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Il buco nero (in)visibile a occhio nudo!

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Una rappresentazione artistica del sistema triplo HR 6819. Nell'immagine vediamo in azzurro le orbite delle due stelle visibili, che compongono il sistema creduto bianrio. In rosso vediamo invece l'orbita del terzo componente invisibile, un buco nero di massa stellare, il più vicino alla Terra trovato finora. Il buco nero è invisibile, ma manifesta la propria presenza attraverso l'attrazione gravitazionale che causa il moto orbitale della stella, luminosa, a questo punto più "interna". Gli oggetti che formano questa coppia interna hanno all'incirca la stessa massa e orbite circolari. La scoperta è stata possibile grazie alle osservazioni con lo spettrografo FEROS installato sul telescopio da 2,2 metri presso l'Osservatorio di La Silla dell'ESO. Crediti: ESO/L. Calçada
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Una rappresentazione artistica del sistema triplo HR 6819. Nell'immagine vediamo in azzurro le orbite delle due stelle visibili, che compongono il sistema creduto binario. In rosso vediamo invece l'orbita del terzo componente invisibile, un buco nero di massa stellare, il più vicino alla Terra trovato finora. La scoperta è stata possibile grazie alle osservazioni con lo spettrografo FEROS installato sul telescopio da 2,2 metri presso l'Osservatorio di La Silla dell'ESO. Crediti: ESO/L. Calçada

Si trova a soli 1000 anni luce dalla Terra, ed è il terzo componente invisibile di una stella finora creduta binaria. La stellaHR 6819, o meglio il sistema triplo si trova nella costellazione del Telescopio, una delle costellazioni dell’emisfero australe. È di magnitudine +5,35, quindi da un cielo buio e pulito, e con una buona vista, è visibile anche a occhio nudo, ma con un telescopio può essere risolta nelle sue due componenti visibili.

«Siamo rimasti veramente sorpresi quando ci siamo resi conto che questo è il primo sistema stellare con un buco nero che si può vedere a occhio nudo», ammette Petr Hadrava, scienziato emerito dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca a Praga e coautore della ricerca. Mentre Rivinius aggiunge: «Questo sistema contiene il buco nero più vicino alla Terra di cui siamo a conoscenza».

La panoramica mostra la regione di cielo, nella costellazione del Telescopio, in cui si trova HR 6819 (la brillante stella azzurra al centro). La veduta è stata prodotta a partire dalle immagini della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Anche se il buco nero è invisibile, le due stelle in HR 6819 possono essere viste, dall'emisfero meridionale, in una notte scura e serena anche senza l'ausilio di un binocolo o di un telescopio. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide De Martin

Fino a questo momento HR 6819 era una “semplice” stella binaria, ma grazie alle osservazioni con il telescopio da 2,2 metri dell’MPG/ESO che si trova all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile, un team impegnato in uno studio su sistemi stellari binari si è accorto che, oltre ad orbitare una attorno all’altra a grande distanza, una delle due componenti stava anche ruotando attorno a qualcosa a distanza più ravvicinata, con un periodo di 40 giorni.

Dietrich Baade, astronomo emerito all’ESO di Garching e coautore dello studio, spiega: «Le osservazioni necessarie per determinare il periodo di 40 giorni dovevano essere distribuite su diversi mesi. Ciò è stato possibile solo grazie al sistema pionieristico di osservazione fornito dall’ESO, in base al quale le osservazioni sono eseguite dal personale dell’ESO per conto degli scienziati che le richiedono».

L’oggetto non era però visibile allo spettrografo FEROS montato sul telescopio. Studiando allora nel dettaglio l’orbita “interna” hanno potuto calcolare la massa di questa componente invisibile, che è risultata pari ad almeno quattro volte la massa solare e simile a quella della compagna attorno a cui orbita, avrebbe quindi dovuto essere visibile alla pari delle altre due compagne. A questo punto «un oggetto invisibile con una massa almeno 4 volte quella del Sole non può che essere un buco nero», spiega Thomas Rivinius, astronomo dell’ESO, a capo dello studio pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

Il terzo componente si è quindi rivelato essere un buco nero di massa stellare che, a differenza di quella che veniva considerata la norma, non interagisce violentemente con le sue compagne. I pochi (due dozzine) buchi neri scovati finora nella nostra galassia, infatti, sono sempre stati individuati grazie alla potente emissione di raggi X che emettono come risultato dell’interazione con l’ambiente che li circonda. La materia che interagisce con loro, forma un disco di accrescimento attorno all’orizzonte degli eventi del buco nero e, nel momento in cui viene inghiottita, emette energia in questa lunghezza d’onda. Tutto questo non è stato osservato in questo caso, ma questo significa anche che potrebbero essercene molti in giro, ben nascosti e… silenti in tutte le lunghezze d’onda. E già un secondo candidato è nel paniere del team.

«Ci siamo resi conto che anche un altro sistema, chiamato LB-1, potrebbe essere un sistema triplo, anche se avremmo bisogno di ulteriori osservazioni per stabilirlo con certezza», spiega Marianne Heida, che lavora con una borsa post-dottorato presso l’ESO e co-autrice dell’articolo. «LB-1 è un po’ più lontano dalla Terra ma ancora decisamente vicino in termini astronomici, quindi ciò significa che probabilmente esiste un numero molto maggiore di questi sistemi. Trovandoli e studiandoli possiamo imparare molto sulla formazione e l’evoluzione di quelle rare stelle che iniziano la loro vita con una massa pari a oltre 8 volte la massa del Sole e la terminano in un’esplosione di supernova che lascia come residuo un buco nero».

Buchi neri quindi davvero neri e basta, assolutamente invisibili se non per l’azione gravitazionale sulle compagne, e che probabilmente si sono formati dalla fusione di stelle all’interno di sistemi stellari multipli come questi.

L'astronomia multimessaggero nasce dall'associazione dell'astronomia tradizionale, che osserva le emissioni elettromagnetiche degli astri e dei fenomeni celesti, con l'astronomia gravitazionale, nata solo pochi anni fa. Ne abbiamo parlato in occasione della prima volta in cui una fonte di onde gravitazionali è stata "vista" anche attraverso la sua emissione nello spettro elettromagnetico. Cliccare per la lettura in formato digitale e gratuito.

Stiamo già studiando, inoltre, la fusione di sistemi binari attraverso l’astronomia gravitazionale, ma per studiare questo tipo di sistemi servono fusioni potenti, in grado di rilasciare enormi quantità di energia che diano vita a onde gravitazionali abbastanza ampie da essere rilevate dai nostri strumenti, quindi formati da buchi neri o stelle molto compatte e massicce, come le stelle di neutroni, spesso troppo remoti per essere studiati con altri metodi. In questo modo potremmo invece aver trovato un modo per studiare le interazioni e le fusioni di stelle  e buchi neri (o della nascita degli stessi) all’interno di sistemi multipli, con oggetti meno massivi, ma abbastanza vicini da poter essere studiati in quantità attraverso i nostri Osservatori a terra. Gli studiosi calcolano infatti che all’interno della Via Lattea potrebbero essere numerosi e addirittura più comuni di quanto si pensasse.

Il telescopio da 2,2 metri dell'MPG/ESO che si trova all'Osservatorio dell'ESO di La Silla in Cile sovrastato dalla Via Lattea. Crediti: ESO/José Francisco Salgado (josefrancisco.org).

«Devono esserci centinaia di milioni di buchi neri là fuori, ma ne conosciamo solo pochissimi. Sapere cosa cercare dovrebbe metterci in una posizione avvantaggiata per trovarli», afferma Rivinius. E Baade conclude affermando che trovare un buco nero in un sistema triplo così vicino indica che stiamo vedendo solo «la punta di un emozionante iceberg».

Ulteriori Informazioni

Questo risultato è stato presentato nell’articolo “A naked-eye triple system with a nonaccreting black hole in the inner binary”, pubblicato il 6 maggio scorso dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

L’equipe è composta da Th. Rivinius (European Southern Observatory, Santiago, Cile), D. Baade (European Southern Observatory, Garching, Germania [ESO Germania]), P. Hadrava (Astronomical Institute, Academy of Science of the Czech Republic, Prague, Repubblica Ceca), M. Heida (ESO Germania), e R. Klement (The CHARA Array of Georgia State University, Mount Wilson Observatory, Mount Wilson, USA).



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