Editoriale – Coelum n.148 – 2011

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Editoriale – Coelum n.148 – 2011

Quasi dodici anni fa, nell’estate del 1999, la redazione di Coelum ebbe l’incarico da parte del Comune di Padova di organizzare la grande mostra che nel Palazzo della Ragione di Piazza delle Erbe celebrava il trentennale del primo sbarco lunare. La cosa ci costò una mole non indifferente di lavoro e tra le molte incombenze ci toccò anche quella di ideare e preparare il manifesto che avrebbe pubblicizzato l’iniziativa.

Ne venne fuori quel poster che qualcuno ricorderà ancora, dove Galileo, Newton e Keplero in tuta da astronauti se ne stanno in posa davanti ad una rampa di lancio di una missione Apollo. L’idea ci venne probabilmente ripensando alla famosa frase di Jim Lovell durante la parte tranquilla del viaggio dell’Apollo 13 quando disse “We just put Sir Isaac Newton in the driver’s seat” (abbiamo appena messo Isaac Newton al posto di guida).

Insomma, con quel manifesto volevamo significare la commistione che deve continuare a esistere tra il futuro e il passato, tra i creatori e i beneficiari postumi; con in più un pizzico di rammarico per come vanno le cose del mondo, che rendono impossibile avere ancora qui tra noi chi ha dato l’avvio alla corsa e poi ha dovuto ritirarsi nell’ombra.

Perché, chi di voi non ha mai pensato di mettersi in un angolo a godersi la scena di un Galileo prelevato dal suo tempo e portato nel nostro, mentre visita le cupole del Keck alle Hawaii o del Very Large Telescope in Cile… oppure di un Goddard che viene invitato dalla NASA ad assistere alla partenza di un razzo vettore… E perché no, anche di un cardinale Bellarmino a cui vengono mostrate le sabbie di Marte e le orbite di pianeti extrasolari…È talmente suggestiva l’idea di condividere quello che abbiamo raggiunto con chi un tempo lo ha iniziato, che almeno io personalmente non posso fare a meno di immaginarmi la scena ogni volta che si sta per abbattere una barriera storica in termini di esplorazione spaziale o di conoscenza astronomica.

Sto pensando a Vesta, naturalmente, e a Heinrich Wilhelm Olbers che lo scoprì il 29 marzo del 1807, immaginandolo per sempre come un punto immateriale in movimento e non come il mondo che si sta apprestando a rivelare la sonda Dawn. Sarebbe il caso di farglielo sapere, non vi pare? E di riservargli la poltrona degli ospiti nella sala del controllo missione. Dove magari potrebbe litigare con comodo sull’ipotesi che lui dava per vera, quella sull’origine degli asteroidi causata dall’esplosione di un grande pianeta tra Marte e Giove, e che oggi è stata praticamente abbandonata.

Che reazione avrebbe il medico di Brema (perché questo faceva di mestiere Olbers) di fronte allo sfoggio tecnologico dei nostri giorni? Resterebbe senza parole come Stendhal davanti alla straordinaria bellezza dei monumenti di Firenze? Ne gioirebbe come un bambino in una pasticceria? Oppure ne sarebbe mortalmente ferito?

Io non so scegliere. E voi?

Giovanni Anselmi