Alla base del nuovo metodo vi è un’accurata analisi dei carotaggi di ghiaccio per individuare anomale abbondanze di nitrati e ammoniaca. Che un’elevata presenza di nitrati si possa ricollegare a impatti cosmici è un’idea già ben nota a chi si occupa di questi eventi, mentre è una novità assoluta il collegamento di un impatto cosmico con picchi di ammoniaca atmosferica. Secondo Melott la formazione di questo gas sarebbe riconducibile alle elevate pressioni e temperature associate agli impatti, condizioni che, unite alla notevole disponibilità di acqua nel caso in cui il proiettile cosmico sia una cometa, permetterebbero il verificarsi del cosiddetto processo Haber, un metodo comunemente utilizzato per produrre industrialmente l’ammoniaca che utilizza azoto e idrogeno come reagenti.
Per verificare questa ipotesi i ricercatori hanno analizzato i carotaggi di ghiacci corrispondenti a due possibili impatti cometari: il ben noto evento di Tunguska del 1908 e quello – ancora piuttosto dibattuto e risalente a 13 mila anni fa – conosciuto come Younger Dryas Event, un impatto ritenuto responsabile del crollo della cultura preistorica di Clovis nell’America del Nord. Ebbene, in entrambi i casi il gruppo di ricerca di Melott ha trovato l’evidenza che il processo Haber si sia davvero verificato su larga scala.
Permane ancora, però, qualche dubbio e sono gli stessi ricercatori a sottolinearlo. Poichè, solitamente, i carotaggi vengono campionati a intervalli di cinque anni, tale risoluzione non è la più adeguata per ricercare eventuali picchi di ammoniaca: gli eventi atmosferici, infatti, dissipano molto rapidamente la sua concentrazione.
Un campionamento più accurato, dunque, potrebbe ovviare a tale lacuna e il metodo proposto da Melott potrebbe rivelarsi davvero un ottimo strumento per ricostruire i passati impatti cometari con il nostro pianeta.