia.
Non importa se è solo un momento, ma è successo: una consapevolezza che prima non c’era, e adesso c’è. La consapevolezza che viviamo in un universo pieno di bellezza e di stupore, che possiamo vedere cose meravigliose, che possiamo compiere imprese straordinarie. Tutto dentro quel momento. Tutto dentro quella risata.
“Wow.”

Una delle verità che sappiamo, ma che non ci piace raccontare riguardo alla scuola, è che non offre a tutti le stesse possibilità. Lo sappiamo, lo viviamo, ne vediamo le conseguenze. Ma è una cosa che offende in maniera così diretta il nostro senso di giustizia, il nostro ruolo di adulti, che spesso evitiamo di pensarci troppo a lungo o di parlarne in maniera così esplicita. Spesso addossiamo gli effetti di questa situazione ai giovani svogliati, alle famiglie disinteressate, agli insegnati incapaci, ai politici disonesti, voltando lo sguardo da questa realtà sgradita. E poi ci sono gli altri. Quelli che guardano in faccia alle disparità senza ipocrisie, che affrontano il divario formativo senza ambiguità, e lavorano ogni giorno per colmarlo. Gruppi, associazioni, istituti, singoli operatori che si mettono in gioco personalmente per aiutare ragazzi e ragazze ad emanciparsi dalla povertà educativa e sfuggire alla dispersione scolastica.
Dall’ultimo report ISTAT emerge che nel 2020 in Italia la dispersione scolastica (ossia gli studenti e studentesse che non terminano il corso di studi obbligatorio) si attesta intorno al 13%, pari a più di mezzo milione di giovani: un miglioramento rispetto agli anni 2000 nei quali arrivava quasi al 20%, ma è ancora al di sopra della media UE del 10%. A questi vanno aggiunti i dati della “dispersione implicita”, ossia quella dei giovani che non abbandonano gli studi ma li terminano senza aver conseguito i traguardi minimi di competenze previste per il loro corso di studi. Di fronte a questa situazione drammatica, tantissime realtà del sistema scolastico e del mondo dell’educazione si prodigano per arginare quella che è una vera e propria emergenza sociale: non solo per la formazione culturale dei singoli individui, ma per gli effetti che questo ha sulla società in generale, che si trova ad affrontare una realtà sempre più complessa e in rapido cambiamento.

In questo contesto, in cui mancano a volte le competenze di base, sembra che il ruolo dell’educazione speculativa, e in particolare dell’astronomia e delle scienze dello spazio, debba essere necessariamente marginale. Eppure, non tutti la pensano così. Un movimento di educatori e formatori che pensano che la scienza sia un diritto, non un privilegio, che per andare lontano sia necessario guardare lontano. Che la chiave per il contrasto alla dispersione scolastica non passi solo dall’insegnamento di abilità immediatamente spendibili, ma attraverso la capacità di catturare l’interesse, la fantasia, la curiosità, e l’immaginazione dei giovani, che rischiano di abbandonare il loro percorso scolastico proprio perché non fornisce più stimoli e interessi che possano sollevarli dalla mera esecuzione di compiti e mansioni. Una educazione alla cultura, artistica e scientifica, che possa riabilitarli a guardare oltre, lontano, in alto. Nascono così le iniziative di educazione astronomica contro la dispersione scolastica: laboratori didattici, incontri di ispirazione, attività di gruppo, spesso integrati con percorsi artistici (pittorici, musicali, performativi) per stimolare una visione organica della cultura, senza separazioni artificiali tra le discipline. Si tratta ancora spesso di iniziative di frontiera, spesso curate da educatori visionari e supportate da docenti illuminati. Ma i riscontri sono positivi, e sempre più istituti si dimostrano disponibili a collaborate con esperti esterni che possano portare una prospettiva educativa innovativa. Perché la povertà educativa non è solo mancanza di possibilità, ma anche carenza di motivazione: e le motivazioni non possono essere legate solo all’immediato, soprattutto quando parliamo di ragazzi e ragazze in età evolutiva, per i quali il circuito della ricompensa è principalmente stimolato dal coinvolgimento emotivo piuttosto che dall’utilità pratica (al netto, comunque, del fatto che l’educazione alla scienza, con il suo approccio fondato sullo scetticismo razionale, abbia una innegabile ricaduta per la formazione al pensiero critico).

Si tratta certamente di uno sforzo, economico per la collettività e strutturale per gli istituti, ma le ricompense posso essere ampie e significative. Non solo dal punto di vista scolastico, ma anche sociale e culturale: una scuola di scienza è una scuola di democrazia. E se l’educazione è un diritto, “allora deve essere di tutti, proprio di tutti, altrimenti chiamateli privilegi.”
Non c’è povero tanto povero
che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito
ne ha quanto il leone.
Il cielo è di tutti gli occhi,
ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera,
le stelle comete, il sole.
Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.
Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.
Gianni Rodari
L’articolo è pubblicato in Coelum 256