

Da un’annotazione su un possibile errore di Bertolt Brecht al racconto della vita di un nobiluomo veneziano che si interessò di astronomia, ottica, termometria e magnetismo, e che Galileo definì in una lettera “il mio idolo”, prima di eternarlo per sempre nel suo “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”.
È notte. Galileo e Sagredo, avvolti in pesanti mantelli, sono al telescopio. Sagredo (traguardando, a mezza voce). Il bordo esterno della falce è tutto seghettato, irregolare, scabro. Sulla parte buia, vicino alla fascia chiara, si vedono dei punti luminosi. Uno dopo l’altro, emergono dall’oscurità. Da quei punti s’irradia la luce, invadendo zone sempre più vaste, che vanno a confluire nel resto della parte chiara.
Galileo. Come spieghi quei punti luminosi?
Sagredo. Non può essere.
Galileo. Come, non può essere? Sono montagne.
Sagredo. Montagne su un astro?
Galileo. Montagne altissime. E le loro cime ricevono i primi raggi del sole nascente, mentre le pendici sono ancora nell’oscurità. Tu vedi la luce del sole scendere man mano dalle cime verso le vallate.
Sagredo. Ma questo contraddice a tutti gli insegnamenti d’astronomia da duemila anni in qua.
Galileo. Sì. Quello che hai visto ora, non è mai stato visto da nessuno all’infuori di me. Tu sei il secondo.
Galileo. Certo. E noi ora lo vediamo. Non staccare l’occhio dal telescopio, Sagredo. Quello che stai vedendo, è che non esiste differenza tra il cielo e la terra. Oggi, 10 gennaio 1610, l’umanità scrive nel suo diario: abolito il cielo!
Ricordate questa famosa scena, tratta dalla “Vita di Galileo” di Bertolt Brecht? In essa lo scrittore tedesco descrive la notte in cui Galileo, da Padova, mette al corrente l’amico Sagredo delle meraviglie che andava scoprendo con il suo telescopio. Dialogo di incredibile suggestione, ma anche completamente infondato dal punto di vista storico; il veneziano Sagredo, infatti, pur legato da lunga e sincera frequentazione con lo scienziato pisano, mancò da Venezia e dall’Italia dal 1608 al 1611, proprio negli anni in cui Galileo perfezionava il cannocchiale, reinventava l’astronomia e, trasferitosi a Firenze, diventava una celebrità internazionale. Mai, quindi, avrebbe potuto essere sulla terrazza padovana insieme a Galileo nella data espressamente citata nell’opera: il 10 gennaio 1610. Se sia una svista, questa di Brecht, o una semplice licenza letteraria, non ci è più dato di sapere.