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Stelle perdute nella materia oscura

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Una collisione fra galassie, fenomeno che può strappare alcune stelle dalla loro galassia madre
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Una collisione fra galassie, fenomeno che può strappare alcune stelle dalla loro galassia madre

Strappate dalle loro galassie di origine, vagano senza più radici immerse nella materia oscura. Gli astronomi le chiamano “stelle intra-halo”, non più legate gravitazionalmente a una singola galassia. Ma i loro effetti continuano a farsi sentire. Un risultato in uscita questa settimana su Nature – ottenuto analizzando i dati raccolti con il telescopio spaziale a infrarossi Spitzer della NASA da un team di astronomi guidato da Asantha Cooray, dell’Università della California sede di Irvine – le addita come possibili fonti della radiazione infrarossa di fondo in eccesso, un enigma sul quale gli scienziati s’interrogano da tempo.

Sembra infatti esserci nell’universo più luce di quella che dovrebbe. Ovvero, sommando tutta la luce emessa dalle galassie conosciute si ottiene un risultato inferiore a quella effettivamente osservata, anche sotto forma di fluttuazione, in banda infrarossa. Due, fino a oggi, erano le ipotesi sull’origine di questo sovrappiù: galassie troppo lontane per essere individuate, oppure galassie vicine ma ancora sconosciute in quanto troppo deboli. Entrambe le spiegazioni sono però incompatibili con i dati ottenuti da Spitzer, dice Edward Wright, professore a UCLA e coautore dello studio uscito su Nature.

Ecco così entrare in gioco le stelle immerse nella materia oscura. «Secondo il nostro modello», dice infatti Francesco De Bernardis, dal 2010 ricercatore postdoc nel gruppo di Cooray (dopo un dottorato a La Sapienza di Roma), raggiunto al telefono da Media INAF, «la presenza delle stelle “intra-halo” è in grado di spiegare i dati raccolti nel vicino infrarosso».

Insomma, la materia oscura, punteggiata di stelle abbandonate, non è poi così oscura come ci si aspettava? «Il risultato che abbiamo ottenuto è certo interessante, ma occorre attendere ulteriori osservazioni», avverte De Bernardis, «perché noi ci siamo concentrati su due specifiche frequenze del vicino infrarosso, ma saranno necessarie analisi anche in altre frequenze per una conferma del nostro modello».

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