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Il nuovo “pianeta” oltre il confine

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Immagine sovrapposta dei movimenti di 2012 VP113, visibile nei tre puntini colorati. Crediti: S. Sheppard, Carnegie Institution for Science
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Rappresentazione artistica (non in scala) dei pianeti del Sistema Solare. Crediti: NASA

Da oggi la lista dei nostri vicini di casa è un po’ più lunga. È quanto emerge da un articolo appena pubblicato su Nature, che annuncia la scoperta di un nuovo pianeta nano all’interno del Sistema solare. Per ora il suo nome è ancora un codice, 2012 VP113, ma dietro a quelle cifre ci sono tutte le implicazioni dell’ingresso di un nuovo protagonista nella famiglia più studiata dagli astronomi.

Una famiglia, quella del Sistema solare, che negli ultimi anni si è allargata parecchio. Non tanto per l’abbondanza di nuove scoperte, quanto piuttosto per il continuo affinarsi dei parametri di classificazione degli oggetti celesti. L’ultimo catalogo ufficiale è del 2006, ed è stato stilato a Praga dall’International Astronomical Union (IAU). Che ha definito i pianeti del Sistema solare in base a tre condizioni: devono orbitare intorno al Sole, devono avere una massa sufficientemente grande (tale per cui la loro gravità permetta di raggiungere l’equilibrio idrostatico, ossia una forma quasi sferica), e non devono avere nient’altro nei dintorni della loro orbita.

Queste regole, apparentemente legate a criteri formali, hanno in realtà avuto un impatto molto forte sulla comunità astronomica. Nonostante le proteste di alcuni, ad esempio, dopo l’approvazione delle regole dell’IAU Plutone è stato declassato: non tutti lo sanno, ma il più lontano dei mondi del Sistema solare ha ormai perso il suo statuto di pianeta.

Cacciato dalla porta, Plutone è però rientrato dalla finestra: inaugurando così una categoria tutta nuova, quella dei cosiddetti pianeti nani. Gruppo di cui fa parte anche Sedna, oggetto transnettuniano scoperto nel 2003, e che oggi apre le braccia al nuovo 2012 VP113.

Ma qual è il vero significato di questa classificazione planetaria? Perché è così importante definire il confine tra ciò che è pianeta e ciò che non lo è?

Immagine sovrapposta dei movimenti di 2012 VP113, visibile nei tre puntini colorati. Crediti: S. Sheppard, Carnegie Institution for Science

“Ogni oggetto si porta dietro la storia sulla sua formazione: è questa la cosa interessante rispetto alla classificazione dei pianeti” dice Gianfranco Magni, ricercatore dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF di Roma.

La classificazione, insomma, la dice lunga anche su quelli che sono stati i processi di formazione di un pianeta. E questa può essere un’informazione decisamente rilevante quando si tratta di tracciare la storia del Sistema solare.

“Per gli antichi tutto ciò che si muoveva intorno al Sole, se aveva una luminosità sufficiente, era un pianeta” continua Magni. “Poi si cominciò a identificare comete e asteroidi, che però avevano una differenza di massa così grande da poter essere classificati a parte. Alla fine è arrivato Plutone: un oggetto un po’ strano, perché la sua orbita era a cavallo con quella di Nettuno. Prima considerato il nono pianeta, è stato alla fine declassato a pianeta nano, anche perché si è scoperto che proveniva da un’altra zona del Sistema solare”.

Ecco quindi qual è uno degli elementi centrali che sta dietro al moderno concetto di classificazione dei pianeti: la provenienza.

I pianeti del Sistema solare si sono formati al suo interno: questo vale per tutti gli 8 pianeti da Mercurio a Nettuno, compresa la Terra. Nel corso della loro evoluzione, chi più chi meno, i pianeti si sono sicuramente spostati un po’, ma il loro perielio (il punto di minima distanza di un corpo del Sistema solare dal Sole) è rimasto all’interno del sistema planetario.

“In base alla meccanica celeste, se un oggetto nasce nel Sistema solare e viene deviato (ad esempio, perché passa vicino a Giove e riceve un colpo che ne cambia la traiettoria), dopo un certo tempo tornerà comunque indietro” spiega Magni. “Questo avviene perché il suo perielio è all’interno del Sistema solare”.

Una regola che invece non vale per i pianeti nani, la cui storia è di solito ben più travagliata.

“La formazione dei pianeti nani è avvenuta lontano, e il loro ingresso nel Sistema solare è accaduto a seguito dell’interazione con pianeti più grossi” continua l’astrofisico. “E probabilmente è ciò che è successo anche a 2012 VP113: il suo perielio infatti non rientra nel Sistema solare”.

Molto più che una semplice classificazione in base alla massa, quindi: i pianeti nani parlano anche del loro passato e della loro storia, ben diversa da quella dei pianeti “normali”.

Resta da capire chi è stato il responsabile dell’ingresso di 2012 VP113 nel nostro sistema planetario. I due autori dello studio pubblicato su Nature, Scott Sheppard del Carnegie Institution for Science di Washington e Chadwick Trujillo dell’Osservatorio Gemini alle Hawaii, parlano addirittura dell’ipotesi di una “super-Terra”. Questo oggetto celeste sarebbe grande 10 volte il nostro pianeta, e potrebbe aver influenzato l’orbita del pianeta nano.

“Si pensa che questa super-Terra sia collocata all’interno della nube di Oort, la fascia di corpi celesti che orbitano a enorme distanza dal Sole. Questa zona si conosce solo in maniera indiretta, ma è talmente lontana che a livello ipotetico si potrebbe osservare tutta insieme”.

Per avere risposte certe sull’origine di 2012 VP113 servirà però aspettare misure più accurate. Secondo Gianfranco Magni, il vero salto ci sarà con il lancio di James Webb il telescopio spaziale sviluppato per diventare il successore di Hubble.

“Con una dimensione di 6 metri di diametro, James Webb permetterà di osservare oggetti lontani come 2012 VP113, il cui spettro è visibile soprattutto nell’infrarosso” conclude l’astrofisico. “Grazie a questo telescopio i dati statistici aumenteranno enormemente, e potremo farci un’idea più precisa di cosa c’è dietro questo pianeta nano”.