Editoriale – Coelum n.136 – 2010

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Due le novità editoriali di questo mese. La prima è quella del premio letterario dedicato alla memoria di Ugo Ercolani, figura storica di questa rivista e impareggiabile scrittore di racconti “astronomici” che hanno certamente segnato la crescita emozionale di parecchi nostri lettori.
Per ricordare ciò che è stato, e forse per misurare quanto del suo insegnamento sia rimasto nel ricordo di chi apprezzava le sue crepuscolari descrizioni di stati d’animo legati alla pratica astronomica, abbiamo finalmente deciso di invitare i lettori a “imitarlo”, e a misurarsi nella difficile arte del racconto.
Da questo momento, ognuno di voi avrà tempo fino al 30 giugno per farci pervenire (nei modi e nei tempi stabiliti dal regolamento del premio) un breve racconto che, come quelli di Ugo, sia in qualche modo attinente al mondo dell’astronomia. Tutti gli elaborati verranno letti e giudicati da una giuria qualificata e premiati nel modo che scoprirete già dal prossimo numero.

La seconda novità riguarda invece l’inchiesta a tutto campo che Gianluca Masi ha deciso di avviare per rispondere a un interrogativo che da tempo avevamo voglia di porre ai maggiori rappresentanti del settore: “che cosa accade all’astronomia amatoriale?”
Si dice da più parti che la nostra comune passione per il cielo stia attraversando una crisi profonda, di vocazioni e di motivazioni.
Sarà vero? E se lo è, quali potrebbero esserne le cause?
Gianluca, per la sua inchiesta, ha preso come spunto una mia breve riflessione in forma di editoriale scritta parecchi anni fa, e dopo averla rielaborata l’ha sottoposta a moltissimi amatori italiani, invitandoli a dare il loro parere in merito. Ne è ovviamente scaturita una mole di materiale tale da poter essere presentata soltanto a puntate. In questo numero troverete la prima, ma prevedo già (anche perché la domanda è volta indistintamente anche a tutti i lettori) che presto dovremo aiutarci anche con la pubblicazione nel sito della rivista.
Alla fine Gianluca tirerà certamente le somme e chissà che, senza avere la pretesa di arrivare a soluzioni condivise e concrete, non si possa per lo meno individuare il filo logico capace di riannodare i troppi legami che all’improvviso sembrano essersi spezzati nella nostra cieca rincorsa al cielo.

Prima di chiudere volevo però ancora aggiungere qualcosa a questo proposito. Rileggendo il mio editoriale di allora mi sono infatti accorto di aver trascurato di elencare, tra le altre, una ulteriore spiegazione per questa presunta e galoppante disaffezione per l’astronomia. Mi riferisco al fattore “vita”.
Ho la netta sensazione che la partecipazione emotiva verso le cose celesti abbia iniziato il suo declino insieme al crescere della nostra consapevolezza di essere in contemplazione di un universo “sterile”.
Impossibile negarlo; fino a pochi decenni fa, chi osservava Marte, o perfino Venere, era ancora percorso dal brivido che veniva da una scienza ufficiale del tutto ottimista sulla possibilità che su quel pianeta potesse strisciare un lichene, o muoversi tra le sabbie chissà quale organismo. E l’avvio dei grandi progetti SETI, per l’ascolto di un segnale che sembrava ormai prossimo ad arrivare, ci faceva gonfiare i cuori, come se sentissimo di essere stati chiamati a una specie di “sorte orgogliosa”.
Al giorno d’oggi nulla è rimasto di tutto quel senso di attesa, e il cielo si è come svuotato, riducendosi la speranza di vita nell’universo a un mero dato statistico: uno zero virgola che di certo non può più competere con le quasi certezze di una volta.
Potrebbe essere? Io credo di sì.