Editoriale – Coelum n.133 – Novembre 2009

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La Luna su cui Galileo posò gli occhi nel 1609 è certamente la stessa nostra di oggi; in uno stato di calma, di riposo di cui nessun altro mondo del nostro sistema ci offre l’esempio. È questo un fatto incontestabile. Ma la calma che circonda il mondo lunare, e della quale si ha l’impressione così evidente quando si osservano al telescopio i suoi paesaggi illuminati nella notte, se è una testimonianza del riposo relativo di quella terra del cielo altre volte così agitata, non è testimonianza della sua morte.

Comunque sia attualmente, il mondo lunare è interessantissimo da contemplare col telescopio, ed è sorprendente che così pochi uomini lo conoscano, distinguendosi così ammirevolmente da qui tutta la sua geografia e tutta la sua geologia…
Oh! vi prego, voi tutti che leggete queste pagine, non restate senza dirigere, qualche bella sera, verso quell’astro vicino, uno strumento astronomico che vi permetta di osservarlo, soprattutto verso l’epoca del primo quarto. Qualche minuto soltanto di osservazione vi rapirà.
Avrete là non è dir troppo un saggio di spettacoli celesti che la vostra immaginazione potrebbe solo sognare, e la vostra serata sarà meglio occupata e più preziosa di quelle che passate a sentire i più bei capolavori di una lingua o di un’altra, le più commoventi scene del teatro, o anche i più melodiosi accordi della musica.
Non dubitate punto della purezza di questo spettacolo, ancora meno, della sua grandezza e del suo insegnamento. Avrete sotto gli occhi un mondo morto in apparenza, ma bello; silenzioso, ma eloquente; freddo, ma luminoso.
I suoi vulcani, crateri, laghi, mari disseccati, colline, valli li vedete; essi vi parlano d’un’altra età, d’un tempo in cui le fiamme solcavano quelle campagne, in cui i vulcani vomitavano le loro lave, in cui i crateri sputavano le loro viscere, in cui l’aria, l’acqua, il fuoco, il fango, la polvere, la tempesta spazzavano quelle terre sepolte oggi frammezzo a mille avanzi ancora visibili… E vi mostrano il destino del nostro mondo.

Quali spettacoli si rivelano ai nostri sguardi meravigliati, quando ci trasportiamo col pensiero alla superficie della Luna… È il mondo più vicino a noi, ed è il più dissimile che ci possa offrire tutto il sistema planetario.
Tentiamo di rappresentarci le scene e i paesaggi che ci circonderebbero se abitassimo la Luna; non le scene immaginarie che si sono spesso inventate in viaggi fantastici, ma i quadri reali che il telescopio ci mostra da qui, e che noi sappiamo esistere sul globo lunare.
Questi quadri gli occhi dell’uomo li hanno già visti, e lo spirito umano ha già passeggiato in mezzo a quelle campagne, perché, quando nel silenzio delle notti e nell’oblio di tutte le agitazioni terrestri dirigiamo i nostri telescopi verso quell’astro solitario, il nostro pensiero attraversa facilmente la debole distanza che ce ne separa, e si suppone, senza un grande sforzo d’immaginazione, di abitare un istante in mezzo ai panorami lunari che si sviluppano nel campo telescopico.
Nessuna regione della Terra può darci un’idea dello stato del suolo lunare; mai terreni furono più tormentati; mai globo fu più profondamente straziato nelle sue viscere. Le montagne presentano accumulamenti di rocce enormi cadute le une sulle altre, e attorno ai crateri spaventosi che si intralciano gli uni gli altri, non si vedono che bastioni smantellati o colonne di rocce appuntite, rassomiglianti, di lontano, a guglie di cattedrali che escano dal caos.

Questo dovette vedere il grande astronomo Pisano nelle padovane notti d’autunno, e se il cuore gli resse è perché molto altro era destino che vedesse ancora.