Editoriale – Coelum n.140 – Agosto 2010

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Invitato a scrivere su Coelum, una rivista dal titolo in latino, mi è subito venuto in mente di parlare di muse. Già, perché anche l’astronomia ne ha una tutta sua. Si chiama Urania e, a differenza delle sue sorelle che si occupano a vario titolo di poesia, tragedia, canto, danza, musica e storia, è l’unica a occuparsi di materie scientifiche. Matematica e astronomia, appunto. Quando frequentavo il liceo, dove tuttora la distinzione fra le ore di italiano e quelle di matematica è netta e l’intersezione fra i due insiemi è un tipico esempio di insieme vuoto, mi chiedevo perché mai gli antichi greci avessero messo una musa a tutela delle scienze. Poco dopo, però, ho capito che la domanda andava rovesciata. E allora ho cominciato a chiedermi perché, nel corso dei secoli, queste nove sorelle, che prima danzavano festanti tutte assieme tenendosi per mano (così, per esempio, le ritrae Andrea Mantegna nella celebre tela del “Parnaso”, datata 1497, ovvero pre-rivoluzione scientifica), avessero deciso a un certo punto di escluderne una: Urania, naturalmente. E non per scelta loro, sia chiaro. Ma per scelta di quei letterati romantici (escluso Leopardi, autore a quindici anni di una pregevole “Storia dell’astronomia”) che un giorno decisero che la Cultura non dovesse essere una, unica, compatta, composta da tutti gli elementi che concorressero alla formazione e al benessere dell’uomo, ma dovesse essere divisa in due. Da un lato le arti e le lettere, considerate la “vera cultura”, uniche in grado di elevare lo spirito umano, dall’altro le scienze, non considerate conoscenza (a dispetto del loro nome!) ma mero strumento, utile al massimo a garantire una sopravvivenza degna all’uomo su questa terra, ma niente di più. Basti pensare alla definizione che il famoso critico letterario Benedetto Croce dette della scienza: “un libro di ricette di cucina”! Così, ancora oggi, pur in una società disegnata in ogni suo aspetto da scienza e tecnologia, nei salotti (sedicenti) culturali si disquisisce di “pittori, scultori, architettori” – per dirla alla Vasari, lo scrittore che celebrò nel suo “Le Vite” le biografie dei migliori appartenenti a “cotal consesso”– ovviamente snobbando gli scienziati, le loro scoperte e le loro opere d’ingegno. Anzi, si continua a farsi vanto di non aver mai capito un’acca di matematica o di fisica. Come se questi signori non fossero anche loro soggetti alla forza di gravità o non usassero l’ultimo modello di “smartphone”, clamoroso esempio della capacità di penetrazione della tecnoscienza nelle nostre vite. Insomma, nonostante alcuni (tiepidi) segnali positivi, ci troviamo comunque ancora immersi in una vera e propria guerra dei due mondi, ben descritta nel saggio dello scrittore inglese Charles P. Snow, intitolato non a caso “Le due culture”, che, nonostante abbia appena compiuto 50 anni (venne pubblicato la prima volta nel 1959), mantiene intatta la sua attualità. Forse la separazione fra le due culture non è all’origine dei problemi del mondo, come scriveva Snow, ma certamente riunirle può contribuire a risolverli. Allora proviamo a non parlare più di cultura umanistica e di cultura scientifica, ma solo e soltanto di Cultura. È arrivato il momento di ricondurre Urania fra le sue sorelle. Perché l’astronomia è cultura. E noi facciamo cultura.