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Galassie da viverci

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Immagine della grande galassia a spirale Ngc 1232 ottenuta nel 1998 dal Very Large Telescope dell’Eso. Crediti: Eso
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Immagine della grande galassia a spirale Ngc 1232 ottenuta nel 1998 dal Very Large Telescope dell’Eso. Crediti: Eso

Negli ultimi decenni il campo dell’astrobiologia ha compiuto enormi passi in avanti, soprattutto nella comprensione delle zone abitabili stellari: regioni attorno a stelle simili alla nostra nelle quali la vita potrebbe iniziare, essere sostenuta ed evolversi in forme complesse. Alcuni studi hanno recentemente ampliato questa idea di abitabilità, cercando zone simili ma su scala galattica: le cosiddette zone galattiche abitabili. La prima domanda alla quale gli astronomi che lavorano a questo filone di ricerca cercano risposta è: quali galassie sono le più idonee a ospitare forme di vita?

In uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters nel 2015, un team di astronomi guidati da Pratika Dayal aveva cercato di rispondere utilizzando dei modelli matematici che tenevano conto del numero di stelle, del tasso di formazione stellare, della metallicità e dei tassi di esplosione di supernove di numerose galassie nell’universo locale. La conclusione alla quale giunsero era che le più probabili “culle della vita” nell’universo fossero le enormi galassie ellittiche. Il motivo è che queste, rispetto alle galassie come la nostra, ospitano potenzialmente fino a diecimila volte il numero di pianeti abitabili simili alla Terra, possiedono molte più stelle e hanno bassi tassi di esplosioni di supernove potenzialmente letali.

Un nuovo studio mette ora in dubbio quei risultati. In particolare, secondo Daniel Whitmire dell’Università dell’Arkansas, negli Stati Uniti, unico firmatario dell’articolo pubblicato di recente su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, la conclusione di Dayal et al. costituirebbe una violazione al principio di mediocrità.

Su Coelum Astronomia di maggio 2020. La ZONA ABITABILE dei pianeti e la ricerca della vita. Ovvero come il concetto di zona di abitabilità non sia affatto scontato e si stia evolvendo nel tempo, alla luce di nuove scoperte. In formato digitale e gratuito (cliccare sull'immagine per la lettura).

Secondo questo principio (un’estensione del principio copernicano che spodestò la Terra dalla sua posizione privilegiata al centro dell’universo), in assenza di prove contrarie, un oggetto o un fenomeno dovrebbe essere considerato tipico della sua classe, piuttosto che atipico. In altre parole, l’idea è quella di assumere la tipicità come regola alla base di tutto, piuttosto che partire dal presupposto che un fenomeno sia speciale o eccezionale. Su scala cosmologica questo equivale a dire che la Terra e le forme di vita che vi risiedono dovrebbero essere presenti anche altrove nell’universo. E dovrebbe essere tipica anche la posizione in cui si trovano pianeti simili al nostro: il disco di una galassia a spirale.

«L’articolo del 2015 ha un serio problema con il principio di mediocrità», dice Whitmire. «In altre parole, perché non ci troviamo a vivere in una grande galassia ellittica? Ogni volta che ci si trova davanti a un’eccezione, vale a dire a qualcosa a di atipico, abbiamo un problema con il principio di mediocrità».

A sostegno della sua tesi, Whitmire, usando gli stessi risultati del modello di Dayal et al., descrive due ipotesi che limitano significativamente l’abitabilità delle grandi galassie ellittiche.

La prima prende in considerazione gli eventi associati alla fase quasar o di nucleo galattico attivo di queste grandi galassie ellittiche, come pure l’elevato numero di esplosioni di supernove che si verificavano in questi oggetti. Secondo questa ipotesi, le intense radiazioni Uv e X presenti in questo stadio della loro formazione non solo avrebbero ucciso qualsiasi forma di vita, ma avrebbero anche reso i pianeti  inabitabili a causa della perdita delle loro atmosfere.

La seconda ipotesi, invece, riguarda la probabilità di formazione di pianeti abitabili. Una probabilità piccola, secondo Whitmire, poiché, a causa della loro metallicità più elevata, si stima che in queste galassie vi sia la formazione di un numero maggiore di pianeti gassosi rispetto a quelli terrestri. Questi  pianeti, probabilmente formatisi oltre il raggio di condensazione dell’acqua – circa 5 unità astronomiche per le stelle simili al Sole – sono migrati verso l’interno, costringendo i planetesimi nelle zone abitabili a spostarsi più vicino alla stella, impedendo così la formazione di futuri pianeti terrestri abitabili.

«L’evoluzione delle galassie ellittiche è totalmente diversa da quella della Via Lattea», spiega a questo proposito Whitmire. «Queste galassie hanno attraversato una fase iniziale in cui vi era così tanta radiazione che avrebbe completamente distrutto tutti i pianeti abitabili presenti, e successivamente alterato il tasso di formazione stellare. Quindi qualsiasi nuovo pianeta è andato sostanzialmente perso. Non ci sono state nuove stelle in  formazione e tutte quelle vecchie sono state irradiate e sterilizzate».

Se i pianeti abitabili che ospitano la vita sono improbabili nelle grandi galassie ellittiche, dove risiedono la maggior parte delle stelle e dei pianeti, per default, conclude lo scienziato, le galassie come la Via Lattea saranno i siti primari nei quali può originarsi la vita, come previsto dal principio di mediocrità.

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