Claudio Pra risponde al “grido di dolore” di Talib Kadori, che nello scorso numero si lamentava del poco seguito avuto da certe iniziative.
Caro Talib, comprendo la tua amarezza ma, personalmente, me l’aspettavo. Mi aspettavo che l’iniziativa del “Club dei 100 asteroidi”, nata sull’onda della mia avventura esplorativa raccontata qualche Coelum fa, non decollasse. Come hai giustamente rilevato, non è la difficoltà osservativa a rappresentare l’ostacolo più grande, ma altre cose: per primo l’inquinamento luminoso, che – come ha scritto Paolo Gattillo nella lettera pubblicata nello scorso numero – esclude in partenza molti potenziali aderenti.
Credo tu sia ottimista nel valutare che da un sito inquinato, con uno strumento da 10 cm di apertura si possa sperare di riuscire a osservare oggetti che, in alcuni casi, possono sfiorare la quattordicesima magnitudine, seppur puntiformi.
Il Sig. Gattillo però sbaglia nel ritenere che basti avere «il privilegio di vivere sotto un buon cielo stellato tanto da dover
semplicemente uscire sul terrazzo o in giardino per osservare». Per imbarcarsi in un progetto così oneroso servono impegno e una continua pianificazione delle osservazioni, come anche un’esperienza che ti fai solo dopo anni passati sotto le stelle.
Senza dimenticare il sacrificio, perché capita che per osservazioni al limite, magari all’inseguimento di asteroidi a forte declinazione australe, ci sia la necessità di salire molto in alto. Più volte mi è capitato di dover risalire dei valichi alpini per aprirmi l’orizzonte, e di osservare a quindici gradi sottozero…
Tornando a noi Talib, quando parli di amatori di astronomia impigriti e demotivati, inquinamento luminoso a parte, sono
con te. I più, anche da cieli molto bui, si accontentano di osservare sempre le solite facili cose, senza nessun volo di fantasia, senza ritagliarsi del tempo per pianificare qualcosa che vada oltre i soliti tracciati celesti super affollati.
Mi piacerebbe sapere quanti, nel deep sky, provano a seguire le proposte dell’ottimo Salvatore Albano; non quelle che indirizzano su oggetti appariscenti, che pure ci vogliono, ma quelle che propongono galassiette “cava occhi”.
Curando poi la rubrica mensile delle comete nella apposita sezione UAI, non trovo grandi riscontri nemmeno su questi affascinanti oggetti celesti, che pure si muovono in cielo, che pure cambiano aspetto, che pure cambiano luminosità.
Basta che siano di ottava o nona magnitudine e rimarranno per sempre anonimi. Tutti oggetti snobbati perché ritenuti a
torto poco gratificanti, come gli asteroidi.
Continuiamo allora a privilegiare la splendida galassia Whirlpool, la affascinante Ring Nebula o la incredibile Nebulosa di Orione, osservate ormai distrattamente per l’ennesima volta. Aspettiamo comete come la Hale-Bopp, le uniche per cui vale la pena di tirare fuori il telescopio. Tutto il resto è banale e non vale il nostro sguardo.
Sinceramente a questo comodo turismo celeste di massa preferisco le polverose stradine isolate che portano chissà dove, cercando quel senso di avventura che è nutrimento per la mia passione. Un po’ come quando da una cima alternativa e isolata delle mie Dolomiti guardo più a valle i sentieri che, brulicanti di folla, portano al comodo rifugio.
Ciao Talib e su con il morale.
Magari siamo noi ad essere troppo pessimisti.
Claudio Pra
Caro Claudio,
intervengo per precisare che é da me infinitamente lontana la bislacca intenzione di sminuire il grande valore dell’impresa nella quale ti sei cimentato con successo; credo di essermi espresso in modo inappropriato e probabilmente questo ha ingenerato equivoci: preciso allora che il privilegio di vivere sotto cieli davvero bui (o quantomeno di accedervi percorrendo distanze ragionevoli) é condizione necessaria ma di per sé non sufficiente per raggiungere un obbiettivo così ambizioso che richiede grande costanza, forti spirito di sacrificio e determinazione e, dunque, viva passione.
Invece concordo pienamente sull’angosciante “inaridimento” della classe astrofila, sempre meno avvezza ad emozionarsi, a interrogarsi sull’Universo, a meditare sul baratro di spazio e di tempo che separa il proprio mondo dal debole fuso luminoso che attraversa in silenzio il campo dell’oculare. Questa disaffezione per gli oggetti più reconditi e dunque più difficili da scovare, questo disinteresse per l’osservazione visuale “nuda e cruda”, per la programmazione dei propri tour celesti – continuo però a dire – non dipende solo dalla esasperata “tecnologizzazione” (mi sia scusato il cacofonico neologismo) della passione che induce molti a eccitarsi al cospetto di un bel telescopio o di un raffinato ccd più che alla vista di una fioca e remotissima galassia; gioca un ruolo funesto ancora una volta quell’alba artificiale, quel cancro che si é portato via il cielo stellato precludendo a molti dei più giovani la possibilità di fantasticare, di sognare a occhi aperti che invece io, bambino sul finire degli anni ’70 ho, avuto il privilegio di vivere.
Caro Paolo, la tua analisi mi trova perfetttamente d’accordo. Una stretta di mano.
Salve ragazzi, i vs. ragionamenti non fanno una piega e semplificano in modo chiaro l’attuale istuazione che permea la passione o curiosità per l’astronomia.
Nonostante il mio sito non abbia un cielo dolomitico, la PASSIONE (in stampatello) non cede, anzi ogni volta è una sodisfazione catturare una lontana galassia o un vispo pianetino, anche in mezzo a fari e lampioni che rompono. Non mi sembra poco e con i mezzi tecnologoci attuali le emozioni non mancano sia in ripresa che in elaborazione.
Avanti tutta…la passione è amore, ed è quello che fa girare il mondo!
Paolo
Avanti tutta Paolo. Chi la dura la vince!
Mi firmo per esteso, e mi scuso per questo.
Paolo Campaner
http://paolocampaner.blogspot.it/