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A ritroso verso la materia oscura

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Visualizzazione 3D della distribuzione, così com’è stata ricostruita dai dati della survey Hst Frontier Fields, dei grumi di materia oscura in un ammasso di galassie lontane. Crediti: Yale University
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Visualizzazione 3D della distribuzione, così com’è stata ricostruita dai dati della survey Hst Frontier Fields, dei grumi di materia oscura in un ammasso di galassie lontane. Crediti: Yale University

Non sanno cosa sia. Non sanno che colore abbia. Non sanno se sia formata da particelle leggere o pesanti, calde o fredde. Della materia oscura non sanno quasi niente. Ma una cosa la sanno: esercita attrazione gravitazionale, proprio come tutta l’altra materia, quella che conosciamo, quella di cui siamo fatti. E tanto si sono fatti bastare per tracciarne mappe dettagliatissime, con una risoluzione fra le più elevate mai ottenute.

Stima della distribuzione della massa-energia nell'universo (rilevazioni del satellite Planck del 2013): Energia oscura, Materia oscura, Materia conosciuta. By Szczureq (Own work) CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.

Come ci sono riusciti? Sfruttando, appunto, quell’unica proprietà della quale sono certi: la forza gravitazionale. O meglio, la deformazione impressa dalla materia – normale o oscura che sia – sul tessuto dello spaziotempo. Deformazione alla quale, Einstein ci insegna, non sfugge nemmeno la luce, costretta a deviare dal suo percorso rettilineo in corrispondenza di grandi masse. Con effetti sorprendenti come quello – ben noto agli astronomi – della lente gravitazionale: una “lente d’ingrandimento” cosmica costituita non da vetro opportunamente molato bensì da enormi agglomerati di materia. Nel caso specifico, interi ammassi di galassie. Ammassi che – proprio come il vetro della lente – possono avere come effetto quello di convergere a favore di chi osserva i raggi di luce emessi da lontane sorgenti alle loro spalle.

Un effetto che, di solito, gli astronomi sfruttano per vedere meglio cosa c’è, dietro alla lente. Non in questo caso. Questa volta l’oggetto di studio, l’incognita, era la “lente” stessa. Conoscendone l’effetto atteso e assumendo di conoscere le sorgenti alle loro spalle, un team internazionale di astrofisici, guidato da Priyamvada Natarajan della Yale University, ha così potuto tracciare, procedendo a ritroso, la struttura di tre “lenti”: vale a dire, la mappa ad alta risoluzione della distribuzione della materia in tre ammassi di galassie. Materia costituita, se i modelli cosmologici sono corretti, per circa l’80 per cento dalla sua componente oscura.

Fra gli autori dello studio, pubblicato martedì su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, anche un ricercatore dell’Inaf di Bologna, Massimo Meneghetti.

Meneghetti, partiamo dall’inizio. Quali telescopi avete utilizzato?

«Il nostro lavoro è basato su una serie di osservazioni condotte dallo Hubble Space Telescope nell’ambito di una survey denominata “Hubble Space Telescope Frontier Fields”: si tratta di osservazioni cui Hubble ha dedicato una quantità di tempo paragonabile a quella spesa nelle osservazioni dei suoi campi più profondi, ad esempio lo Hubble Ultra-Deep-Field. Vale a dire che stiamo parlando di osservazioni tra le più profonde mai fatte. A differenza dello Hubble Ultra-Deep Field, tuttavia, i Frontier Fields sono centrati su alcuni ammassi di galassie, sei in totale».

L'ammasso di galassie A2744, in cui sono state identificate, grazie all'effetto di lente gravitazionale, 181 immagini originate da 61 galassie. Si tratta di unìimmagine a lunga esposizione ripresa dal Telescopio Spaziale Hubble.

Di che ammassi si tratta?

«Questi oggetti sono tra le strutture cosmiche più massicce che si possano osservare in cielo, e sono stati scelti perché sono delle potentissime lenti gravitazionali. La teoria della relatività generale ci spiega che le masse sono in grado di deflettere la luce in modo molto simile a quanto accade in un fenomeno di rifrazione, dando luogo a effetti quali la comparsa di immagini multiple di una stessa sorgente, distorsione della forma delle immagini e ingrandimenti (o rimpicciolimenti) di una sorgente. Questo fenomeno è detto “lensing gravitazionale”. Nei Frontier Fields, gli ammassi di galassie sono le lenti che agiscono da rifrattori su un gran numero di sorgenti retrostanti».

Ecco, le sorgenti retrostanti: cosa sapete di loro?

«Sono galassie molto lontane e, data la profondità delle osservazioni in questione, che permette di rivelare anche le sorgenti più deboli, nelle immagini degli Hubble Frontier Fields, ne stiamo rivelando un numero senza precedenti. Ad esempio, dietro all’ammasso A2744 sono state identificate 181 immagini originate da 61 galassie: 61 galassie che risultano quindi distorte dalla lente gravitazionale e rese visibili molteplici volte nella stessa immagine astronomica. Nel caso dell’ammasso MACSJ0416 sono state invece identificate 194 immagini multiple, originate da 68 galassie. Nel caso di MACSJ1149, infine, il numero di immagini è “solo” 65, originate da 22 galassie lontane».

A proposito d’immagini: quelle che avete ottenuto sono ricostruzioni a tre dimensioni della distribuzione della materia oscura. Non sono le prime che vediamo. Cos’hanno di nuovo?

Mappa 3D della distribuzione di materia oscura ottenuta combinando i dati di Hubble e del telescopio spaziale a raggi X XMM-Newton rilasciata nel 2007. Copyright NASA, ESA and R. Massey (California Institute of Technology)

«I numeri che elencavo prima sono senza precedenti. Poiché il lensing gravitazionale è dovuto alla massa della lente, è possibile utilizzare le immagini multiple e distorte, e la loro configurazione geometrica, per capire come la materia è distribuita all’interno degli ammassi lente, in particolare quella oscura, che sappiano esserne la componente dominante. L’alto numero di sorgenti distorte visibili nei Frontier Fields rende questi ammassi le lenti gravitazionali ideali per ottenere una mappatura accurata della materia oscura, anche sulle scale delle sue sottostrutture. La teoria della formazione delle strutture cosmiche ci dice infatti che gli ammassi di galassie si formano per aggregazione di oggetti più piccoli per attrazione gravitazionale. Questi oggetti, o “sotto-aloni”, mantengono una loro identità per una certa quantità di tempo anche quando sono stati conglobati negli ammassi. Nel nostro articolo discutiamo appunto delle masse di queste sottostrutture».

La distribuzione che ottenete, si legge nell’articolo, è compatibile con il modello Lambda-Cdm, il più diffuso, dove la sigla ‘Cdm’ sta appunto per cold dark matter: materia oscura fredda. Perché fredda?

«Quello che si intende per materia oscura fredda è una materia costituita da particelle con velocità non relativistiche. Viceversa, le particelle di materia oscura calda hanno velocita’ relativistiche. Quelle di materia oscura tiepida (warm) sono una via di mezzo. Questa distinzione ha una grande importanza per quanto riguarda la formazione delle strutture cosmiche: mentre nel caso della materia oscura fredda sono le strutture più piccole a formarsi per prime e poi si formano le più grandi, secondo un processo gerarchico, nel caso della materia calda o tiepida la formazione delle strutture piccole viene inibita, perché queste ultime si dissolvono a causa dell’alta velocità delle particelle, che la gravità non riesce a trattenere. Quindi, il fatto che si “vedano” sottostrutture di massa relativamente piccola all’interno delle mappe ottenute in questo studio è compatibile con uno scenario di materia oscura fredda».


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