

Nell’immediato dopoguerra, Livio Gratton si mise subito al lavoro per contribuire alla riedificazione culturale del Paese. Lo fece con entusiasmo, ma le difficoltà legate all’inerzia di un ambiente scientifico tenacemente ancorato al passato erano ancora molto forti. Ecco il suo racconto.
PARTE 11. Il dopoguerra: gli anni della ricostruzione Con la pace scomparvero le preoccupazioni più gravi, ma le difficoltà continuarono ancora per molto tempo. Non c’era più il mercato nero e i generi di prima necessità non mancavano, ma il costo della vita aumentò di colpo molto considerevolmente, assai più degli stipendi. Questo mi costrinse a darmi da fare con ripetizioni e in altre maniere. Appena possibile feci un viaggio a Roma per riprendere i contatti con l’Istituto di Fisica di Roma e con il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Trovai il mio amato maestro Castelnuovo, Amaldi, Wick e gli altri colleghi in buone condizioni ed ebbi alcune notizie sui grandi progressi della Fisica nucleare, benché in gran parte fossero ancora coperti dal segreto militare. Tutti erano già al lavoro per riorganizzare le ricerche scientifiche in un’atmosfera di grande fervore. La visita al Presidente del CNR fu molto utile; ottenni che a Merate venisse creato un Centro di Ricerche di Astrofisica, con la possibilità di assegnare un paio di Borse di Studio a giovani laureati o laureandi e un fondo – assai modesto – per l’acquisto di libri ed altro materiale scientifico. Per mezzo dei colleghi dell’Osservatorio Vaticano in Castel Gandolfo venni anche a conoscenza di vari lavori astronomici recenti e al mio ritorno cercammo con Krüger di riannodare in qualche modo i contatti scientifici con il resto del mondo. A Milano, dopo le lezioni all’Istituto di Fisica, mi trovavo spesso con un personaggio molto interessante, più o meno della mia età, Silvio Ceccato; abitava, non so a quale titolo, in un appartamentino dell’Istituto di Chimica, dove a mezzogiorno ci cucinavamo alla svelta una pastasciutta. Me lo aveva presentato un medico e fisiologo di Milano, Giuseppe Fachini, il quale sperava di formare un gruppo che facesse conoscere in Italia le correnti filosofiche neoempiriste che il fascismo aveva bandito completamente dalle scuole italiane. Oltre a Ceccato, Fachini e me, faceva parte del gruppo il filosofo Giulio Preti e, di quando in quando, veniva a trovarci anche Ludovico Geymonat. Antonio Banfi – che però era già anziano e cagionevole di salute e incontrai solo una o due volte – era il nostro… padre spirituale. Il mio compito era soprattutto quello di spiegare agli altri le teorie fisiche moderne con le loro implicazioni epistemologiche, cercando per quanto possibile un discorso che potesse essere compreso da persone di ingegno indubbiamente fuori del comune, ma senza una particolare cultura di Fisica e Matematica – salvo beninteso Geymonat.