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Quei buchi neri che mancano all’appello

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Non li vediamo, ma sappiamo che ci sono. Non abbiamo strumenti per “pesarli”, ma riusciamo a stimare la loro massa grazie agli effetti che esercitano sulla materia che li circonda. Di buchi neri ormai ne conosciamo a iosa. Ce ne sono di quelli che gli astronomi chiamano di “taglia stellare”, perché nel loro cuore stipano, compressa all’inverosimile, una massa equivalente a quella di qualche Sole, al massimo alcune decine. E ce ne sono di decisamente più massicci, anzi supermassicci: per farne uno così, di stelle come la nostra ce ne vorrebbero milioni o addirittura miliardi. Buchi neri di questa taglia XXL sono soliti bazzicare i nuclei centrali delle galassie, Via Lattea compresa.

Tra i primi e i secondi, in termine di massa, c’è un salto enorme: quelli stellari sono almeno centomila volte meno “corposi” di quelli supermassicci. Possibile che in questo sterminato intervallo non ci siano buchi neri di massa intermedia? La domanda è tanto più importante in relazione al come i buchi neri oversize abbiano raggiunto le loro ragguardevoli misure: si pensa che la loro massa sia cresciuta nel tempo, fagocitando progressivamente materia catturata dalle regioni circostanti grazie alla loro eccezionale forza di attrazione gravitazionale. Se così stanno le cose, nell’universo allora dovrebbero esserci moltissimi buchi neri in queste fasi di crescita, e potremmo trovarne potenzialmente di tutte le taglie, tra alcune centinaia e centinaia di migliaia di masse solari. Uno scenario che, tornando al punto di partenza, non sembra però accordarsi con quelli che sono i dati raccolti da indagini specifiche portate avanti negli ultimi decenni.

Un nuovo studio al riguardo, pubblicato su Nature Astronomy, prova a dare una possibile interpretazione per risolvere questa controversia. Tal Alexander dell’Istituto Weizmann in Israele e Ben Bar-Or dell’Istituto per gli Studi Avanzati a Princeton, Stati Uniti, mostrano nella loro indagine che i buchi neri di piccola massa che poi divengono supermassicci, tendono ad “ingrassare” molto velocemente, inglobando tutto quello che li circonda – gas, stelle e perfino altri buchi neri –  fino a “placare” il loro vorace appetito una volta raggiunto il tetto del milione di masse solari, limite che li fa accedere di diritto nella categoria dei supermassicci.  Alexander e Ben-Or hanno inoltre mostrato che questo risultato ha una valenza generale: è infatti applicabile a tutti i buchi neri che accresceranno la loro massa, indipendentemente da quella iniziale o dall’era cosmologica in cui avviene il pasto cosmico. «I calcoli che abbiamo condotto sulla base della teoria di come le stelle si muovono attorno ai buchi neri e qualche ulteriore assunzione iniziale mostrano che i buchi neri più leggeri non possono evitare il destino di “ingrassare”» dice Alexander. E questi buchi neri avrebbero continuato ad assorbire gas, stelle e altri buchi neri leggeri, diventando quei mostri cosmici che vediamo oggi. Quindi, nella nostra epoca, tutti i buchi neri primordiali dovrebbero essere supermassicci».

Mario Spera, ricercatore dell’Inaf a Padova, che si occupa dello studio e della ricerca di buchi neri di massa intermedia e che abbiamo contattato per un commento su questo studio, sottolinea che «non abbiamo ancora evidenze osservative dell’esistenza di buchi neri di massa intermedia e sappiamo ancora meno riguardo alla loro formazione ed evoluzione. Un altro possibile scenario che prevede la loro formazione è pensare che una stella di massa molto grande (qualche centinaio di soli) sia talmente pesante da vivere solo qualche milione di anni per poi collassare, senza alcuna esplosione, in un buco nero di massa intermedia. Di sicuro, l’unico modo che abbiamo di comprendere la formazione ed evoluzione dei buchi neri è di studiarli in tutti i loro “sapori”. Abbiamo già evidenza di buchi neri di massa fino a decine di miliardi di masse solari. Inoltre, le recenti rilevazioni di onde gravitazionali ci hanno fornito, per la prima volta, la prova dell’esistrenza di buchi neri di “taglia stellare”, con massa fino a circa 60 volte quella del Sole. Fare luce sul mistero dei buchi neri di massa intermedia ci permetterà finalmente di riunire i buchi neri di varie taglie in un’unica grande famiglia».

Per saperne di più:

l’articolo pubblicato sulla rivista Nature Astronomy A universal minimal mass scale for present-day central black holes di Tal Alexander e Ben Bar-Or


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