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Al Planetario di Ravenna

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04.09: “Palomar guarda il cielo: Universo e Scienza visti da Italo Calvino” di Oriano Spazzoli.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

SUPERNOVAE – Un’estate di supernovae “discovered in Italy” e non solo…

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SN2012cg
SN2012cg
Dopo la pausa estiva, riprende con il numero 162 di Coelum, la consueta rubrica sulle ultime Supernovae. L’alto numero di scoperte del periodo, pero’, non ci ha dato modo di dedicare loro il giusto spazio tra le pagine della rivista. Pubblichiamo quindi online il resoconto integrale, e tutte le immagini (cliccate sulle immagini per vederle nella loro interezza), inviatoci da Fabio Briganti e Roberto Mancini dell’Italian Supernovae Search Project.

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Fonte: www.rochesterastronomy.org/ supernova.html

La scoperta principale è sicuramente quella ottenuta dal LOSS, programma di ricerca supernovae professionale del Lick Osservatory sul monte Hamilton vicino San Jose in California, che scopre la SN2012cg in ngc4424 nella notte del 17 Maggio utilizzando il telescopio di 76cm. Al momento della scoperta la supernova mostrava una magnitudine pari a +16,9. Lo spettro ha evidenziato che si tratta di una supernova di tipo Ia scoperta due settimane prima del massimo ed infatti nei primi giorni del mese di Giugno la sua luminosità è aumentata enormemente raggiungendo la ragguardevole magnitudine +12 e diventando così la supernova più luminosa di questa prima metà del 2012 superando anche la più famosa supernova in M95.

SN2012cg
SN2012cg

Il Master Robotic Net, altro programma professionale di ricerca supernovae, detiene una prediscovery con un’immagine ripresa due giorni prima del LOSS con la supernova appena visibile come una stellina di magnitudine +19.

La galassia ospite è una spirale barrata posta nell’ammasso della Vergine con vicino la galassia satellite PGC213994. Posta in alto ed a destra di Spica, l’alfa della Vergine, forma una bel terzetto con le galassie M49 ed M61.

Questa galassia ha però una particolarità e cioè ha ospitato nel lontano 1895 la seconda supernova di tutti i tempi scoperta al di fuori della nostra galassia. Era infatti il 16 Marzo del 1895 quando l’astronomo tedesco Max Wolf scopriva la SN1895A che raggiunse la magnitudine +12,5 quindi molto simile come luminosità all’attuale SN2012cg. Vi domanderete allora qual’è stata la primissima supernova scoperta al di fuori della Via Lattea. Dieci anni prima il 20 Agosto 1885 un altro astronomo tedesco Ernst Hartwing scopriva la SN1885A nella galassia di Andromeda M31 che raggiunse una luminosità di +5,8 quindi al limite della visibilità ad occhio nudo.

Finalmente dopo circa tre mesi privi di scoperte anche il nostro ISSP è tornato a fare centro con una bella doppietta messa a segno, nella notte del 26 e del 27 Giugno, da Fabrizio Ciabattari ed Emiliano Mazzoni dell’osservatorio di Monte Agliale (LU).

SN2012dg
SN2012dg

La prima è stata scoperta nella galassia CGCG 254-030 NED02, appartenente al sistema interagente di galassie PGC61709, posto al confine tra le costellazioni di Ercole e Drago a circa 500 milioni di anni luce di distanza. A questa supernova, che al momento della scoperta mostrava una magnitudine intorno a +17,0 è stata assegnata la sigla SN2012dg. Lo spettro ha evidenziato che si tratta di una supernova di tipo Ia ed è stato ottenuto in tempo di record dal team dell’osservatorio di Padova che ormai collabora in maniera continuativa e proficua con il nostro ISSP dimostrando che il lavoro di noi astrofili può essere molto utile anche ai professionisti.

La seconda, scoperta insieme a G. Pedroni, a cui è stata assegnata la sigla SN2012df, è stata scoperta in una galassia anonima vicino alla galassia PGC60882 posta nella costellazione del Drago a ben 980 milioni di anni luci. È stata individuata al limite delle potenzialità della strumentazione, poiché di magnitudine intorno a +18,5 e non è perciò un facile oggetto da osservare. La bassa luminosità avvalora infatti l’enorme distanza della galassia ospite. Anche per questa supernova lo spettro è stato ottenuto dal team dell’osservatorio di Padova, che ha permesso di classificare la supernova di tipo Ia.

Proseguendo cronologicamente nell’elenco di scoperte interessanti, arriviamo alla notte del 9 Luglio con Giancarlo Cortini dell’osservatorio di Monte Maggiore (FC) che scopre la sua quindicesima supernova, la terza in questo 2012, nella galassia ugc4067. La galassia ospite è situata nella costellazione della Giraffa a 28° dal polo nord, quindi visibile tutta la notte poiché circumpolare. Questo fatto unito alla discreta magnitudine della supernova che al momento della scoperta era pari a +15,4 l’ha resa un’interessante oggetto in questa estate 2012. A questa supernova è stata assegnata la siglia SN2012dq e classificata di tipo Ia.

SN2012ds
SN2012ds

Per gli italiani però, ed in particolar modo per il nostro ISSP, le scoperte sono continuate grazie ancora una volta alla coppia Ciabattari e Mazzoni che, insieme a M. Rossi, nella notte del 16 Luglio scoprono la SN2012ds nella galassia pgc58009 posta nella regione meridionale della costellazione di Ercole a circa 500 milioni di anni luce di distanza. Anche per questa supernova lo spettro è stato ottenuto dal team dell’osservatorio di Padova classificandola di tipo Ia.

Infine, la notte del 26 Luglio, ancora una nuova scoperta da parte di Ciabattari e Mazzoni, questa volta insieme a S. Donati, nella galassia pgc63016. La galassia ospite è una spirale tipo Sc e si trova a circa 200 milioni di anni luce di distanza, nella costellazione della Lira in un campo particolarmente ricco di stelle, poichè attraversato dalla Via Lattea.

SN2012dx
SN2012dx

Alla supernova, che al momento della scoperta brillava di magnitudine +16,9 è stata assegnata la sigla SN2012dx e lo spettro ha rivelato che si tratta di una supernova di tipo Ib.

Con queste ultime due supernovae i due bravi astrofili lucchesi hanno raggiunto rispettivamente 28 e 23 supernovae scoperte al loro attivo e sono i pricipali scopritori di supernovae italiani di tutti i tempi. Mai nessuno in Italia è riuscito a fare tanto.

La notizia che però ci rende più felici è la scoperta nella notte del 8 Agosto di una supernova nella galassia ngc6619 da parte di Fabio Martinelli e Riccardo Mancini menbri dell’osservatorio di Montecatini val di Cecina, uno dei quattro osservatori fondatori dell’ISSP.

Al momento della scoperta la supernova brillava di magnitudine +16,5 a 17” Nord e 11” Est dal nucleo della galassia ospite. NGC6619 è una galassia ellittica posta nella costellazione di Ercole e perciò visibile tutta la notte.

SN2012dz
SN2012dz

Il MASTER-Amur robotic telescope, programma professionale di ricerca supernovae, detiene una prediscovery con due immagini della supernova riprese circa dieci ore prima, con le quali è stato possibile confermare immediatamente la reale natura dell’oggetto.

Nella notte seguente da Asiago con il telescopio Copernico di 1,82m è stato preso lo spettro che ha permesso di classificare la supernova di tipo Ia scoperta pochi giorni dopo il massimo di luminosità, alla quale è stata assegnata la sigla SN2012dz.

Questa italianissima scoperta, insieme alle altre trattate in queste righe, ci permette di affermare che l’estate 2012 si sta rilevando estremamente proficua per la ricerca amatoriale di supernovae in Italia.

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Fonte IAU (www.cbat.eps.harvard.edu/lists/RecentSupernovae.html). Cliccare per ingrandire.

Hot dog galattici. Galassie bollenti avvolte nella polvere

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Dettaglio di una piccola porzione del cielo di WISE, grande più o meno come tre volte l'area di cielo coperta dalla Luna, e dei buchi neri supermassicci (quasar) in essa osservati. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA
Dettaglio di una piccola porzione del cielo di WISE, grande più o meno come tre volte l'area di cielo coperta dalla Luna, e dei buchi neri supermassicci (quasar) in essa osservati. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA

Le chiamano proprio così, hot dog. E calde lo sono sul serio. Ma non si tratta né di cani reduci da una sauna né di panini col würstel: sono le hot dust-obscured galaxies, una nuova classe di galassie cosparse di polvere incandescente e farcite con buchi neri supermassicci. Non è solo l’ennesima conferma che, a scegliere gli acronimi, alla NASA ci sanno fare. Le galassie hot DOG, nome a parte, sono oggetti dannatamente interessanti. Rarissime, al punto che nel corso di una perlustrazione dell’intero cielo ne sono stati individuati appena un migliaio di candidati. Oggetti estremi, in grado di emettere una luce equivalente a centomila miliardi di volte – sì, un 1 con 14 zeri alle spalle – quella prodotta dal Sole: una cascata di radiazione elettromagnetica tale da renderle fra le galassie più brillanti che si conoscano.

Ma se sono così brillanti, perché è tanto difficile vederle? È che per apprezzarne il bagliore ci vogliono gli occhi giusti. Non certo la nostra vista da umani, per la quale la polvere che avvolge questi oggetti è impenetrabile al punto da renderli invisibili. Occorre una vista sensibile ai raggi infrarossi: la banda dello spettro nella quale la polvere calda, da velo, si trasforma in faro. Una vista come quella di WISE, il Wide-field Infrared Survey Explorer della NASA, il telescopio spaziale artefice della scoperta appena messa online sul sito Arxiv.

Lanciato nel dicembre del 2009, WISE ha scandagliato per oltre un anno il cielo infrarosso raccogliendo una messe di dati straordinari, resi pubblici nel marzo scorso. E le galassie hot DOG non sono l’unica rarità del suo prezioso bottino. Già l’anno scorso lo sguardo implacabile del satellite NASA aveva conquistato le prime pagine dei giornali grazie all’individuazione di 2010 TKT, il primo asteroide “troiano” mai scoperto per il nostro pianeta. Ma dall’abbondante paniere di WISE sono usciti anche 2.5 milioni di buchi neri supermassicci, distanti fino a 10 miliardi di anni luce dalla Terra, due terzi dei quali mai osservati prima, sempre a causa del bozzolo di polvere che li circonda.

Rarità e potenza a parte, le hot DOG stanno suscitando l’interesse degli scienziati anche per il contributo che stanno offrendo alla comprensione dei meccanismi di formazione delle galassie. «I buchi neri supermassicci osservati nel cuore di questa galassie da record», dice Peter Eisenhardt del JPL, primo autore di uno dei tre lavori sulle scoperte di WISE, tutti in corso di pubblicazione su The Astrophysical Journal, «sembrano essersi formati prima del guscio di stelle che li circonda. Insomma, l’uovo sarebbe arrivato prima della gallina».

Per saperne di più:

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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settembre: ICARA 2012 IX Congresso Italiano di Radioastronomia Amatoriale. Organizzato dalla Sezione di Ricerca Radioastronomia UAI e da IARA – Italian Amateur Radio Astronomy, l’appuntamento più atteso per tutti i radioastrofili italiani, quest’anno presso i Radiotelescopi INAF-IRA di Medicina (BO).

http://radioastronomia.uai.it
http://www.iaragroup.org

Congresso IAU: L’astronomia ispira lo sviluppo

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Guardare il cielo, ma con i piedi ben piantati sulla Terra. E’ lo spirito che anima l’Office of Astronomy for Development (OAD) dell’Unione Astronomica Internazionale (o IAU, International Astronomical Union) che promuove in tutto il mondo iniziative in cui l’astronomia diventa un motore di sviluppo sociale ed economico. Nell’ambito del suo programma decennale di attività, presentato nel 2008 durante l’Anno Internazionale dell’Astronomia, l’OAD ha appena annunciato una serie di nuovi accordi e collaborazioni con istituzioni scientifiche di divesi paesi. Accordi che porteranno, tra l’altro, a due nuovi centri per la promozione dell’astronomia in Cina e nel Sud Est Asiatico, e a un programma di borse di studio per il Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam” di Trieste.

Il primo accordo, firmato il 21 agosto dalla IAU con il Kavli Institute for Astronomy and Astrophysics, il planetario di Pechino e l’Osservatorio Astronomico dello Yunnan, riguarda la nascita di un centro per il coordinamento delle attività di divulgazione e formazione sull’astronomia in Cina. Un altro centro simile sorgerà in Thailandia e sarà coordinato dal National Astronomical Research Institute of Thailand (NARIT).

Quanto all’Italia, l’OAD ha lanciato, in collaborazione con l’Abdus Salam International Cent

re for Theoretical Physics (ICTP) di Trieste, l’Associate Scientists programme. Il programma si rivolge a ricercatori provenienti da paesi in via di sviluppo che vogliano creare nuovi programmi di insegnamento dell’astronomia nei loro paesi. Grazie all’Associate Scientists Programme, riceveranno sostegno finanziario per soggiornare per periodi fino a sei settimane all’anno all’ICTP, per dedicarsi alle loro ricerche e incontrare ricercatori di altri paesi.

“In tutto il mondo troviamo singoli ricercatori o piccoli gruppi che sono spesso talmente sopraffatti dagli obblighi della docenza, o così a corto di fondi, che non hanno la possibilità di partecipare ai congressi internazionali e dedicare tempo alla propria ricerca per sviluppare la propria carriera. Le opportunità fornite da questo programma ICTP-OAD aiuterà lo sviluppo di capitale umano nelle Università di molti paesi, stimolando così il loro settore scientifico e tecnologico” ha spiegato Kevin Govender, direttore dell’OAD.

Altre iniziative promosse in collaborazione da OAD e ICTP prevedono borse per singoli ricercatori, finanziamenti per meeting e workshop e scuole regionali per giovani astronomi. “Anche se l’ICTP finanzia una gamma molto ampia di campi di ricerca, c’è davvero qualcosa di speciale nell’impatto che l’astronomia ha sulle persone” spiega Fernando Quevedo, direttore dell’ICTP. “L’astronomia ispira! È una porta verso la scienza, un mezzo per interessare le giovani menti a tutte le aree della scienza, la tecnologia e l’innovazione”.

Per saperne di più:

“Luna Blu” il 31 agosto

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La “Blue Moon” di cui parla la famosa canzone sarà visibile il prossimo 31 agosto. Il colore però non c’entra. Con il termine “luna blu” si indica per tradizione, soprattutto nei paesi di lingua anglosassone, la seconda Luna piena in un mese di calendario. “Solitamente si ha solo una Luna piena al mese, ma in alcuni casi ce ne possono essere due” spiega David Reneke, astronomo e giornalista del periodico “Australasian Science”. “Gli antichi pensavano che la seconda Luna piena avesse un particolare significato spirituale”.

Non è affatto chiaro da dove provenga il termine “Luna blu” ma sembra risalire a più di 400 anni fa, in origine per rifererirsi alla circostanza in cui una stagione aveva quattro lune piene anziché le normali tre. Oggi si fa piuttosto riferimento ai mesi del calendario.

Ma perché possono esserci due Lune piene in un mese?

Facile. I pleniluni avvengono ogni 29 giorni, mentre la maggior parte dei mesi sono di 30 o 31 giorni, in questo modo è possibile che ci siano due Lune piene in un solo mese; solo a febbraio non può accadere. Questo avviene in media una volta ogni due anni e mezzo.

Non bisogna pensare che il famoso colore blu appartenga alla Luna stessa però. Solo in rari casi, che nulla hanno a che fare con questa tradizione, la Luna appare effettivamente blu per colpa delle polveri dovute all’inquinamento nell’atmosfera terrestre, che diffondono luce blu. Ad esempio, la Luna apparve verde-bluastra per circa due anni dopo l’eruzione del Krakatoa nel 1883.

La super opposizione di 236 Honoria e la suggestione di 72 Feronia

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Honoria e Feronia
Gli asteroidi Honoria e Feronia, ambedue in opposizione in settembre, si muoveranno di conserva partendo dalla costellazione dei Pesci, mantenendo sempre una distanza tra loro di circa 15 gradi. I due cerchietti arancioni identificano la posizione dove verrà raggiunta l’opposizione: Feronia l'8 settembre nelle vicinanze della stella 1 Piscium e Honoria il 20 nei pressi di 21 Piscium. Honoria raggiungerà nella circostanza la ragguardevole luminosità di magnitudine +10,7, la più elevata da quasi 90 anni.
Gli asteroidi Honoria e Feronia, ambedue in opposizione in settembre, si muoveranno di conserva partendo dalla costellazione dei Pesci, mantenendo sempre una distanza tra loro di circa 15 gradi. I due cerchietti arancioni identificano la posizione dove verrà raggiunta l’opposizione: Feronia l'8 settembre nelle vicinanze della stella 1 Piscium e Honoria il 20 nei pressi di 21 Piscium. Honoria raggiungerà nella circostanza la ragguardevole luminosità di magnitudine +10,7, la più elevata da quasi 90 anni.Gli asteroidi Honoria e Feronia, ambedue in opposizione in settembre, si muoveranno di conserva partendo dalla costellazione dei Pesci, mantenendo sempre una distanza tra loro di circa 15 gradi. I due cerchietti arancioni identificano la posizione dove verrà raggiunta l’opposizione: Feronia l'8 settembre nelle vicinanze della stella 1 Piscium e Honoria il 20 nei pressi di 21 Piscium. Honoria raggiungerà nella circostanza la ragguardevole luminosità di magnitudine +10,7, la più elevata da quasi 90 anni.

Ben ritrovati cari amici! Avete trascorso con sufficiente tranquillità le vostre vacanze? Immagino di sì, tanto che per delicatezza eviterò di indagare su quanti e quali asteroidi vi sarà capitato di seguire durante le notti passate sotto cieli finalmente limpidi. Eviterò così alla maggior parte di voi l’imbarazzo di dover ammettere: nemmeno uno! Del resto, si sa… gli  amici, la famiglia, le cose nuove da vedere… E poi, qualche volta fa proprio bene mettersi sotto un cielo stellato e godersi lo spettacolo ad occhio nudo, senza l’assillo della prestazione… Come sia, le vacanze sono finite e si ritorna alle vecchie abitudini, sperando che tra queste continuerà a esserci quella di farsi almeno un paio di asteroidi ogni sera di cielo sereno. E in settembre sarà comunque una ripartenza abbastanza tranquilla, con i grandi asteroidi ancora poco in evidenza (Ceres e Vesta, tutti e due nel Toro e in compagnia di Giove, sorgeranno tardi, dopo la mezzanotte). Tabella AsteroidiCi sarà, è vero, l’opposizione di (2) Pallas a fine mese, ma si tratterà di un’opposizione quasi afelica, con una luminosità di +8,3 e una distanza di 1,965 UA, valori molto lontani da quelli raggiunti durante le migliori opposizioni perieliche.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 68 di Coelum n.162.

Nel Cielo – Tre ammassi nel delirio (di stelle)

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Nel Cielo 162
La cartina del mese abbraccia per intero la piccola costellazione dello Scudo, all'interno della quale, nella sua regione settentrionale, si possono rinvenire i tre ammassi aperti: M11, M26, NGC 6664.

Nel Cielo 162
La cartina del mese abbraccia per intero la piccola costellazione dello Scudo, all'interno della quale, nella sua regione settentrionale, si possono rinvenire i tre ammassi aperti: M11, M26, NGC 6664.

Proiettata sulla Via Lattea e incastonata tra Aquila e Sagittario, la piccola costellazione dello “Scudo di Sobieski” è l’unica superstite (anche se oggi il nome con cui si indica è stato abbreviato da Scutum Sobiescianum a semplicemente Scutum) di quegli asterismi celesti dedicati ai mecenati e ai potenti del tempo. L’astronomo polacco Hevelius la disegnò infatti nel 1684 (sottraendone le stelle alla regione meridionale dell’Aquila) per glorificare le imprese dell’ultimo grande re di Polonia, Jan III Sobieski, che nel 1683 con la sua cavalleria impedì all’impero ottomano di conquistare Vienna, salvando la cristianità dalla minaccia turca.

Estesa per poco più di 100° quadrati, lo Scudo è composta da stelle non molto brillanti (la più luminosa, alfa Scuti, ha una mag. di +3,8) ma tra i suoi confini racchiude il famoso ammasso M11, il che “costringe” gli appassionati a sintonizzarsi su questa piccola plaga celeste, altrimenti misconosciuta, e a misurarsi quindi con altri oggetti, più nascosti ma ugualmente interessanti.

Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici,  le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 50 di Coelum n. 162.

Tabella Nel Cielo

Associazione Astrofili Centesi

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31.08: “Cosa sono le stelle?” scopriamo insieme le loro caratteristiche, nascita ed evoluzione. Al telescopio: osservazione della Luna piena e dei pianeti Saturno e Urano.

Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Pio & Bubble Boy – Coelum n.162 – 2012

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Vignetta 162

Vignetta 162

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.162 – 2012. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

γ Cassiopeiae, la stella senza nome e le stelle Be

Copyright © 2003 Torsten Bronger.

Copyright © 2003 Torsten Bronger.

Gamma Cassiopeiae

Altre designazioni: Tsih, 27 Cassopeiae

Costellazione Cassiopea
A.R. 00h 56m 42.50s
Dec. +60° 43′ 00.30″
Tipo spettrale B0,5IVe
Distanza (anni-luce) 610 ± 10
Mag. Apparente (V) 2,1 (var)
Tipo variabile Gamma Cas
Mag. Assoluta (Mv) -4,2
Massa (volte il Sole) 19,3 ± 0,1
Raggio (volte il Sole) 14
Luminosità (volte il Sole) 55.000
Temperatura (° K) 30.900
Età (milioni di anni) 8,0 ± 0,4
Velocità radiale (km/s) –6,8 (in allont.)
Moto proprio (millesimi di sec. d’arco/anno) A.R.: +25,17
Dec.: –3,92

Il mondo delle stelle variabili presenta, come ben noto, numerose tipologie di fenomeni il più delle volte attribuiti a deboli astri o comunque visibili se non tramite un’adeguata strumentazione; raramente infatti capita di reperire tra le stelle luminose o quelle più comunemente note, esponenti di un certo rilievo che tanto hanno da raccontare sul loro mutevole aspetto: una di queste eccezioni è senz’altro γ Cassiopeiae, facilmente individuabile al centro della ben nota W celeste.

Culminante di prima sera in autunno, fa bella mostra di se splendendo di seconda grandezza alla pari delle vicine Schedir (α Cas) e Caph (β Cas), con le quali disegna un perfetto triangolo isoscele. Al contrario di queste due e pur appartenendo ad una figura nota da tempi remoti, stranamente essa non possiede alcun nome proprio pervenuto dalle tradizioni sviluppate attorno al Mediterraneo, fatto comune per la maggior parte delle stelle più luminose; sembra che solo gli antichi cinesi chiamassero la stella Tsih, forse in riferimento ad una frusta. A tal proposito, un aneddoto assai curioso risale ad anni molto più recenti; al fine di rendere omaggio ai suoi compagni della missione Apollo 1, l’astronauta Grisson attribuì in via del tutto informale tre nomi da lui inventati a tre stelle utilizzate per l’orientamento nello spazio, scrivendo al contrario il proprio nome e quello dei suoi due compagni: γ Vel divenne quindi Regor, da “Roger” Chaffee, ι UMa Dnoces, da Ed White “II” (second) ed infine proprio γ Cas, Navi, da V. “Ivan” Grissom. Episodio goliardico a parte, essa resta universalmente nota come γ Cas.

La sola osservazione ad occhio nudo e in particolare il confronto con α e β Cas è già sufficiente a rilevarne la colorazione azzurrina; ciò, in relazione alla distanza – stimata in 610 anni-luce – e al notevole assorbimento della sua luce da parte delle polveri galattiche (γ Cas è infatti immersa in una delle regioni più dense della Via Lattea), porta facilmente a comprendere che essa è una stella azzurra dall’elevato potere energetico, tra le più rimarchevoli nel vicino ambiente galattico escludendo le associazioni OB.

Pur classificata dal Bayer come terza stella più luminosa di Cassiopea, essa è in realtà una variabile peculiare che sfoggia imprevedibili variazioni luminose (solitamente di piccola ampiezza ma tali, a volte, da influenzare addirittura l’aspetto della famosa W) alternate a periodi più o meno lunghi di stasi. Nel tardo 1936, ad esempio, γ Cas salì nel giro di pochi mesi fino a raggiungere la magnitudine 1,6 nell’aprile del 1937, stabilendo quello che è il massimo storico registrato di luminosità; alla fine dello stesso anno scese alla 2,2 per diminuire ulteriormente alla 3,4 nel 1940, risalendo in seguito fino alla 2,5 nel 1954 per indebolirsi nuovamente di due decimi di grandezza nel 1965. Nonostante alti e bassi di piccola entità ma del tutto imprevedibili, é tuttavia dai primi anni ’70 del secolo scorso che l’andamento della luminosità di γ Cas continua lievemente ad incrementare, tanto che al momento essa è stabile attorno alla magnitudine 2,1, esibendo di tanto in tanto piccole variazioni luminose dell’entità di 0,6 magnitudini. E’ ragionevole ritenere che l’effettiva mancanza di un nome proprio di antiche origini possa essere imputata a tale curioso comportamento che ricorda, seppur in minore entità, quello della ben più nota η Carinae. γ Cas è quindi una variabile irregolare o, meglio, imprevedibile; certamente una vera sfida per i variabilisti poiché l’elevata luminosità rende difficile trovare stelle di confronto adatte vicino nel cielo per precise misure fotometriche.

Fisicamente, essa è una sub-gigante azzurra di tipo spettrale B0,5 Ive, dall’elevatissima temperatura superficiale stimata in quasi 31.000°K, con massa e raggio rispettivamente 20 e 14 volte quelli del Sole e 55 mila volte più luminosa dello stesso; non sorprende quindi che, pur giovane di solo 8 milioni di anni, essa starebbe già esaurendo le scorte di idrogeno per trasformarsi in una gigante azzurra, dal potere intrinseco ancora maggiore. γ Cas è peraltro talmente calda da ionizzare il materiale interstellare circostante, comprese le tenui nebulose IC 63 e IC 59, rispettivamente ad emissione e riflessione, separate dalla stella solo da non più di 3-4 anni-luce.

Analizzando lo spettro di γ Cas nel 1867, Padre Angelo Secchi (colui che oltre a scoprire il primo asteroide sviluppò uno schema per le classificazioni spettrali delle stelle dedicando anche importanti studi al Sole) notò che in esso erano presenti delle luminose righe ad emissione – dell’idrogeno per l’esattezza – che si sovrapponevano a quelle in assorbimento di natura fotosferica ma la cui natura era allora sconosciuta; a tal proposito, vale la pena ricordare che mentre una riga di assorbimento indica la presenza di un assorbitore più freddo come una nube di polveri, una riga in emissione indica la presenza di gas caldo e sempre interposto tra noi e la sorgente. Successivamente vennero trovate altri oggetti dalle simili caratteristiche, ragione che portò gli astronomi a creare una nuova classe di stelle identificate da una sigla costruita accorpando il tipo spettrale (B) ed un suffisso (e) che denota le righe ad emissione: γ Cas divenne quindi prototipo delle cosiddette stelle Be, strane ma anche abbastanza comuni, tali da costituire ben il 20% di quelle di tipo B; tra le più famose, δ Sco e ο And.

Il mistero sulle righe ad emissione si infittì ulteriormente quando non solo ne venne osservata la natura transiente ma fu anche chiaro come tali stelle esibivano entrambe le variazioni luminose e spettrali su scale temporali differenti; l’intensità delle stesse righe di emissione è infatti talmente mutevole che queste passano dal presentarsi a volte estremamente luminose e larghe fino allo scomparire del tutto per poi apparire nuovamente senza seguire cicli definiti. Dal 1866 al 1942 infatti, le righe di emissione nello spettro di γ Cas furono quiescenti in intensità, mostrandosi a volte più forti, come tra il 1866 tra e il 1932. L’episodio più spettacolare avvenne tra il 1932 e il 1942, quando le righe ad emissione scomparvero del tutto: in quell’occasione, il suo spettro ricalcava a tutti gli effetti quello di una comune stella B. Dopo anni di tranquillità, a partire dal 1981 le righe di emissione si ripresentarono ad intervalli e intensità sempre irregolari. In ogni caso, nei primi anni dello scorso secolo venne finalmente compreso che a produrre le righe di emissione non è la stella in se quanto del materiale gassoso attorno ad essa.

Credits: Sternfreunde OWL - www.deepskywonders.com

L’espulsione di gas è causata da quella che è un’altra fondamentale caratteristica di di γ Cas e delle Be in genere, la loro enorme velocità di rotazione, provata dalle righe di assorbimento che risultano diffuse e slavate; tali velocità in alcuni casi possono arrivare fino a 450 km/s, valori talmente elevati da schiacciarle ai poli e farle assumere forme non più sferiche ma ovoidali. La velocità di rotazione all’equatore di γ Cas ad esempio è di almeno 300 km/s, 150 volte quella solare, e di conseguenza la gravità all’equatore è notevolmente ridotta; l’enorme forza centrifuga conseguente, unita all’elevatissimo potere radiante della stella, ha la capacità di produrre violente espulsioni di grandi quantità di materiale gassoso proprio a livello equatoriale, anelli che vanno a disporsi su un disco che circonda la stella. Da questo disco di gas, eccitato e reso fluorescente dalle radiazioni ultraviolette della stella, deriverebbero proprio le caratteristiche righe di emissione osservate. Tale struttura, comune a tutte le stelle Be, si dissiperebbe rapidamente se non fosse frequentemente alimentata dal gas effluente dall’equatore in tempi relativamente brevi; indizio di questa attività ripetuta sarebbero le brevi variazioni di luce osservate nell’ordine di pochi giorni. Il materiale del disco di γ Cas, disperdendosi, alimenterebbe a sua volta una sorta di immensa spirale ancor più esterna; a questa seconda struttura sarebbero invece imputabili le variazioni luminose più lunghe osservate, in un range che va da alcuni mesi ad alcuni anni. γ Cas possiede una compagna spettroscopica, dal periodo di 204 giorni e massa solare. Nel 1976 il satellite SAS-3 rilevò che γ Cas è anche sorgente X, la qual scoperta la rese davvero unica nel suo genere in quanto tra gli oggetti noti come sorgenti di raggi X in quanto non è possibile rilevare su altre stelle la corona così come sul Sole; solo a partire dal 1978 e grazie al satellite Einstein vennero trovate numerose altre stelle con emissione X come γ Cas, che non fossero in sostanza hot-spots orbitanti nane bianche, buchi neri o pulsars. A lungo si ritenne che la compagna di γ Cas, forse un oggetto compatto come nana bianca, avrebbe potuto catturarne il gas, la cui l’energia gravitazionale sarebbe convertita dapprima in energia termica quindi in radiazioni X.

Alcuni studi recenti, compiuti peraltro con i telescopi spaziali Hubble e Rossi X-Ray Timing Explorer, mostrano invece che come i raggi X sembrano essere prodotti da flares eccezionalmente caldi che si sprigionano sulla superficie della stella, fenomeno inaspettato per stelle di questo tipo e per il quale sono probabilmente coinvolte intense strutture magnetiche: le energie e le luminosità in gioco di questi flares sono tali che anche i più deboli eventi di questo tipo sono comparabili per potenza con i flares più intensi caratteristici delle fredde nane rosse; è tuttavia misterioso come tali strutture magnetiche possano svilupparsi su stelle di grande massa come γ Cas che non possiedono inviluppi convettivi negli strati esterni tali da fungere come dinamo stellare. L’emissione X potrebbe essere allora spiegata con fenomeni di instabilità prodotti proprio dagli intensi venti stellari di γ Cas che indurrebbero nel materiale gassoso collisioni ad altissime velocità tali da riscaldarlo a temperature tanto alte da emettere raggi X nel raffreddarsi.

Sia come sia, l’interessante sistema di γ Cas sarà con ogni probabilità destinato a dissolversi quando, proprio al centro della W di Cassiopea, apparirà una luminosissima supernova laddove una volta splendeva una luminosa stella azzurra senza nome.

Aggiornamenti da Curiosity

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Image Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Buone notizie dal nostro vicino planetario.

Il rover più grande mai concepito è in ottima salute e ha mosso i primi passi sulla superficie di Marte.

Nel frattempo stanno ancora giungendo dati e immagini dell’impavida discesa attraverso la sottile atmosfera del pianeta rosso, sempre più spettacolari e fantascientifici.

Questo video è sicuramente il migliore mai visto.

Se l’effetto sembra molto più realistico di qualsiasi scena di film, è perché questo è un filmato autentico di un disco volante proveniente dalla Terra che in modo totalmente automatico atterra su un altro pianeta. Consiglio la visione direttamente da youtube e in HD a pieno schermo.

Si può notare il distacco dello scudo termico all’inizio del filmato e verso la fine l’impatto dello scudo al suolo e la gran polvere sollevata dai razzi di frenata, nonostante si trovassero a diversi metri dal suolo.

Si, gli alieni siamo proprio noi.

Se avete problemi di visualizzazione del video sopra, questo è il link diretto.

E’ arrivata invece da poche ore  la prova delle capacità delle fotocamere di bordo di Curiosity. Questa sotto è la foto scattata al monte Sharp, la montagna alta più di 5000 metri al centro del cratere Gale, che il rover proverà a scalare nella parte finale della sua missione, tra circa due anni terrestri.

Inutile dire che questa immagine è la più nitida mai scattata su un altro corpo celeste. La montagna dista dal punto in cui è stata scattata l’immagine oltre 12 km. Davvero impressionante!

Image Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Al Planetario di Ravenna

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30.08: “Nicolò Copernico e le Rivoluzioni delle Sfere Celesti: storia di un’idea che cambiò la Storia” di Oriano Spazzoli.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Le bandiere degli Apollo sono ancora al “vento”

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Il saluto alla bandiera di John Young... mentre saltella! Il modulo lunare dell'Apollo 16 e il rover sono sullo sfondo. Crediti: NASA/Charlie Duke.

Il saluto alla bandiera di John Young... mentre saltella! Sullo sfondo il rover e il modulo lunare Oriono dell'Apollo 16. Crediti: NASA/Charlie Duke.

Per molti anni, quanti ne sono seguiti agli storici allunaggi degli anni Settanta del secolo scorso, molti si sono chiesti se le strumentazioni ed i relitti delle missioni lunari degli Apollo fossero ancora là, sulla remota e desolata superficie della Luna, e in quali condizioni…se è vero che sulla Luna non c’è praticamente atmosfera e quindi non c’è erosione dovuta agli agenti climatici come sulla Terra, è vero anche che il vento solare è implacabile e le radiazioni energetiche arrivano indisturbate con effetti distruttivi.

A queste domande cominciano a dare risposte gli orbiter lunari di ultima generazione, in grado di effettuare riprese ad altissima risoluzione: ecco ora una serie di immagini registrate dalle telecamere LROC del Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA, che sono andate a caccia delle “bandiere” piantate dagli astronauti nei pressi dei siti di allunaggio…

Alcuni ricorderanno la cerimonia, resa un pò macchinosa per l’assenza di vento e la bassa gravità, con cui Armstrong ed Aldrin piantarono le aste e poi “issarono” la bandiere a stelle e strisce grazie a supporti rigidi per simulare uno sventolio, altrimenti impossibile, accanto al modulo Eagle dell’Apollo 11: un misto di retorica e di solennità che forse ci fa adesso sorridere, ma che evoca anche un po’ di commozione e tanta nostalgia per un’epopea che sembra perduta, in un passato che si allontana sempre di più.

Grazie alla favorevole inclinazione dei raggi solari, LRO è riuscito a riprendere le bandiere ancora in piedi nella zona di atterraggio dell'Apollo 17 . Crediti: NASA/GSFC/Arizona State University.

I sensori della LRO sono stati capaci di individuare le bandiere lasciate da cinque delle sei missioni lunari: manca all’appello proprio la storica prima bandiera dell’Apollo 11, che Aldrin vide spazzata via dai razzi del modulo di risalita durante la fase di decollo per il viaggio di ritorno a Terra.

Le altre però sono ancora tutte ritte sui siti dei rispettivi allunaggi, come le riprese con risoluzione a 0,5 metri per pixel mostrano, accanto ai relitti dei moduli di discesa ed ai resti di strumentazioni, tutti chiaramente visibili.

In alcune immagini, riprese sotto differenti angolazioni e condizioni di illuminazione, si notano le ombre proiettate sia dalle aste che dalle bandiere e i tecnici della LRO sperano, data l’altissima sensibilità dei sensori ottici, di riuscire anche a filmare la bandiera dell’Apollo 11, che dovrebbe giacere ancora sulla regolite del Mare della Tranquillità

Non pensiate però a spettacolari immagini di stelle e strisce tra le sabbie lunari: 40 anni di irradiazione solare senza protezioni hanno scolorato completamente le bandiere, che dovrebbero ora apparire di un candido colore bianco…

Non erano state del resto pensate per durare in eterno, se si considera che erano comuni bandierine di nylon, acquistate dalla NASA al supermercato vicino a Cape Kennedy al prezzo di 5,50 dollari l’una, come testimoniano gli scontrini ancora conservati in archivio.

Questo video in time laps mostra una sequenza di immagini che evidenziano il movimento dell’ombra della bandiera ripresa nella zona di atterraggio dell’Apollo 12.

Per le immagini e i video ad alta risoluzione, e altro materiale, vedi anche il LROC Website.

Al Planetario di Ravenna

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28.08: “Quante stelle lassù: il cielo d’autunno” (conferenza adatta a bambini a partire da 6 anni) di Marco Garoni.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

E’ morto Neil Armstrong

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Fuori da ogni retorica, e senza conoscere per intero le circostanze della scomparsa, siamo veramente increduli nel dare una di quelle notizie che sembrano destinate a chiudere un’epoca e comunque a rattristare la vita di centinaia di milioni di persone che ne avevano fatto un simbolo di speranza e progresso: poche ore fa è morto Neil Armstrong, il primo uomo a scendere sulla Luna il 20 luglio del 1969.

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Dal poco che è dato di sapere sembra che Neil se ne sia andato alle 2:45 di questa notte, a causa di complicazioni subentrate a seguito di un intervento alle coronarie sostenuto il 7 agosto scorso.
Aveva compiuto 82 anni il 5 agosto.

Una straordinaria mappa 3D dell’Universo

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Copertura della nona Data Release rilasciata dalla Sloan Digital Sky Survey. Crediti: SDSS-III

Credit: Miguel A. Aragón (Johns Hopkins University), Mark SubbaRao (Adler Planetarium), Alex Szalay (Johns Hopkins University), Yushu Yao (Lawrence Berkeley National Laboratory, NERSC), and the SDSS-III Collaboration.

Il video, molto suggestivo, mostra la nuova, straordinaria mappa tridimensionale dell’Universo conosciuto, prodotta dalla Sloan Digital Sky Survey III. La mappa ritrae un milione e mezzo di galassie raggruppate in filamenti e ammassi separati da spazi vuoti.

Il telescopio robotico, operativo dal 2001, ha ripreso una immensa quantità di oggetti di tutti i tipi, archiviati in una serie di survey disponibili alla libera consultazione.

L’effetto tridimensionale è stato ottenuto riportando le coordinate di ciascuna galassia o oggetto, sovrapponendo poi le caratteristiche spettrali: queste rendono l’idea dell’espansione dell’Universo e della distanza di ciascun oggetto dalla Terra.

L'immagine mostra la porzione di universo visibile tracciata fino ad oggi e facente parte della nona Data Release (DR9) rilasciata l'8 agosto 2012 dalla Sloan Digital Sky Survey-III. Crediti: SDSS-III

Le simulazioni effettuate rendono poi la forma delle galassie, ellittiche o spiraliformi; l’insieme dei dati è rappresentato in un’animazione che, percorsa in pochi minuti a velocità impensabile anche su scala cosmica, rende perfettamente l’idea della struttura filamentosa, avvolta su spazi apparentemente vuoti, che sembra caratteristica fondamentale della struttura a grande scala dell’Universo.

Gruppo Astrofili Rozzano

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25.08: “L’Astronomia Maya ”.

Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Osservatorio Astronomico Naturalistico di Casasco

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25.08, 21:00: “La vita nello spazio. Spunti di esobiologia”.

Per informazioni: info@astroambiente.org
www.astroambiente.org
icidelcielo.it

Circolo Pinerolese Astrofili Polaris

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25.08, ore 17:00: Serata per l’osservazione del cielo, presso il Centro Ricreativo Stella, Cascina Carlotta, Macello (TO). In caso di cattivo tempo sarà disponibile un’area coperta, dove potremo tenere una conferenza e proiettare dei filmati.

Astrofili Veneti

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25.08: Forte Carpenedo (VE) serata osservativa pubblica con conferenza.

Per unirsi invece alle uscite osservative e strofotografiche del gruppo consultare il sito.
Per info: info@astrofiliveneti.it
www.astrofiliveneti.it

Gruppo Astrofili Rozzano

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26 e 27 agosto: Escursioni in montagna a Pian dell’armà (PV) per l’osservazione degli astri
Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Curiosity studia la sua prima roccia marziana

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http://mars.jpl.nasa.gov

Questa composizione di immagini mostra il primo esperimento laser eseguito dalla ChemCam a bordo del Curiosity. L'immagine di fondo è stata presa dalla Navigation Camera prima di eseguire il test, le immagini degli ingrandimenti (all'interno di cerchio e riquadro bianchi) provengono invece direttamente dalla ChemCam (abbreviazione di Chemistry and Camera). L'ingrandimento circolare mostra, in un'area di diametro di 6 cm, la pietra N165, alla quale è subito stato dato il nome di Coronation, integra prima del test. Il riquadro invece mostra, in un area larga solo 8 mm, la superficie di Coronation colpita dal laser. Credit: NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP

Il rover Curiosity continua la fase di rodaggio della strumentazione di bordo, puntando i sensori della ChemCam sulla sua “prima” roccia da studiare: un sasso appuntito a poco più di tre metri dal laboratorio mobile.

La ChemCam è dotata di un raggio laser per vaporizzare parte della superficie dei campioni esaminati, da analizzare poi con uno spettroscopio, in grado di riconoscere le specie chimiche presenti.

La roccia, classificata N165 e subito soprannominata Coronation, è stata dapprima colpita dal laser – fa un certo effetto pensare a raggi laser di astronavi terrestri in azione sul pianeta Marte – in grado di produrre una nuvoletta di vapori e detriti, che sono stati poi analizzati da un telescopio collegato con i tre spettroscopi di bordo nel visibile, infrarosso e ultravioletto, ottenendo uno spettro chimico completo.

La tecnica, denominata LIBS (Laser Induced Brekdown Spectroscopy), è stata applicata per la prima volta sul suolo di Marte in questa occasione: promette di essere uno dei più potenti strumenti di investigazione sulle caratteristiche chimiche mai usati nell’esplorazione del pianeta, con un raggio d’azione di circa 7 metri.

I computer di bordo possiedono un vasto archivio di spettri da comparare per ricavare la composizione del campione, ma i risultati dell’analisi di Coronation non sono ancora disponibili, anche se le prime indicazioni diffuse dalla NASA parlano di un profilo spettrale molto ricco, anche migliore delle simulazioni effettuate a Terra.

Un risultato preliminare incoraggiante, se si pensa che lo strumento frutto della collaborazione tra la NASA e l’Ente Spaziale francese, era stato inizialmente scartato in fase di progettazione perché ritenuto troppo costoso e di difficile realizzazione.

È bene però sgombrare il campo da un equivoco di fondo che i media continuano a propagandare erroneamente: Curiosity non è un laboratorio biochimico mobile, mandato su Marte a caccia di forme di vita o tracce di attività metabolica.

Non è, semplicemente, dotato di strumentazioni per analisi del genere: sarà invece in grado di evidenziare l’impronta chimica di tracce di vita primordiale eventualmente sviluppatasi anticamente su Marte o, in alternativa, delle testimonianze di condizioni climatiche un tempo più favorevoli.

Per il momento, le immagini che arrivano da Curiosity non appaiono molto diverse dai soliti, desolati e desolanti, aridi panorami marziani, ormai familiari, ripresi da tutte le altre sonde inviate sul Pianeta Rosso.

Intanto i tecnici del JPL hanno deciso di inviare il rover a 400 metri ad est, verso il primo target da esplorare: uno spiazzo denominato Glenelg, dove convergono terreni di tre tipologie diverse, uno dei quali appare stratificato: forse sarà il primo oggetto di perforazione, nella lunga strada che porterà Curiosity verso il pendio di Mount Sharp (se preferite Aeolis Mons), destinazione finale del rover.


Un nuovo lander NASA studierà l’interno di Marte

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La NASA ha approvato una nuova missione marziana, che sarà lanciata nel 2016, con l’obiettivo di studiare la struttura interna del Pianeta rosso per comprendere la sua storia evolutiva e capire come mai risulti così diverso dalla Terra.

La sonda, chiamata InSight, sarà in grado di determinare lo stato fisico del cuore del pianeta, liquido o solido; studierà come mai la crosta marziana non è divisa in placche tettoniche.
Lo studio geologico approfondito di Marte permetterà agli scienziati di comprendere meglio le dinamiche di formazione e di sviluppo di un pianeta roccioso simile alla Terra.

Il logo ufficiale.

InSight è stata scelta poiché l’esplorazione e lo studio di Marte rimangono obiettivi fondamentali per la NASA, anche nell’ottica di una futura missione umana sul pianeta.
La missione  sarà guidata da W. Bruce Banerdt del Jet Propulsion Laboratory (JPL) a Pasadena, in California. Il team di studiosi che seguirà la missione include scienziati di università USA e straniere, personalità provenienti da ambienti industriali e da agenzie governative.
L’agenzia spaziale francese (CNES) e l’agenzia spaziale tedesca (DLR) contribuiranno allo sviluppo della strumentazione a bordo di InSight.
La missione sarà operativa a partire dal settembre 2016 e avrà la durata minima di due anni.

InSight è la 12a missione NASA classificata come Discovery-class mission.
Il Discovery Program è stato istituito nel 1992, sponsorizza e cerca di finanziare missioni di esplorazione del Sistema Solare con costi contenuti e buoni obiettivi scientifici.
InSight è stata scelta fra 28 altre missioni proposte nel giugno 2010, una delle tre finaliste scelte nel maggio 2011. Le due missioni scartate si sarebbero focalizzate sullo studio di una cometa e di Titano, una delle lune di Saturno.

InSight sarà costruita a partire dal modello utilizzato per Phoenix lander, lanciato verso Marte nel 2007.
Phoenix si è infatti rivelata una missione di successo sotto molteplici punti di vista: scientifico, tecnico, budget, rischio.
InSight costerà $425 milioni di dollari (2010), esclusi i costi relativi al lanciatore.

Gli strumenti scientifici principali a bordo del lander saranno quattro. Il JPL svilupperà uno strumento geodetico in grado di analizzare l’asse di rotazione del pianeta; un braccio robotico e due telecamere utilizzate per monitorare gli strumenti di bordo. CNES fornirà un sismografo; DLR svilupperà una sonda sotterranea per misurare il flusso di calore proveniente dall’interno del pianeta.

Il sito web ufficiale

Segnalibro (pdf)

Fonte: NASA

Crediti: NASA/JPL

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Gruppo Astrofili Lariani – OSSERVATORIO CALBIGA STAGIONE 2012

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25 agosto: serata di osservazione pubblica.
Per i dettagli consultare il sito.

Camigliano (LU), prato antistante Villa Bruguier.
Partecipazione gratuita.
Per informazioni: Tel 3280976491
astrofili_lariani@virgilio.it
www.astrofililariani.org

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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24-26 agosto: III ORSA Party – Congresso dei soci O.R.S.A. presso Ficuzza, Corleone (PA).
Associazione Astrofili O.R.S.A. di Palermo. Tre giorni e due notti per fare il punto delle attività osservative, fotografiche e di ricerca dell’associazione, aperto a tutti gli amanti del cielo della Sicilia occidentale. www.orsapa.net

Al Planetario di Ravenna

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23.08: “L’esplorazione del pianeta Mercurio” di
Massimo Berretti.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Ritratto di sistema dall’esterno

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Crediti NASA/JPL
Crediti NASA/JPL

La telecamera del Voyager 1, ormai ai limiti del nostro sistema solare il 14 febbraio 1990 si è rivolta di nuovo verso il sole e ha preso una serie di immagini della nostra stella madre e dei pianeti che le orbitano intorno, realizzando il primo “ritratto” del nostro sistema solare visto dal di fuori. Si tratta di un mosaico costituito da 60 fotogrammi, realizzate dal Voyager 1 da una distanza di circa 6 miliardi di kilometri e circa 32 gradi sopra il piano dell’eclittica. Trentanove cornici grandangolari collegano, in questo mosaico, tra loro sei dei pianeti del nostro sistema solare. Nettuno, il più esterno, è 30 volte più lontano dal Sole rispetto alla Terra.

Il nostro sole è visto come l’oggetto luminoso al centro del cerchio di immagini. L’immagine del sole è stata scattata con il filtro più scuro della fotocamera (una banda di assorbimento del metano) e il minimo possibile esposizione (5 millesimi di secondo) onde evitare la saturazione del tubo vidicon della fotocamera. Il sole non appare grande visto dal Voyager, circa un quarantesimo del diametro di come si vede dalla Terra, ma è ancora quasi 8 milioni di volte più luminoso della stella più luminosa nel cielo terrestre, Sirio. I riquadri mostrano i pianeti ingranditi molte volte.

Le immagini della Terra, Venere, Giove, Saturno, Urano e Nettuno compongono un mosaico a grandangolo. Jupiter è il più grande e appare ad una maggiore risoluzione, così come Saturno con i suoi anelli. Urano e Nettuno appaiono più grandi di quello che realmente sono per la “striscia” della loro immagine dovuta ad una lunga esposizione (15 secondi). Da Voyager 1 Terra e Venere appaiono come semplici punti di luce.

Al Planetario di Ravenna

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21.08: “Le stelle e il tempo: il Cielo stellato orologio e calendario” di Oriano Spazzoli.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
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Come la Fenice risorge dalle sue ceneri…

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Due immagini di Phoenix, che comprende un'immagine X da Chandra (viola), una ottica dal telescopio di 4 metri Blanco (rosso, verde e blu), e una ultravioletta da GALEX (blu)

Due immagini di Phoenix, che comprende un'immagine X da Chandra (viola), una ottica dal telescopio di 4 metri Blanco (rosso, verde e blu), e una ultravioletta da GALEX (blu)

Così come la Fenice che risorge dalle ceneri… È questa la metafora usata dagli autori di uno studio pubblicato dalla rivista Nature relativa all’ammasso di galassie Phoenix, le cui caratteristiche stanno infrangendo diversi “record” cosmici. Il primo e il più importante è che al centro di questo imponente ammasso di galassie, distante quasi sei miliardi di anni luce dalla Terra e chiamato Phoenix (Fenice) dal nome della costellazione che caratterizza la parte di cielo dove si trova, è in atto un’intensa attività di formazione stellare. Il che contraddice quello che gli astrofisici e gli astronomi hanno fin qui ritenuto e cioè che la parte centrale degli ammassi di galassie fosse “dormiente”, fatta di stelle e galassie antiche, senza il vigore necessario a dare vita ad una intensa attività di formazione stellare. E invece il tasso di formazione stellare al centro di questo ammasso è pari a venti volte quello registrato in altri ammassi di galassie e appena la metà di quelli più intensi rilevati. Non solo, ma Phoenix, come ha registrato il satellite della NASA Chandra, è un potente produttore di raggi x e la velocità di raffreddamento del gas caldo nelle regioni centrali dell’ammasso è la maggiore mai registrata. “La parte centrale di questo ammasso – dice Michael McDonald del MIT e autore dell’articolo – sembra essere tornata alla vita, così come la Fenice risorge dalle sue ceneri”.

Secondo gli studiosi, il buco nero al centro dell’ammasso di galassie, producendo continui e potenti getti, immetterebbe energia nel sistema, rallentando così il processo di raffreddamento del gas, come è stato riscontrato nell’ammasso di galassie Perseo. Ma nel caso di Phoenix, il satellite Chandra ha rilevato una discontinuità nella produzione dei getti, permettendo al gas di raffreddarsi assai più velocemente, così da dar vita ad una intensa attività di formazione stellare. “Phoenix ha un’elevata emissione di raggi X dal suo centro, così intensa che l’intero ammasso è il più “luminoso” mai osservato”, aggiunge Bradford Benson del Kavli Institute for Cosmological Physic all’Università di Chicago. “Questo ha immediatamente destato il nostro interesse  perché significava che gas freddo si stava condensando al centro dell’ammasso”.

Sono stati necessari mesi di verifiche dei dati provenienti da otto diversi strumenti e istituti per avere la conferma che fosse in atto una intensa attività di formazione stellare, ma i risultati ora aprono a nuove strade nello studio di come nascano e si evolvano le galassie.

Osservatorio Astronomico Naturalistico di Casasco

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19.08, 15:30: Osservazione del Sole e vita nello stagno.

Per informazioni: info@astroambiente.org
www.astroambiente.org
icidelcielo.it

Gruppo Astrofili Rozzano

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18.08: “L’Astronomia a raggi Gamma”.

Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Congiunzione Saturno, Marte, Spica e Luna

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Saturno Marte Spica e Luna

Saturno Marte Spica e LunaLa sera del 22 agosto uno spicchio di Luna raggiungerà (a una decina di gradi verso ovest) e supererà sull’orizzonte ovest il trio di oggetti  Saturno (m = +0.8), Marte (+1,2) e Spica (alfa Virginis, +1,0)  formando un bel quadrilatero.

L’allineamento del 14 agosto, infatti, si sarà ormai scomposto a causa del veloce moto proprio di Marte.

Farà tempesta solare? Ce lo dice il neutrino

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Sovraimpresso all'immagine di un brillamento solare, un grafico (in giallo) che mostra la periodicità annuale registrata nella variazione del tasso di decadimento del radioisotopo cloro-36 (fonte: Astroparticle Physics)

Sovraimpresso all'immagine di un brillamento solare, un grafico (in giallo) che mostra la periodicità annuale registrata nella variazione del tasso di decadimento del radioisotopo cloro-36 (fonte: Astroparticle Physics)

L’idea gli è venuta guardando la tv. È talmente poco ortodossa che l’inventore è il primo a mostrarsi perplesso. Ma i dati, pur con le dovute incertezze, sembrano dargli ragione. E la richiesta di brevetto è stata prontamente depositata. Per che cosa? Semplice: un dispositivo in grado di prevedere, con significativo anticipo, l’arrivo di una tempesta solare.

Tutto ha inizio nel salotto di una casa nella zona ovest di Lafayette, Indiana, a un’ora di strada da Indianapolis. Siamo nel 2006, e Jere Jenkins, ingegnere nucleare nonché direttore del laboratorio sulle radiazioni della School of Nuclear Engineering della locale Purdue University, è lì davanti al televisore a seguire gli astronauti che armeggiano all’esterno alla Stazione spaziale. Ad aumentare l’inquietudine per un’attività spaziale già di per sé rischiosa, com’è quella extraveicolare, arriva la notizia d’un brillamento solare: una violenta eruzione di materia che dalla nostra stella si propaga nello spazio circostante, mettendo potenzialmente a rischio i satelliti artificiali, le centrali elettriche e chiunque non si trovi al riparo dell’ombrello magnetico protettivo che avvolge il nostro pianeta. Come, appunto, gli astronauti che stanno volteggiando lassù in assenza di gravità.

Jenkins ha un’illuminazione: non è che il brillamento abbia lasciato qualche traccia anche nei miei strumenti di lavoro, si chiede? Corre in laboratorio a controllare, e l’intuizione si rivela esatta. Un detector che misura la velocità di decadimento di materiali radioattivi ha in effetti registrato una leggera accelerazione. Non solo: la variazione sembra essere precedente al brillamento. E anche di parecchie ore: 39, per l’esattezza. Se confermata, la scoperta potrebbe avere importanti ricadute pratiche, visto che un anticipo così significativo permetterebbe ai gestori dei satelliti, delle linee di comunicazione e delle reti elettriche di mettere in atto tutta una serie di misure preventive per limitare al massimo gli eventuali danni d’una tempesta solare.

L’ipotesi dei ricercatori è che, ad accelerare il tasso di decadimento del manganese-54 (il radioisotopo utilizzato, insieme al cloro-36, nell’esperimento della Purdue University) in cromo-54, siano i neutrini. Ma c’è un problema. Anzi due. Primo, i neutrini, dotati di energia e massa pressoché trascurabili, in teoria dovrebbero interagire poco o nulla con la materia che incontrano. Secondo, la costante di decadimento di un determinato isotopo è, per l’appunto, una costante: i processi esterni non dovrebbero essere in grado di alterarla. «In altre parole, stiamo dicendo che qualcosa che non interagisce con nulla sta alterando qualcosa che non può essere alterato», ammette Jenkins. «A modificare il tasso di decadimento potrebbero essere i neutrini, o forse una particella sconosciuta».

Per nulla scoraggiati dalle imbarazzanti premesse, Jenkins e colleghi, dal 2006 a oggi, in occasione di 10 brillamenti solari, hanno analizzato i dati registrati dal loro detector. E l’anomalia ha continuato a ripetersi. Inoltre, hanno osservato una variazione sincrona con l’avvicinamento e l’allontanamento annuale della Terra rispetto al Sole, anch’essa coerente con l’ipotesi dell’influenza dei neutrini sul tasso di decadimento. «Quando la Terra si trova più lontana», osserva infatti Jenkins, «abbiamo meno neutrini solari, e il tasso di decadimento è un po’ più lento. Quando invece siamo più vicini, ci sono più neutrini, e il decadimento diventa un po’ più veloce». Insomma, se confermato da ulteriori dati, il metodo basato sulla variazione del decadimento radioattivo potrebbe rappresentare un contributo decisivo nel campo delle previsioni meteorologiche spaziali.

Il commento dell’esperto

«Obiettivo primario della Meteorologia dello Spazio», spiega Mauro Messerotti, esperto di fisica solare e relazioni Sole-Terra dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste, «è la previsione dei fenomeni fisici che hanno impatto sui sistemi biologici e tecnologici sia sulla Terra che sui pianeti del nostro Sistema Solare, molti dei quali oggi e in futuro interessati da esplorazioni con sonde automatiche soggette ad effetti in grado di causarne malfunzionamenti. Le tempeste spaziali sono infatti perturbazioni dell’ambiente interplanetario e, su larga scala, eliosferico, che hanno origine sul Sole a seguito di intensi brillamenti solari e dell’eruzione di protuberanze e che accelerano nello spazio le Eiezioni di Massa dalla Corona (CME, Coronal Mass Ejection), fenomeno principe alla base di intense tempeste spaziali».

«Le osservazioni, le conoscenze fisiche e la modellistica attuali limitano», sottolinea Messerotti, «le possibilità di previsione a lungo termine circa l’accadimento di questi fenomeni: l’emissione elettromagnetica (Raggi X, EUV, UV e radio) associata ad un brillamento viene osservata quando giunge sulla Terra dopo circa otto minuti dall’emissione sul Sole, le particelle più energetiche sono rilevate dopo qualche decina di minuti, mentre le CME arrivano sulla Terra in decine di ore. Le tecniche di mitigazione degli impatti sono tanto più efficaci quanto maggiore è la tempestività della loro attuazione, insufficiente nel caso dei lampi di radiazione elettromagnetica e delle particelle più energetiche, appena sufficiente per le CME».

«Poter quindi disporre di un sistema di previsione dei brillamenti basato sull’osservazione di un fenomeno precursore, che fosse in grado di fornire un’indicazione del possibile accadimento con buona affidabilità e con buon anticipo temporale, costituirebbe un enorme progresso per la Meteorologia dello Spazio e, in particolare, per la preparazione connessa con la minimizzazione degli effetti negativi. D’altra parte è tutt’altro che semplice validare una tecnica di questo tipo», avverte Messerotti, «che deve essere caratterizzata in base al minimo numero di “falsi positivi” tenendo conto della grande varietà di brillamenti e, soprattutto, della loro potenziale “geoefficacia” (capacità di generare effetti sulla Terra), fattore ancora tutt’altro che chiarito e che solo osservazioni dettagliate a lunghissimo termine del Sole potranno focalizzare meglio».

«Il metodo basato sull’analisi del tasso di decadimento di radioisotopi specifici sembra senz’altro essere promettente, ma, come gli autori stessi sottolineano», conclude Messerotti, «richiede una lunga e complessa serie di osservazioni in prossimità del massimo solare, più ricco di brillamenti energetici, per trovare una conferma quale metodo di previsione dei brillamenti candidato a divenire uno strumento operativo».

Per saperne di più:

Allineamento Spica, Saturno e Marte

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La sera del 14 agosto, a partire dalle 20:30, aiutandosi con un binocolo si dovrebbe riuscire a discernere facilmente sull’orizzonte ovest la congiunzione tra  Saturno (mag. +0,7), Marte (+1,1) e  Spica (alfa Virginis, +1,0); con il pianetarosso che, movendosi più velocemente degli altri verso est, perfezionerà proprio in quella data un preciso allineamento verticale con gli altri due oggetti. La congiunzione misurerà circa 4,3° e si adatterà perfettamente al campo di un comune binocolo. A quell’ora, i tre oggetti saranno ancora abbastanza alti sull’orizzonte (circa +20°), ma converrà aspettare ancora una mezz’ora per avere un maggior contrasto per via del cielo ancora abbastanza chiaro.

Regolamento concorso Moon Games

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ATTENZIONE: La scadenza del concorso è stata posticipata al 15 novembre 2012

REGOLAMENTO Concorso Fotografico Estate 2012

·         La partecipazione al Concorso è gratuita.

·         I partecipanti sono chiamati ad inviare le opere fotografiche entro il 15 ottobre 2012 all’indirizzo concorsi@coelum.com

·         Ad ogni iscritto è consentita la partecipazione mediante la trasmissione di un massimo di due immagini.

·         Le fotografie, alle cui va obbligatoriamente dato un titolo, dovranno essere inviate in formato elettronico “.jpg” a piena risoluzione.

·         L’organizzazione declina ogni responsabilità per i problemi tecnici, gli errori, le cancellazioni, il mancato funzionamento delle linee di comunicazione che dovessero presentarsi nella trasmissione delle fotografie.

·         Il partecipante, caricando le immagini, dichiara implicitamente di esserne autore e di detenerne tutti i diritti.

·         Inviando le fotografie il partecipante solleva gli organizzatori da qualsiasi richiesta avanzata da terzi in relazione alla titolarità dei diritti d’autore delle fotografie e alla violazione dei diritti delle persone rappresentate e di ogni altro diritto connesso alle fotografie inviate.

·         Le fotografie selezionate  sono scelte dalla Giuria Tecnica e le sue decisioni sono insindacabili.

·         La Giuria Tecnica, si riserva il diritto, a sua discrezione, di escludere ogni immagine pervenuta che non sia in linea con i requisiti indicati nel regolamento e nella descrizione del concorso.

·         Le fotografie nelle quali compaiano persone riconoscibili devono essere necessariamente corredate da una liberatoria alla ripresa e alla pubblicazione firmata dai soggetti fotografati, pena l’esclusione dal concorso. In caso di minori  è necessaria l’autorizzazione firmata con la liberatoria del genitore o dell’esercente la potestà genitoriale.

·         Inviando le fotografie il partecipante accetta il presente Regolamento.

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Immagini digitali

Sono ammesse correzioni digitali in post produzione (quali tagli, aggiustamento colori, contrasto, rimozione macchie, ecc.) ma non manipolazioni (fotomontaggi, uso timbro clone e quant’altro tenda ad alterare la realtà ripresa).

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Saranno escluse le opere:

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Pubblicazione

Inviando le fotografie il partecipante concede a  Massimi Sistemi srl i diritti di pubblicazione delle stesse nell’ambito di ogni utilizzazione connessa all’iniziativa.

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Gli autori avranno diritto alla citazione del proprio nome quali autori dell’immagine in occasione di tutte le forme di utilizzo. Resta inteso che, con il presente bando, Massimi Sistemi non assume alcun obbligo di pubblicare e/o esporre le opere che hanno partecipato alla selezione in questione.

Disposizioni generali

L’organizzazione si riserva il diritto di modificare e/o abolire in ogni momento le condizioni e le procedure aventi oggetto il presente concorso prima della data di sua conclusione. In tal caso l’organizzazione stessa provvederà a dare adeguata comunicazione. Massimi Sistemi e l’organizzazione del Concorso non assumono responsabilità per qualsiasi problema o circostanza  che possa inibire lo svolgimento o la partecipazione al presente concorso.

Il materiale inviato non è soggetto a restituzione.

Ai sensi del D.P.R. n.430 del 26.10.2001, art.6, il presente concorso non è soggetto ad autorizzazione ministeriale.

Al Planetario di Ravenna

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16.08: “L’astronomia dell’antico Egitto” di Agostino Galegati.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Al Planetario di Ravenna

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14.08: “Stelle, pianeti e valzer viennesi” di Marco Marchetti.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Congiunzione Luna Venere

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Congiunzione 14 Agosto

Congiunzione 14 AgostoLa mattina del 14 agosto, se sarete ancora in piedi a caccia di stelle cadenti (vedi Perseidi 2012) attorno alle 3:30 potrete vedere una sottile falce di Luna sorgere accompagnandosi alla brillante  Venere (magnitudine -4,3), distante 3,5°.

Osservatorio Astronomico Naturalistico di Casasco

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12.08, 21:30: “La notte delle Perseidi”.

Per informazioni: info@astroambiente.org
www.astroambiente.org
icidelcielo.it

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