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C’era una volta l’universo euclideo

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La somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a 180 gradi. Ce lo insegnavano alle medie. Lo ribadisce Wikipedia. E se ci mettiamo con matita e goniometro a tracciare triangoli su un foglio di carta lo possiamo verificare anche per conto nostro. Tutto giusto, ma non sempre… È così, appunto, su un foglio di carta steso bello piatto sul tavolo. Se però ci mettessimo fare la stessa operazione, per quanto sia decisamente più scomodo, su una sfera – disegnando triangoli con il pennarello su un mappamondo, per esempio – ecco che la somma degli angoli darebbe un risultato maggiore di 180 gradi. È che la sfera è curva, non piatta. E la geometria degli spazi curvi segue regole diverse da quella classica – detta euclidea – degli spazi piatti. Per esempio, regole che ammettono che due rette parallele finiscano prima o poi per incontrarsi.

È a questo che si riferiscono i cosmologi quando parlano di universo piatto: un universo il cui spazio ha curvatura nulla, e nel quale valgono le regole della geometria euclidea. Ebbene, il modello cosmologico comunemente accettato dice che l’universo è proprio così: piatto. Una conformazione improbabile, a ben pensarci, visto che niente in Natura impone che, tra i tutti i possibili valori di curvatura, il nostro universo abbia proprio esattamente il valore zero. Ciò nonostante, è proprio questa la conformazione che i dati di moltissime osservazioni astrofisiche e cosmologiche sembrano indicare.

L’immagine mostra la mappa delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo a microonde (Cmb) osservate dalla missione Planck dell’Esa, ed è stata realizzata con i dati della Planck Legacy release, ovvero quelli finali della missione, pubblicati a luglio del 2018. Crediti: Esa/Planck Collaboration

Moltissime, ma non tutte. È stato pubblicato la settimana scorsa su Nature Astronomy un articolo – firmato da Eleonora Di Valentino del Jodrell Bank (Uk), Alessandro Melchiorri della Sapienza e Joseph Silk dell’Institut d’Astrophysique de Paris – secondo il quale gli ultimissimi dati del telescopio spaziale dell’Esa Planck favorirebbero un modello di universo chiuso: ovvero con curvatura maggiore di zero – tipo quella di una sfera, appunto. Un articolo che, complice anche la sapiente scelta del titolo (“Planck evidence for a closed Universe and a possible crisis for cosmology”), sta creando un certo subbuglio nella comunità dei cosmologi – nonostante non sia una novità il fatto che i dati di Planck andassero in parte in questa direzione.

«Gli articoli finali della collaborazione Planck, pubblicati nel 2018, hanno messo in evidenza come un universo chiuso – caratterizzato da una curvatura spaziale positiva dell’ordine di qualche percento – possa descrivere i dati dello spettro di potenza in temperatura e polarizzazione delle anisotropie del fondo a microonde meglio del modello di concordanza Lambda-Cdm spazialmente piatto», ricorda infatti a Media Inaf uno degli scienziati della collaborazione Planck, Fabio Finelli, ricercatore all’Inaf di Bologna al quale abbiamo chiesto un commento allo studio di Di Valentino, Melchiorri e Silk. «Ma una volta considerata anche un’ulteriore informazione fondamentale dai dati di Planck, ovvero lo spettro della deflessione gravitazionale (lensing) dei fotoni del Cmb, o l’informazione geometrica derivante dalle oscillazioni barioniche nei cataloghi di galassie, lo spazio per una curvatura positiva si riduce sensibilmente».

«Di Valentino, Melchiorri e Silk presentano una nuova e più estesa analisi di questi aspetti», continua Finelli, «e inoltre quantificano come un modello Lambda-Cdm con curvatura spaziale positiva non offra soluzioni alla discrepanza nelle stime della costante di Hubble dalla Cmb e quella determinata dalle supernove Ia. Sebbene l’universo chiuso suggerito dallo spettro di potenza delle anisotropie in temperatura e polarizzazione di Planck non sembri passare ulteriori test, la qualità e la quantità dei dati cosmologici attuali sono sufficienti per sondare ipotesi di nuova fisica oltre il modello Lambda–Cdm anche più complesse».

Eleonora Di Valentino, prima autrice dello studio pubblicato su Nature Astronomy. Fonte: Nature Research Blogs

Ma qual è questa “nuova fisica” che potrebbe prospettarsi, se davvero la cosmologia attuale entrasse in crisi, come suggerisce il titolo dell’articolo di Nature Astronomy? Abbiamo chiesto alla prima autrice dello studio, Eleonora Di Valentino, di farci qualche esempio. «Se escludiamo possibili effetti sistematici, è difficile al momento capire come risolvere il puzzle. Potremmo cambiare il modello inflazionario, dato che si presenta una curvatura», spiega a Media Inaf la scienziata. «Oppure potremmo cambiare la costante cosmologica con un’energia oscura dinamica, dato che il problema con la costante di Hubble persiste. Infine, potremmo anche cambiare le ipotesi sulla dark matter supponendo una sua interazione, dato il lensing maggiore. Oppure tutte le cose insieme. Sono chiaramente necessari più dati per capire meglio in che direzione andare».

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