

Roccioso e poco piu’ grande del nostro pianeta, Kepler trova un “cugino” della Terra
Chiamato Kepler-186f, il nuovo pianeta è più grande del 10% rispetto alla Terra ed è il più esterno di cinque pianeti che ruotano intorno a una nana rossa. Il commento di Giuseppina Micela, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Palermo ed esperta della ricerca di esopianeti.
Scoperto il primo pianeta roccioso di dimensioni del tutto simili a quelle della Terra sul quale potrebbe scorrere acqua allo stato liquido: una condizione fondamentale, questa, per poter ospitare forme di vita. Si trova nel nostro stesso angolo della Via Lattea ed è stato identificato dall’occhio del più celebre “cacciatore di pianeti” della NASA, il telescopio spaziale Kepler. Catalogato con il nome di Kepler-186f, il nuovo pianeta è più grande del 10% rispetto alla Terra ed è il più esterno di cinque pianeti (b, c, d, e) che ruotano intorno a una nana rossa (una stella più piccola e fredda del nostro Sole) distante 500 anni luce da noi.
Le bombe piovono dallo spazio
La rete mondiale per la sorveglianza dei test nucleari segreti, negli ultimi 13 anni ha rilevato 26 esplosioni, 10 volte più del previsto, causate dall’impatto di asteroidi. La Fondazione B612 propone Sentinel, il primo telescopio spaziale privato per la sorveglianza dei piccoli corpi potenzialmente pericolosi. Tra il 2000 e il 2013, 26 asteroidi, grandi abbastanza da generare una potenza di impatto almeno pari a 1 kiloton, hanno colpito la Terra o sono esplosi nella sua atmosfera. L’onda d’urto generata dagli impatti è stata rilevata dal “Comprehensive Nuclear Test Ban Detection Network”, una rete globale che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, controlla l’eventuale realizzazione di esperimenti segreti con armi nucleari. L’organizzazione ha recentemente reso pubblici i dati delle esplosioni riconducibili all’impatto di asteroidi, solo uno dei quali è stato avvistato prima della deflagrazione (la meteorite caduta in Sudan nel 2008, vedi Coelum n. 122). Proprio basandosi su quei dati, la “Fondazione B612” ha preparato una animazione con la localizzazione delle esplosioni, presentata durante un evento in occasione della Giornata Mondiale per la Terra.
Il mistero delle lune venusiane mancanti
Ancora nessuna luna per Venere. Elizabeth Howell del NASA Lunar Science Institute fa il punto della ricerca e spiega perché capire a fondo il mistero delle lune mancanti di Venere potrebbe insegnarci molto, anche sulla formazione del Sistema solare.
Ci sono decine e decine di satelliti naturali all’interno del Sistema solare, piccoli mondi senz’aria come la nostra Luna o con atmosfere importanti, come la sonda Cassini ha scoperto sulla luna di Saturno, Titano. Il gigante Giove può vantare molte lune e tiene testa al pianeta degli anelli. Marte ha un paio di piccoli satelliti simili ad asteroidi. Ma Venere? Il pianeta che per un periodo gli astronomi hanno guardato come a un gemello della Terra quante lune ha?
«La risposta è ancora la stessa, nessuna». A fare il punto della situazione è Elizabeth Howell del NASA Lunar Science Institute.«Venere e Mercurio sono gli unici due pianeti a non avere una sola luna che gli giri intorno. Ciononostante la questione degli introvabili satelliti venusiani continua a stuzzicare i pensieri degli astronomi nello studio del Sistema solare».
Primo meteorite della storia fotografato in volo?
Purtroppo no, si trattava di un semplice sasso terrestre.
Per qualche giorno, l’aprile scorso, si è avuta la speranza di essere finalmente riusciti a fotografare la caduta di un meteorite durante la sua fase di “volo al buio”, ovvero quando, esaurita la fase di ablazione e la spinta dovuta alla sua velocità di entrata nell’atmosfera (che può variare tra i 15 e i 70 km al secondo), l’attrito dell’aria lo porta a cadere con velocità di 50/100 metri al secondo. Fatto sta che proprio in quei giorni il paracadutista norvegese Anders Helstrup, aveva portato le prove fotografiche di un incontro ravvicinato con un piccolo meteorite (3/4 cm di lato) che aveva avuto nel 2012 dopo essersi lanciato con degli amici sopra l’aeroporto di Østre. Secondo il suo racconto, Anders, equipaggiato di tuta alare e casco con telecamera, si era lanciato dall’aereo in volo e dopo pochi minuti di caduta libera aveva aperto il paracadute, percependo proprio in quell’istante di essere stato sfiorato da qualcosa. Così, una volta atterrato, si era precipitato a controllare il video e con suo grande stupore si era accorto di aver ripreso un piccolo sasso scuro sfrecciare vicino alla vela in dispiegamento. Inizialmente aveva escluso l’idea di un meteorite, ma dopo aver mostrato il video a degli esperti del Museo di Storia Naturale di Oslo, non c’erano più dubbi: quella piccola pietra non poteva esser altro che un frammento di una pietra spaziale probabilmente staccatasi da un frammento più grande.
Satellite di saturno in formazione?
La sonda Cassini potrebbe aver fotografato una condensazione di materia degli anelli mentre starebbe dando forma a una nuova piccola luna.
«Mai visto nulla di simile finora» ha detto Carl Murray della Queen Mary University di Londra, primo autore dell’articolo, uscito sulla rivista Icarus, che ha rivelato la scoperta. In questa foto, scattata dalla sonda Cassini nell’aprile del 2013, sono ben visibili piccoli disturbi sul bordo dell’anello più esterno di Saturno. Secondo la NASA potrebbero essere causati dagli effetti gravitazionali di un piccolo oggetto di ghiaccio, di diametro poco inferiore a un chilometro. Per il momento gli scienziati lo hanno chiamato “Peggy” e potrebbe essere una nuova luna che sta nascendo per condensazione dal ghiaccio e dalla polvere degli anelli. Probabilmente, fanno sapere dalla NASA, si tratta di un oggetto che non diventerà mai più grande di così, o che magari potrebbe essere già in fase di frammentazione. Qualche ricercatore sostiene infatti che gli anelli sono attualmente troppo “impoveriti” per generare altri satelliti. Secondo la teoria finora più accreditata, un tempo Saturno aveva un sistema di anelli molto più grande, in grado di dare origine a lune di grandi dimensioni.«Tuttavia con il tempo – ha concluso Murray – le lune hanno finito per diradare il materiale degli anelli».