Quando immaginiamo la vita nello spazio, pensiamo subito all’acqua: fiumi, oceani, piogge aliene. Poi aggiungiamo il carbonio, l’azoto, il fosforo: gli ingredienti base di ogni cellula.
Ma c’è un dettaglio meno noto che potrebbe essere la vera chiave della vita nell’Universo: i metalli di transizione. Ferro, rame, molibdeno, manganese…elementi che agiscono come piccoli interruttori nelle reazioni chimiche. Senza di loro, gli enzimi che fanno respirare le cellule e trasformano energia non funzionerebbero. In poche parole: niente metabolismo, niente vita.
Il problema? Questi metalli non sono distribuiti ovunque. La loro presenza dipende da eventi rari e violenti, come l’esplosione delle supernovae o la fusione di stelle di neutroni.
Così, due pianeti gemelli per acqua e dimensioni potrebbero avere destini opposti: uno pullulante di vita, l’altro sterile.
Per questo, alcuni scienziati propongono un nuovo criterio nella ricerca di mondi abitabili: guardare non solo all’acqua o alla posizione di un pianeta nella “zona abitabile”, ma anche alla ricchezza di metalli nella sua stella. Analizzando la luce stellare, infatti, possiamo intuire la composizione chimica dei pianeti che le orbitano attorno.
Lo studio di Giovanni Covone e Donato Giovannelli propone un ampliamento dei criteri con cui oggi si cercano mondi abitabili.
Di solito ci si concentra su:
- disponibilità di CHNOPS (carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, fosforo, zolfo),
- presenza di acqua liquida,
- condizioni di disequilibrio termodinamico (cioè fonti di energia sfruttabili dalla vita).
Gli autori sostengono che manca un tassello fondamentale: la disponibilità di metalli di transizione (ferro, manganese, molibdeno, rame, nichel e altri). Questi elementi sono cofattori indispensabili per gli enzimi ossidoreduttasi, che catalizzano le reazioni di ossidoriduzione su cui si basa il metabolismo di tutti gli organismi conosciuti. Senza di essi, la chimica della vita così come la conosciamo non potrebbe funzionare.
Il problema è che la distribuzione di questi metalli non è uniforme nell’Universo: dipende dall’evoluzione chimica delle galassie e dei sistemi stellari. Perciò, due pianeti simili per acqua e dimensioni potrebbero avere prospettive biologiche molto diverse se la loro “dotazione” di metalli è differente.
Punti chiave
I metalli di transizione sono un parametro ancora poco considerato nella ricerca di vita extraterrestre. La loro abbondanza varia nello spazio e nel tempo, quindi non tutti i sistemi stellari offrono la stessa “ricetta chimica” per la vita.
Le indagini spettroscopiche stellari (come quelle del progetto APOGEE) permettono di stimare il contenuto di metalli di transizione nelle stelle, e quindi nei pianeti che vi orbitano. Questo approccio potrebbe diventare un nuovo filtro astrobiologico: non solo cercare pianeti con acqua liquida, ma cercarli intorno a stelle ricche degli elementi giusti.
Contesto più ampio
Il legame tra metallicità e pianeti è ormai consolidato: le stelle con un’alta concentrazione di elementi pesanti tendono a ospitare un maggior numero di pianeti, in particolare mondi rocciosi come la Terra. Ma la questione non riguarda solo la formazione dei pianeti: ha implicazioni dirette anche per la biologia. Elementi come ferro e molibdeno, ad esempio, sono al cuore di molti enzimi fondamentali nei processi metabolici terrestri; senza di essi, il motore della vita cellulare collasserebbe. La loro disponibilità, però, non è affatto scontata: gli elementi più pesanti del ferro sono rari nell’Universo, perché si formano esclusivamente in eventi catastrofici come le esplosioni di supernovae o le collisioni tra stelle di neutroni. Questo rende l’abbondanza di certi metalli un vero e proprio fattore limitante per lo sviluppo della vita. In questo contesto si inserisce l’ipotesi della “Terra Rara”, secondo cui la vita complessa non è affatto diffusa, ma richiede condizioni eccezionalmente particolari, tra cui proprio la giusta combinazione di elementi chimici.
Perché è importante
Questa ricerca apre una nuova prospettiva in astrobiologia: la presenza di acqua liquida, da sola, non è sufficiente a garantire lo sviluppo della vita. Serve anche la “giusta tavola periodica”, ovvero una combinazione di elementi chimici adeguata a sostenere processi biologici complessi. In quest’ottica, la posizione del nostro Sistema Solare all’interno della Galassia e la particolare composizione chimica del Sole potrebbero aver giocato un ruolo fondamentale nell’emergere della vita sulla Terra. Questo approccio fornisce inoltre un criterio pratico e concreto per orientare le future missioni di ricerca della vita: i telescopi spaziali di nuova generazione non dovranno limitarsi a individuare pianeti nella cosiddetta zona abitabile, ma dovranno anche analizzare la loro “tavolozza chimica”, valutando se possiedono il mix di metalli ed elementi indispensabili perché la vita possa davvero sbocciare.














