Home Articoli e Risorse On-Line LA “SCOMMESSA” DI MARTIN REES

LA “SCOMMESSA” DI MARTIN REES

Letto 5.511 volte
0
Tempo di lettura: 12 minuti
Martin John Rees (York, 23 giugno 1942) è un astronomo e cosmologo inglese. Astronomo reale dal 1995 e direttore del Trinity College di Cambridge dal 2004, dal 1º dicembre 2005 è anche presidente della Royal Society. Nella sua carriera ha prodotto più di 500 pubblicazioni e ha dato importanti contributi alla teoria dell’origine della radiazione cosmica di fondo, oltre che allo studio della formazione delle galassie. È inoltre un noto divulgatore scientifico di astronomia e di scienze in generale.

.

Sarei pronto a scommettere, per una posta ragionevole, che entro il 20l0 sapremo esattamente qual è la componente dominante della materia oscura, il valore di Ω e le proprietà dell’oscura energia del vuoto. Se scopriremo tutto questo, sarà un trionfo per la cosmologia: avremo preso le misure del nostro universo, proprio come, non molti secoli fa, abbiamo imparato che forma hanno e quanto sono grandi il Sole e la Terra. E conosceremo, a parte alcune riserve di cui parlerò nel prossimo capitolo,anche il futuro a lungo termine del cosmo.

Il libro da cui è tratto il brano oggetto di commento, è stato pubblicato nella versione originale in lingua inglese (Our Cosmic Habitat) nel 2001 ed è stato insignito del “Cosmology Prize of the Peter Gruber Foundation” nel 2001 e del “New York Book Show Award” nel 2002. L’edizione italiana risale invece al 2004 ed è stata curata da Gianni Rigamonti per la Adelphi Editore (Il nostro ambiente cosmico, pagg. 227, prezzo 18,50 euro). Online – www.coelum. com – è disponibile la recensione del libro.

Dopo il 2010 le sfide da affrontare saranno di due tipi molto diversi. La cosmologia infatti ha due facce: è una scienza fondamentale, ma anche la più grande delle scienze ambientali. Il teorico canadese Werner Israel ha paragonato questa dicotomia alla contrapposizione fra gli scacchi e la lotta libera nel fango; e forse la comunità dei cosmologi è proprio una tale mescolanza male assortita di finezza estrema ed estrema brutalità (solo di stile intellettuale,ovviamente).

Di qui a una decina d’anni, per il gaudio di quelli di noi che trovano più divertente rivoltarsi nel fango, saranno disponibili osservazioni sempre più dettagliate fornite sia da telescopi a terra sia da satelliti; mentre massicce simulazioni al calcolatore ci daranno un’idea più chiara del modo in cui si formano galassie, stelle e pianeti.

Io credo tuttavia che i « giocatori di scacchi» saranno ancora alla ricerca di una spiegazione profonda dell’inizio. La ricerca di teorie unitarie dell’universo e del microcosmo non si sarà esaurita (anche se forse renderà esausti coloro che l’hanno intrapresa).

Martin Rees

.

.

Luca Amendola

LUCA AMENDOLA è nato a Roma nel 1963. Formatosi all’Università La Sapienza, ha passato in seguito numerosi periodi all’estero, principalmente in Francia e USA. È astronomo presso l’Osservatorio Astronomico di Roma (Monte Porzio Catone). La sua ricerca verte principalmente sulla cosmologia dell’universo primordiale, teorie inflazionarie, fondo cosmico, formazione di galassie e struttura a grande scala. Fermamente convinto dell’importanza della comunicazione della scienza a tutti i livelli, dedica una parte sempre più rilevante del suo tempo alla presentazione pubblica dell’astronomia e della cosmologia.

Predire il futuro è notoriamente rischioso, soprattutto se qualcuno si prende la briga di verificare le tue predizioni. Quasi tutti, a parte i profeti di apocalissi, tendono a immaginare un futuro di macchine volanti e teletrasporto, un futuro dal quale guarderemo i nostri predecessori con l’affettuosa condiscendenza con cui contempliamo vecchie foto color seppia. Poi il futuro arriva, colmo di telefonini ma senza macchine volanti e l’unico teletrasporto rimane quello di Star Trek.

I 10 anni di Rees sono trascorsi e non sappiamo ancora cosa sia la materia oscura né tanto meno l’energia del vuoto o energia oscura. È vero che conosciamo con ottima precisione il valore di W, l’energia totale dell’universo, ma lì Rees andava sul sicuro: già nel 2000 disponevamo di buone stime [vedi l’Esperimento BOOMERanG su Coelum n. 30] i risultati attuali non sono certo una sorpresa. Di materia oscura ce n’è sempre un gran bisogno, ma quali siano le particelle o i campi quantistici che la compongono è ancora ignoto.

La ricerca diretta di particelle di materia oscura nei grandi laboratori sotterranei, iniziata già ben prima del 2000, ha proceduto senza sosta e senza risparmio di energie e di investimenti. Il primo esperimento che nel 1997 ha annunciato la cattura delle tenue tracce di particelle oscure – il progetto DAMA presso i laboratori italiani del Gran Sasso – ha mantenuto ferma la posizione; altrettanto hanno fatto esperimenti rivali che si ostinano a non cavare ragni dal buco come ad esempio, proprio quest’anno, l’esperimento XENON100, anch’esso al Gran Sasso.

Nel frattempo molti teorici hanno proposto diverse ricette per riconciliare i due punti di vista, arricchendo così il numero e gli attributi delle particelle candidate a materia oscura, ma senza convincere né i contendenti né gli spettatori. La materia oscura continua a eludere e illudere. Molte speranze sono riposte nel LHC, il superacceleratore del CERN: la sua grande energia potrebbe produrre direttamente particelle di materia oscura o almeno farci intravedere i processi che potrebbero esserne responsabili. E se LHC può sembrare un acronimo ostico, possiamo sempre contare su Rosebud, Edelweiss, Cuore o Newage, solo alcuni di una serie di esperimenti dedicati alle WIMP, o particelle massive a interazione debole, la variante più accreditata di materia oscura.

Rees, e con lui tutti noi, è stato troppo ottimista anche sull’energia oscura. Nel 1998 i dati delle supernovae avevano mostrato un universo in espansione accelerata, e quindi avevano indicato la necessità di includere una nuova forma di energia nell’inventario cosmico. Nel 2000 pensavamo che si trattasse della costante cosmologica (l’energia del vuoto vera e propria) o forse qualcosa che gli assomigliava molto; oggi la costante cosmologica è ancora la spiegazione più semplice e accettabile ma molte ipotesi alternative, per esempio una modifica della gravità Einsteiniana, sono ancora possibili. L’incertezza è aumentata di pari passo con le spiegazioni sempre più esotiche. In cambio, il ventaglio di possibili nuovi esperimenti si è arricchito molto e ora l’accelerazione cosmica, oltre che con le supernovae, viene studiata con l’effetto delle lenti gravitazionali, con la distribuzione delle galassie a grandissima distanza, con il fondo cosmico a microonde, con le esplosioni di raggi gamma e altro ancora. Magari non troveremo l’energia oscura, però nel frattempo non perdiamo l’occasione di esplorare terre ed epoche ignote.

Tutto sommato, 10 anni si sono rivelati troppo pochi. Siamo passati da 42 a circa 500 supernovae valide per la cosmologia; da acceleratori di 200 Gev (LEP) o 1 Tev (Tevatron) ai 7 Tev del LHC; da una area utile di fondo cosmico di circa 2000 gradi quadrati del pallone aerostatico Boomerang ai circa 30 000 dei satelliti WMAP e Planck. Incrementi significativi ma non stratosferici se confrontati con altre tecnologie: il mio attuale laptop è almeno 100 volte più potente del mio vecchio IBM Thinkpad (e costa di meno). Forse la fase due della cosmologia, quella delle mani sporche di fango e dei capricciosi ma fondamentali dettagli, potrà essere posposta un po’, diciamo di altri 10 o 20 anni: il tempo che i nuovi esperimenti come il satellite Euclid dell’ESA o il megatelescopio EELT dell’ESO siano realizzati, aumentando di mille volte il volume di spazio osservabile. Nessuno si aspetta che i cosmologi potranno allora dire “missione compiuta!”, anche perché porta male, ma forse gli imbarazzanti enigmi della materia e dell’energia oscura saranno finalmente comprensibili. Sistemati finalmente fondali e palcoscenico, potremo dedicare tutte le energie ai tanti importanti attori del teatro cosmico e scoprire nuove terre e nuovi cieli.

.

.

Massimo Auci

MASSIMO AUCI è nato a Roma il 24 febbraio 1955. Si è laureato in Fisica Cosmica all'Università di Torino, dove ha lavorato presso il Dipartimento di Fisica Generale fino al 1995 svolgendo didattica e ricerca in astrofisica sperimentale ed elettrodinamica. Docente di Fisica e Matematica presso la Scuola Internazionale Europea di Torino, è autore di numerosi articoli scientifici, libri e saggi. Vicepresidente di Odisseo Space, società che opera nel settore della ricerca e della formazione in campo aerospaziale, collabora come Science Editor con il portale di comunicazione e divulgazione scientifica “Gravità Zero” www.gravita-zero.org di cui è tra i fondatori.

Lord Martin Rees non è certo nuovo alle esternazioni a effetto. Solitamente, per riuscire a mescolare scienza, filosofia e fantasia senza essere presi per matti o visionari occorre avere una certa dose di abilità e Martin Rees non ha certo fama né di matto né di visionario. La passione e l’entusiasmo da lui mostrati nella divulgazione dei grandi misteri dell’universo, coniugati al rigore, alla lungimiranza e al coraggio delle idee, hanno al di là delle personali convinzioni o delle specifiche tematiche trattate, sempre trasmesso fiducia nella scienza e sicurezza nelle sue convinzioni. Forse solo fortuna? Forse in parte ma non solo, tant’è che nonostante la moltitudine di affermazioni sensazionali fatte in questi anni, Martin Rees continua a essere sempre molto apprezzato sia dal mondo accademico della cosmologia più conservatrice, sia da coloro che hanno una visione più aperta e speculativa del nostro universo.

Comunque, come dar torto al suo ma anche al nostro entusiasmo, quando negli anni Novanta dopo i successi di COBE, reduci da faticose osservazioni fotografiche riprese da telescopi terrestri e da rudimentali elaborazioni digitali, ci trovammo per la prima volta davanti alle prime immagini di spettacolari e remoti angoli di universo riprese dallo Hubble Space Telescope (HST)? Martin Rees, da profondo conoscitore dei metodi di indagine cosmologica e astronomica qual è ha saputo vedere oltre, riuscendo a dare al metodo di indagine satellitare la giusta potenzialità. Lanciare una scommessa? Tutto nello stile di Martin, una sfida con sé stesso ma soprattutto un pungolo per la ricerca cosmologica, nulla di particolare per chi come lui ha profonda fiducia nella scienza ma soprattutto nell’uomo.

Scommessa vinta? Forse no ma se consideriamo che l’HST ha in questi ultimi dieci anni contribuito a svelare molti misteri e mai prima d’ora la potenza degli strumenti di indagine teorica, ottica e satellitare di cui disponiamo ci ha fatto sperare in una rapida soluzione della restante parte; che a oggi sono stati elaborati modelli e sviluppate tecniche di simulazione al computer in grado di verificare i meccanismi di formazione ed evoluzione delle galassie; che sono stati scoperti e studiati centinaia di sistemi planetari extrasolari; che è stata evidenziata la presenza di materia oscura anche se non se ne conosce ancora la natura; anche se a rigore la scommessa non è stata completamente vinta molto poco ci manca. Infatti le osservazioni effettuate dal duemila a oggi sull’anisotropia del fondo cosmico a microonde, prima dal satellite WMAP, poi dal pallone stratosferico BOOMERANG, potranno entro quest’anno o poco oltre essere confermate o smentite dai risultati della sonda Planck al suo primo anno di osservazione. Se confermate, il rapporto W = 1 individuerà per il nostro universo un modello euclideo con curvatura nulla, originato da una inflazione avvenuta nelle fasi primordiali successive al Big Bang, se smentite tutto verrà nuovamente rimesso in discussione e nulla forse per un po’ si potrà più dire.

Quindi, se ad oggi il 2010 non è ancora stato un annus mirabilis per la soluzione dei misteri dell’universo, grazie ai prossimi risultati della sonda Planck e del Large Hadron Collider potrebbe ancora diventarlo e Martin Rees vincere a pieno titolo la sua scommessa. Comunque manca veramente poco affinché il 2010 o i prossimi anni a venire diventino una frontiera nella storia della cosmologia, anche se sono convinto che alla conoscenza ci si possa accostare solo asintoticamente.

.

Alberto Cappi

ALBERTO CAPPI è astronomo presso l’Osservatorio Astronomico di Bologna (INAF) e chercheur associé presso l’Observatoire de la Côte d’Azur. Le tematiche della sua ricerca riguardano la cosmologia osservativa, la struttura a grande scala dell’universo e gli ammassi di galassie. Si interessa anche della storia della scienza Greca e della storia della cosmologia. www.bo.astro.it/~cappi/index. html

È sempre rischioso cercare di prevedere il futuro, a maggior ragione quello della cosmologia…

In particolare, fare ricerca significa esplorare ciò che non conosciamo, dunque non è possibile sapere a priori se, come e quando un filone di ricerca ci fornirà determinate risposte.

Sir Martin Rees ha comunque scommesso su tre punti:

a) il valore di Omega. Questo valore, vicino all’unità, era già noto nel 2000, quando Rees ha scritto il suo libro: senz’altro le misure successive lo hanno confermato e reso più preciso. La predizione era dunque corretta, ma estrapolata a partire da misure già esistenti e considerate credibili.

b) Le proprietà dell’energia oscura. La predizione era un po’ vaga: suppongo che Rees intendesse dire che avremmo determinato l’equazione di stato dell’energia oscura. In effetti la conosciamo meglio e le misure attuali rimangono in accordo con quello che ci si aspetta dalla costante cosmologica, ma anche con diverse altre possibilità.

c) La natura della materia oscura. Qui Rees è stato ottimista: non sappiamo ancora che cosa sia. Forse Rees all’epoca confidava anche nei risultati dell’LHC di Ginevra, che ha avuto però notevoli ritardi.

In conclusione direi che, pur considerando gli importanti progressi compiuti, Rees non ha vinto la scommessa. Sarà interessante ritornare sull’argomento nel 2020…

Però negli ultimi 10 anni la cosmologia ha effettivamente seguito le tendenze generali predette da Rees (tendenze che erano comunque già evidenti nel 2000). Il decennio trascorso ha effettivamente visto lo sviluppo di nuovi strumenti di osservazione a terra e su satellite, l’automatizzazione del processo di analisi dei dati e la loro disponibilità in rete attraverso grandi database e veri e propri osservatori virtuali, la capacità di calcolo sempre crescente per simulazioni sempre più complesse e raffinate. Invece quelli che Rees ha definito “giocatori di scacchi” stanno continuando la loro partita.

E sarà molto lunga.

.


.

Elena Dalla Bontà

Elena Dalla Bontà svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Astronomia dell'Università degli Studi di Padova, dove si è laureata in Astronomia e ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca. Si occupa di evoluzione e dinamica delle galassie. Nel 2007 le è stato conferito il Premio Pietro Tacchini per la Tesi di Dottorato “Supermassive Black Holes and their Host Galaxies”. Ha soggiornato negli Stati Uniti e in Canada, compiendo ricerche presso la Rutgers University e l'Herzberg Institute of Astrophysics. Collabora inoltre con la University of Oxford in Gran Bretagna.

La scommessa di Rees, fatta nel 2000, sui problemi di cosmologia che si sarebbero risolti entro l’anno 2010 è stata vinta pressoché in tutti i punti da lui indicati. Sono stati fatti grandi progressi in questo decennio, nel determinare le componenti dell’Universo, ossia materia barionica per il 4%, materia oscura per il 23% ed energia oscura per il 73%. Tuttavia resta ancora sconosciuta la natura della materia oscura, anche se la recente impresa spaziale della NASA, il telescopio Fermi lanciato nel 2008, potrebbe darci qualche indicazione, mediante lo studio dei raggi gamma. Ancora più misteriosa appare la componente dell’energia oscura. Le osservazioni hanno comunque pienamente confermato quanto si intravedeva alla fine del secolo scorso, e cioè che l’universo è piatto ed è in espansione accelerata, l’accelerazione essendo causata dall’energia oscura.

Martin Rees fa sua la distinzione del teorico canadese Werner Israel fra cosmologia fondamentale e cosmologia ambientale. La prima riguarda quei pochi eletti che come “giocatori di scacchi” trattano le proprietà dell’universo nel suo complesso, la seconda, assimilata alla lotta libera nel fango, chi (me inclusa!) contribuisce a determinare con la “forza bruta” delle osservazioni astronomiche le proprietà ambientali dell’universo.

C’è stato un grande sviluppo delle osservazioni sia da terra che dallo spazio, testimoniato da un grande fiorire di telescopi e nuova strumentazione. Lo scorso anno è stato inaugurato ad esempio il Gran Telescopio Canarias, con lo specchio principale di 10,4 m di diametro, ubicato nell’isola di La Palma, nell’arcipelago delle Canarie, che va ad aggiungersi alla ricca serie di telescopi da terra della classe dei dieci metri. Sempre nel 2009 sono stati lanciati i telescopi spaziali dell’ESA, Herschel per le osservazioni nell’infrarosso e Planck, destinato a studiare il fondo cosmico di microonde. È stata inoltre effettuata con successo la quinta operazione di manutenzione sul telescopio Hubble, frutto di una collaborazione tra l’ESA e la NASA, durante la quale sette astronauti hanno riparato dei guasti e installato nuovi strumenti, lasciando un telescopio più potente e tecnologicamente più avanzato che continua a fornire sorprendenti risultati grazie ad osservazioni dall’ultravioletto al vicino infrarosso.

Già nei primi anni del decennio considerato è stata prodotta una delle più ambiziose simulazioni dell’universo, chiamata Millennium Run, con il più grande volume virtuale che sia mai stato realizzato. È stato simulato il modo in cui la materia si è ammassata all’interno di un cubo di oltre 2 miliardi di anni luce di lato.

Uno dei più fecondi campi di indagine della moderna astrofisica è quello della ricerca di pianeti extrasolari, di cui ne sono già stati individuati oltre 200 e proprio in questi ultimi anni c’è stata la scoperta di qualche pianeta dalle dimensioni di poco superiori a quella della Terra.

Lo studio di buchi neri supermassicci nelle galassie ha permesso di rilevare oggetti con masse fino a qualche miliardo di masse solari, mentre non è ancora chiaro quale sia il limite inferiore. Osservazioni recenti indicano che nella formazione della galassia si genera un oggetto centrale massiccio sotto forma di un buco nero o di un ammasso compatto di stelle. Nelle galassie più massicce, con masse maggiori di 10 miliardi di masse solari, i buchi neri sembrano essere la forma più probabile in cui si manifesta l’oggetto centrale supermassiccio.

La gran mole di dati astronomici che vengono via via raccolti ha permesso di costruire una banca dati enorme in tutte le lunghezze d’onda, che può essere consultata a tavolino da una notevole quantità di astronomi, la cui comunità è diventata sempre più numerosa e distribuita sulla superficie del pianeta, nel senso che anche paesi privi di grosse strumentazioni possono lo stesso avere accesso ai dati più recenti.

Per quanto riguarda la cosmologia come scienza fondamentale, ben dice Martin Rees quando afferma che “i giocatori di scacchi” (in contrapposizione ai “lottatori nel fango”) saranno ancora alla ricerca di una spiegazione profonda dell’inizio che probabilmente mai si raggiungerà.

.

L’inchiesta completa è stata pubblicata su Coelum 142 – Ottobre 2010

Abbonati a Coelum Astronomia e leggi ogni mese la rivista su carta e in digitale

.