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Eta Carinae, culla di raggi cosmici

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La grande esplosione di Eta Carinae, negli anni ’40, ha creato la nebulosa Homunculus, che vediamo in questa immagine ripresa da Hubble. Alla distanza di circa un anno luce, la nube in espansione contiene abbastanza materiale da dare vita ad almeno 10 copie del nostro Sole. Credito: NASA, ESA e il team ERO di Hubble SM4

Un nuovo studio che utilizza i dati del telescopio spaziale NuSTAR della NASA suggerisce che Eta Carinae, il sistema stellare più luminoso e massiccio entro 10.000 anni luce, sta accelerando particelle ad alta energie, alcune delle quali potrebbero raggiungere la Terra sotto forma di raggi cosmici.

«Sappiamo che le onde d’urto delle stelle esplose possono accelerare le particelle dei raggi cosmici a velocità vicine a quelle della luce, un incredibile impulso di energia», spiega Kenji Hamaguchi, astrofisico del Goddard Space Flight Center della NASA e autore principale di lo studio. «Processi simili devono verificarsi anche in altri ambienti estremi. Il nostro studio ci dice che Eta Carinae è uno di questi».

Sappiamo ormai che i raggi cosmici con energie superiori a 1 miliardo di elettronvolt (eV) arrivano fino a noi da ben oltre il nostro sistema solare, ma trattandosi di particelle – elettroni, protoni e nuclei atomici – portatori di carica elettrica, vengono deviate quanto incontrano dei campi magnetici. Questo scombina i loro percorsi rendendo difficile identificarne l’origine.

Eta Carinae, situata a circa 7.500 anni luce di distanza nella costellazione meridionale della Carina, è famosa per un’esplosione, durante il diciannovesimoo secolo, che per breve tempo l’ha resa la stella più luminosa del cielo. Da questo evento si è anche creata una enorme nebulosa a forma di clessidra, ma la causa dell’esplosione è ancora incerta. Il sistema infatti è formato da una coppia di stelle massicce le cui orbite eccentriche le portano insolitamente vicine ogni 5,5 anni. Le stelle contengono 90 e 30 volte la massa del nostro Sole e passano a 225 milioni di chilometri di distanza nel momento in cui sono più vicine – all’incirca la distanza media che separa Marte e il Sole.

«Entrambe le stelle di Eta Carinae emettono potenti flussi chiamati venti stellari», spiega Michael Corcoran, parte del team sempre al Goddard. «Il punto in cui questi venti interferiscono cambia durante il ciclo orbitale, e produce un segnale periodico nei raggi X a bassa energia che stiamo tracciando da più di due decenni».

Il telescopio spaziale a raggi gamma Fermi della NASA osserva ha osservato anche un cambiamento nei raggi gamma – in una sorgente come Eta Carinae, la luce accumula molta più energia dei raggi X. Ma la vista di Fermi non è così acuta come i telescopi a raggi X, quindi gli astronomi non sono riusciti a confermare la connessione.

Per colmare il divario tra il monitoraggio a raggi X a bassa energia e le osservazioni di Fermi, Hamaguchi e i suoi colleghi si sono quindi rivolti a NuSTAR. Lanciato nel 2012, NuSTAR può rilevare raggi X di energia molto maggiore rispetto a qualsiasi telescopio precedente. Utilizzando quindi sia i nuovi dati acquisiti che quelli archiviati, il team ha esaminato le osservazioni NuSTAR tra il marzo 2014 e giugno 2016, insieme alle osservazioni a raggi X a energia più bassa del satellite XMM-Newton dell’Agenzia spaziale europea sempre nello stesso periodo.

Un immagine artistica del telescopio spaziale NuStar della NASA. Crediti: NASA

I raggi X di Eta Carinae a bassa energia, o “morbidi”, provengono dal gas nella zona in cui i venti stellari si scontrano, dove le temperature superano i 40 milioni di gradi Celsius. Ma NuSTAR ha rilevato una sorgente che emette raggi X sopra i 30.000 eV, circa tre volte più potenti di quelli che possono essere spiegati dall’azione delle onde d’urto nei venti in collisione (per confronto, l’energia della luce visibile varia da circa 2 a 3 eV!).

Lo studio, pubblicato lunedì 2 luglio su Nature Astronomy, dimostra che questi raggi “duri” variano con il periodo binario dell’orbita e mostrano un modello di produzione di energia simile a quello dei raggi gamma osservati da Fermi.

Eta Carinae brilla nei raggi X in questa immagine dall’Osservatorio a raggi X Chandra della NASA. I colori indicano  le diverse energie. Il rosso si estende da 300 a 1.000 elettronvolt (eV), il verde varia da 1.000 a 3.000 eV e il blu da 3.000 a 10.000 eV. Per confronto, l’energia della luce visibile varia da circa 2 a 3 eV. Le osservazioni  di NuSTAR (in verde) rivelano una fonte di raggi X con energie circa tre volte superiori a quelle rilevate da Chandra.  Crediti: NASA/CXC and NASA/JPL-Caltech

La migliore spiegazione sembra essere, sia per l’emissione di raggi X sia per l’emissione di raggi gamma, l’accelerazione di elettroni nelle violente onde d’urto lungo il confine dei venti stellari in collisione. I raggi X rilevati da NuSTAR e i raggi gamma rilevati da Fermi deriverebbero quindi dalla luce stellare a causa di un enorme aumento di energia dovuto all’interazione con questi elettroni.

Alcuni di questi elettroni superveloci, così come accade a qualsasi altra particella accelerata, sfuggono dal sistema e probabilmente alcuni alla fine arrivano fin sulla Terra, dove possono essere rilevati come raggi cosmici.

«Sapevamo da tempo che la regione attorno a Eta Carinae era fonte di emissione in raggi X e raggi gamma ad alta energia», conclude Fiona Harrison, PI di NuSTAR e professoressa di astronomia al Caltech di Pasadena , California. «Ma finché NuSTAR non è stato in grado di darci la direzione della radiazione, dimostrare che proveniva dal sistema binario e permetterci di studiarne le proprietà in dettaglio, l’origine era ancora un mistero». Ora risolto…

Per ulteriori informazioni su NuSTAR, visita:

https://www.nasa.gov/nustar

http://www.nustar.caltech.edu