Nell'immagine una rappresentazione artistica illustra la precessione "a rosetta" dell'orbita. L'effetto, noto come precessione di Schwarzschild, qui esagerato per rendere più comprensibile la visualizzazione, non era mai stato misurato prima per una stella attorno a un buco nero massiccio. Il risultato si è ottenuto grazie a misurazioni sempre più precise rilevate nell'arco di 3 decenni. Crediti: ESO/L. Calçada

Osservazioni effettuate con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO hanno rivelato per la prima volta che una stella in orbita intorno al buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea si muove proprio come previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein. L’orbita ha la forma di una rosetta e non di un’ellisse come previsto dalla teoria della gravità di Newton. Questo risultato tanto atteso è stato reso possibile da misure sempre più precise durate quasi 30 anni, che hanno permesso agli scienziati di svelare i misteri del colosso in agguato nel cuore della nostra galassia.

La maggior parte delle stelle e dei pianeti hanno un’orbita non circolare, e quindi si avvicinano e si allontanano dall’oggetto intorno al quale ruotano. L’orbita di S2 “precede”, nel senso che la posizione del punto più vicino al buco nero supermassiccio cambia a ogni giro, in modo tale che l’orbita successiva risulti ruotata rispetto a quella precedente, creando una forma a rosetta. La relatività generale prevede con esattezza di quanto cambi l’orbita e le ultime misure di questa ricerca corrispondono esattamente alla teoria. Questo effetto, noto come precessione di Schwarzschild, non era mai stato misurato prima per una stella intorno a un buco nero supermassiccio.

«La relatività generale di Einstein prevede che l’orbita di un oggetto legato gravitazionalmente a un altro non sia chiusa, come nella gravità newtoniana, ma preceda rispetto al piano del moto. Questo famoso effetto – osservato per la prima volta nell’orbita del pianeta Mercurio intorno al Sole – fu la prima prova a favore della Relatività Generale. Cento anni dopo abbiamo rilevato lo stesso effetto nel moto di una stella in orbita intorno alla sorgente radio compatta Sagittario A* al centro della Via Lattea. Questa svolta osservativa corrobora l’evidenza che Sagittario A* sia un buco nero supermassiccio di massa pari a 4 milioni di volte la massa del Sole», spiega Reinhard Genzel, direttore del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics (MPE) di Garching, Germania e architetto del programma trentennale che ha portato a questo risultato.

Questa simulazione mostra le orbite di stelle molto vicine al buco nero supermassiccio nel cuore della Via Lattea. Una di queste stelle, denominata S2, orbita ogni 16 anni ed è passata molto vicino al buco nero nel maggio 2018. Si tratta di un laboratorio perfetto per testare la fisica gravitazionale in ambienti estremi e in particolare la teoria della relatività generale di Einstein. Crediti: ESO/L. Calçada/spaceengine.org

A 26.000 anni luce dal Sole, Sagittarius A* e il denso ammasso di stelle che lo circonda costituiscono un laboratorio unico per verificare la fisica in un regime di gravità estremo, altrimenti inesplorato. Una di queste stelle, S2, si avvicina al buco nero supermassiccio a una distanza minima di meno di 20 miliardi di chilometri (centoventi volte la distanza tra il Sole e la Terra), rendendola una delle stelle più vicine mai trovate in orbita intorno al massiccio gigante. Al suo passaggio più ravvicinato al buco nero, S2 sfreccia nello spazio a una velocità pari a quasi il tre percento della velocità della luce, completando un’orbita ogni 16 anni.

«Dopo aver seguito la stella nella sua orbita per quasi tre decenni, le nostre misure molto precise rilevano in modo efficace la precessione di Schwarzschild di S2 nel suo percorso intorno a Sagittarius A*», afferma Stefan Gillessen dell’MPE, che ha guidato l’analisi delle misure pubblicate oggi dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

Un timelapse dell'”avvicinamento” di S2 a Sgrt* A nel maggio 2018, ripresa dallo strumento GRAVITY. Crediti: ESO/GRAVITY Collaboration

Lo studio effettuato con il VLT dell’ESO aiuta gli scienziati anche a comprendere meglio i dintorni del buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia.

«Poiché le misure di S2 seguono così bene la relatività generale, possiamo fissare limiti rigorosi su quanto materiale non visibile, come della materia oscura diffusa oppure buchi neri più piccoli, sia presente intorno a Sagittarius A*. Tutto ciò è di grande interesse per capire la formazione e l’evoluzione dei buchi neri supermassicci», spiegano Guy Perrin e Karine Perraut, scienziati francesi convolti nel progetto.

Questo risultato è il culmine di 27 anni di osservazioni della stella S2 utilizzando, per la maggior parte di questo tempo, una compagine di strumenti installati sul VLT dell’ESO, situato nel deserto di Atacama in Cile. Il numero di dati che individuano la posizione e la velocità della stella attesta la completezza e l’accuratezza della nuova ricerca: l’equipe ha effettuato oltre 330 misure in totale, utilizzando gli strumenti GRAVITYSINFONINACO. Poiché S2 impiega alcuni anni per compiere la propria orbita intorno al buco nero supermassiccio, è stato fondamentale seguire la stella per quasi tre decenni, al fine di svelare le complessità del moto orbitale.

Una panoramica in luce visibile mostra la vasta quantità di stelle nella costellazione del Sagittario, in direzione del centro della Via Lattea. Un enorme numero di stelle che riempiono l'immagine, ma molte di più sono quelle nascoste dietro alle nubi di polvere e vengono rivelate solo da immagini in luce infrarossa. L'immagine è stata prodotta a partire da fotografie ottenute con luce blu e rossa che fanno parte della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Il campo di vista è di circa 3,5 gradi x 3,6 gradi. Crediti: ESO and Digitized Sky Survey 2. Acknowledgment: Davide De Martin and S. Guisard (www.eso.org/~sguisard)

La ricerca è stata condotta da un’equipe internazionale guidata da Frank Eisenhauer dell’MPE con collaboratori provenienti da Francia, Portogallo, Germania ed ESO. L’equipe forma la collaborazione GRAVITY, che prende il nome dallo strumento sviluppato per l’interferometro del VLT, che combina la luce di tutti e quattro i telescopi da 8 metri del VLT in un super-telescopio (con una risoluzione equivalente a quella di un telescopio di 130 metri di diametro).

La stessa squadra ha pubblicato nel 2018 un altro effetto previsto dalla relatività generale: hanno osservato che la lunghezza d’onda della luce di S2 veniva allungata a lunghezze d’onda più lunghe quando la stella passava vicino a Sagittarius A*. «Il nostro risultato precedente ha dimostrato che la luce emessa dalla stella obbedisce alla relatività generale. Ora abbiamo dimostrato che la stella stessa è soggetta agli effetti della relatività generale», afferma Paulo Garcia, ricercatore presso il Centro portoghese di astrofisica e gravitazione e uno dei principali scienziati del progetto GRAVITY.

Con il futuro ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, l’equipe ritiene di essere in grado di vedere stelle molto più deboli in orbite ancora più vicine al buco nero supermassiccio. «Se siamo fortunati, potremmo catturare stelle abbastanza vicine da risentire addirittura della rotazione, lo spin, del buco nero», commenta Andreas Eckart dell’Università di Colonia, un altro dei principali scienziati del progetto. Ciò significherebbe che gli astronomi sarebbero in grado di misurare le due quantità, spin e massa, che caratterizzano il buco nero di Sagittarius A* e definire lo spazio e il tempo intorno a esso. «Sarebbe nuovamente una verifica della relatività a un livello completamente diverso», conclude.

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