Il dubbio era se il tasso più elevato di produzione stellare nelle giovani galassie dipendesse da una maggiore disponibilità di materiale oppure se, in qualche modo misterioso, l’evoluzione dei sistemi stellari avesse portato con sé una minore efficienza dei meccanismi fisici che governano la formazione stellare.
Per provare a vederci più chiaro, un team internazionale di ricercatori ha utilizzato le informazioni raccolte in precedenti studi – un’indagine riguardante circa 50 mila galassie – per selezionarne un campione che potesse correttamente rappresentare una popolazione media di galassie.
Successivamente hanno puntato su questo campione numerosi telescopi, non limitandosi al solo dominio visibile ma spingendosi anche nell’infrarosso e oltre. Osservare queste galassie nell’infrarosso e analizzare il loro spettro radio, infatti, era l’unico modo per i ricercatori di riuscire a rendere “visibile” la loro componente gassosa, assolutamente invisibile nel dominio ottico.
Lo studio, pubblicato su Nature in febbraio, ha mostrato che le galassie più antiche della Via Lattea potevano contare su una disponibilità di gas superiore a quella attuale della nostra galassia. Secondo i ricercatori, una tipica galassia nel giovane universo poteva contenere una quantità di gas molecolare da tre a dieci volte maggiore di quanto si osserva nelle galassie attuali.
Non c’è bisogno, dunque, di invocare leggi fisiche diverse per la produzione stellare nelle antiche galassie, più semplicemente c’era una maggiore quantità di materia prima alla quale attingere.