
Avete ragione: iniziare una serie di articoli parlando della fine del mondo è, quanto meno, cosa bizzarra. Ma un vantaggio c’è: ci togliamo subito il pensiero, e ci riserviamo gli argomenti più allegri per i prossimi numeri. Innanzitutto, si fa presto a parlare di fine del mondo, ma cosa intendiamo per “mondo”? Se pensiamo all’universo nel suo complesso, ci poniamo in una prospettiva cosmologica, e dobbiamo fare i conti con ipotetici scenari dai nomi alquanto suggestivi, come “Big Rip” o “Big Crunch”. Se invece ci accontentiamo di indagare il destino finale della Terra, allora la faccenda è diversa. Lasciamo da parte le diverse profezie apocalittiche, da Nostradamus all’ingiustificato allarme del 2012, e trascuriamo tutte le catastrofi che potrebbero avvenire ma anche no (guerre nucleari, ribellioni delle macchine, impatti con meteoriti, cambiamenti climatici, pandemie): eventi che potrebbero distruggere il genere umano, ma non l’intero pianeta. Prescindendo da sventure come supernovae o buchi neri capaci di inghiottire la Terra in un sol boccone, c’è un unico avvenimento che, per quanto ne sappiamo, si verificherà di certo, tra circa 5 miliardi di anni, decretando il fischio finale della partita: l’esaurimento del combustibile del Sole.