

È curioso notare come nell’osservazione visuale del cielo si creino talvolta delle situazioni per cui alcuni oggetti vengono sistematicamente ignorati perché troppo deboli, altri perché troppo brillanti (!). La nebulosa M42, ad esempio, è conosciuta anche tra coloro che non frequentano ambienti strettamente astronomici e – forse proprio a causa di questa sua notorietà – ritenuta da alcuni estremamente scontata, al punto che in molti hanno smesso di visitarla e di studiarla in dettaglio. Questo mese, dopo che già nella rubrica di gennaio abbiamo esplorato certi suoi dintorni, dedicheremo un po’ di tempo a focalizzare altri aspetti di questa magnifica nebulosità, senza ovviamente avere la pretesa di esaurire un argomento di così vasta complessità. È ormai ampiamente noto il fatto che, malgrado M42 sia chiaramente visibile anche senza l’ausilio di strumenti, non esista menzione di questa nebulosità prima del XVII secolo. Anche Galileo, nonostante avesse scelto proprio la zona di M42 come una delle prime da osservare con il suo cannocchiale, non riferisce mai di avervi individuata alcuna nebulosità. Il primo a riferirne la presenza fu il francese Nicholas Peiresc (1580-1637) che la osservò il 26 novembre 1610, subito dopo aver acquistato un modesto cannocchiale. Questi fatti hanno poi dato luogo a delle speculazioni secondo cui l’osservabilità della nebulosa sarebbe aumentata notevolmente proprio in quegli anni, a seguito di un improvviso incremento di luminosità delle sue giovani stelle interne. Scoperte indipendenti vennero poi dallo svizzero Johann Baptist Cysat e dal nostro Hodierna che nel 1654 ne riportò la posizione in un disegno, precedendo di un paio di anni Huygens che nel 1656 la disegnò più in dettaglio riportando anche tre delle quattro stelle del “Trapezio” (l’ammasso che è immerso nella nebulosa e di cui parleremo tra poco); la quarta fu osservata per la prima volta da Jean Picard nel 1673.