Editoriale – Coelum n.116 – 2008

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“Qui giace Arthur Clarke. Non è mai stato un grande, ma non ha mai cessato di crescere”. Reciterà così l’auto-epitaffio che verrà trascritto sulla tomba dello scrittore e scienziato inglese morto il 19 marzo scorso a Colombo, capitale dello Sri Lanka dove risiedeva dal 1956.
Costretto da tempo su una sedia a rotelle, le sue condizioni di salute si erano progressivamente aggravate e nelle ultime settimane era stato ricoverato dopo che un mattino non era riuscito a trovare la forza per alzarsi dal letto. “Forse perché – come raccontava agli amici – ho passato la notte sognando di combattere con i dinosauri”.
Il 16 dicembre scorso Clarke aveva compiuto 90 anni, festeggiati con un filmato su YouTube – “90th birthday reflections” – dove dichiarava: “Ho appena completato la mia novantesima orbita attorno al Sole”.
Autore di decine di romanzi indimenticabili (La città e le stelle, Le sabbie di Marte, Incontro con Rama) e di centinaia di racconti (I nove miliardi di nomi di Dio, La sentinella, da cui Stanley Kubrick ricavò nel 1968 il suo memorabile film), Clarke è considerato uno dei più grandi scrittori di science fiction di tutti i tempi, ma lo ricordiamo qui come scienziato e immaginifico propugnatore di nuove tecnologie spaziali.
Laureato con il massimo dei voti al King’s College di Londra in matematica e fisica, fu infatti Clarke a verificare per primo la fattibilità di una
grande rete globale di comunicazioni attraverso satelliti artificiali, idea che presentò nel 1945 sulla rivista di ingegneria “Wireless World” con l’articolo “Extra-Terrestrial Relays. Can Rocket Stations Give Worldwide Radio Coverage?”, a proposito della quale amava ricordare di averne ricavato in tutto 15 sterline non avendo mai voluto brevettarla. “Una somma davvero  astronomica – diceva – per aver fondato l’industria delle telecomunicazioni via satellite!”
Ma non solo, Clarke fu anche il teorico degli ascensori orbitali, il cui principio è accuratamente descritto nel romanzo “Le fontane del paradiso”
(1979), delle coltivazioni sottomarine e del processo planetario di terraforming.
Intuizioni visionarie, per di più sostenute dalla forza espressiva di un gigante della letteratura.
Due anni fa Clarke venne inoltre scelto per promuovere Seti@Home, il programma per l’elaborazione dei dati astronomici per la ricerca delle civiltà  extraterrestri che ruota attorno al grande radiotelescopio di Arecibo.
E per tutto quello che Clarke ha pensato, scritto e divulgato per affermare una sorta di fratellanza tra la specie umana e l’ambiente cosmico che
la circonda, ci sembra davvero straordinariamente appropriato che proprio il giorno della sua scomparsa si sia verificato sulla Terra un evento astronomico di importanza addirittura storica: la ricezione di un Gamma Ray Burst di inaudita potenza, che provenendo da una distanza di 7,5 miliardi di anni luce si è reso visibile ad occhio nudo.
Se non fosse stato per la breve durata del fenomeno (solo un’ora), per la prima volta sarebbe stato possibile osservare un evento cosmico avvenuto dall’altra parte dell’universo anche senza l’ausilio di strumentazione, semplicemente alzando la testa sapendo dove guardare…
Un segno quasi consapevole da parte dell’universo per salutare l’uomo che sosteneva che un giorno l’evoluzione della mente umana avrà il suo
culmine nella formazione di una super mente collettiva distaccata dalla materia, una entità galattica che racchiuderà il tutto annullando spazio e tempo.
Ed ora che è diventato immateriale, e che ha smesso di orbitare intorno alla piccola stella che chiamiamo Sole, Arthur Clarke sarà anche libero di raggiungere quello che è stato uno dei più grandi affetti della sua vita, la cagnolina Pepsi, morta due anni fa, per la quale ha dichiarato in una delle sue ultime interviste: “Ho sentito dire che i cani non vengono fatti entrare in Paradiso. Se è così, non vorrò entrarci neanch’io”.