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Una galassia lontanissima

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Immagine a colori dell'ammasso di galassie MACS1149+2223. La sua enorme forza di attrazione gravitazionale agisce come una 'lente cosmica' che ingrandisce la galassia estremamente distante posta dietro di esso (evidenziata nel riquadro in alto a destra). Crediti: The CLASH team / The Space Telescope Science Institute
Immagine a colori dell'ammasso di galassie MACS1149+2223. La sua enorme forza di attrazione gravitazionale agisce come una 'lente cosmica' che ingrandisce la galassia estremamente distante posta dietro di esso (evidenziata nel riquadro in alto a destra). Crediti: The CLASH team / The Space Telescope Science Institute

La sua luce ha fatto un viaggio lungo quasi quanto l’età del nostro universo. E probabilmente non saremmo riusciti a captarla se a frapporsi tra lei e i nostri telescopi non ci fosse stato un ammasso di galassie, denominato MACS1149+2223. L’antichissima galassia, distante 13,2 miliardi di anni luce è stata scoperta da un team di ricercatori che collaborano al progetto di ricerca CLASH (Cluster Lensing And Supernova survey with Hubble) e a cui partecipano astronomi INAF attraverso due programmi PRIN coordinati da Massimo Meneghetti (INAF – Osservatorio Astronomico di Bologna) e da Mario Nonino (INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste). Le riprese combinate dei telescopi spaziali Hubble e Spitzer l’hanno stanata, sfruttando anche il fenomeno della lente gravitazionale forte. Un effetto predetto dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein, secondo cui la materia contenuta nelle strutture cosmiche è in grado di curvare la traiettoria di fotoni provenienti da sorgenti più lontane.

L’ammasso MACS1149+2223, che possiede una massa di circa 2,5 milioni di miliardi di volte quella del Sole, si è trasformato così in un vero e proprio telescopio gravitazionale, permettendo di focalizzare la tenue luce proveniente da una galassia molto più distante che si trova lungo la nostra linea di vista, amplificandola di ben 15 volte e permettendo così agli strumenti dei telescopi spaziali Hubble e Spitzer di individuarla.

La scelta di osservare e studiare gli effetti della Relatività Generale in corrispondenza degli ammassi di galassie non è casuale. Tanto più grande è la massa, tanto maggiore è l’effetto di lente gravitazionale. E quando si parla di grande massa, i gruppi di galassie come MACS1149+2223 non temono confronti, visto che possono contenere fino a diversi milioni di miliardi di masse solari. Si tratta quindi delle più potenti lenti gravitazionali osservabili in cielo, che a volte producono delle forti distorsioni nelle immagini di galassie lontane, producendo archi gravitazionali o, in altri casi,  gruppi di immagini multiple.  “Quando vengono osservate queste distorsioni, esse possono essere utilizzate per capire come è distribuita la materia nella lente” sottolinea Massimo Meneghetti. “Tuttavia il lensing gravitazionale è importante anche per un altro motivo: amplifica sorgenti lontane ed intrinsecamente molto deboli, rendendole più facilmente osservabili. Ciò è dovuto al fatto che la lente modifica la forma intrinseca dalla sorgente e l’area che essa occupa in cielo ma mantiene inalterata l’energia ricevuta per unità di superficie e per unità di tempo. Gli ammassi di galassie possono quindi essere usati come efficienti strumenti che la natura ci mette a disposizione per esplorare l’universo lontano”.

Ma la scoperta di questo oggetto celeste così remoto, riportata in un articolo pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature, è di grande utilità anche per ottenere nuove informazioni su una fase nell’evoluzione dell’universo tanto importante quanto ancora poco conosciuta, che prende il nome di Età Oscura (Cosmic Dark Age). Una fase in cui l’universo era avvolto da una nebbia di idrogeno neutro, in grado di assorbire la radiazione luminosa.  L’Età Oscura si concluse quando si formarono le prime stelle e la loro intensa radiazione ultravioletta rese lentamente trasparente la nebbia, tra 150 e 800 milioni di anni dopo il Big Bang, permettendo così alla luce delle stelle di propagarsi nel cosmo e arrivare, dopo un lunghissimo viaggio, fino a noi.

“Quella presentata nel nostro lavoro è la più convincente osservazione di una galassia a distanze così elevate (circa 13,2 miliardi di anni luce) fatta fino ad oggi” commenta Mario Nonino. “La scoperta di una galassia, che sulla base delle nostre osservazioni è stata scorta quando l’universo è verso la fine dalla cosiddetta Cosmic Dark Age, mostra come l’approccio di sfruttare l’amplificazione degli ammassi sia estremamente efficiente per osservare l’universo primordiale. Questo metodo potrà essere ulteriormente sfruttato per ottenere osservazioni più dettagliate sia con telescopi attuali, come ALMA, che con quelli di prossima generazione come l’europeo E-ELT (European Extremely Large Telescope) e il JWST (James Webb Space Telescope), il successore di Hubble”.

Per saperne di più:

Il comunicato stampa INAF

Gruppo Astrofili Rozzano

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22.09: “Il Sistema Solare: Caso unico?” di Ferdinando
Guazzotti e Filippo Di Salvo.

Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Gruppo Astrofili Rozzano

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Escursioni in montagna, a Pian dell’armà (PV), per l’osservazione degli astri venerdì e sabato:
23/24 settembre .

Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Osservatorio Astronomico Naturalistico di Casasco

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22.09, 21:00: Il cielo d’autunno.

Per informazioni: info@astroambiente.org
www.astroambiente.org

INTERNATIONAL OBSERVE THE MOON NIGHT Under the Same Moon

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22.09 : La meravigliosa avventura che già nelle edizioni del 2010 e 2011 ha portato tutto il mondo a osservare la Luna nella stessa serata, viene riproposta anche quest’anno. L’INAF e l’UAI uniscono nuovamente il loro impegno per promuovere sul territorio nazionale il Moonwatch Party in occasione della “In.Om.N.” (International Observe the Moon Night). Ovvero, migliaia di postazioni osservative in decine di paesi di tutto il mondo allestite per osservare la Luna nella stessa serata. Un’opportunità per le associazioni di astrofili per proporre osservazioni dedicate al nostro satellite naturale: la genesi e le caratteristiche fisiche, le missioni spaziali,
la mitologia, la poesia, la musica e le diverse espressioni artistiche ispirate a Selene. Il tema dell’edizione 2012 sarà : “The Solar-Lunar Connection”.

http://divulgazione.uai.it/index.php/Moonwatch
http://www.media.inaf.it/moonnight/
http://observethemoonnight.org/

Nuova vita per l’Unità Astronomica

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Poco meno di 150 milioni di chilometri ci separano dal Sole, e questo è un dato da tempo assodato. Ma dopo la XXVIII Assemblea Generale dell’International Astronomical Union (IAU), tenutasi a Pechino (Cina) lo scorso agosto, gli astronomi di tutto il mondo hanno rivisto leggermente il valore di questa distanza, un’unità di misura molto usata in astronomia, appunto l’unità astronomica (UA): il nuovo valore è di 149.597.870.700 metri, niente di più, niente di meno.

Con la precisazione di questa distanza, si è conclusa una diatriba scientifica che durava ormai da secoli, sin dal lontano 1672,quando l’astronomo italiano Giovanni Cassini misurò la distanza Terra-Sole, grazie alla collaborazione del suo collega Jean Richer. I due osservarono Marte da due posizioni diverse, e misurando la parallasse, o differenza angolare, tra le due osservaioni calcolarono indirettamente la distanza della Terra dal Sole.

Nel corso dei secoli, grazie all’evolversi delle strumentazioni, le osservazioni e le misurazioni si fecero più accurate, ma fino alla metà del secolo scorso il metodo della parallasse era l’unico possibile per le misurazioni all’interno del Sistema solare. Con il passare del tempo la misura divenne più precisa (coinvolgendo anche il calcolo della massa della nostra stella madre), ma l’avvento delle teorie di Einstein, che implicano che il tempo-spazio è relativo e dipende dalla posizione dell’osservatore e che inoltre il Sole, irraggiando energia, perde massa, complicarono i calcoli. L’ultima definizione ufficiale della UA era “il raggio di una orbita Newtoniana circolare, non perturbata descritta attorno al Sole da una particella di massa infinitesima, che si muova mediamente di  0,01720209895 radianti al giorno (o costante di Gauss).

La nuova definizione è finalmente assoluta, espressa nel sistema metrico decimale e non dipendente dalla massa del Sole. Il metro è infatti a sua volta definito come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un 299.792,458mo di secondo.

Gruppo Amici del Cielo

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21.09: “La sonda Cassini: il nostro occhio su Saturno” di Dino Pezzella.

Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Inaugurazione del Centro Astronomico Giuliano Vanin – Feltre

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22 settembre 2012

Inaugurazione del Centro Astronomico Giuliano Vanin dell’Associazione Astronomica Feltrina Rheticus a Feltre, in frazione Arson, via Arson 1

Per le indicazioni stradali potete consultare il sito: www.rheticus.it dove potrete trovare anche una ricca documentazione fotografica inerente i vari passi della costruzione

Programma:

  • ore 18: presentazione della struttura e saluto delle autorità
  • ore 19: rinfresco con prodotti locali
  • ore 20: osservazioni astronomiche (telescopi principali da 36 e 64 cm di diametro) e  dimostrazioni al planetario (cupola da otto metri di diametro)

Vi attendiamo numerosi!

www.rheticus.it

Pianeti da mille e una stella

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Quanto sembrano lontani i tempi in cui gli astronomi si chiedevano se esistessero davvero pianeti al di fuori del sistema solare. Ormai non passa quasi settimana senza che, in qualche angolo sperduto della nostra galassia, si scopra almeno un nuovo pianeta, e a fare notizia sono quelli dotati di qualche particolarità che li stacca dal gruppo. E’ il caso della scoperta di un gruppo di astronomi finanziati dalla NASA, i quali hanno trovato per la prima volta dei giovani pianeti extrasolari, forse i più giovani scovati fin’ora, orbitanti attorno a un ammasso di stelle simili al Sole.

E’ la prima prova diretta che i pianeti possono formarsi anche in ambienti ad alta densità stellare.

Nell’ammasso stellare Beehive, chiamato anche Presepe (al centro della costellazione del Cancro e a 550 anni luce dalla Terra) orbitano questi due hot Jupiters (detti anche gioviani caldi), vale a dire pianeti enormi, gassosi e caldi che gravitano a distanze ravvicinate rispetto alle loro stelle madri. Questi giovani pianeti sono stati battezzati Pr0201b e Pr0211b (la lettera “b” è la convenzione per denominare i pianeti). Ogni pianeta attira circa 1000 stelle, tutte con una simile composizione chimica.

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Astrophysical Journal Letters. “Stiamo rilevando pianeti in ambienti diversi ed estremi come quello di questo ammasso vicino a noi”, ha affermato Mario R. Perez, padre della scoperta. “La nostra galassia – ha detto – contiene più di 1.000 di questi ammassi aperti, che potenzialmente possono presentare le condizioni fisiche per ospitare molti altri di questi due pianeti giganti”.

Sam Quinn della Georgia State University di Atlanta è l’autore principale dello studio, effettuato grazie a un telescopio Tillinghast di 1,5 metri presso l’Osservatorio Fred Lawrence Whipple Observatory in Arizona. Il metodo usato dai ricercatori è la misura della lieve oscillazione gravitazionale che i pianeti orbitanti inducono sulle loro stelle madri.

La scoperta aiuterà gli esperti a capire come fanno i pianeti gioviani caldi a finire così vicini alle loro stelle. La gran parte delle teorie sostengono che questi mondi si formano lontano dalle loro stelle per poi essere attirati dalla forza gravitazionale in un’orbita più stretta.

Una cosa è certa: questi pianeti sono sicuramente inospitali alla vita, soprattutto a causa delle alte temperature, ma il cielo sopra di loro è molto più stellato rispetto a quello che possiamo osservare dalla Terra.

Al Planetario di Ravenna

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18.09: “Viaggio dal Polo all’equatore” di C.Balella.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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Si svolgerà con cadenza settimanale dal 18 ottobre al 20 dicembre, le lezioni teoriche al Museo avranno luogo nelle serate del giovedì fino a dicembre. Le lezioni pratiche si svolgono a Lumezzane. La partecipazione è libera e gratuita.

Per info: tel. 348 5648190.

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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Si svolgerà con cadenza settimanale dal 18 ottobre al 20 dicembre, le lezioni teoriche al Museo avranno luogo nelle serate del giovedì fino a dicembre. Le lezioni pratiche si svolgono a Lumezzane. La partecipazione è libera e gratuita.

Per info: tel. 348 5648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it www.astrofilibresciani.
it

Nevicate di ghiaccio secco su Marte

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La nuvola di anidride carbonica sul polo sud di Marte nell'immagine di MRO (NASA/JPL-Caltech)

La nuvola di anidride carbonica sul polo sud di Marte nell'immagine di MRO (NASA/JPL-Caltech)

Dalle nostre parti, sulla Terra, si usa per conservare i cibi, raffreddare i processori dei supercomputer e per creare effetti scenografici in molti spettacoli. Ma su Marte, il ghiaccio secco (o meglio, anidride carbonica allo stato solido), crea vere e proprie nevicate. Lo ha scoperto la sonda Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) della NASA, individuando il primo esempio conosciuto di neve di anidride carbonica nel Sistema Solare.

In un articolo pubblicato su Journal of Geophysical Research, Paul Hayne del NASA Jet Propulsion Laboratory di Pasadena e i suoi colleghi descrivono una nuvola di anidride carbonica congelata, osservata nel 2006/7 nei pressi del polo sud del Pianeta Rosso, in quella che da quelle parti è la stagione invernale. Hayne e i suoi colleghi hanno analizzato i dati ricavati dal Mars Climate Sounder, uno dei sei strumenti di MRO, che rileva le emissioni in nove lunghezze d’onda tra il visibile e l’infrarosso. I dati hanno fornito informazioni su temperature, grandezza e concentrazione delle particelle presenti nella nuvola. Hanno così concluso di trovarsi di fronte a una nuvola di anidride carbonica allo stato solido, persistente e del diametro di circa 500 km sul polo, più altre nuvole più piccole e di vita più breve a latitudini tra i 70 e gli 80 gradi sud. “Siamo sicuri che si tratti di anidride carbonica, e che i fiocchi siano abbastanza grandi da causare precipitazioni e l’accumulo di neve sulla superficie” spiega Hayne.

L’anidride carbonica congela e solidifica a temperature inferiore ai 125 gradi Celsius. Il polo sud è l’unica zona di Marte dove l’anidride cabonica congelata si trova per tutto l’anno marziano, e ci si è sempre chiesti da dove venga: se dal precipitazioni atmosferiche, o dal congelamento di quella già presente sulla superficie. Questo studio dimostra che almeno sulla sommità della calotta polare le precipitazioni sono la fonte più importante.


Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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16.09, ore 15:00: Osservazioni solari e “Caccia al tesoro” presso la Specola Cidnea.

Un lampo su Giove

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Il flash luminoso su Giove ripreso da George Hall

Il flash luminoso su Giove ripreso da George Hall

Anche i dilettanti o gli appassionati possono lasciare un segno nello studio dei cieli, ed è sempre più la comunicazione digitale a fare la differenza. Lo dimostra quanto accaduto all’astrofilo Dan Peterson di Racine nel Wisconsin, che il 10 settembre ha avvistato con un telescopio un flash luminoso vicino all’equatore di Giove (quasi sicuramente l’impatto di un asteroide o di una cometa), segnalando l’evento all’intera comunità e permettendo agli astronomi professionisti di rivolgere in tempo reale i loro strumenti sul pianeta.

Non avendo catturato l’evento con una telecamera, Peterson ha inviato via email agli astronomi una descrizione dettagliata di ciò che aveva visto. Nella stessa notte l’astrofotografo George Hall di Dallas stava filmando Giove con un piccolo telescopio e una webcam: “Se Peterson non avesse avvistato l’evento e non lo avesse segnalato, non avrei rivisto in dettaglio i miei video per individuare l’impatto” ha spiegato Hall  alla rivista New Scientist. Il fotografo dei cieli è riuscito, infatti, a catturare un video di quattro secondi di un lampo luminoso sul lato orientale di Giove.

Secondo gli astronomi, molto probabilmente l’evento è stato causato dall’impatto di una cometa o di un asteroide su Giove. Grazie all’aumento delle osservazioni, negli ultimi tre anni su questo pianeta sono stati avvistati quattro impatti.

Per gli astronomi professionisti è spesso prezioso poter contare anche sugli “occhi” dei dilettanti che seguono le vicende di Giove o altri pianeti, soprattutto da quando Internet permette dai far circolare le informazioni così rapidamente. “Non è che su Giove questi eventi siano diventati più frequenti” ha spiegato Franck Marchis del SETI Institute di Mountain View, in California “È solo che adesso gli astronomi dilettanti hanno la capacità di individuarli. Noi non possiamo osservare il pianeta continuamente.”

Vedere in tempo reale l’impatto e studiare le cicatrici lasciate su Giove darà agli scienziati spiegazioni uniche sulle proprietà atmosferiche del gigante gassoso. Questo tipo di eventi potrà fornire agli astronomi maggiori elementi sullo studio delle collisioni tra asteroidi, dando un quadro più preciso delle dimensioni e del numero degli oggetti di questo tipo che affollano il Sistema Solare. Gli impatti ripresi su Giove contribuiranno a redigere il primo censimento accurato dei corpi con 100 metri di diametro e di quelli più piccoli nella parte esterna del Sistema Solare.

“La recente ondata di impatti mette in evidenza il ruolo di Giove come “spazzino cosmico”, che con la sua attrazione gravitazionale sgombera il sistema solare dai detriti che altrimenti potrebbero colpire la Terra” dice Glenn Orton del NASA Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California.

In questi giorni i telescopi saranno puntati sul pianeta per verificare se l’impatto abbia lasciato o meno delle cicatrici. In tal caso gli astronomi potrebbero decidere di utilizzare il telescopio Hubble per determinare la traiettoria dell’oggetto e la profondità di penetrazione nell’atmosfera di Giove.

Congiunzione tra Marte e Luna

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Congiunzione tra Marte e Luna

Congiunzione tra Marte e LunaSe le condizioni meteo lo permetteranno, regalandoci un cielo limpido adatto all’osservazione di oggetti bassi sull’orizzonte, la sera del 19 si potrà assistere a una bella congiunzione tra Marte e Luna.

L’ora indicata è quella che offre il miglior compromesso tra altezza sull’orizzonte (+10°) e luminosità del cielo (altezza del Sole di –10°).

Gruppo Astrofili Rozzano

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15.09: “Sul setup fotografico” di Vittorio Suma.

Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Gruppo Astrofili Lariani

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Serate di Osservazione pubblica: 15 settembre

Per informazioni: Tel 3280976491.
astrofili_lariani@virgilio.it
www.astrofililariani.org

Osservatorio Astronomico Naturalistico di Casasco

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16.09, 15:00: Osservazione del Sole.

Per informazioni: info@astroambiente.org
www.astroambiente.org

Il mese della Scienza BIBLioTECA CIVICA “Lino Penati” Via Fatebenefratelli – Milano

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15.11: “I rischi naturali” di Giovanni Grieco.

INFO: BIBLIOTECA CIVICA (02 9278300)
www.astrofilicernusco.org

La nebulosa a forma di matita

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Credit: ESO

Nonostante la tranquilla bellezza di una notte stellata, l’Universo non è per nulla un lungo tranquillo. Le stelle nascono e muoiono in un ciclo incessante, e a volte la morte di una stella può creare una visone d’ineguagliabile bellezza quando il materiale lanciato nello spazio forma strane strutture.

Credit: ESO

Questa nuova immagine del WFI (Wide Field Imager), montato sul telescopio MPG/ESO da 2,2 metri all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile, mostra la Nebulosa Matita su uno sfondo ricco di stelle. Questa nube dalla forma strana, nota anche come NGC 2736, è un piccolo pezzo di un resto di supernova nella costellazione australe della Vela. I filamenti luminosi sono stati prodotti dalla morte violenta di una stella avvenuta circa 11000 anni fa. La parte più brillante sembra una matita, da cui il nome, ma l’intera struttura sembra piuttosto la tradizionale scopa di una strega.

Il resto di supernova della Vela è un guscio di gas in espansione che trae origine dalla supernova. All’inizio l’onda d’urto si muoveva a milioni di chilometri all’ora, ma espandendosi nello spazio ha incontrato il gas tra le stelle che l’ha rallentata notevolmente e ha creato veli di nubi dalle forme contorte. La nebulosa Matita è la parte più brillante di questo enorme guscio.

Questa nuova immagine mostra grandi ciuffi filamentosi, piccoli grumi di gas e zone di gas diffuso. L’aspetto luminoso della nebulosa dipende dalle regioni di gas denso colpite dall’onda d’urto prodotta dalla supernova. Spazzando via il gas interstellare lo ha riscaldato a milioni di gradi; successivamente il gas si è raffreddato e produce ancora la debole luminosità catturata in questa immagine.

Osservando i diversi colori della nebulosa, gli astronomi sono stati in grado di realizzare la mappa della temperatura del gas. Alcune regioni sono ancora così calde che l’emissione è dominata dagli atomi di ossigeno ionizzato, in blu nell’immagine. Altre zone più fredde appaiono in rosso, a causa dell’emissione dell’idrogeno.

La Nebulosa Matita ha una dimensione di circa 0,75 anni luce e si muove nel mezzo interstellare alla velocità di circa 650 000 chilometri all’ora. La sorprendente conseguenza è che, anche alla ragguardevole distanza di quasi 800 anni luce dalla Terra, la sua posizione rispetto alle stelle di fondo cambia nel corso di una vita umana. Anche dopo 11000 anni l’esplosione di una supernova sta modificando l’aspetto del cielo notturno.


I greatest hits di Dawn

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Immagine creata con con le ultime sequenze prese dalla Dawn mentre osserva il Polo Nord di Vesta, durante lallontanamento. Credit:NASA/JPL-Caltech/ UCLA/MPS/DLR/IDA

Immagine creata con con le ultime sequenze prese dalla Dawn del Polo Nord di Vesta. Credit:NASA/JPL-Caltech/ UCLA/MPS/DLR/IDA

Il 5 settembre, dopo quasi un anno di flyby, la missione Dawn della NASA ha lasciato l’orbita dell’asteroide Vesta. Prossimo obiettivo l’asteroide Cerere, che raggiungerà nel 2015. Per l’occasione scienziati, ricercatori e molti membri del team si sono dati appuntamento virtuale sui social media per festeggiare la partenza, in un evento chiamato “Hasta la Vesta”. E per la gioia degli appassionati, hanno realizzato e pubblicato un filmato con i greatest hits, i risultati più notevoli (almeno dal punto di vista dello spettacolo) di quest’anno di studi e osservazioni.

Scorriamo la classifica e vediamo, uno per uno, questi greatest hits annunciati nel filmato realizzato dal JPL.



Risultato 1)

Dawn è il primo veicolo spaziale ad aver orbitato intorno a un oggetto della fascia principale. Potrebbe sembrare una manovra scontata, ma davvero non lo è. Il campo gravitazionale di un oggetto così piccolo e irregolare come un asteroide comporta non poche difficoltà di avvicinamento e di manovra, soprattutto per un viaggio molto avventuroso, con distanze di avvicinamento minime e della durata di quasi un anno.

Risultato 2)

Vesta si è rivelata molto più simile a un pianeta che a un asteroide fornendo la prova finale di quanto sia interessante studiare questi oggetti, veri e propri rimasugli del processo di formazione del sistema solare.

Risultato 3)

Vesta ha una struttura interna stratificata e un nucleo ferroso. Il risultato è stato ottenuto confrontando il campo gravitazionale che Vesta esercita sullo spacecraft con la forma irregolare dell’asteroide. Il team ha dedotto che nel passato di Vesta devono esserci state delle fasi in cui il suo interno non era roccioso ma completamente fuso, per poi solidificarsi nella struttura attuale.

Risultato 4)

La superficie di Vesta ha rivelato una struttura molto irregolare con una montagna alta tre volte l’Everst e due impressionanti crateri nell’emisfero sud, Venenia e Rheasilvia. Con i suoi quasi 500 km di diametro, Rheasilvia è  uno dei più grandi crateri di tutto il sistema solare. Queste strutture sono collegate alla storia evolutiva dell’asteroide e del sistema solare stesso, essendo stati causati da due catastrofici impatti avvenuti rispettivamente circa 2 miliardi e 1 miliardo di anni fa.

Risultato 5)

Vesta presenta delle onde che corrono tutte intorno al suo equatore, come un mare agitato che si sia ghiacciato all’improvviso, mentre onde concentriche causate da un impatto ne percorrevano la superficie. La causa di queste (peraltro bellissime) strutture è sempre legata alla violenta storia evolutiva dell’asteroide.

Questo è tutto, per ora, almeno nel video della NASA. Ma la storia  ovviamente non finisce qui e c’è molto di più, dietro ai magnifici sorvoli e alle manovre presentate nel video, come già testimoniano le molte scoperte pubblicate recentemente su Science, anche grazie allo strumento italiano VIR, che ha fatto parlare e continuerà a far parlare di sé. Inoltre, come sempre, bisogna tenere a mente che le modalità e i tempi della ricerca scientifica non sono rapidissimi. I dati raccolti nello scorso anno verranno studiati e analizzati nei prossimi mesi ed anni e daranno vita a domande, ipotesi e teorie. L’appuntamento è fissato per le prossime pubblicazioni riguardanti la missione Dawn.

Gruppo Amici del Cielo

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14/15.09, 20:30: Osservazione al Lago di Alserio.

Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

La Luna avvicina Venere

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la Luna avvicina Venere

la Luna avvicina VenereQuattro giorni dopo la congiunzione della Luna con Giove, ma a un orario molto più scomodo, la Luna ridotta a uno spicchio sottile raggiungerà nel Cancro uno spettacolare pianeta Venere, che avvicinerà fino a una distanza di circa 6°. I due oggetti saranno facilmente visibili sull’orizzonte di est-nordest, e con l’aiuto di un binocolo sarà possibile scoprire anche la presenza dell’ammasso aperto del Presepe, 3° a nordest di Venere.

Al Planetario di Ravenna

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11.09: “I pianeti nani” di Massimo Beretti.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Nei ghiacci la storia del clima di Marte

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Sulla Terra, i ghiacciai polari rappresentano l’ultima frontiera nello studio della storia climatica del nostro pianeta. L’analisi di campioni di ghiaccio prelevati in profondità permette infatti di capire ad esempio come siano variati temperatura e composizione chimica dell’atmosfera nelle ultime centinaia di migliaia di anni.

Seguendo questa metodologia, anche gli scienziati che studiano Marte stanno provando a ‘leggere’ le informazioni sulla storia del clima del Pianeta rosso conservate tra i ghiacci delle sue spesse calotte polari. In questo caso non è certo possibile effettuare delle perforazioni e analisi come in Antartide o in Groenlandia, ma bisogna accontentarsi delle numerose immagini ad alta risoluzione raccolte negli anni dalle missioni di esplorazione di Marte. Fondamentali in questo tipo di ricerca sono quelle che mettono in evidenza, in alcune particolari zone come dirupi e pendii, una netta stratificazione di ghiaccio e polveri. I differenti spessori e le differenti concentrazioni di materiale sarebbero direttamente correlate a sensibili cambiamenti nel clima del pianeta. Per gli scienziati i responsabili principali di tali sbalzi sarebbero le variazioni di inclinazione dell’asse di rotazione sperimentate nel tempo da Marte, che avrebbero determinato notevoli cambiamenti nella sua insolazione.

Trovare però una correlazione tra il flusso di radiazione solare e gli strati osservati tra i ghiacci marziani è  un lavoro assai complesso e ancora con molti margini di incertezza. Ora però uno studio guidato da Christine Hvidberg, ricercatrice presso il Niels Bohr Institute dell’Università di Copenaghen e pubblicato sulla rivista Icarus, apre un nuovo capitolo in questo settore. “Noi siamo andati in una direzione completamente diversa rispetto alle linee di ricerca finora utilizzate” spiega la Hvidberg. “Abbiamo sviluppato un modello teorico di come si formano gli strati di ghiaccio e polveri sulla base di processi fisici fondamentali e i suoi risultati evidenziano l’esistenza di una correlazione tra l’accumulo di ghiaccio e polvere con l’intensità dell’irraggiamento solare”.

E la simulazione non solo conferma questa relazione, ma è in grado di riprodurre piuttosto accuratamente la distribuzione degli strati ghiacciati che sono stati rilevati dalle immagini satellitari ad alta risoluzione nella calotta del polo nord di Marte. ”Il modello è in grado di ricostruire la storia dei ghiacci del nord di Marte fino a una profondità di 500 metri, pari a circa 1 milione di anni, indicando un tasso di accumulo medio di ghiaccio e polvere di 0,55 mm all’anno” prosegue la ricercatrice . “La simulazione mette in relazione i singoli strati ai periodi di massimo irraggiamento solare e siamo così in grado di ricostruire la storia del clima di questa regione nell’arco di un milione di anni “.

Per saperne di più:

  • l’articolo Reading the climate record of the Martian polar layered deposits pubblicato sulla rivista Icarus

Astronomia in piazza

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Astronomia in Piazza

Astronomia in Piazza

Nel caldo afoso del mese di luglio, la cittadina di Rivoli (TO), con il contributo di diversi commercianti, ha organizzato un’iniziativa interessante denominata Rivol “in”centro, che ha visto per ben tre week end piacevoli esperimenti (microscopia, fimo – pasta modellante – e astronomia) svolgersi in una piccola, ma ben gremita, piazzetta di un centro commerciale.

L’avventura di chi scrive si è svolta all’interno di un planetario itinerante (gonfiabile), messo a disposizione da Centro Giochi Educativo, dotato di un buon proiettore (Star Theatre formito da Natura & Co.) che ha reso davvero un bello spettacolo, proiettando una volta stellata con tanto di Via Lattea e galassia di Andromeda, visibile come una tenue chiazzetta nebulosa …

Planetario ItineranteNonostante il caldo abbastanza fastidioso, particolarmente presente all’interno del “pallone”, chi scrive ha sempre intrattenuto un buon numero di persone (15/20 per volta tra adulti e bambini) che rendevano la cupola gonfiata, un temporaneo “tempio” dedicato all’astronomia! All’esterno, in bella mostra, alcuni poster della rivista Coelum Astronomia, che ha patrocinato le conferenze, ben ammirati dalla gente (senza contare alcuni numeri della medesima letteralmente evaporati!) che attendeva il proprio turno per entrare e partecipare allo spettacolo, consistente in una chiacchierata di circa 15’.

Nelle serate dedicate alla divulgazione della “scienza del Cielo” mi sono accorto di come alcuni problemi, ben conosciuti e molto sentiti da noi appassionati, siano del tutto ignorati dalla stragrande maggioranza della gente. Le mie lezioni iniziavano con una spiegazione (e dimostrazione annessa, consistente in una torcia che illuminava l’interno della cupola) del problema legato all’inquinamento luminoso. La gente ha sempre risposto con indignazione, una volta appreso che qualcuno (in nome di chissà quale “civiltà della luce”) ci ruba sistematicamente e spietatamente il cielo stellato, sprecando energia perdippiù !

Grande l’emozione suscitata nell’apprendere le distanze e le dimensioni delle stelle (in special modo i due milioni e passa di anni luce che ci separano dalla M31), ma ancor più incantevole è stato ammirare la stella Vega, al di fuori della cupola, “dal vivo”, dopo averla vista in proiezione: c’era gente che letteralmente urlava “ecco Vega”!

In sostanza è stata una bella esperienza, che mi ha fatto capire come risieda in noi appassionati la responsabilità di presentare la nostra bella scienza al pubblico, a testimonianza dell’incantevole e struggente bellezza della “seconda metà del paesaggio”.

Astronomia in Piazza

Appuntamento a dopo le vacanze estive, al “Luna party”  la sera del 20 ottobre sempre nello stesso luogo!

Salvatore Albano

“Lunar Nirvana”

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Copernico-Appennini_ Lunar Nirvana
Nell'immagine: la catena dei Monti Apennini (bordo del mare Imbrium) e in basso a sinistra il cratere Copernico. Per tutte le immagini dell'articolo: rifrattore doppietto ED 127mm f/9 - camera autocostruita a colori elaborazione con Registax, Paint Shop Pro x2 (trattamento e composizione), Panorama Maker 3.5 (mosaico di Ptolomeus). Credits: Giuseppe Donatiello.

Noi astrofili spesso non teniamo in debita considerazione un fattore molto  importante: l’impatto emotivo delle immagini. Ho riscontrato più volte, soprattutto su Facebook, che immagini tecnicamente rilevanti non sortiscono grandi entusiasmi sul pubblico di non adepti. In generale, concentriamo la nostra attenzione sul dettaglio, la difficoltà di ripresa, il livello di segnale, la profondità in termini di magnitudine, ecc. ma queste cose destano poco o niente l’interesse tra chi di astronomia ne sa poco o nutra un’attrazione puramente estetica. Per tal motivo, immagini di valenza tecnica piuttosto bassa, però con una componente “emotiva”, scatenano l’entusiasmo del pubblico con apprezzamenti ben oltre le  aspettative. Di contro, ho visto immagini di eccellente fattura ed estrema difficoltà guardate con sufficienza anche dagli stessi astrofili, mentre immagini, che definirei scadenti, scatenare accesi dibattiti sulla bontà di questa o quella configurazione, sulla stellina non perfetamente tonda e apprezzamenti iperbolici dei non astrofili…

Da mie personali statistiche, le immagini che piacciono di più sono quelle con colori ben saturi. Lo stesso accade anche per le immagini planetarie e, nello specifico, lunari. La ripresa di una Luna Piena o in fase suscita sempre grandi entusiasmi nel pubblico, mentre i dettagli delle formazioni seleniche restano confinate nell’ambito degli amatori: bella soddifazione per chi ha investito tempo e risorse nell’imaging HiRes! Eppure, le riprese lunari digitali contengono molte informazioni in forma latente che possiamo far emergere con qualche trattamento, come il contrasto generale, il contrasto su piccola scala e l’enfasi dei colori: tutti fattori che contribuiscono a rendere più accattivanti e suggestive le nostre riprese.

mosaico bordo lunare
Mosaico ottenuto dalla composizione di immagini trattate singolarmente come descritto nell'articolo e quindi unite con PSP X2.

Qualcuno starà adesso pensando che abbia scoperto l’acqua calda e che basti un banale aumento della saturazione per far emergere i colori del suolo selenico o una regolazione dell’intensità di contrasto, ma le cose non stanno propriamente così.

Nelle riprese deep-sky è prassi sottrarre il dark e il flat per ottenere un’immagine calibrata correttamente e, a rigore, lo stesso andrebbe fatto anche per le riprese planetarie. Di solito si riprende il filmato (si presuppone il corretto settaggio della camera e una delicata messa a fuoco), si allineano le immagini, si mediano e l’immagine grezza viene trattata con i wavelets (più o meno pesantemente) contestualmente ad una correzione di dinamica. Molti si fermano qui. Invece quelle nostre riprese hanno ancora un certo margine di miglioramento.

Non è affatto vero quello che sovente si legge a firma di molti esperti che “mediando molte immagini si riduce il rumore strumentale”, in realtà il rumore rimane integro e si cela sotto un migliore rapporto sul segnale finale. Anche l’ottica produce un disturbo che degrada l’immagine (luce diffusa sul percorso ottico o, nel caso di lenti, cromatismo che può manifestarsi anche come leggera dominante nelle riprese a colori o un tono di grigio nelle riprese b/n). Non  ultima, la dominante di colore prodotta dalla camera di ripresa e – si badi -sempre presente anche nelle camere migliori con intensità variabile.

Se la sottrazione del dark e del flat per riprese ordinarie b/n e a colori può considerarsi superflua per gran parte delle riprese planetarie, la dominante della camera diventa imperativo sottrarla. Basterà riprendere un breve filmato (meglio se con lo strumento) di uno schermo illuminato, ottenendone un’immagine pronta all’uso per ogni sessione che sottrarremo a quelle ottenute. Alcuni  software di elaborazione prevedono la sottrazione automatica, però non sempre sono efficaci operando in maniera non lineare.

La Luna presenta però una sua dominante di colore naturale, dovuta allo strato di regolite superficiale, che ne appiattisce l’aspetto e ne abbassa l’ampiezza cromatica delle formazioni. In fase di trattamento delle immagini, agendo sul controllo saturazione si ottiene un incremento scalare globale su tutto lo spettro, compresa la dominante: in altri termini, otterremo soltanto un’immagine più satura rispetto a quella di partenza che non evidenzia le differenze di tonalità a basso gradiente che costellano l’intera superficie selenica.

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Un frammento del mosaico precedente, prima e dopo il trattamento "Lunar Nirvana"

Da qui nasce l’idea – coronata da successo – di provare un trattamento non ordinario delle immagini lunari sottraendo proprio quel monotono colore superficiale. Ho fatto diverse prove, ma la procedura che mi è parsa migliore è la seguente:

  1. 1. Dopo la consueta elaborazione di base, ho creato una copia che ho sfocato in modo gaussianno in modo da ottenere un’immagine rappresentativa del colore dominante della Luna.
  2. 2. Con lo strumento contagocce (in ambiente Corel Paint Shop Pro X2, ma tutti i programmi di fotoritocco contemplano questa funzione) ho saggiato la parte più luminosa dell’immagine portandola alla stessa intensità con lo strumento riempimento.
  3. 3. L’immagine “dominante” è stata regolata abbassandone la luminosità di circa il 70% (converrà eseguire qualche prova) e sottratta all’immagine di partenza.
  4. Si noti che questo è un passaggio alquanto delicato e se non eseguito con il giusto dosaggio può introdurre artefatti, però è un passaggio obbligato per ottenere l’headroom (cioè l’aliquota di informazione) per il trattamento successivo.
  5. 4. All’immagine risultante si applica una o più volte un’amplificazione d’ampiezza spettrale (filtro “amplia istogramma”), fino a quando non inizieranno ad emergere ben evidenti i colori.
  6. 5. A seconda dei casi, si può applicare una regolazione del contrasto, altrimenti sarà sufficiente normalizzare per ottenere un’immagine con le caratteristiche dell’esempio che mostra il prima e il dopo trattamento.

La stessa procedura sarà valida anche per riprese in scala di grigi o monocromatiche.

In molti casi, insieme ad un incremento evidente del contrasto, si assiste  anche ad un piccolo incremento della risoluzione globale che farà piacere ai cultori delle riprese HiRes.

Con poca fantasia, ho denominato questa modalità d’elaborazione Lunar Nirvana, sia per le analogie concettuali con il Solar Nirvana molto in voga, sia perché è un processo che estroflette l’intimo aspetto del nostro Satellite.

Ptolomeus_Stitched

Gruppo Astrofili Rozzano

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08.09: “Telescopi ottici particolari” di Luigi Folcini.

Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Osservatorio Astronomico Naturalistico di Casasco

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08.09, 21:00: “Il ritorno su Marte”.

Per informazioni: info@astroambiente.org
www.astroambiente.org

Gruppo Amici del Cielo

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08.09, dalle 18:00 in poi: Conferenza “Il cielo notturno a 2000 metri di altezza”. A seguire: cena al rifugio quindi osservazione del cielo con gli strumenti del gruppo e pernottamento al rigugio.

Per informazioni contattare il
rifugio Cazzaniga: www.rifugiocazzaniga.it
E-mail: osservatorio@serafinozani.it www.astrofilibresciani.it

Gruppo Amici del Cielo

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09.09, dalle 10:00 in poi: osservazione del sole con gli strumenti del gruppo.
In caso di maltempo il Weekend sarà spostato al 22 e 23 settembre.

Per informazioni contattare il
rifugio Cazzaniga: www.rifugiocazzaniga.it
E-mail: osservatorio@serafinozani.it www.astrofilibresciani.it

ASTROINIZIATIVE UAI

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Tutti i primi venerdì del mese. Ore. 21:30 – 23:00, un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #4 Skylive.
Chiedere la password: www.skylive.it
http://telescopioremoto.uai.it/
http://www.uai.it

Al Planetario di Padova

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Il giovedì e la domenica alle 17:30, il venerdì e il sabato alle ore 21:00.
Per il programma di settembre consultare il sito del Planetario.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Associazione Astrofili Centesi

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07.09: Al telescopio: osservazione di Urano.

Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Al Planetario di Ravenna

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07.09: I Venerdì dell’A.R.A.R: “Astronomia amatoriale
e ricerca scientifica. La fotometria di precisione”
di Salvatore Tommaselli. Ingresso libero.

La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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07.09: “Introduzione alla fotografia astronomica”
di A. Soffiantini.

(prenotazioni allo 0302978672).

Di nuovo in azione le gemelle lunari

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Le due sonde gemelle della missione NASA GRAILorbitanti attorno alla Luna

Le due sonde gemelle della missione NASA GRAILorbitanti attorno alla Luna

Si chiamano Ebb e Flow, cioè “alta marea” e “bassa marea”, e da venerdì scorso sono entrate in una nuova fase della loro missione. Sono le due sonde gemelle che compongono la missione Gravity Recovery and Interior Laboratory (GRAIL), lanciata dalla NASA per studiare la gravità lunare e, attraverso questa, la struttura interna del nostro satellite naturale.

Alle 18 e 30 circa, ora italiana, di venerdì 31 agosto lo strumento scientifico a bordo di ognuna delle due sonde, il Lunar Gravity Ranging System, è stato acceso, dando ufficialmente il via alla seconda fase di raccolta dati della missione. In quel momento le due sonde stavano orbitando a circa 30 kilometri di altezza dall’Oceano delle Tempeste. La prima parte della missione era andata dal 1 Marzo al 29 Maggio.

La missione, che durerà fino al prossimo 3 dicembre, permetterà agli studiosi di studiare anche le minime variazioni della gravità lunare e in questo modo di scrutare centimetro per centimetro la struttura e la composizione interna della Luna. Ogni  cratere, montagna e canale verrà preso in considerazione.

Maria Zuber, responsabile della missione GRAIL per il MIT di Cambridge, ha affermato entusiasta che la prima missione  di Ebb e Flow, nello scorso marzo, ha permesso di mappare il suolo lunare con grande precisione  e con immagini ad alta risoluzione. Le due sonde voleranno all’altitudine più bassa e sicura possibile. Durante la precedente missione le due gemelle gravitavano a circa 55 chilometri dalla superficie lunare, mentre in questa fase della missione la distanza è stata più che dimezzata, arrivando a circa 23 chilometri. La distanza tre le due sonde, invece, varia leggermente a seconda della maggiore o minore gravità esercitata dal satellite, in presenza o meno, quindi, di rilievi montuosi o crateri.

“Le gemelle” ha detto David Lehman, il project manager del GRAIL presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena (California), “hanno resistito bene all’eclissi lunare dello scorso 4 giugno”.

I dati raccolti dalle sonde della NASA vengono trasmessi dall’una all’altra e da entrambe alla sala di controllo tramite segnali radio. Tramite queste informazioni gli studiosi saranno in grado di realizzare la più accurata mappa della gravità lunare mai realizzata.

Per saperne di più:

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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06.09, ore 21:00: “Le favole del cielo” una passeggiata astronomica nella Valle di Mompiano intervallata da letture recitate sui miti del cielo,in via Fontane 48, a Mompiano.

Congiunzione Luna Giove

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Congiunzione Luna Giove

Congiunzione Luna Giove

L’aspetto del cielo verso l’orizzonte est nelle primissime ore dell’8 settembre, quando la Luna all’ultimo quarto raggiungerà Giove nel mezzo delle corna del Toro.

La distanza angolare tra i due oggetti, inizialmente di 6°, si ridurrà fino ai 3° osservabili verso le 6:30, alle prime luci dell’alba.

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