
Chiunque si soffermi a guardare un paesaggio notturno ne ricava sentimenti diversi, secondo il proprio stato d’animo e la propria personalità. L’autore dei versi che seguono dimostra di avere una perfetta conoscenza degli oggetti celesti: serena e piena di reverenza è la visione di questo cielo “domestico”, un cielo amico che infonde un senso di pace.
«Tre pianeti su l’azzurro gorgo, tre finestre lungo il fiume oscuro; sette case nel tacito borgo, sette Pleiadi un poco più su. Case nere: bianche gallinelle! Case sparse: Sirio, Algol, Arturo! Una stella od un gruppo di stelle per ogni uomo o per ogni tribù.
Sono versi di Giovanni Pascoli (tratti dalla poesia “L’imbrunire”), forse il nostro poeta più colto in campo astronomico (dopo Leopardi, però, e senza contare scrittori come Calvino), vissuto tra la fine ell’Ottocento e i primi anni del Novecento; un periodo molto fecondo nel campo degli studi e delle scoperte astronomiche, che vide anche l’inizio della divulgazione scientifica a livello popolare.