Indice dei contenuti
Bentornati su Marte nella sezione News da Marte #31!
Bentornati su Marte! In questo nuovo appuntamento della rubrica ci sono aggiornamenti che interessano i due rover NASA Perseverance e Curiosity. Il primo sta esplorando delle aree a ovest del cratere Jezero e ha scoperto dei materiali di estremo interesse mentre il secondo, in modo decisamente fortuito, ha trovato dei materiali molto particolari all’interno di una roccia. Iniziamo le nostre cronache proprio con Curiosity, si parte!
Il primo zolfo puro rinvenuto su Marte
È stato con grande stupore che gli scienziati hanno rilevato una scoperta fatta dal veterano dei rover marziani (a proposito, il 5 agosto è ricorso il 12esimo anniversario dell’atterraggio di Curiosity sul Pianeta Rosso). Il 30 maggio il robot si stava spostando quando una delle sue ruote è passata sopra una roccia che si è frantumata mettendo in evidenza dei particolari cristalli gialli. La roccia è stata denominata “Convict Lake”, e le successive analisi sui cristalli eseguite con lo spettrometro APXS hanno rivelato qualcosa di mai osservato prima su Marte: zolfo puro.
Da ottobre 2023, ovvero da quando ha iniziato la sua avanzata all’interno del canale chiamato Gediz Vallis, Curiosity ha incontrato spesso dei composti chiamati solfati. La regione abbonda di questi sali (costituiti da zolfo legato con altri elementi) i quali si sono formati quando l’acqua che li ospitava è evaporata. La formazione di cristalli di zolfo puro richiede invece condizioni differenti e molto particolari che gli scienziati non ritenevano potessero essersi verificate in questa regione. Sulla Terra sono per esempio coinvolti processi vulcanici e attività idrotermale.
Di zolfo sembra essercene davvero parecchio qui in quanto Curiosity ha documentato un intero campo di rocce brillanti analoghe a quella frantumata. “Scoprire cose strane e inaspettate è ciò che rende emozionante l’esplorazione planetaria” ha commentato Ashwin Vasavada, scienziata che lavora alla missione. “Un campo di pietre fatte di puro zolfo non dovrebbe trovarsi là, perciò ora dobbiamo trovare una spiegazione”.
Gediz Vallis è uno dei principali motivi per cui il team scientifico ha scelto di atterrare in questa zona di Marte. Si pensa che il canale sia stato scavato da flussi di acqua liquida e detriti che hanno lasciato creste di massi e sedimenti che si estendono per quasi tre km e mezzo lungo il versante della montagna al di sotto del canale. L’obiettivo attuale è comprendere meglio come questo paesaggio sia cambiato miliardi di anni fa e, sebbene le recenti scoperte abbiano aiutato, c’è ancora molto da svelare. Le ultime osservazioni di Curiosity sembrano indicare che due fenomeni abbiano alternativamente plasmato la regione. Da una parte violenti flussi alluvionali, testimoniati da rocce smussate e arrotondate portate dall’acqua, dall’altra frane avvenute in un ambiente asciutto le cui prove sono rocce dai bordi netti e angolati. Le reazioni chimiche avvenute in ambiente umido hanno modificato la chimica delle rocce e infine l’azione di vento e sabbia ha continuato a sagomare il paesaggio.
Un prelievo di roccia, il 41esimo per Curiosity, è stato eseguito il 18 giugno sulla roccia “Mammoth Lakes”. Le rocce di zolfo sono estremamente fragili per lo strumento di campionamento del rover, perciò l’operazione ha richiesto qualche attenzione extra sia nella ricerca di una roccia con caratteristiche adatte che nell’operazione di “parcheggio” di Curiosity in modo che esso risultasse stabile e non a rischio di scivolare. I materiali sono stati poi depositati negli strumenti del rover per analisi dettagliate e i risultati aiuteranno gli scienziati a decifrare la storia geologica di questa regione.
Da giugno il rover si è ormai allontanato dall’area del prelievo su “Mammoth Lakes” e si è spostato verso sud percorrendo poco più di 100 metri. Tante nuove foto e anche un ulteriore campionamento di roccia stanno tenendo impegnato Curiosity mentre procede nell’ascesa verso Aeolis Mons, il rilievo di 5500 metri che svetta all’interno del Cratere Gale, con ogni strato della montagna che rappresenta un diverso periodo nella storia di Marte.
Macchie di leopardo per Perseverance
A circa 3700 km di distanza dal Cratere Gale continuano le investigazioni dell’altro rover messo in campo dalla NASA e che sta esplorando il bordo ovest del Cratere Jezero. Nel numero 269 di Coelum Astronomia avevamo lasciato Perseverance poco dopo il suo arrivo a “Bright Angel”, la località caratterizzata da rocce chiare situata a nord di Neretva Vallis. Quest’ultimo è il canale sabbioso largo 400 metri dove un tempo scorreva un impetuoso fiume che alimentava il lago all’interno di Jezero.
L’abrasione del Sol 1179 (13 giugno), come ipotizzato, ha preceduto un prelievo vero e proprio che è stato eseguito a metà luglio nel punto più a nord raggiunto dal rover, dove l’argine del canale si eleva diventando quasi invalicabile. È qui che, nelle settimane antecedenti il momento del prelievo, una serie di osservazioni ha prodotto uno dei più importanti risultati della missione fino a questo momento. Facciamo un passo indietro e vediamo con ordine le scoperte fatte dal rover a “Bright Angel”.
Il 23 giugno, durante un breve spostamento all’interno dell’area, Perseverance incontra una formazione molto interessante sopra una roccia con dimensioni 100×60 cm che viene battezzata Cheyava Falls.
La roccia è percorsa da vene bianche parallele tra loro composte da solfato di calcio con inglobati qua e là cristalli di olivina, un minerale dalle tonalità verdi che si forma nelle rocce magmatiche. In mezzo alle vene bianche viene individuato del materiale rossastro che indica la presenza di ematite, uno dei composti che conferiscono alla superficie a Marte il suo caratteristico colore. La porzione di ematite è costellata di piccoli puntini con dimensioni nell’ordine di pochi millimetri, con contorni scuri e irregolari che racchiudono zone di colore chiaro. Questa conformazione e colorazione è ciò che ha ispirato gli scienziati che li hanno denominati “macchie di leopardo”.
Una serie di scansioni con lo strumento SHERLOC (ebbene sì, ha ripreso a funzionare ma lo vediamo dopo) ha dimostrato in modo molto convincente che le rocce di Cheyava Falls contengono composti organici. Questa rilevazione si aggiunge a due dati importanti: il primo è il fatto, praticamente assodato vista la quantità di indicazioni in questo senso, che qui anticamente scorreva abbondante acqua. Il secondo dato è fornito dalle “macchie di leopardo”.
Si ritiene che siano state delle reazioni chimiche a trasformare l’ematite da rossa a bianca con il rilascio di ferro e fosfati che sono andati a formare l’alone scuro documentato nelle immagini della camera WATSON. Tali reazioni chimiche sono ben note sulla Terra, ed è appurato che possono essere usate come fonte di energia da forme di vita batterica fornendo una correlazione molto forte tra la presenza di microbi e questo tipo di formazioni nelle rocce sedimentarie. In un colpo solo quindi Cheyava Falls si è rivelata essere la scoperta più importante eseguita fino a questo momento da Perseverance.
Inizia la scienza di contatto
Le investigazioni proseguono con un’abrasione che viene eseguita nel Sol 1191 (26 giugno). Il masso investigato non è però quello interessato dalle precedenti analisi ma uno collocato a fianco a Cheyava Falls, poco più in alto rispetto alla prospettiva del rover, che viene denominato Steamboat Mountain.
Una documentazione fotografica di grande dettaglio viene acquisita dalla camera WATSON sia di giorno che di notte. Questo strumento fotografico è infatti dotato di sei illuminatori a LED che producono luce bianca e negli ultravioletti. Lunghezze d’onda ad alta energia quali gli UV sono usate per rilevare i fenomeni di fluorescenza propri di alcuni minerali.
Dopo una breve deviazione alcuni metri verso est che lo impegna per non più di cinque giorni, il rover torna sui suoi passi il 17 luglio (Sol 1211) ed è pronto per proseguire le indagini sul masso Cheyava Falls. Si inizia con una fresatura della roccia che espone il materiale interno e in corrispondenza della porzione abrasa permette agli scienziati di continuare a comprendere le caratteristiche eccezionali illustrate nel paragrafo precedente. Gli strumenti impiegati sono le MastCam-Z, SuperCam, WATSON, SHERLOC e PIXL. Ciascuno di essi indaga un diverso aspetto del materiale per fornire una visione d’insieme ma, inevitabilmente, limitata. Tale limite è dettato dalla dimensione e dal peso degli strumenti che il rover ha potuto portare con sé sul Pianeta Rosso. Per andare oltre servirebbe portare queste rocce in laboratori specializzati, ma per fortuna Perseverance è attrezzato per questo obiettivo.
Il trapano di cui è dotato, in combinazione con un set di particolari punte che ormai conosciamo bene, permette al rover di estrarre piccoli carotaggi di roccia. Dopo l’interesse suscitato da questo masso era inevitabile che gli scienziati intendessero prelevarne un campione, e il rover è stato messo in azione il 21 luglio (Sol 1215). Il campione viene sigillato nella sua fiala lo stesso giorno del prelievo, misura 62 mm e viene denominato “Sapphire Canyon”. Si tratta del 22esimo campione di roccia raccolto sinora dal rover e quello appena chiuso è il 25esimo contenitore impiegato. Infatti, oltre a quelli rocciosi, Perseverance ha raccolto due campioni di sabbia a dicembre 2022 e un campione di aria ad agosto 2021.
Lo stato di Mars Sample Return e la scala CoLD
Come ben sanno i lettori di questa rubrica, il prelievo di campioni per il loro invio verso la Terra è una delle parti più importanti della missione Mars 2020 e costituisce il primo passaggio nell’ambito del progetto ampio (e molto più complesso) chiamato ‘Mars Sample Return’. I campioni di sabbia e roccia che Perseverance sta raccogliendo durante la sua esplorazione del Cratere Jezero vengono sigillati all’interno di piccole fiale di titanio. Questi contenitori saranno poi affidati nell’ordine: a un lander per raccolta e manipolazione; a un piccolo razzo che li porterà in orbita marziana; infine a un orbiter che da Marte tornerà verso la Terra con il contenitore dei campioni, affidando agli scienziati attuali e alle future generazioni il compito di svelare i segreti del Pianeta Rosso. Data prevista di fine missione circa entro metà del prossimo decennio, a patto che la NASA riesca nell’obiettivo di revisione della missione per ridurre i costi e velocizzare il termine delle operazioni (questa fase è descritta in maggior dettaglio in ‘Bentornati su Marte’ del numero 268 di Coelum Astronomia). L’agenzia statunitense ha terminato da alcuni mesi la fase in cui attendeva input da privati e centri NASA per modificare gli aspetti più critici della Mars Sample Return, e un resoconto è atteso per l’inizio dell’autunno. In quel momento comprenderemo meglio il futuro della missione e capiremo se davvero, come auspichiamo da anni con fiducia, i ricercatori potranno mettere le mani sui campioni per svelare eventuali tracce di passata vita batterica su Marte.
Del resto Cheyava Falls, il masso oggetto della cronaca che state leggendo, si è rivelato sinora il più promettente e tantissimi scienziati sono elettrizzati dai risultati preliminari delle sue analisi. Ma, al momento, quanto è probabile la rilevazione di possibile vita microbica extraterrestre sulla base delle informazioni disponibili?
Gli astrobiologi hanno sviluppato la scala CoLD (Confidence of Life Detection) per indicare con quanta probabilità un determinato campione possa essere associato a forme di vita, passata o presente. La scala si compone di sette gradini che vanno dalla ‘rilevazione del possibile segnale’ allo step finale che è la ‘conferma indipendente’. Ci sono passaggi intermedi come per esempio ‘esclusione di contaminazioni’, ‘esclusione di processi non biologici’ o ‘segnali aggiuntivi indipendenti’, tutti pensati in accordo con il metodo scientifico con lo scopo di non dare nulla per scontato. Data l’eco che la loro scoperta ha generato, potremmo essere portati a pensare che le rilevazioni su Cheyava Falls si collochino su una posizione di rilevo della scala CoLD, ma sono stati gli stessi scienziati che lavorano con Perseverance a stemperare gli entusiasmi. Siamo infatti ancora sul primo gradino, vale a dire il semplice rilevamento di un elemento d’interesse. Esistono alcuni processi non biologici che potrebbero aver generato queste ‘macchie di leopardo’ osservate sull’ematite tra i quali l’esposizione a temperature elevatissime, incompatibili con la vita, e che fornirebbero una spiegazione alla presenza dell’olivina la quale ha appunto origine magmatica.
Perseverance si scatta un nuovo selfie
Forse grazie all’agenda di attività un po’ più libera del solito o forse per celebrare la scoperta di questo masso così interessante e il successo del campionamento, il 24 luglio Perseverance si scatta un selfie. Per la maggior parte di noi umani si tratta ormai di un’operazione quasi banale ma su Marte, a centinaia di milioni di km di distanza e con un robot di una complessità spaventosa, non esistono operazioni semplici.
Perseverance impiega 46 minuti per scattare 62 immagini con la camera WATSON installata sul braccio robotico. Seguendo una sequenza di dettagliate istruzioni stilate dai tecnici del Jet Propulsion Laboratory, il rover muove il suo arto come in una precisissima coreografia nel corso della quale orienta lo stretto campo visivo della camera in tutte le direzioni attorno a sé. La finezza migliore è riservata per i momenti in cui il braccio rischierebbe di finire all’interno dell’inquadratura: con ulteriori acrobazie permesse dai cinque snodi di cui esso è dotato, Perseverance riesce a portare a termine una panoramica di 180° nella quale sembra che la foto sia stata fatta da qualcuno là su Marte a fianco al rover. Con una piccola variazione di appena tre foto è stata elaborata una versione alternativa dell’immagine riportata su queste pagine, dove sembra che il rover, invece di guardare in camera, stia ammirando con compiacimento il lavoro che ha eseguito sulla roccia al suolo.
Combinando i singoli scatti nel modo opportuno, e soprattutto posizionandoli nel punto corretto del mosaico finale, possiamo anche renderci conto dell’ordine nel quale il rover abbia “scansionato” il paesaggio attorno a sé. Ve lo mostro in questo video che ho realizzato. La proiezione è diversa da quella usata dalla NASA perché le opzioni sono numerose quando si desidera di passare da una ripresa panoramica a una rappresentazione su un piano, ciascuna con i suoi pro e contro.
Dopo il prelievo e questo simpatico selfie sembra che per Perseverance non ci sia altro da studiare in questa regione, Bright Angel, che ha rispettato appieno le attese degli scienziati. Il rover può così tornare indietro verso il centro di Neretva Vallis e riprendere la sua strada verso sud-ovest dove inizierà la prossima parte della sua missione.
Un nuovo capitolo di esplorazione a Jezero
Quattro campagne scientifiche completate, tre anni e mezzo di esplorazione del fondo di Jezero e del delta del fiume, quasi 28 km percorsi e 22 campioni di roccia raccolti. Con questi numeri e i suoi strumenti scientifici in eccellenti condizioni operative Perseverance ha iniziato a fine agosto il quinto capitolo di esplorazione, la Crater Rim Campaign, che lo vedrà raggiungere il bordo occidentale del cratere. Lo attendono probabilmente i terreni più ripidi affrontati finora, con pendenze che arriveranno a 23° di inclinazione richiedendo la massima attenzione da parte dei piloti e ottime prestazioni dell’autonavigatore. Le regioni di maggiore interesse che il team scientifico intende esplorare sono state individuate in “Pico Turquino” e “Witch Hazel Hill”.
Il percorso verso la prima di queste regioni dista 1.8 km da “Serpentine Rapids”, l’area dove Perseverance si trovava a metà agosto, e richiederà al rover di risalire un primo dislivello di 300 metri. Nelle immagini satellitari “Pico Turquino” mostra fratture che potrebbe essere state causate da un’antica attività idrotermale. Le osservazioni orbitali di “Witch Hazel Hill” documentano invece possibili stratificazioni di materiali risalenti a un’epoca molto antica, quando il clima marziano era profondamente diverso rispetto a quello attuale. Questa zona, situata circa 1700 metri a ovest di “Pico Turquino” e ulteriori 250 metri più in alto, presenta un substrato roccioso chiaro simile a quello incontrato a “Bright Angel”, il che fa ipotizzare che anche qui potrebbero venir rilevate strutture e biosignature chimiche analoghe, generate forse miliardi di anni fa da batteri in presenza di acqua corrente.
I campioni finora raccolti da Perseverance hanno già offerto informazioni scientifiche di grande valore, ma la missione intravede altre scoperte all’orizzonte. “I campioni attuali rappresentano una raccolta di enorme interesse scientifico, ma esplorare il bordo del cratere ci offrirà l’opportunità di ottenere ulteriori campioni che potrebbero rivelarsi cruciali per comprendere la storia geologica di Marte,” ha dichiarato la scienziata Eleni Ravanis, membro del team Mastcam-Z di Perseverance e uno dei leader scientifici della Crater Rim Campaign. “In particolare ci aspettiamo di analizzare rocce provenienti dalla crosta marziana più antica. Queste rocce si sono formate attraverso una moltitudine di processi geologici, e alcune potrebbero rappresentare ambienti antichi, potenzialmente abitabili, che non sono mai stati esaminati da vicino prima d’ora.”
Ma raggiungere la cima del cratere non sarà un’impresa semplice. Perseverance dovrà seguire un percorso studiato dai tecnici per ridurre al minimo i rischi, pur offrendo al team scientifico delle opportunità di ricerca. Durante la prima parte dell’ascesa il rover guadagnerà circa 300 metri di altitudine raggiungendo la sommità in un’area che il team scientifico ha battezzato “Aurora Park”.
Da lì, a centinaia di metri sopra un vasto cratere di 45 chilometri di diametro, Perseverance sarà pronto per iniziare il prossimo capitolo della sua esplorazione.
Un oceano di acqua sotterranea all’interno di Marte?
Impiegando i dati acquisiti dal lander InSight della NASA, nel corso dei quali ha rilevato e misurato migliaia di piccoli sismi, un gruppo di ricercatori delle Università di San Diego e Berkley sono giunti alla conclusione che l’interno della crosta marziana potrebbe ospitare quantità enormi di acqua a profondità comprese tra 11.5 e 20 km. Fratture e porosità delle rocce ignee all’interno del pianeta, saturate di acqua, fornirebbero la migliore giustificazione ai dati rilevati dalla sonda. La quantità d’acqua che permea le rocce sarebbe tale da poter ricoprire l’intero pianeta con un immenso oceano profondo circa 1.5 km. Questa scoperta non solo arricchisce la nostra comprensione del ciclo dell’acqua marziano, ma offre anche nuove prospettive su come il clima di Marte sia cambiato drasticamente. La possibilità che parte dell’acqua marziana sia rimasta intrappolata nella crosta, piuttosto che evaporare completamente nello spazio, potrebbe aiutare a risolvere il mistero di come il pianeta abbia perso la sua atmosfera e si sia trasformato da un mondo potenzialmente abitabile a un deserto gelido. Sebbene l’accesso a queste riserve d’acqua sia attualmente fuori dalla nostra portata, lo studio apre la possibilità che tali ambienti profondi possano ospitare forme di vita microbica, analogamente a quanto osservato nelle miniere e negli oceani profondi sulla Terra. I risultati della ricerca potrebbero influenzare la pianificazione delle future missioni su Marte, indirizzando l’attenzione verso l’esplorazione del sottosuolo. La possibilità di trovare acqua liquida a grandi profondità potrebbe portare a missioni mirate a sondare queste zone e, in futuro, a sviluppare tecnologie in grado di sfruttare queste risorse che potrebbero rivelarsi cruciali per la colonizzazione del pianeta.
La roccia Old Faithful Geyser, così come i tre prelievi che l’hanno preceduta eseguiti lungo la Marginal Unit (Pelican Point, Lefroy Bay e il più recente Comer Geyser), si conferma ricca di carbonati. Ma ci sono alcune differenze nel modo in cui i grani sono cementati all’interno che rendono ciascuna roccia, in un certo senso, unica. La spiegazione potrebbe risiedere nei meccanismi di formazione o in differenti processi di alterazione. Lo studio di questa nuova roccia è stato pensato per integrare le analisi sinora a disposizione degli scienziati in modo da espandere i campionamenti man mano che Perseverance si muove verso ovest e servirà a comprendere se le rocce carbonatiche lungo il percorso siano formate tramite processi sedimentari, vulcanoclastici o ignei.
L’osservazione di Old Faithful Geyser non si è fermata all’imaging esterno ma ha impiegato anche lo strumento PIXL, lo spettrometro a raggi X installato sul braccio robotico, che ha analizzato l’interno della roccia per mappare la dimensione e distribuzione dei grani della roccia. Anche questo rilievo sarà confrontato con quelli analoghi eseguiti nelle settimane passate.
Perseverance mette il turbo
Dopo aver completato il percorso a ostacoli schivando massi e sabbia lungo l’Unità Marginale e procedendo per questa ragione a rilento, i piloti della NASA vedono finalmente tra le dune uno spiraglio verso nord che permetta al rover di accedere all’interno di Neretva Vallis senza pericoli. Il rischio di insabbiarsi era prima d’ora talmente concreto che è stato accettato di perdere tempo con la lenta traversata sulle rocce della West Marginal Unit.
Il Sol 1162 (27 maggio) Perseverance si è così potuto insinuare verso nord attraverso Dunraven Pass, muovendosi per la notevole distanza di 200 metri e ricordandoci delle sue vere potenzialità messe in ombra nelle precedenti settimane: la tratta unica più lunga era stata di 90 metri, ma mediamente ogni spostamento (o drive, come li chiamano i tecnici) non ha superato i 30.
Il rover giunge al centro dalla valle sabbiosa un tempo costituente il letto del fiume che fluiva verso est in direzione del cratere Jezero. Dalla posizione indicata con il marker rosso a destra nella mappa numero 2 Perseverance esegue una serie di scatti con le MastCam-Z per comporre un mosaico di Mount Washburn, il rilievo che si erge all’interno di Neretva Vallis ben visibile nelle immagini satellitari e che il rover inquadra guardando verso est. Gli scienziati avevano già osservato la regione da lontano cogliendo alcune peculiarità nella composizione e trama delle rocce e appena l’occasione si presenta decidono di indagare ulteriormente.
Il risultato è indubbiamente un bel panorama ma c’è qualcosa di più che salta all’occhio anche ai meno esperti: al centro dell’immagine si staglia un masso alto circa 40 cm eccezionalmente brillante con delle macchie scure. Viene battezzato “Atoko Point” dal nome di un rilievo a est del Grand Canyon in Arizona.
È noto che impetuosi fiumi, su Marte come sulla Terra, siano stati in grado di trasportare materiale verso valle anche per lunghe distanze, e il masso qui inquadrato sembra provenire davvero da molto lontano. Peraltro non è l’unico con una superficie così chiara in quanto ingrandendo l’immagine se ne scorgono anche altri. Potrebbe essere una piccola anteprima di ciò che attende il rover nei prossimi mesi e anni di missione, o addirittura provenire da regioni che Perseverance non raggiungerà mai.
I tecnici non si fanno sfuggire l’occasione di investigare più nel dettaglio “Atoko Point” e lo fanno con ulteriori zoom della MastCam-Z e con la SuperCam, quest’ultima impiegata anche con il suo laser vaporizzatore per indagare la chimica del masso.
Finalmente Bright Angel
Dopo l’osservazione di Mount Washburn Perseverance non ha fatto altre tappe e ha proceduto spedito prima leggermente verso nord a toccare “Tuff Cliff” e poi verso ovest attraversando “Cedar Ridge” fino all’arrivo alla destinazione finale: Bright Angel.
È questo il nome che gli scienziati hanno dato all’area al confine ovest dell’Unità Marginale e parzialmente inglobata in Neretva Vallis. Ben visibile anche dalle immagini satellitari grazie al suo colore chiaro che spicca rispetto alle zone circostanti, era nel mirino dei ricercatori ancora prima che la missione del rover iniziasse nel 2021. Le rocce chiare che costituiscono Bright Angel potrebbero essere sedimenti che nel tempo si sono accumulati e hanno formato il canale, o materiale ancora più antico esposto dall’azione erosiva dell’acqua.
Perseverance arriva alla base dell’affioramento intorno al 10 giugno. Le prime immagini stupiscono i geologi e l’intero team scientifico: le rocce presentano strutture stratificate con bordi taglienti che richiamano alla mente vene minerali, simili a quelle osservate mesi fa alla base del cono alluvionale con la differenza che qui sono molto più abbondanti. Ci sono anche alcuni piccoli sassi raggruppati tra loro che presentano delle piccole sfere in superficie. Il team ci mette poco a inventare un’analogia per queste strutture che vengono scherzosamente definite “simili a popcorn”. La visione d’insieme suggerisce che in questa regione scorresse acqua di falda.
Nei Sol successivi Perseverance è risalito verso nord di qualche decina di metri documentando il paesaggio circostante e la chimica delle rocce con analisi spettrali. Nei Sol 1179 e 1191 (13 e 26 giugno) si è poi proceduto a due distinte fresature di basamenti al suolo, a non troppa distanza l’uno dall’altro.
Vedremo se prima di proseguire le esplorazioni il rover, che nel frattempo è praticamente stazionario da alcune settimane, verrà programmato anche per un nuovo prelievo. La regione attualmente in esplorazione è un tesoro per i geologi tra lastre erose dall’acqua, concrezioni di olivina e vene minerali che tagliano in due i massi al suolo.
Credo che siamo in tanti a non vedere l’ora di leggere le analisi degli scienziati al lavoro nella missione del rover non appena saranno disponibil. E come sempre troverete sulle pagine di Coelum Astronomia una completa e rigorosa sintesi delle evidenze risultanti, perciò continuate a seguire questa rubrica web e la sua gemella sulla rivista cartacea.
Riguardo a Perseverance, una volta terminati i lavori in quest’area tornerà sul versante sud del canale in direzione di “Serpentine Rapids” per poi continuare a percorrere Neretva Vallis verso ovest.
Le CME di maggio: i risultati scientifici
Nel precedente appuntamento della rubrica avevamo visto che l’orbiter MAVEN e il rover Curiosity si stessero preparando all’analisi delle espulsioni di massa coronale originate dalla macchia solare AR3664.
Le rilevazioni più importanti dei due apparati statunitensi non hanno però riguardato le CME legate al brillamento di classe X3.8 dell’11 maggio (quello direttamente responsabile delle aurore documentate sulla Terra sino a latitudini tropicali) e neppure il brillamento X8.79 del 14 maggio.
Un terzo brillamento di intensità ancora maggiore è avvenuto il 20 maggio quando la macchia AR3664 era ormai sparita dal disco solare visibile dalla Terra ma è stata rilevata e misurata nella sua intensità dal satellite NASA-ESA Solar Orbiter. La potenza stimata è stata X12, rendendo questo l’evento più energetico misurato dal novembre 2003.
Sulla superficie di Marte i tecnici di Curiosity si sono fatti trovare pronti con lo strumento Radiation Assessment Detector (RAD), ma non solo. Il rilevatore di particelle del rover ha misurato una quantità di radiazioni al suolo pari a 8.1 millisievert, equivalenti all’incirca a 30 radiografie al torace. Pur non rappresentando una dose letale per un astronauta che si fosse trovato senza adeguate schermature su Marte, è tuttavia la massima rilevazione mai misurata da Curiosity nei suoi 12 anni di operazioni.
Altre analisi di Curiosity hanno impiegato degli strumenti ottici, ovvero MastCam e NavCam. Queste ultime hanno monitorato il paesaggio marziano e documentano l’interazione delle particelle cariche con i fotorilevatori del sensore CCD. Il risultato è rumore digitale che dà luogo a una specie di “neve”. Nelle immagini acquisite si notano persino intere strisciate, generate da singole particelle che hanno percorso il piano del sensore eccitando molteplici pixel.
Le osservazioni con le MastCam sono state invece un po’ diverse a partire dal fatto che si sono svolte durante la notte e hanno cercato di rilevare l’emissione ottica del vento solare, ovvero l’aurora. La ricerca di questa debolissima traccia giustifica le acquisizioni descritte in News da Marte #29 che, a una prima occhiata, poteva sembrare avessero poco senso. Ma abbiamo fatto bene a non giungere a conclusioni affrettate e riservarci di tornare in seguito sulla loro analisi.
Le aurore su Marte
Sul Pianeta Rosso, a causa dell’assenza di un campo magnetico globale, l’interazione tra le particelle cariche e l’atmosfera non è concentrata sui poli come sulla Terra ma genera fenomeni differenti. Uno tra questi è noto con il nome di aurora diffusa e si manifesta a livello planetario come un bagliore nell’emisfero al buio in specifiche linee di emissione nell’ultravioletto a cavallo tra 130.4 e 297.2 nanometri dovute ad anidride carbonica, monossido di carbonio e ossigeno atomico. Le lunghezze d’onda interessate sarebbero perciò esterne alle bande passanti dei filtri di Curiosity che arrivano al massimo a circa 420 nm, corrispondenti al limite inferiore della banda del colore blu. Recentissimi studi hanno però confermato l’esistenza finora solo teorizzata di un’emissione aggiuntiva legata all’ossigeno localizzata a 557.7 nm, nella lunghezza d’onda del colore verde e perciò in piena banda visibile. È un risultato attualmente ancora in fase di pre-print e che dovrebbe venir presentato tra un paio di settimane alla decima International Conference on Mars a Pasadena, California, e che sfrutta le rilevazioni eseguite con le camere di Perseverance. Le tecniche di analisi sono estremamente interessanti e meritano una descrizione nel paragrafo finale di questo articolo.
In orbita marziana era contemporaneamente al lavoro MAVEN che ha rilevato il fenomeno già menzionato delle aurore diffuse nell’intero emisfero in ombra mentre il pianeta veniva investito dalle particelle solari. Durante le osservazioni, eseguite dal 14 al 20 maggio, la sonda parrebbe aver rilevato anche un’altra tipologia di fenomeno chiamato aurora discreta. Queste ultime sono generate dall’interazione del vento solare con le aree, piccole e sparpagliate soprattutto nell’emisfero sud di Marte, in cui si conserva un intenso magnetismo crostale. Si tratta di regioni di crosta raffreddatesi quando ancora il pianeta aveva un magnetismo globale che si è così conservato nelle rocce. Queste regioni non sono state in seguito bersagliate da grandi impatti meteorici che, alzando la temperatura oltre la soglia per cui la roccia perde le proprietà magnetiche (temperatura di Curie), hanno fatto sì che gran parte della superficie di Marte perdesse anche questo magnetismo residuo. Ma nelle aree dove ancora si conserva è talmente intenso da guidare la formazione di aurore estremamente localizzate.
Per completare la trattazione vale la pena menzionare un ulteriore tipo di aurora marziana: a quelle diffuse e quelle discrete si aggiungono le aurore protoniche (scoperte da MAVEN nel 2018) che interessano l’emisfero illuminato.
Nel 2022 la sonda emiratina Hope ha poi rilevato per la prima volta un potenziale quarto tipo di aurora (definito come sinuosa discreta) la cui emissione osservata nell’ultravioletto si distendeva per una grande porzione dell’emisfero marziano in ombra. La spiegazione per questo nuovo fenomeno non è al momento chiara perché mostra caratteristiche simili a quelle delle aurore discrete, ovvero una precisa localizzazione, sebbene sia apparentemente generata dagli stessi meccanismi delle aurore globali. I prossimi mesi di attività solare e le osservazioni che seguiranno aiuteranno forse a far chiarezza.
L’aurora nel visibile di Perseverance
Il 15 marzo un flare di intensità C4.9 (quindi circa 90 volte inferiore rispetto al fenomeno X3.8 legato alle aurore terrestri di maggio) originato dalla macchia solare AR3599 ha generato un’espulsione di massa coronale interplanetaria che ha viaggiato sino a Marte. Nel paper intitolato First Detection Of Visible-Wavelength Aurora On Mars (Knutsen, McConnochie, Lemmon et al., 2024) vengono riportati i risultati del quarto tentativo, stavolta riuscito, di rilevare un’aurora diffusa direttamente dalla superficie di Marte e, per la prima volta in assoluto, dell’emissione a 557.7 nm dell’ossigeno atomico responsabile della tinta verde comune anche alle aurore terrestri. Per farlo gli scienziati sono ricorsi a Perseverance e allo spettrometro della SuperCam, dotato tra le altre cose di un amplificatore ottico nell’intervallo 535-853 nm utile per aumentare l’intensità della debole emissione d’interesse.
L’ora di arrivo della tempesta solare ha rispettato le previsioni e l’impatto con Marte è stato confermato anche da un incremento di errori nella memoria della sonda Mars Express di un fattore 4. Le osservazioni spettrali di Perseverance sono partite alle 00:34 del Sol 1094 e, dopo aver compensato il rumore di fondo e applicato gli opportuni filtraggi, mostra in modo eloquente il picco di luce alla lunghezza d’onda attesa.
Al termine delle rilevazioni con la SuperCam, Perseverance ha eseguito acquisizioni anche con le MastCam-Z utilizzando i filtri RBG con cui produce le immagini nello spettro visibile. Nonostante la presenza in cielo del luminoso Fobos che ha aggiunto una tinta giallo-arancio alle immagini, al termine delle compensazioni anche le immagini della MastCam-Z hanno mostrato un eccesso di radiazione nel canale verde.
I ricercatori hanno concluso che l’evento CME studiato ha prodotto un’emissione con intensità stimata di 93 Rayleigh (unità di misura per il flusso luminoso). Le rilevazioni oggetto di studio sono state parzialmente degradate dalla presenza di polveri in sospensione nell’atmosfera che hanno ridotto la luminosità dell’evento, ma si ritiene che in condizioni atmosferiche migliori o nel caso di CME di poco più potenti si potrebbe raggiungere la soglia di visibilità umana. Quindi, un giorno, astronauti e astronaute potrebbero vedere con i loro occhi aurore su Marte.
SHERLOC è di nuovo operativa
La comunicazione ufficiale è arrivata il 17 giugno attraverso gli aggiornamenti resi disponibili dalla NASA e conferma ciò che su queste pagine avevamo già ipotizzato a metà maggio in News da Marte #28. Succede spesso che nelle immagini grezze si nascondano piccole anticipazioni su ciò che verrà narrato più tardi nelle cronache ufficiali dei rover…
Sono state proprio le immagini acquisite l’11 maggio che hanno confermato la ripresa funzionalità della camera SHERLOC che a inizio gennaio era rimasta con lo sportellino di protezione della lente bloccato in posizione socchiusa.
I tentativi di ripristinare la funzionalità del piccolo motore che aziona lo sportellino, che permette inoltre il fondamentale controllo della messa a fuoco, hanno avuto parziale successo nel corso dei mesi di lavoro. I tecnici hanno scaldato l’attuatore coinvolto, azionato il trapano nel tentativo di smuovere granelli di polvere che potessero ostacolare il movimento di apertura, eseguito addirittura particolari acrobazie con il braccio robotico.
Non si sa di preciso quale di queste azioni sia stata risolutiva, ma alla fine i tecnici sono riusciti ad aprire lo sportellino quanto bastava per non ostruire più la lente di SHERLOC che svolge funzioni sia di camera che di spettrometro. Il motore non era però in grado di muoversi liberamente e perciò una precisa messa a fuoco era ancora impossibile da ottenere. È servito un piano B.
Se l’obiettivo fotografico non può agire sulla messa a fuoco allora si può intervenire avvicinando o allontanando la camera al soggetto. Sfruttando l’estrema precisione dei movimenti del braccio robotico, capace di spostamenti minimi di 0.25 millimetri, i tecnici hanno eseguito un test sul target di calibrazione di SHERLOC individuando in 40 mm la distanza dal soggetto per ottenere una precisa messa a fuoco.
Per il primo test vero e proprio su una roccia bisogna aspettare qualche giorno marziano, il Sol 1153. Il risultato dà esito positivo.
Quasi un mese dopo, il 17 giugno, si presenta l’occasione di testare lo spettrometro di SHERLOC. Anche questo test ha successo, e la NASA può così dichiarare ufficialmente riuscito un debug hardware eseguito su un apparato distante centinaia di milioni di km. Pur con la limitazione di non poter agire sulla messa a fuoco diretta tramite l’obiettivo, Perseverance continuerà a produrre dati di immutata qualità scientifica con SHERLOC. Avanti tutta!
Anche per questo appuntamento è tutto, alla prossima. Tutte le News su Marte sono disponibili QUI